Intervista di P. Aldo Bergamaschi al Prof. Gustavo Bontadini
Milano, 5-4-81
[Scheda filosofica su Gustavo Bontadini ]
Padre Bergamaschi : Prof. Bontadini, se un oscuro, ma assiduo frequentatore del peripatos avesse avuto l'opportunità di intervistare Aristotele, con una macchina da presa, che cosa, secondo Lei, avrebbe dovuto chiedergli?
Prof. Gustavo Bontadini : Certo poteva chiedergli tante cose, presentargli tutto l'elenco delle cose che non sono accettabili nei suoi scritti, perché ce ne sono, ma se fossi stato io quell'oscuro frequentatore gli avrei chiesto, immagino di trovarlo ormai vecchio e quindi solo, come sono tutti i vecchi, abbandonato. Ti sembra di essere stato veramente giusto, equo con il tuo maestro Platone? Non senti qualche rimorso di coscienza per averlo trattato come l'hai trattato? Intendo teoreticamente, vero!
D'accordo! Sicchè lei si sarebbe rivolto all'Aristotele teoretico e non certamente all'Aristotele empirico? Bene, io mi trovo nei medesimi panni, cioè io sono questo oscuro intervistatore, però un assiduo frequentatore del peripatos, diciamo milanese. Le domando anzitutto: quali sono i traguardi che lei ha programmato e quali sono invece stati esplorati con successo?
I traguardi erano immensi perché quando si è giovani non si pongono limiti alle proprie possibilità, poi quelli che invece ho realizzato sono pochissimi, anzi si sono andati riducendo sempre di più, si riducono a quelli che io e i miei amici che amiamo volentieri il discorso breve, cioè l'essenzializzazione della metafisica dell'essere, questo è un traguardo che ritengo ormai di avere sufficientemente conseguito: questa rigorizzazione del discorso metafisico.
D'accordo. Ma prima di arrivare alla discussione su questa rigorizzazione io le vorrei chiedere i risultati delle sue ricerche sullo gnoseologismo moderno, può dirci in breve in che cosa consistono queste ricerche?
Sì, la discussione del gnoseologismo moderno è stata una delle tappe che ho dovuto percorrere per arrivare a quel risultato che ho detto prima, cioè per difendere e per fondare la metafisica dovevo fare i conti col pensiero moderno che è essenzialmente antimetafisico. E allora l'analisi di struttura dei grandi autori moderni mi hanno, per dire sinteticamente in brevi parole, perché il discorso qui sarebbe lunghissimo, mi hanno messo innanzi questa situazione: la filosofia moderna è un ciclo di pensiero che fa dimenticare se stessa perché la sua conclusione toglie il suo punto di partenza. Il suo punto di partenza è quello che io chiamo e molto altri amici sono d'accoro nel chiamare il presupposto realistico, il presupposto naturalistico. L'ammissione dogmatica della dualità di essere di pensiero.
La tematica e l'indagine dei filosofi moderni si svolge soprattutto su questo presupposto traendone le conseguenze, la principale conseguenza è la concezione fenomenistica, cioè se l'essere è altro dal pensiero, ciò che noi conosciamo non è l'essere, ma il fenomeno, ciò che appare. L'ulteriore passo della filosofia moderna può essere rappresentato, parlo sempre brevemente, sinteticamente e in forma molto approssimativa, è l'idealismo, il quale trae questa ulteriore conseguenza: se noi abbiamo a che fare soltanto col fenomeno non possiamo neanche affermare l'esistenza del noumeno e quindi il pensiero si chiude in qualche maniera in se stesso.
Scusi se l'interrompo, ma se uno studente liceale le dovesse chiederle una lezione breve sull'errore di Cartesio, lei come strutturerebbe questa lezione breve?
Ecco, quello di Cartesio non è un errore, anzi è la presa di coscienza di una situazione speculativa in cui si trovava la sua epoca e questa situazione speculativa Cartesio la eredita dalla tarda scolastica, dal tardo Medio Evo, come ha messo molto bene in luce Jeusson (?) specialmente nel commento, nell'amplissimo commento che lui ha fatto "Etude de la metode" (?) di Cartesio per mostrare quanti elementi medioevali della tarda scolastica sono ancora presenti nella problematica cartesiana.
Non è un errore, anzi il suo merito è quello di avere tratto le conseguenze di questo che essendo un presupposto, in metafisica, in buona dottrina, ogni presupposto deve essere eliminato, deve essere scartato. Cartesio ha messo in rilievo quali sono le conseguenze di questo presupposto.
Ha indicato per quale via noi eravamo costretti a camminare sotto la spinta di questo presupposto, il quale poi ha portato alle varie tappe della filosofia moderna. In questo senso, Cartesio è stato veramente il padre della filosofia moderna.
Lei lo ritiene padre, ma c'è al fondo un errore o non c'è? Ad esempio lo smarrimento dell'essere?
C'è lo smarrimento dell'essere e questo è un errore, ma non è di Cartesio è del suo tempo, è di tutti.
E' un'eredità, è anche una convinzione partecipe del senso comune, che l'essere è qualcosa d'altro dal conoscere, è il cosiddetto realismo al quale la filosofia moderna ha sostituito dapprima il fenomenismo e poi addirittura l'idealismo.
Il significato speculativo dell'idealismo con cui in qualche maniera si concluse il ciclo moderno, è il semplice toglimento del presupposto naturalistico formalmente in quanto presupposto.
Abbia la cortesia di spiegarci in cosa consiste questo presupposto realistico.
E' semplicissimo. E' l'assunto che l'essere è altro dal pensiero.
Io potrei dare, dato che siamo nel secondo centenario della Critica della ragion pura che fu pubblicata nel 1781.
Se io a uno studente di liceo o anche a un contadino che incontrassi per la strada gli chiedessi qualcosa di quest'opera direi ecco: il più breve riassunto che si può fare di quest'opera, che consta di molte centinaia di pagine, è questo: dato che l'essere è altro dal pensiero, la scienza dell'essere, cioè la metafisica, non è possibile. Questo è il riassunto più sintetico della Critica della ragion pura.
Poi c'è tutta questa opera meravigliosa che è una delle opere più geniali che siano mai state scritte nella storia della filosofia, si intrecciano una quantità di motivi che riguardano la possibilità della matematica come scienza, della fisica come scienza, poi l'esame di quelli che egli riteneva fossero gli argomenti portati a sostegno della metafisica tradizionale, e allora qui naturalmente vien fatto subito derivare da parte mia, o da parte nostra, che la metafisica che Kant confutava non era assolutamente la metafisica classica, è strutturalmente diversa da quella che noi presentiamo come metafisica classica.
Le darò poi opportunità di riparlare dell'argomento, cioè dei rapporti fra Kant e metafisica. Adesso però vorrei che a conclusione di questo discorso, diciamo così sul dualismo gnoseologistico come lei lo chiama, ci risolvesse alcune perplessità dei cultori di scienze filmiche, per esempio i cultori del linguaggio filmico sembrano accettare il dualismo gnoseologistico dicono: altro è la realtà, altro la sua immagine, l'evento non si identifica con la sua rappresentazione, quindi l'immagine di questo tavolo non è il tavolo. Io le domando: filmicamente parlando siamo o non siamo sull'essere?
Io sono ignorante in sede di filmologia, però direi che, dal punto di vista metafisico, è ente cioè non nulla sia l'immagine come la realtà che il linguaggio filmico contrappone all'immagine stessa. Sono tutte e due realtà e vengono sia l'una che l'altra intenzionate dalla conoscenza. Il termine intenzionato è importante perché l'intenzionalità è proprio la figura che in qualche maniera conclude tutta la vicenda del pensiero moderno ed apre la possibilità di entrare in una nuova epoca.
Tento di fare una verifica ulteriore in questo suo discorso: Noi conosciamo direttamente il tavolo o l'immagine del tavolo?
Senz'altro il tavolo.
Conosciamo il tavolo anche pur sapendo che il discorso filmico mi presenta una immagine del tavolo.
Sì, perché il dualismo filmico è un dualismo che è interno al non dualismo della conoscenza umana. E' un dualismo interno, cioè da interno del globo della conoscenza umana, si elevano questi due ordini: l'ordine filmico e l'ordine di quella realtà che viene contrapposta a quello filmico.
Vediamo se riesco ad identificare il senso di questo discorso.
La realtà quindi trascende la rappresentazione empirica ma non trascende il pensiero. Dunque comunque il pensiero sarebbe sulla realtà.
Certamente, in ogni caso non si trascende il pensiero e questa è la verità.
Abbia la cortesia di spiegare il significato di questa frase.
L'intrascendibilità del pensiero è la formula un po' banalizzata dell'idealismo: fuori dal pensiero non si salta. Perché se io dico che c'è una realtà che trascende il pensiero, perciò stesso l'ho già pensata e quindi ricondotta dentro al pensiero. Ma anche stando nella semplice orbita dell'unità dell'esperienza o se vogliamo dire dell'esperienza della percezione.
Scusi se l'interrompo professore: Questa unità dell'esperienza è un'espressione che lei ha introdotto...
50 anni fa.
Adesso, direi che ha l'onere di spiegarla per chi la udisse per la prima volta.
L'unità dell'esperienza è la totalità delle cose che sono presenti e che vengono affermate in base al loro esser presenti.
Per esempio?
Tutto ciò che io constato, tutto ciò di cui posso dire consta, tutti quei giudizi che possono essere giustificati e fondati con questa formula: perché consta.
Ad esempio: questo tavolo è di colore amaranto, perché mi consta che sia di colore amaranto, perché è sperimentalmente dato ed empiricamente dato che è tale, in questo momento è giorno perché constato che in questo momento è giorno, perché consta.
Quindi ciò che conta sarebbe l'unità dell'esperienza.
L'unità dell'esperienza è l'unità dei dati, dei dati come tali.
Quindi successivamente noi che cosa verremmo a scoprire, che il dato è là e io sono.
No, io sono un dato, l'unità dell'esperienza include l'io, che anche l'io come (?) nella forma dell'autocoscienza è dato, l'io è un dato. E' un dato che l'esperienza è polare cioè che ha la polarità del soggetto e dell'oggetto.
Io che ho presente questo tavolo, questo tavolo che è presente a me.
Quindi ci sarebbe la compresenza nell'attualità.
Qui naturalmente il discorso sulla struttura dell'unità dell'esperienza può proseguire per almeno 4-5 lezioni dell'Università.
Vediamo di esemplificarlo (?) in rapporto sempre anche al discorso cartesiano.
Dall'unità dell'esperienza è presente che le cose sono presenti a me, questo è un rilievo fondamentale in ordine alla determinazione della struttura dell'unità dell'esperienza.
L'unità dell'esperienza è la totalità delle cose presenti, ma c'è una caratteristica di queste cose presenti; anzitutto è quello di essere presenti poi determinatamente di essere presenti a, in questo caso all'io, a me, a un soggetto.
Le faccio una domanda che implica un riferimento storico: a suo parere S. Tommaso era immerso, chiamiamolo nell'errore gnoseologistico, cioè nel dualismo gnoseologistico, oppure aveva guadagnato questa unità dell'esperienza come punto di partenza?
Eh! Che avesse guadagnato questa unità dell'esperienza come punto di partenza forse no, perché io non avrei avuto niente da fare se l'avesse già guadagnato lui, però se S. Tommaso fosse o non fosse libero dal presupposto gnoseologistico, questo è un argomento di esegesi storica molto interessante.
S. Tommaso era un aristotelico e un grande commentatore di Aristotele, ora Aristotele era certamente immune dal presupposto dualistico, perché è un suo teorema fondamentale che il conoscente in atto e il conosciuto in atto si identificano e questo è già l'eliminazione del presupposto dualistico.
Aristotele poi aggiunge che il conoscente in potenza ed il conosciuto in potenza si distinguono, ma di questo essere distinti in potenza egli dà una fondazione, in quanto da una fondazione riscatta il presupposto come presupposto. La fondazione (?) è metafisica.
Probabilmente ci siamo avvicinati all'area della verità totale, ma io sto pensando a un ipotetico liceista.
Forse se lei mi farà altre domande che riguardino questi problemi fondamentali potremo dare una risposta esauriente anche per il liceista di primo anno.
Torniamo brevemente al discorso dell'inganno dei sensi.l'errore dei sensi.
Il senso non inganna, dice S. Tommaso.
Quando io vedo il legno spezzato nell'acqua, in che cosa consisterebbe l'errore?
L'errore consisterebbe nel ritenere che se io andassi a toccare il legno lo troverei spezzato mentre invece non lo trovo spezzato.
Questo è un giudizio. Invece (?) la vista non mi inganna perché è empiricamente dato che il legno si presenta come spezzato. E' un giudizio ulteriore.
Quando io vedo per esempio una torre - anche questo è un esempio famoso - una torre in lontananza che mi sembra circolare mentre è quadrata, allora c'è un'illusione.
L'illusione in che cosa consiste? La torre appare circolare e nella misura in cui appare essa è tale, nella misura in cui appare essa è tale.
Così se usciamo anche da questo paragone della torre e pensiamo al sogno. Io sogno che accadono certe cose; nella misura in cui quelle cose sono sognate sono reali; quindi non c'è nessun inganno.
L'inganno consisterebbe nel giudizio il quale volesse riferire ad una realtà che è ulteriore al sogno, quella che si rivela nel sogno.
Credo che questi esempi siano abbastanza chiari. Dalla gnoseologia passiamo alla metafisica. Anzitutto, ritorniamo al discorso lasciato sospeso su Kant, le domando: è veramente impossibile la metafisica dopo Kant, oppure lei ritiene che sia invece possibile?
Dopo 50 anni di meditazione ritengo che sia possibile perché (?) la metafisica si costruisce.
Quando io ero studente c'era lo slogan del dopo Kant, certe cose dopo Kant non si possono più sostenere e quindi dopo Kant non si poteva più sostenere che fosse possibile la metafisica.
Ma un'attenta considerazione di quella metafisica che Kant criticava, ci rende subito edotti che la struttura di questa metafisica ha poco a che vedere con la struttura di quella che noi chiamiamo la metafisica classica e che è quella che noi intendiamo difendere e sostenere.
La metafisica classica è fuori dalla portata della critica kantiana e naturalmente il discorso per mostrare questo dovrebbe essere abbastanza complesso ma è un discorso che oramai in qualche maniera abbiamo messo al sicuro; ritengo di averlo messo al sicuro.
In che cosa consisterebbe l'errore kantiano, come mai Kant è arrivato a dire che non è possibile la metafisica?
Anche qui potrei dire di Kant quello stesso che ho detto di Cartesio. Non si tratta di un errore suo, è
un errore un po' del genere umano e un po' dei suoi tempi.
Ho proposto prima un brevissimo riassunto della Critica della Ragion Pura ed allora lì si vede quello che è il limite del kantismo ammesso che l'essere sia originariamente altro dal conoscere, non è possibile una scienza dell'essere, quindi il presupposto è dualistico, perché tutta l'analisi di struttura (?) del pensiero kantiano, e specialmente della Critica della Ragion Pura, mette in luce come questo presupposto diventa in lui cespite di teoremi, dei teoremi di cui consta la Critica della Ragion Pura.
La Critica della Ragion Pura non sarebbe intelligibile all'infuori della sua prospettazione dentro questo presupposto dualistico. La dualità di fenomeno e di noumeno.
Quindi il vero errore sarebbe...?
Il vero errore questo che però non è da attribuire a Kant, è da attribuire al tempo; era già di Cartesio, era già della filosofia moderna.
Oh, un kantiamo potrebbe venire qui e difendermi Kant, per esempio potrebbe difenderlo con questa considerazione: che Kant intende di rispettare il presupposto dualistico, cioè intenderebbe di mostrarci che la dualità dell'essere e del conoscere non è semplicemente e dogmaticamente presupposta, ma è fondata.
In quale maniera? In questa maniera è fondata: se non si ammette questa dualità noi cadiamo in antinomie; in contraddizioni.
Kant riscatterebbe il presupposto naturalistico, dualistico, mostrando che se non lo si ammette, il pensiero umano cadrebbe in antinomie.
Queste antinomie sono sviluppate nella dialettica Trascendentale, cioè la parte della Ragion Pura che è destinata esplicitamente alla critica della metafisica, specialmente a quel settore che tratta della cosmologia, lì abbiamo le antinomie cosmologiche, se non si ammette la dualità dei fenomeni del noumeno si cade in queste antinomie.
Allora per sostenere la mia tesi che la speculazione kantiana è condizionata dal presupposto, dovrei far vedere che anche l'istituzione di queste antinomie dipendono dalla presupposizione naturalistica, ma qui il discorso sarebbe lungo.
Lei ha accentrato la sua attenzione sul divenire, credo che buona parte della sua vita sia dedicata a questa ricerca, potrei fare questo paragone, così come un chimico accentra la sua attenzione sul petrolio fino a ricavarne la lana, lei avrebbe ricavato il principio di creazione dall'analisi del divenire, potrebbe spiegare come?
Questo è tutto. Questo è il famoso discorso breve metafisico. Non ancora famoso, ma certamente diventerà famoso.
Abbia la cortesia di sintetizzare.
Il divenire si presenta come una realtà contraddittoria.In che cosa consiste la contraddittorietà del divenire? Ho detto si presenta come realtà contraddittoria però devo subito avvertire che io so già in partenza che il divenire non è contraddittorio perché è reale. Siccome il reale non è contraddittorio e il divenire è reale il divenire non può essere contraddittorio, però si presenta contraddittorio. Allora devo uscire da questa empasse, cercando di integrare la visione del reale in guisa tale che il divenire non risulti contraddittorio.
Potrebbe spiegare che cosa vuol dire contraddittorio?
E' una domanda necessaria, io sorvolavo, volavo verso la conclusione. La contraddittorietà del divenire consiste in ciò che nel divenire è presente ad ogni istante ad ogni battuta sua il non essere di un certo essere.
Questo divenire di cui lei parla potrebbe esemplificarlo?
Sì, divenire significa movimento, significa alterazione. Aristotele ci portava avanti quattro forme di divenire, divenire sostanziale, ____
Prendiamo quello più semplice.
Il divenire locale, lo spostamento di questa matita, l'essere qui di questa matita viene meno, cioè l'essere qui di questa matita che non è un nulla (l'esser qui non è un nulla), vien meno, cioè và nel nulla. Cioè c'è il momento in cui qualche cosa è nulla.
Qualche non nulla è nulla, un positivo è negativo, un essere è non essere, questa è la contraddittorietà del divenire. Cioè bisogna por mente che la contraddittorietà del divenire non consiste nel fatto che prima Socrate è vivo e poi è morto, che prima la matita è qui e poi non è più qui, perché allora il tempo dirime la contraddizione, non è nello stesso tempo che Socrate è vivo e che Socrate è morto. Perciò Aristotele diceva che è impossibile che una cosa possa essere e non essere nello stesso tempo, ma può essere e non essere in tempi diversi e allora sotto questo modo di riguardarlo il divenire non risulta contraddittorio, perché il divenire mi presenta l'essere di un qualche cosa in un momento e il suo non essere in qualche altro momento.
Ma la verità è che se io dico che c'è il non essere di questa cosa in un altro momento riconosco che in quel momento l'essere, un certo essere, una certa (?) non è. L'essere è non essere questa è la contraddittorietà del divenire.
Perfetto. Adesso io le chiedo di esemplificare; questi concetti lei li riempia con un opportuno esempio.
L'esempio può essere quello della matita che ho in mano e che si muove.
Vediamo, vediamo di applicare le formule di cui lei ha parlato al dato (?)
Come dicevo la matita è in questa posizione, si muove, l'esser lì è venuto meno, l'esser dove era e dove io ricordo che era, perché la percezione del divenire implica quello che Husserl chiama la ritensione, che noi potremmo chiamare con Agostino semplicemente la memoria, implica la memoria, perché la mia esperienza, non è puntuale, non è che io semplicemente veda questo positivo, quest'altro positivoquest'altro, come sosteneva la mia contraddittrice Rivetti-Barbò, che l'esperienza mi dà sempre un positivo. Mi da sempre un positivo, ma insieme mi dà anche un negativo, infatti bastava analizzare il suo discorso e veniva fuori una frase come questa: quando non c'è A, c'è B per dire che c'è sempre un positivo; allora quando c'è B non c'è A, ha detto tutto, mi ha detto un quando non c'è A, cioè quando un certo essere è non essere.
Questa frase bisogna ripeterla solennemente: quando l'essere non è catastrofico!
Abbia la cortesia di continuare nell'esempio. Concluda il discorso.
Il discorso costruttivo?
Il discorso costruttivo, esatto.
Questo divenire presenta questa contraddizione, la contraddizione è qualche cosa che deve essere rimosso perché la realtà non può essere contraddittoria.
E' uno scandalo del pensiero.
Qui interviene il cosiddetto èlenkòs, cioè la difesa del principio di Contraddizione, difendiamo confutativamente (vuol dire confutando l'avversario) il negatore del principio di contraddizione, fondiamo (?) affermiamo che la realtà non può essere contraddittoria. Il divenire non può essere contraddittorio, ma si presenta contraddittorio quindi noi dobbiamo, siamo spinti, ad (?) diceva Aristotele, a cercare di integrare la rappresentazione del reale, in guisa tale che il divenire non risulti più contraddittorio.
Questa integrazione del reale, della visione del reale è la metafisica ed è precisamente quello che io chiamo il teorema di creazione.
Questo è tutto, questo è anche il punto più arduo, un po' difficile perché . esigerebbe per renderlo accessibile, di stare insieme parecchie ore.
Quando la realtà diveniente è vista come creata allora si fa manifesta la sua non contraddittorietà.
Per quale motivo?
Abbiamo detto che la contraddittorietà del divenire è costituita da quel non essere dell'essere.
Nella visione creazionistica, qui interviene un nuovo fattore che è l'atto creatore il quale è identico alla sostanza divina, questo atto è un positivo e in quanto atto creatore continua in sé tanta perfezione quanto è quella che nel divenire va annullata e perciò l'atto creatore colma, usiamo questa metafora, ma il linguaggio umano è sempre metaforico e comunque le metafore servono appunto per farci intendere, questa positività dell'atto creativo colma quel vuoto di essere che c'è nel divenire, lo sana per così dire.
Traduce, quindi il negativo in positivo, cioè quello che sullo specchio dell'esperienza è l'annullarsi e quindi andare nelle identità col nulla di una certa quantità di realtà, nel quadro metafisico, invece, è l'annullare come atto positivo, come atto di potenza annullante e cioè è un positivo. Quello che nel quadro empirico è un negativo nel quadro metafisico è un positivo. La negatività che costituisce il motivo della contraddizione è tolta, è soppressa, è colmata o come altrimenti si voglia dire per metafora.
Mentre lei stava parlando, mi è venuto il dubbio che lei utilizzasse il principio di creazione senza averlo sufficientemente fondato; probabilmente non ho udito bene il passaggio, per togliere la contraddizione dobbiamo ipotizzare.
Dobbiamo affermare, non ipotizzare.
E l'affermazione di che genere è?
E' incontrovertibile.
Quindi non apparterrebbe all'antropos.
Appartiene al logos. L'antropos può parteciparne o non parteciparne, infatti dei miei simili vede che solo l'1% condivide questo mio discorso, il 99% non lo capisce e questo è il 98% e poi c'è l'1% che dopo averlo capito dice: non lo condivido.
L'essere pensante non può non ipotizzare.
Nella misura in cui è pensante, ma siccome l'uomo in larga misura è non pensante.
Può anche decidere di non pensare.
Evidentemente qui sto tirando troppo l'acqua al mio mulino, sto pretendendo troppo.
Qui allora si potrebbe fare un discorso su quelle che sono le obiezioni, le riserve che comunemente sono in circolazione contro la metafisica. La prima è quella del disinteresse, è un discorso che non interessa, quindi nessuno ci presta attenzione; il secondo è dell'insignificanza, i termini metafisici, cominciando da quello stesso di essere dicevano i vecchi positivisti, cioè i vecchi nuovi positivisti i vecchi neopositivisti i neopositivisti di qualche generazione fa, sono insignificanti e allora qui il metafisico risponde istituendo la semantizzazione del termine, cioè l'istituzione del significato, però il significato è un po' come i colori e i suoni che ci sono per coloro che li percepiscono, se uno non li percepisce, se uno è daltonico io non gli posso spiegare cos'è quel colore che lui non vede, e così è il significato.
Allora non vi sarebbe nemmeno colpevolezza se uno è daltonico.
Certamente, qui nessuno viene colpevolizzato.
Quindi ci sarebbe una differenziazione antropologica.
Anche qui, anche in altri campi, compaiono le cosiddette differenze antropologiche.
Si possono dare tanti altri chiarimenti di questa potenza del teorema di creazione. Voci non identificate.
Il teorema di creazione è difficile, perché se fosse facile non si spiegherebbe come quasi nessuno lo capisce. Eh! Eh! Dicendo che il divenire è contraddittorio ho già detto Parmenide.
Rovighi: Implicitamente però (?)
Esplicitamente, sì certo, ma come si fa? Abbiamo già perso mezz'ora!
Rovighi: E' tua, diciamo, la fondazione della neoclassica e quindi dovresti dedurre il principio della creazione proprio dal principio di Parmenide.
Quando dico che il divenire è contraddittorio dico Parmenide, perché l'essere non può non essere.
Prof. Bontadini, potrebbe illustrarci brevemente il teorema di creazione, quello che lei chiama il teorema di creazione?
Sì, mi pare di avere già sufficientemente illustrato. Il teorema di creazione è quello che, sulla base del principio di Parmenide, il quale dice che l'essere non può non essere, toglie la contraddittorietà che inerisce al divenire che empiricamente, fenomenologicamte inerisce al divenire. Contraddittorietà che come ho detto, consiste nel presentarsi al non essere dell'essere. La concezione creazionistica sopprime queste contraddittorietà perché quel non essere dell'essere, quel vuoto di essere viene colmato dalla positività dell'atto creativo che contiene in sé almeno tanto di realtà quanto di realtà viene meno nel divenire. Chiaro poi che l'atto creativo essendo identico alla sostanza divina è infinita, è la non initudo realitatis, è l'ipsum est substistens è la perfectios nomnenon ma noi qui la consideriamo soltanto per quel tanto che è sufficiente a colmare il vuoto di essere che si trova nel negativo. Quel negativo che è nel divenire.
Lei è in grado di esprimere questo pensiero con una formula?
La formula serve solo ad aiutare la immaginazione è chiaro che qui incipit nomerare incipit errare, quindi non è attraverso questi strumenti che si arriva, la contrarietà è data, dicevamo non dal fatto che Socrate prima è vivo, poi è morto, questo gesso prima è qui poi non è qui, è data dal fatto che non è una certa posizione, che la vita di Socrate non è un positivo, non c'è che possiamo esprimerlo con il (-n) ; questa situazione di (-n) è la contraddizione perché il (-n) è il non essere di un certo essere. Già il concetto di non essere, già quindi nel logos (?) semantico perciò in questo significato di non essere, troviamo la carica esplosiva della contraddizione perché non essere significa negativo - positivo, già il concetto di non essere è un concetto sbalorditivo, cioè pazzesco, scandaloso positivo-negativo. Quando interviene la creazione cioè quella positività dell'atto creativo che noi commisuriamo
Quando interviene?
Quanto noi pensiamo il divenire come creato, quindi facciamo nel nostro pensiero intervenire la creazione, allora vediamo che [(-n) +(n)] = 0 dove 0 (zero), come nelle cinque formule famose di Einstein che terminano tutte con = 0, esprime la razionalizzazione della situazione. La razionalizzazione dello status rerum.
Quindi sarebbe la espunzione della contraddizione.
La situazione 0 (zero) non è (-n), (-n) è stato cancellato dall'intervento del (+n) che dà luogo a zero. Questo è uno dei tanti modi con cui si può rendere chiara, si può aiutare alla comprensione dell'argomento. Ma è chiaro che non è questa la via regia per arrivare in porto.
Ecco la successiva domanda. Nella realtà, diciamo così, nel divenire perché è questa la qualifica che lei dà della realtà, vi sono cose che il filosofo vede e che il volgo non vede?
Sì, per esempio il volgo probabilmente non ha mai posto mente a questa contraddittorietà del divenire. Questa contraddittorietà del divenire noi l'abbiamo colta dietro soprattutto l'insegnamento di Parmenide e poi i filosofi che sono venuti dietro a Parmenide si sono arrovellati su questo tema.
Quindi sarebbe nascosto dentro la realtà così come, poniamo, la legge dell'isocronismo del pendolo è nascosta nel pendolo.
Sì, indubbiamente. Si tratta di porre attenzione, richiamare l'attenzione. Questo richiamo di attenzione non esige, nell'interlocutore, nell'ascoltatore, una grande cultura, non esige una grande preparazione specifica, esige soltanto l'uso dell'intelletto, perché è una cosa elementare, veramente originaria.
Le faccio una successiva domanda. In che cosa si distingue la sua ricerca da quella di S. Tommaso, se vuole che specifichi. Specifico meglio il mio pensiero: San Tommaso accede al teorema di creazione attraverso la causalità, lei come giudica questa causalità, se ha trovato una via più breve, una via regia, una via incontrovertibile?
Se lei dice con fondamento che San Tommaso e i tomisti dietro lui ed il pensiero medioevale anche prima di San Tommaso accedono alla creazione, quindi al creatore attraverso la via della causalità, io dirò allora che vi accede non attraverso la via della causalità però in base alla stessa logica per cui si fonda il principio di causalità. Vediamo di chiarire questo concetto.
Io non arrivo a Dio come al chiodo cui è attaccata la catena dei vari anelli delle cose che succedono, le cosiddette cause seconde, ciò che adesso è stato causato da qualche cosa che precedeva, poi questo da quest'altro, all'origine stabilita, l'ultimo anello poi si attacca ad un chiodo che sarebbe Dio, qui non ci sono chiodi, però la causalità viene introdotta per una ragione ontologica, per esempio, facciamo un esempio, si possono fare tanti esempi, se io metto in un cassetto un biglietto da 100.000 lire, Kant avrebbe detto 100 talleri, io ho la convinzione che se vado a riaprire il cassetto lo ritrovo. Se non lo ritrovo non ammetto che sia venuto meno per sé stesso: o lo ha rubato un ladro o l'ha mangiato un topo o l'ha corroso un acido, qualche cosa deve essere intervenuto per spiegare, per dare ragione di questo venir meno. Perché il puro empirista potrebbe dire: non c'è più, basta.
Hume che critica il principio di causalità. Hume, non come uomo, ma come professore si ferma davanti a questo. Poi accanto alla critica dell'esperienza in base alla quale diceva che noi abbiamo un fondamento empirico del principio di causalità, del rapporto di causalità, e in questo aveva perfettamente ragione, perché il fondamento è ontologico, Hume però diceva che la natura umana è convinta che la causalità c'e e che se il biglietto non c'e più è che qualcuno l'ha portato via.
Quindi per l'empirista sarebbe andato nel nulla?
Per l'empirista sarebbe andato nel nulla e non se ne parla più, non c'è più, basta. Invece noi diciamo che se non c'è più c'è stata qualcosa, che chiamiamo una causa, che l'ha soppresso: è il ladro che l'ha rubato, il topo che l'ha mangiato e così via.
Ora perché noi diciamo questo? Perché non ammettiamo che l'essere, qualunque essere, possa andare nel nulla per sé stesso. Se viene annullato ci deve essere un qualche cosa di positivo che l'annulla, questa logica che fonda il principio di causalità, è la fondazione ontologica del principio di causalità, è la stessa che porta all'affermazione della causa per eccellenza che è il creatore. E' lo stesso.
Allora in questo caso lei riscatterebbe il principio di contraddittorietà come formulato, poniamo, da San Tommaso, oppure, se ho capito bene, lei farebbe questo tipo di ingrazione, innesterebbe la sua ricerca.
Sì, sì.
Intervista di P. Bergamaschi al Prof. Bontadini