Dismissioni patrimonio pubblico italiano: il piano del Tesoro
Vendita immobili pubblici e partecipazioni statali sul tavolo del Tesoro. Remota la cessione della partecipazione in Poste Italiane, più verosimile la privatizzazione di Fintecna e di Sace
Dismissioni patrimonio immobiliare e partecipazioni pubbliche le strade per ridurre il deficit? – Dopo le manovre attuate dall’esecutivo per rispettare le direttive imposte dalla comunità europea e per dare fiducia agli investitori sullo stato di salute economico dell’Italia, il governo prepara altre azioni volte a ridurre il debito pubblico italiano. L’ultimatum lanciato da Bruxelles in merito alla riduzione dell’enorme deficit italiano, obbliga i vertici del tesoro ad elaborare ulteriori strategie per recuperare ulteriore gettito imponibile da destinare all’erario. Dopo la riunione di ieri tenutasi a porte chiuse sembra che gli orientamenti del ministro in merito, siano quelli di effettuare un piano di dismissioni sia di immobili statali che di partecipazioni pubbliche.
Dismissioni statali: quanto si può incassare?
Particolarmente allettante il piano , che naturalmente dovrà essere definito dei dettagli e di cui allo stato attuale si conosce solo a grandi linee, che riguarda le dismissioni statali visto che l’intero patrimonio pubblico italiano ha un valore di oltre 1800 miliardi di euro e che di questi circa 700 sono immediatamente valorizzabili. Non solo immobili che possono essere immediatamente alienabili, ma anche partecipazioni statali, crediti e concessioni statali. Solo il patrimonio immobiliare statale è stimato in 500 miliardi di euro , di cui un 10 per cento potrebbe essere immediatamente venduto, generando un’ introito per le casse statali di almeno 50 miliardi di euro.
Vendita immobili pubblici - La vendita degli immobili pubblici (destinati quindi ad uffici o sedi di enti pubblici) potrebbe far incamerare all’erario altri 30 miliardi di euro. Infatti tale vendita potrebbe essere agevolata anche dal fatto che si punta a ridurre notevolmente gli organici delle amministrazioni statali e pertanto molti uffici potrebbero essere accorpati, rendendo immediatamente disponibili degli immobili per la vendita. Anche la vendita di concessioni statali potrebbe assicurare un buon incasso ( si stima ad esempio che la vendita dei diritti della CO2 potrebbe generare almeno 10 miliardi di euro di introiti).
Interventi strutturali e non una-tantum – Gli interventi nei settori sopra richiamati produrrebbero quindi un abbattimento del deficit pubblico di circa 10 miliardi l’anno, un intervento che, secondo quanto riferito dai vertici del ministero economico, avrebbe anche natura strutturale e non una-tantum. Inoltre occorre anche tener conto che si potrebbero avviare ulteriori azioni sulle società partecipate dallo stato, sui crediti pubblici, e sulle immobilizzazioni immateriali ( brevetti, avviamento, opere di ingegno).
Ipotesi vendita partecipazioni statali – Particolarmente remunerativa potrebbe essere la vendita di partecipazioni statali, soprattutto per quelle aziende ove lo stato non detiene la maggioranza, assoluta o relativa. A tale scopo i vertici del ministero dell’economia hanno già inviato delle lettere alle banche d’affari straniere ed italiane per effettuare una valutazione delle società in cui lo Stato ha delle partecipazioni ( parliamo di Fintecna, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Sogei,ecc.). Dalla valutazione effettuata si procederà all’eventuale scelta degli advisor e sarà anche possibile capire se vi siano i margini per effettuare una distribuzione di liquidità, sottoforma di distribuzione di dividendo.
Linea di azione tutta da definire – Allo stato attuale la possibilità delle vendite di partecipazioni pubbliche è solo allo stato embrionale, ed occorrerà valutare bene quali siano i benefici di una vendita di una quota societaria rispetto ad un’ altra. Inoltre la vendita delle partecipazioni statali sicuramente avrebbe un beneficio per i conti erariali, ma occorre verificare l’impatto che avrebbe sulla società. Infatti solo a titolo di esempio basti pensare alla caduta di fiducia che si avrebbe per quanto riguarda affidabilità e rispetto delle linee di credito se si effettuasse una dismissione da parte dello Stato. Inoltre prelevare della liquidità dalle aziende, sotto forma di distribuzione di dividendo straordinario, potrebbe esporre la società ad una peggiore valutazione dell’affidabilità e di conseguenza ad un declassamento da parte delle agenzie di rating. Occorre pertanto effettuare una verifica scrupolosa di quali ripercussioni a livello aziendale avrebbe una dismissione di tale tipo.
Privatizzazione Ferrovie dello Stato – Per quanto riguarda l’identikit delle società oggetto della dismissione occorre escludere quelle che hanno situazioni debitorie pesanti. Allo stato attuale quindi sembra essere esclusa Ferrovie dello Stato, che ha ereditato dalla gestione passata un notevole fardello di debiti. La società attualmente è in positivo ( ha generato nell’ultimo semestre circa 90 milioni di euro di utile), ma oltre a coprire i debiti e la gestione corrente, ha anche un notevole piano di investimenti da effettuare.
Partecipazione statale Poste Italiane - Poste Italiane è invece una società florida, da circa un decennio produce utile e le previsioni sono rosee. Tuttavia non sarebbe opportuno per lo Stato privarsi si una partecipazione in detta società, perché gli investitori privati potrebbero produrre un calo di fiducia nei clienti ( con conseguente calo della raccolta di credito) ed imporre delle decisioni un po’ contrastate ( ad esempio chiusura di alcuni uffici, riduzione dei costi, ecc.).
Privatizzazione Fintecna e privatizzazione Sace – Anche Sogei non rientra tra i papabili in quanto la società genera “appena” 28 milioni di euro di utile, e quindi non è abbastanza grande per ritenerla apprezzabile. Più remunerative invece le cessioni eventuali di Fintecna (che controlla anche Fincantieri) e Sace. Infatti lo Stato potrebbe ricavare dalle due cessioni di partecipazione circa 4 miliardi di euro, destinati ad abbattere il debito pubblico. Anche qui però vi sarebbero degli svantaggi come la circostanza di privarsi alcune aziende storiche italiane ( tra cui Fincantieri) ed il fatto che Sace sostiene oltre 20mila imprese in Italia ed all’estero ( con possibili ripercussioni sui livelli occupazionali).
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