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    Predefinito Intervista di Padre Aldo Bergamaschi al Prof Gustavo Bontadini

    Intervista di P. Aldo Bergamaschi al Prof. Gustavo Bontadini


    Milano, 5-4-81





    [Scheda filosofica su Gustavo Bontadini ]





    Padre Bergamaschi : Prof. Bontadini, se un oscuro, ma assiduo frequentatore del peripatos avesse avuto l'opportunità di intervistare Aristotele, con una macchina da presa, che cosa, secondo Lei, avrebbe dovuto chiedergli?

    Prof. Gustavo Bontadini : Certo poteva chiedergli tante cose, presentargli tutto l'elenco delle cose che non sono accettabili nei suoi scritti, perché ce ne sono, ma se fossi stato io quell'oscuro frequentatore gli avrei chiesto, immagino di trovarlo ormai vecchio e quindi solo, come sono tutti i vecchi, abbandonato. Ti sembra di essere stato veramente giusto, equo con il tuo maestro Platone? Non senti qualche rimorso di coscienza per averlo trattato come l'hai trattato? Intendo teoreticamente, vero!

    D'accordo! Sicchè lei si sarebbe rivolto all'Aristotele teoretico e non certamente all'Aristotele empirico? Bene, io mi trovo nei medesimi panni, cioè io sono questo oscuro intervistatore, però un assiduo frequentatore del peripatos, diciamo milanese. Le domando anzitutto: quali sono i traguardi che lei ha programmato e quali sono invece stati esplorati con successo?

    I traguardi erano immensi perché quando si è giovani non si pongono limiti alle proprie possibilità, poi quelli che invece ho realizzato sono pochissimi, anzi si sono andati riducendo sempre di più, si riducono a quelli che io e i miei amici che amiamo volentieri il discorso breve, cioè l'essenzializzazione della metafisica dell'essere, questo è un traguardo che ritengo ormai di avere sufficientemente conseguito: questa rigorizzazione del discorso metafisico.

    D'accordo. Ma prima di arrivare alla discussione su questa rigorizzazione io le vorrei chiedere i risultati delle sue ricerche sullo gnoseologismo moderno, può dirci in breve in che cosa consistono queste ricerche?

    Sì, la discussione del gnoseologismo moderno è stata una delle tappe che ho dovuto percorrere per arrivare a quel risultato che ho detto prima, cioè per difendere e per fondare la metafisica dovevo fare i conti col pensiero moderno che è essenzialmente antimetafisico. E allora l'analisi di struttura dei grandi autori moderni mi hanno, per dire sinteticamente in brevi parole, perché il discorso qui sarebbe lunghissimo, mi hanno messo innanzi questa situazione: la filosofia moderna è un ciclo di pensiero che fa dimenticare se stessa perché la sua conclusione toglie il suo punto di partenza. Il suo punto di partenza è quello che io chiamo e molto altri amici sono d'accoro nel chiamare il presupposto realistico, il presupposto naturalistico. L'ammissione dogmatica della dualità di essere di pensiero.
    La tematica e l'indagine dei filosofi moderni si svolge soprattutto su questo presupposto traendone le conseguenze, la principale conseguenza è la concezione fenomenistica, cioè se l'essere è altro dal pensiero, ciò che noi conosciamo non è l'essere, ma il fenomeno, ciò che appare. L'ulteriore passo della filosofia moderna può essere rappresentato, parlo sempre brevemente, sinteticamente e in forma molto approssimativa, è l'idealismo, il quale trae questa ulteriore conseguenza: se noi abbiamo a che fare soltanto col fenomeno non possiamo neanche affermare l'esistenza del noumeno e quindi il pensiero si chiude in qualche maniera in se stesso.

    Scusi se l'interrompo, ma se uno studente liceale le dovesse chiederle una lezione breve sull'errore di Cartesio, lei come strutturerebbe questa lezione breve?

    Ecco, quello di Cartesio non è un errore, anzi è la presa di coscienza di una situazione speculativa in cui si trovava la sua epoca e questa situazione speculativa Cartesio la eredita dalla tarda scolastica, dal tardo Medio Evo, come ha messo molto bene in luce Jeusson (?) specialmente nel commento, nell'amplissimo commento che lui ha fatto "Etude de la metode" (?) di Cartesio per mostrare quanti elementi medioevali della tarda scolastica sono ancora presenti nella problematica cartesiana.
    Non è un errore, anzi il suo merito è quello di avere tratto le conseguenze di questo che essendo un presupposto, in metafisica, in buona dottrina, ogni presupposto deve essere eliminato, deve essere scartato. Cartesio ha messo in rilievo quali sono le conseguenze di questo presupposto.
    Ha indicato per quale via noi eravamo costretti a camminare sotto la spinta di questo presupposto, il quale poi ha portato alle varie tappe della filosofia moderna. In questo senso, Cartesio è stato veramente il padre della filosofia moderna.

    Lei lo ritiene padre, ma c'è al fondo un errore o non c'è? Ad esempio lo smarrimento dell'essere?

    C'è lo smarrimento dell'essere e questo è un errore, ma non è di Cartesio è del suo tempo, è di tutti.
    E' un'eredità, è anche una convinzione partecipe del senso comune, che l'essere è qualcosa d'altro dal conoscere, è il cosiddetto realismo al quale la filosofia moderna ha sostituito dapprima il fenomenismo e poi addirittura l'idealismo.
    Il significato speculativo dell'idealismo con cui in qualche maniera si concluse il ciclo moderno, è il semplice toglimento del presupposto naturalistico formalmente in quanto presupposto.

    Abbia la cortesia di spiegarci in cosa consiste questo presupposto realistico.

    E' semplicissimo. E' l'assunto che l'essere è altro dal pensiero.
    Io potrei dare, dato che siamo nel secondo centenario della Critica della ragion pura che fu pubblicata nel 1781.
    Se io a uno studente di liceo o anche a un contadino che incontrassi per la strada gli chiedessi qualcosa di quest'opera direi ecco: il più breve riassunto che si può fare di quest'opera, che consta di molte centinaia di pagine, è questo: dato che l'essere è altro dal pensiero, la scienza dell'essere, cioè la metafisica, non è possibile. Questo è il riassunto più sintetico della Critica della ragion pura.
    Poi c'è tutta questa opera meravigliosa che è una delle opere più geniali che siano mai state scritte nella storia della filosofia, si intrecciano una quantità di motivi che riguardano la possibilità della matematica come scienza, della fisica come scienza, poi l'esame di quelli che egli riteneva fossero gli argomenti portati a sostegno della metafisica tradizionale, e allora qui naturalmente vien fatto subito derivare da parte mia, o da parte nostra, che la metafisica che Kant confutava non era assolutamente la metafisica classica, è strutturalmente diversa da quella che noi presentiamo come metafisica classica.

    Le darò poi opportunità di riparlare dell'argomento, cioè dei rapporti fra Kant e metafisica. Adesso però vorrei che a conclusione di questo discorso, diciamo così sul dualismo gnoseologistico come lei lo chiama, ci risolvesse alcune perplessità dei cultori di scienze filmiche, per esempio i cultori del linguaggio filmico sembrano accettare il dualismo gnoseologistico dicono: altro è la realtà, altro la sua immagine, l'evento non si identifica con la sua rappresentazione, quindi l'immagine di questo tavolo non è il tavolo. Io le domando: filmicamente parlando siamo o non siamo sull'essere?

    Io sono ignorante in sede di filmologia, però direi che, dal punto di vista metafisico, è ente cioè non nulla sia l'immagine come la realtà che il linguaggio filmico contrappone all'immagine stessa. Sono tutte e due realtà e vengono sia l'una che l'altra intenzionate dalla conoscenza. Il termine intenzionato è importante perché l'intenzionalità è proprio la figura che in qualche maniera conclude tutta la vicenda del pensiero moderno ed apre la possibilità di entrare in una nuova epoca.

    Tento di fare una verifica ulteriore in questo suo discorso: Noi conosciamo direttamente il tavolo o l'immagine del tavolo?

    Senz'altro il tavolo.

    Conosciamo il tavolo anche pur sapendo che il discorso filmico mi presenta una immagine del tavolo.

    Sì, perché il dualismo filmico è un dualismo che è interno al non dualismo della conoscenza umana. E' un dualismo interno, cioè da interno del globo della conoscenza umana, si elevano questi due ordini: l'ordine filmico e l'ordine di quella realtà che viene contrapposta a quello filmico.

    Vediamo se riesco ad identificare il senso di questo discorso.
    La realtà quindi trascende la rappresentazione empirica ma non trascende il pensiero. Dunque comunque il pensiero sarebbe sulla realtà.

    Certamente, in ogni caso non si trascende il pensiero e questa è la verità.

    Abbia la cortesia di spiegare il significato di questa frase.

    L'intrascendibilità del pensiero è la formula un po' banalizzata dell'idealismo: fuori dal pensiero non si salta. Perché se io dico che c'è una realtà che trascende il pensiero, perciò stesso l'ho già pensata e quindi ricondotta dentro al pensiero. Ma anche stando nella semplice orbita dell'unità dell'esperienza o se vogliamo dire dell'esperienza della percezione.

    Scusi se l'interrompo professore: Questa unità dell'esperienza è un'espressione che lei ha introdotto...

    50 anni fa.

    Adesso, direi che ha l'onere di spiegarla per chi la udisse per la prima volta.

    L'unità dell'esperienza è la totalità delle cose che sono presenti e che vengono affermate in base al loro esser presenti.

    Per esempio?

    Tutto ciò che io constato, tutto ciò di cui posso dire consta, tutti quei giudizi che possono essere giustificati e fondati con questa formula: perché consta.
    Ad esempio: questo tavolo è di colore amaranto, perché mi consta che sia di colore amaranto, perché è sperimentalmente dato ed empiricamente dato che è tale, in questo momento è giorno perché constato che in questo momento è giorno, perché consta.

    Quindi ciò che conta sarebbe l'unità dell'esperienza.

    L'unità dell'esperienza è l'unità dei dati, dei dati come tali.

    Quindi successivamente noi che cosa verremmo a scoprire, che il dato è là e io sono.

    No, io sono un dato, l'unità dell'esperienza include l'io, che anche l'io come (?) nella forma dell'autocoscienza è dato, l'io è un dato. E' un dato che l'esperienza è polare cioè che ha la polarità del soggetto e dell'oggetto.
    Io che ho presente questo tavolo, questo tavolo che è presente a me.

    Quindi ci sarebbe la compresenza nell'attualità.

    Qui naturalmente il discorso sulla struttura dell'unità dell'esperienza può proseguire per almeno 4-5 lezioni dell'Università.

    Vediamo di esemplificarlo (?) in rapporto sempre anche al discorso cartesiano.

    Dall'unità dell'esperienza è presente che le cose sono presenti a me, questo è un rilievo fondamentale in ordine alla determinazione della struttura dell'unità dell'esperienza.
    L'unità dell'esperienza è la totalità delle cose presenti, ma c'è una caratteristica di queste cose presenti; anzitutto è quello di essere presenti poi determinatamente di essere presenti a, in questo caso all'io, a me, a un soggetto.

    Le faccio una domanda che implica un riferimento storico: a suo parere S. Tommaso era immerso, chiamiamolo nell'errore gnoseologistico, cioè nel dualismo gnoseologistico, oppure aveva guadagnato questa unità dell'esperienza come punto di partenza?

    Eh! Che avesse guadagnato questa unità dell'esperienza come punto di partenza forse no, perché io non avrei avuto niente da fare se l'avesse già guadagnato lui, però se S. Tommaso fosse o non fosse libero dal presupposto gnoseologistico, questo è un argomento di esegesi storica molto interessante.
    S. Tommaso era un aristotelico e un grande commentatore di Aristotele, ora Aristotele era certamente immune dal presupposto dualistico, perché è un suo teorema fondamentale che il conoscente in atto e il conosciuto in atto si identificano e questo è già l'eliminazione del presupposto dualistico.
    Aristotele poi aggiunge che il conoscente in potenza ed il conosciuto in potenza si distinguono, ma di questo essere distinti in potenza egli dà una fondazione, in quanto da una fondazione riscatta il presupposto come presupposto. La fondazione (?) è metafisica.

    Probabilmente ci siamo avvicinati all'area della verità totale, ma io sto pensando a un ipotetico liceista.

    Forse se lei mi farà altre domande che riguardino questi problemi fondamentali potremo dare una risposta esauriente anche per il liceista di primo anno.

    Torniamo brevemente al discorso dell'inganno dei sensi.l'errore dei sensi.

    Il senso non inganna, dice S. Tommaso.

    Quando io vedo il legno spezzato nell'acqua, in che cosa consisterebbe l'errore?

    L'errore consisterebbe nel ritenere che se io andassi a toccare il legno lo troverei spezzato mentre invece non lo trovo spezzato.
    Questo è un giudizio. Invece (?) la vista non mi inganna perché è empiricamente dato che il legno si presenta come spezzato. E' un giudizio ulteriore.
    Quando io vedo per esempio una torre - anche questo è un esempio famoso - una torre in lontananza che mi sembra circolare mentre è quadrata, allora c'è un'illusione.
    L'illusione in che cosa consiste? La torre appare circolare e nella misura in cui appare essa è tale, nella misura in cui appare essa è tale.
    Così se usciamo anche da questo paragone della torre e pensiamo al sogno. Io sogno che accadono certe cose; nella misura in cui quelle cose sono sognate sono reali; quindi non c'è nessun inganno.
    L'inganno consisterebbe nel giudizio il quale volesse riferire ad una realtà che è ulteriore al sogno, quella che si rivela nel sogno.

    Credo che questi esempi siano abbastanza chiari. Dalla gnoseologia passiamo alla metafisica. Anzitutto, ritorniamo al discorso lasciato sospeso su Kant, le domando: è veramente impossibile la metafisica dopo Kant, oppure lei ritiene che sia invece possibile?

    Dopo 50 anni di meditazione ritengo che sia possibile perché (?) la metafisica si costruisce.
    Quando io ero studente c'era lo slogan del dopo Kant, certe cose dopo Kant non si possono più sostenere e quindi dopo Kant non si poteva più sostenere che fosse possibile la metafisica.
    Ma un'attenta considerazione di quella metafisica che Kant criticava, ci rende subito edotti che la struttura di questa metafisica ha poco a che vedere con la struttura di quella che noi chiamiamo la metafisica classica e che è quella che noi intendiamo difendere e sostenere.
    La metafisica classica è fuori dalla portata della critica kantiana e naturalmente il discorso per mostrare questo dovrebbe essere abbastanza complesso ma è un discorso che oramai in qualche maniera abbiamo messo al sicuro; ritengo di averlo messo al sicuro.

    In che cosa consisterebbe l'errore kantiano, come mai Kant è arrivato a dire che non è possibile la metafisica?

    Anche qui potrei dire di Kant quello stesso che ho detto di Cartesio. Non si tratta di un errore suo, è
    un errore un po' del genere umano e un po' dei suoi tempi.
    Ho proposto prima un brevissimo riassunto della Critica della Ragion Pura ed allora lì si vede quello che è il limite del kantismo ammesso che l'essere sia originariamente altro dal conoscere, non è possibile una scienza dell'essere, quindi il presupposto è dualistico, perché tutta l'analisi di struttura (?) del pensiero kantiano, e specialmente della Critica della Ragion Pura, mette in luce come questo presupposto diventa in lui cespite di teoremi, dei teoremi di cui consta la Critica della Ragion Pura.
    La Critica della Ragion Pura non sarebbe intelligibile all'infuori della sua prospettazione dentro questo presupposto dualistico. La dualità di fenomeno e di noumeno.

    Quindi il vero errore sarebbe...?

    Il vero errore questo che però non è da attribuire a Kant, è da attribuire al tempo; era già di Cartesio, era già della filosofia moderna.
    Oh, un kantiamo potrebbe venire qui e difendermi Kant, per esempio potrebbe difenderlo con questa considerazione: che Kant intende di rispettare il presupposto dualistico, cioè intenderebbe di mostrarci che la dualità dell'essere e del conoscere non è semplicemente e dogmaticamente presupposta, ma è fondata.
    In quale maniera? In questa maniera è fondata: se non si ammette questa dualità noi cadiamo in antinomie; in contraddizioni.
    Kant riscatterebbe il presupposto naturalistico, dualistico, mostrando che se non lo si ammette, il pensiero umano cadrebbe in antinomie.
    Queste antinomie sono sviluppate nella dialettica Trascendentale, cioè la parte della Ragion Pura che è destinata esplicitamente alla critica della metafisica, specialmente a quel settore che tratta della cosmologia, lì abbiamo le antinomie cosmologiche, se non si ammette la dualità dei fenomeni del noumeno si cade in queste antinomie.
    Allora per sostenere la mia tesi che la speculazione kantiana è condizionata dal presupposto, dovrei far vedere che anche l'istituzione di queste antinomie dipendono dalla presupposizione naturalistica, ma qui il discorso sarebbe lungo.

    Lei ha accentrato la sua attenzione sul divenire, credo che buona parte della sua vita sia dedicata a questa ricerca, potrei fare questo paragone, così come un chimico accentra la sua attenzione sul petrolio fino a ricavarne la lana, lei avrebbe ricavato il principio di creazione dall'analisi del divenire, potrebbe spiegare come?

    Questo è tutto. Questo è il famoso discorso breve metafisico. Non ancora famoso, ma certamente diventerà famoso.

    Abbia la cortesia di sintetizzare.

    Il divenire si presenta come una realtà contraddittoria.In che cosa consiste la contraddittorietà del divenire? Ho detto si presenta come realtà contraddittoria però devo subito avvertire che io so già in partenza che il divenire non è contraddittorio perché è reale. Siccome il reale non è contraddittorio e il divenire è reale il divenire non può essere contraddittorio, però si presenta contraddittorio. Allora devo uscire da questa empasse, cercando di integrare la visione del reale in guisa tale che il divenire non risulti contraddittorio.

    Potrebbe spiegare che cosa vuol dire contraddittorio?

    E' una domanda necessaria, io sorvolavo, volavo verso la conclusione. La contraddittorietà del divenire consiste in ciò che nel divenire è presente ad ogni istante ad ogni battuta sua il non essere di un certo essere.

    Questo divenire di cui lei parla potrebbe esemplificarlo?

    Sì, divenire significa movimento, significa alterazione. Aristotele ci portava avanti quattro forme di divenire, divenire sostanziale, ____

    Prendiamo quello più semplice.

    Il divenire locale, lo spostamento di questa matita, l'essere qui di questa matita viene meno, cioè l'essere qui di questa matita che non è un nulla (l'esser qui non è un nulla), vien meno, cioè và nel nulla. Cioè c'è il momento in cui qualche cosa è nulla.
    Qualche non nulla è nulla, un positivo è negativo, un essere è non essere, questa è la contraddittorietà del divenire. Cioè bisogna por mente che la contraddittorietà del divenire non consiste nel fatto che prima Socrate è vivo e poi è morto, che prima la matita è qui e poi non è più qui, perché allora il tempo dirime la contraddizione, non è nello stesso tempo che Socrate è vivo e che Socrate è morto. Perciò Aristotele diceva che è impossibile che una cosa possa essere e non essere nello stesso tempo, ma può essere e non essere in tempi diversi e allora sotto questo modo di riguardarlo il divenire non risulta contraddittorio, perché il divenire mi presenta l'essere di un qualche cosa in un momento e il suo non essere in qualche altro momento.
    Ma la verità è che se io dico che c'è il non essere di questa cosa in un altro momento riconosco che in quel momento l'essere, un certo essere, una certa (?) non è. L'essere è non essere questa è la contraddittorietà del divenire.

    Perfetto. Adesso io le chiedo di esemplificare; questi concetti lei li riempia con un opportuno esempio.

    L'esempio può essere quello della matita che ho in mano e che si muove.

    Vediamo, vediamo di applicare le formule di cui lei ha parlato al dato (?)

    Come dicevo la matita è in questa posizione, si muove, l'esser lì è venuto meno, l'esser dove era e dove io ricordo che era, perché la percezione del divenire implica quello che Husserl chiama la ritensione, che noi potremmo chiamare con Agostino semplicemente la memoria, implica la memoria, perché la mia esperienza, non è puntuale, non è che io semplicemente veda questo positivo, quest'altro positivoquest'altro, come sosteneva la mia contraddittrice Rivetti-Barbò, che l'esperienza mi dà sempre un positivo. Mi da sempre un positivo, ma insieme mi dà anche un negativo, infatti bastava analizzare il suo discorso e veniva fuori una frase come questa: quando non c'è A, c'è B per dire che c'è sempre un positivo; allora quando c'è B non c'è A, ha detto tutto, mi ha detto un quando non c'è A, cioè quando un certo essere è non essere.
    Questa frase bisogna ripeterla solennemente: quando l'essere non è catastrofico!

    Abbia la cortesia di continuare nell'esempio. Concluda il discorso.

    Il discorso costruttivo?

    Il discorso costruttivo, esatto.

    Questo divenire presenta questa contraddizione, la contraddizione è qualche cosa che deve essere rimosso perché la realtà non può essere contraddittoria.

    E' uno scandalo del pensiero.

    Qui interviene il cosiddetto èlenkòs, cioè la difesa del principio di Contraddizione, difendiamo confutativamente (vuol dire confutando l'avversario) il negatore del principio di contraddizione, fondiamo (?) affermiamo che la realtà non può essere contraddittoria. Il divenire non può essere contraddittorio, ma si presenta contraddittorio quindi noi dobbiamo, siamo spinti, ad (?) diceva Aristotele, a cercare di integrare la rappresentazione del reale, in guisa tale che il divenire non risulti più contraddittorio.
    Questa integrazione del reale, della visione del reale è la metafisica ed è precisamente quello che io chiamo il teorema di creazione.
    Questo è tutto, questo è anche il punto più arduo, un po' difficile perché . esigerebbe per renderlo accessibile, di stare insieme parecchie ore.
    Quando la realtà diveniente è vista come creata allora si fa manifesta la sua non contraddittorietà.
    Per quale motivo?
    Abbiamo detto che la contraddittorietà del divenire è costituita da quel non essere dell'essere.
    Nella visione creazionistica, qui interviene un nuovo fattore che è l'atto creatore il quale è identico alla sostanza divina, questo atto è un positivo e in quanto atto creatore continua in sé tanta perfezione quanto è quella che nel divenire va annullata e perciò l'atto creatore colma, usiamo questa metafora, ma il linguaggio umano è sempre metaforico e comunque le metafore servono appunto per farci intendere, questa positività dell'atto creativo colma quel vuoto di essere che c'è nel divenire, lo sana per così dire.
    Traduce, quindi il negativo in positivo, cioè quello che sullo specchio dell'esperienza è l'annullarsi e quindi andare nelle identità col nulla di una certa quantità di realtà, nel quadro metafisico, invece, è l'annullare come atto positivo, come atto di potenza annullante e cioè è un positivo. Quello che nel quadro empirico è un negativo nel quadro metafisico è un positivo. La negatività che costituisce il motivo della contraddizione è tolta, è soppressa, è colmata o come altrimenti si voglia dire per metafora.

    Mentre lei stava parlando, mi è venuto il dubbio che lei utilizzasse il principio di creazione senza averlo sufficientemente fondato; probabilmente non ho udito bene il passaggio, per togliere la contraddizione dobbiamo ipotizzare.

    Dobbiamo affermare, non ipotizzare.

    E l'affermazione di che genere è?

    E' incontrovertibile.

    Quindi non apparterrebbe all'antropos.

    Appartiene al logos. L'antropos può parteciparne o non parteciparne, infatti dei miei simili vede che solo l'1% condivide questo mio discorso, il 99% non lo capisce e questo è il 98% e poi c'è l'1% che dopo averlo capito dice: non lo condivido.

    L'essere pensante non può non ipotizzare.

    Nella misura in cui è pensante, ma siccome l'uomo in larga misura è non pensante.

    Può anche decidere di non pensare.

    Evidentemente qui sto tirando troppo l'acqua al mio mulino, sto pretendendo troppo.
    Qui allora si potrebbe fare un discorso su quelle che sono le obiezioni, le riserve che comunemente sono in circolazione contro la metafisica. La prima è quella del disinteresse, è un discorso che non interessa, quindi nessuno ci presta attenzione; il secondo è dell'insignificanza, i termini metafisici, cominciando da quello stesso di essere dicevano i vecchi positivisti, cioè i vecchi nuovi positivisti i vecchi neopositivisti i neopositivisti di qualche generazione fa, sono insignificanti e allora qui il metafisico risponde istituendo la semantizzazione del termine, cioè l'istituzione del significato, però il significato è un po' come i colori e i suoni che ci sono per coloro che li percepiscono, se uno non li percepisce, se uno è daltonico io non gli posso spiegare cos'è quel colore che lui non vede, e così è il significato.

    Allora non vi sarebbe nemmeno colpevolezza se uno è daltonico.

    Certamente, qui nessuno viene colpevolizzato.

    Quindi ci sarebbe una differenziazione antropologica.

    Anche qui, anche in altri campi, compaiono le cosiddette differenze antropologiche.

    Si possono dare tanti altri chiarimenti di questa potenza del teorema di creazione. Voci non identificate.

    Il teorema di creazione è difficile, perché se fosse facile non si spiegherebbe come quasi nessuno lo capisce. Eh! Eh! Dicendo che il divenire è contraddittorio ho già detto Parmenide.

    Rovighi: Implicitamente però (?)

    Esplicitamente, sì certo, ma come si fa? Abbiamo già perso mezz'ora!

    Rovighi: E' tua, diciamo, la fondazione della neoclassica e quindi dovresti dedurre il principio della creazione proprio dal principio di Parmenide.

    Quando dico che il divenire è contraddittorio dico Parmenide, perché l'essere non può non essere.

    Prof. Bontadini, potrebbe illustrarci brevemente il teorema di creazione, quello che lei chiama il teorema di creazione?

    Sì, mi pare di avere già sufficientemente illustrato. Il teorema di creazione è quello che, sulla base del principio di Parmenide, il quale dice che l'essere non può non essere, toglie la contraddittorietà che inerisce al divenire che empiricamente, fenomenologicamte inerisce al divenire. Contraddittorietà che come ho detto, consiste nel presentarsi al non essere dell'essere. La concezione creazionistica sopprime queste contraddittorietà perché quel non essere dell'essere, quel vuoto di essere viene colmato dalla positività dell'atto creativo che contiene in sé almeno tanto di realtà quanto di realtà viene meno nel divenire. Chiaro poi che l'atto creativo essendo identico alla sostanza divina è infinita, è la non initudo realitatis, è l'ipsum est substistens è la perfectios nomnenon ma noi qui la consideriamo soltanto per quel tanto che è sufficiente a colmare il vuoto di essere che si trova nel negativo. Quel negativo che è nel divenire.

    Lei è in grado di esprimere questo pensiero con una formula?

    La formula serve solo ad aiutare la immaginazione è chiaro che qui incipit nomerare incipit errare, quindi non è attraverso questi strumenti che si arriva, la contrarietà è data, dicevamo non dal fatto che Socrate prima è vivo, poi è morto, questo gesso prima è qui poi non è qui, è data dal fatto che non è una certa posizione, che la vita di Socrate non è un positivo, non c'è che possiamo esprimerlo con il (-n) ; questa situazione di (-n) è la contraddizione perché il (-n) è il non essere di un certo essere. Già il concetto di non essere, già quindi nel logos (?) semantico perciò in questo significato di non essere, troviamo la carica esplosiva della contraddizione perché non essere significa negativo - positivo, già il concetto di non essere è un concetto sbalorditivo, cioè pazzesco, scandaloso positivo-negativo. Quando interviene la creazione cioè quella positività dell'atto creativo che noi commisuriamo

    Quando interviene?

    Quanto noi pensiamo il divenire come creato, quindi facciamo nel nostro pensiero intervenire la creazione, allora vediamo che [(-n) +(n)] = 0 dove 0 (zero), come nelle cinque formule famose di Einstein che terminano tutte con = 0, esprime la razionalizzazione della situazione. La razionalizzazione dello status rerum.

    Quindi sarebbe la espunzione della contraddizione.

    La situazione 0 (zero) non è (-n), (-n) è stato cancellato dall'intervento del (+n) che dà luogo a zero. Questo è uno dei tanti modi con cui si può rendere chiara, si può aiutare alla comprensione dell'argomento. Ma è chiaro che non è questa la via regia per arrivare in porto.

    Ecco la successiva domanda. Nella realtà, diciamo così, nel divenire perché è questa la qualifica che lei dà della realtà, vi sono cose che il filosofo vede e che il volgo non vede?

    Sì, per esempio il volgo probabilmente non ha mai posto mente a questa contraddittorietà del divenire. Questa contraddittorietà del divenire noi l'abbiamo colta dietro soprattutto l'insegnamento di Parmenide e poi i filosofi che sono venuti dietro a Parmenide si sono arrovellati su questo tema.

    Quindi sarebbe nascosto dentro la realtà così come, poniamo, la legge dell'isocronismo del pendolo è nascosta nel pendolo.

    Sì, indubbiamente. Si tratta di porre attenzione, richiamare l'attenzione. Questo richiamo di attenzione non esige, nell'interlocutore, nell'ascoltatore, una grande cultura, non esige una grande preparazione specifica, esige soltanto l'uso dell'intelletto, perché è una cosa elementare, veramente originaria.

    Le faccio una successiva domanda. In che cosa si distingue la sua ricerca da quella di S. Tommaso, se vuole che specifichi. Specifico meglio il mio pensiero: San Tommaso accede al teorema di creazione attraverso la causalità, lei come giudica questa causalità, se ha trovato una via più breve, una via regia, una via incontrovertibile?

    Se lei dice con fondamento che San Tommaso e i tomisti dietro lui ed il pensiero medioevale anche prima di San Tommaso accedono alla creazione, quindi al creatore attraverso la via della causalità, io dirò allora che vi accede non attraverso la via della causalità però in base alla stessa logica per cui si fonda il principio di causalità. Vediamo di chiarire questo concetto.
    Io non arrivo a Dio come al chiodo cui è attaccata la catena dei vari anelli delle cose che succedono, le cosiddette cause seconde, ciò che adesso è stato causato da qualche cosa che precedeva, poi questo da quest'altro, all'origine stabilita, l'ultimo anello poi si attacca ad un chiodo che sarebbe Dio, qui non ci sono chiodi, però la causalità viene introdotta per una ragione ontologica, per esempio, facciamo un esempio, si possono fare tanti esempi, se io metto in un cassetto un biglietto da 100.000 lire, Kant avrebbe detto 100 talleri, io ho la convinzione che se vado a riaprire il cassetto lo ritrovo. Se non lo ritrovo non ammetto che sia venuto meno per sé stesso: o lo ha rubato un ladro o l'ha mangiato un topo o l'ha corroso un acido, qualche cosa deve essere intervenuto per spiegare, per dare ragione di questo venir meno. Perché il puro empirista potrebbe dire: non c'è più, basta.
    Hume che critica il principio di causalità. Hume, non come uomo, ma come professore si ferma davanti a questo. Poi accanto alla critica dell'esperienza in base alla quale diceva che noi abbiamo un fondamento empirico del principio di causalità, del rapporto di causalità, e in questo aveva perfettamente ragione, perché il fondamento è ontologico, Hume però diceva che la natura umana è convinta che la causalità c'e e che se il biglietto non c'e più è che qualcuno l'ha portato via.

    Quindi per l'empirista sarebbe andato nel nulla?

    Per l'empirista sarebbe andato nel nulla e non se ne parla più, non c'è più, basta. Invece noi diciamo che se non c'è più c'è stata qualcosa, che chiamiamo una causa, che l'ha soppresso: è il ladro che l'ha rubato, il topo che l'ha mangiato e così via.
    Ora perché noi diciamo questo? Perché non ammettiamo che l'essere, qualunque essere, possa andare nel nulla per sé stesso. Se viene annullato ci deve essere un qualche cosa di positivo che l'annulla, questa logica che fonda il principio di causalità, è la fondazione ontologica del principio di causalità, è la stessa che porta all'affermazione della causa per eccellenza che è il creatore. E' lo stesso.

    Allora in questo caso lei riscatterebbe il principio di contraddittorietà come formulato, poniamo, da San Tommaso, oppure, se ho capito bene, lei farebbe questo tipo di ingrazione, innesterebbe la sua ricerca.

    Sì, sì.


    Intervista di P. Bergamaschi al Prof. Bontadini
    Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce.

  2. #2
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    Predefinito Rif: Intervista di Padre Aldo Bergamaschi al Prof Gustavo Bontadini

    Potrebbe dirci in breve in che cosa si distingue la sua ricerca?

    La mia ricerca pretenderebbe di essere, si parla si licet parva componete magnis, perché S.Tommaso era un colosso, nella rigorizzazione, poniamo, della prima via di S.Tommaso che si fonda sul divenire. Prima manifester (?) viae, (?) è dal movimento, quindi dal divenire, ma in che cosa mi distinguo? Nel senso che non sono soddisfatto della giustificazione della fondazione della dimostrazione che S.Tommaso dà del principio omne cum movetur(?). Questo principio omne (?) può essere tradotto così: tutto ciò che è mosso è mosso da altri. Allora se tradotto così la cosa è pacifica perché l'essere mosso implica già che ci sia qualcuno che lo muove ma bisognerebbe dimostrare quest'altro principio: tutto ciò che diviene è mosso, allora se tutto ciò che diviene è mosso, allora siccome tutto ciò che è mosso è mosso da altri, ciò che diviene è mosso da altri, infatti i tomisti traducono l'espressione tomistica omne (?): ciò che diviene è mosso da altri, ma se tradotto così, nel testo di S.Tommaso noi non lo troviamo dimostrato, e qui bisognerebbe fare l'analisi del testo che ci richiederebbe dieci minuti o più, nel testo di S. Tommaso si trova provato che ciò che è mosso, è mosso da altri, ma non si trova provato che ciò che diviene è mosso.
    Questa lacuna verrebbe colmata dall'intervento del principio di Parmenide, perché il contributo del prof. Bontadini è minimo, è infinitesimale, è solo una piccola e ultima pedatina data per mandare in sé questo discorso metafisico.

    La ringrazio di questo. Adesso le faccio una domanda sulla distinzione tra metafisica e filosofia, nel dare la definizione dell'una e dell'altra lei distingue

    Certo, questa distinzione si è posta soprattutto nei nostri tempi quando assistiamo ad una filosofia che si annuncia senza metafisica.
    Oggi siamo in clima di antimetafisica, quindi la metafisica contemporanea è pluribus (?) senza metafisica, il che vuol dire che si distingue la filosofia dalla metafisica.
    Allora questi semantémi sono andati un po' autenticandosi lungo la storia del linguaggio, lungo la storia del pensiero e quindi lungo la storia del linguaggio. Per ciò che riguarda la metafisica noi manteniamo ancora ferma la definizione aristotelica che è la considerazione dell'essere in quanto tale, quindi è l'epistéme, la scienza dell'essere come essere, questa è la metafisica.

    Vediamo di visualizzare che cosa vorrebbe dire qui essere, la scienza dell'essere in quanto tale.

    Questo presuppone la semantizzazione del termine essere, l'essere come equivalente è la realtà, è la considerazione dell'intero, considerazione dell'essere in quanto essere suppone una semantizzazione particolare dell'essere.
    La semantizzazione particolare dell'essere che noi diamo nel contesto di quel discorso che noi un momento fa abbiamo brevemente richiamato, è questo: che l'essere è il positivo, in contrapposto al negativo.

    Ma io mi sto mettendo nei panni o della vecchietta o dello studente liceale. Quando lei parla di essere, che cosa intende con questa parola? Per esempio, questo bicchiere è un essere?

    Sì, ma cosa vuol dire che questo bicchiere è un essere? Perché i positivisti mi dicono: se io analizzo questo bicchiere trovo un colore, una forma, un peso, un sapore e così via.. dopo di che quando ho messo da parte tutte queste determinazioni non c'è più niente di Hume, che corrisponda alla determinazione essere.
    Secondo il nostro discorso, che cosa corrisponde alla determinazione essere? Corrisponde questo significato, che questo bicchiere non è stato distrutto e cioè il significato dell'essere come positivo si istituisce in contrapposizione al negativo che compare nel divenire.
    Siccome la realtà diviene ecco che allora il divenire è il cespite semantico dei termini essere e non essere, perché il divenire consta di essere e di non essere. Il divenire è il grande cespite semantico.

    Quindi questo essere sarebbe ciò che resta indipendentemente dalle caratteristiche empiriche.

    No, no, è il suo contrapporsi al negativo.

    Spieghi un momento.

    Cioè l'emergere dal significato essere si ha nell'esperienza del negativo, così come l'emergere del significato presenza, io dico che questo oggetto è presente, ma cosa significa presenza? Questo oggetto è bianco ecc. e poi cosa significa che è presente?
    Significa che non è assente, il significato di presenza emerge allorché questa scompare. Allora la contrapposizione dei due status, quello che chiamo di presenza e quello che chiamo di assenza, fa emergere i due significati. Cioè sono significati che emergono per contrapposizione, così essere emerge in contrapposizione al non, al negativo

    E la metafisica sarebbe la scienza di questo essere?

    La scienza di questo essere, intendendo però che diversamente da quello che diceva il grande Parmenide, l'essere non è, perché Parmenide ci diceva che l'essere è e il non essere non è,viceversa l'essere è e quindi la realtà contiene anche il non essere, che è la cosa scandalosa, quello scandalo che noi dobbiamo togliere. Questa è la scienza, l'epistème.
    La filosofia invece è, come oggi risulta attraverso la gestazione di questa semantema nel pensiero soprattutto più recente, è la scelta che l'uomo fa di se stesso, del significato della propria vita, della finalità del suo agire, è quella che San Tommaso chiamerebbe con una frase stupenda la deliberatio de se ipso (?) che ogni uomo deve fare quando giunge ad una certa età che è praticamente l'età pubere intorno ai 16-17-18 anni, lì l'uomo è chiamato a deliberare de se ipso, a decidere che cosa vuole essere, questa è la sua filosofia.
    Oggi il termine filosofia si usa parecchio anche nel linguaggio giornalistico, si parla, per esempio, della filosofia di una azienda, cioè che cosa si propone di essere questa azienda, se vuole proporsi dei fallimenti più o meno dolosi, se vuole invece proporsi un certo lucro e così via.
    Allora questa è la filosofia. La filosofia è la scelta che l'uomo fa di sé stesso e l'interpretazione che l'uomo da di se stesso in base alla sua stessa volontà di essere.

    Successiva pennellata al discorso. Allora le filosofie sarebbero molteplici?

    Sì, ogni uomo è una filosofia.

    Invece la metafisica è unica.

    La metafisica vorrebbe essere unica, vuole essere unica, si presenta come unica. E' unica di diritto.

    Allora sarebbe improprio parlare di una molteplicità di metafisiche?

    No, storicamente c'è una molteplicità di metafisiche, di fatto c'è. Si tratta di vedere qual è il grado di validità che ciascuna di esse ha.
    Per esempio la metafisica di Spinoza è una metafisica imponente, meravigliosa.
    Per quale motivo noi non accettiamo la metafisica di Spinoza? Per un motivo che, al limite, è semplicissimo, perché Spinoza, come panteista, è costretto a far inerire a Dio il negativo, il che è assurdo. E' costretto a far inerire l'assoluto il negativo mentre il negativo può inerire solo al creato, quindi la metafisica deve essere necessariamente creazionistica.

    Allora in questo caso, nella sua visione, queste metafisiche sarebbero delle filosofie?

    No, sarebbero delle metafisiche, sono delle proposte teoretiche; poi noi sappiamo che nell'etica di Spinoza c'è anche una sua filosofia che è proprio l'etica, che è la quinta parte, dove parla della libertà umana.

    Una successiva domanda. Qualcuno ha contrapposto la rivoluzione alla metafisica, le sembra corretto?

    Qui il discorso sarebbe molto complesso, chiama in causa soprattutto il marxismo, perché secondo il marxismo il criterio della verità è la rivoluzione. E' la rivoluzione quella che ci deve prospettare la realtà.
    La metafisica essendo qualcosa di teoreticistico mentre secondo il marxismo la verità si dovrà palesare quando l'uomo avrà smesso di mettersi soltanto a contemplare la realtà, ma si sarà messo a trasformarla in maniera da farne uscire l'autentica sua essenza, la metafisica presentandosi una visione definitiva e teoretica, teoretistica anzi, della realtà sarebbe fuori della verità.
    Ma la verità è questa, che la metafisica non è affatto qualcosa che si opponga, che limiti l'iniziativa umana, non è affatto una verità assoluta che pretende di avere concluso tutto e messo a posto tutto in maniera che non ci sia altro che da assumere un atteggiamento contemplativo, anzi, la metafisica , proprio perché prospetta il rapporto tra la creatura e il creatore e ci dice che la creatura è destinata a ritornare al creatore, secondo lo schema neoplatonico che poi viene mutato anche nel cristianesimo dell' (?), cioè della processione della realtà da Dio e del ritorno della realtà a Dio, la metafisica sollecita questo ritorno a Dio e quindi sollecita a quella razionalizzazione della nostra realtà naturale e sociale che corrisponde all'ideale di ritornare al regno di Dio ed alla sua giustizia, di accedere al regno di Dio ed alla sua giustizia, quindi di introdurre quella giustizia sociale che era anche nella mente di Marx e del marxismo.

    Adesso le faccio una domanda piuttosto delicata. Il discorso scientifico è falsificabile. Credo che sia un'asserzione di Popper

    Certo, è ormai ricevuta da tutti

    E quello metafisico è falsificabile?

    No. Il discorso metafisico non è falsificabile per struttura perché è incontrovertibile. Mentre il sapere scientifico non è incontrovertibile come ha riconosciuto l'epistemiologia contemporanea, Popper compreso, ma è ipotetico - deduttivo e quindi l'ipotesi può essere confermata da 100 esperimenti favorevoli all'ipotesi, che rinvergano con l'ipotesi, ma può essere distrutto da un solo esperimento che è contrario all'ipotesi.
    Nel caso della metafisica questo non è possibile perché la metafisica non attende nessuna conferma dall'esperienza.
    La metafisica non è che si costituisca in sede pura, prendendo il termine puro nel significato kantiano di ciò che è assolutamente indipendente ed estraneo all'esperienza, la metafisica, come l'abbiamo presentata noi, è mediazione dell'esperienza, è metafisica dell'esperienza, cioè è interpretazione, alla luce dell'esigenza dell'essere, della struttura, dell'esperienza che è sostanzialmente divenienza.
    Questo discorso approda all'incontrovertibile e quindi non può essere falsificato.


    (intervista interrotta per motivi tecnici)

    C'era un oratore greco che ad un certo momento si è sentito applaudire freneticamente, allora si rivolge al vicino e gli dice: " Ho detto forse qualche bestialità?"

    Ho visto che hanno avuto un convegno a Saint Vincent su Kant...

    Sì, anzi, bisognerebbe che facciamo anche noi qualcosa su Kant, c'è il secondo centenario della Critica. Io ho detto a Bausolo (?) di fare qualcosa. Bausolo va addirittura a Messina a fare una conferenza su Kant, perché là commemorano Kant; ma dobbiamo fare qualche cosa anche noi.

    Aall'Isituto di Studi filosofici. E sì, lì a Saint Vincent hanno parlato poco della Critica alla Ragion Pura ed hanno parlato di più della ragion pratica, del giudizio ecc., perché ho visto qualche relazione giornalistica, e quando parlavano della Critica alla Ragion Pura parlavano soprattutto dell'estetica e dell'analitica, cioè della possibilità della matematica come scienza e della fisica come scienza, e nessuno parlava della critica della metafisica, che invece è proprio quella, la davano per scontato. Dopo Kant non si parla più di metafisica.
    No, un momento, negli gli scritti (?) Principiorum primiorum conditiones metaphisicae dove Kant è ad un passo dalla metafisica classica e dopo non la prende più in considerazione, la lascia cadere, non ne parla più, e nel '62 scrive l'unico argomento possibile (?) e di questo della Critica alla Ragion Pura non ne parla più. Gli argomenti sono: l'argomento ontologico; l'argomento (?) e l'argomento (?). L'unico argomento di cui ha parlato nel '62 non compare più e quello di cui aveva parlato nella principiorum primorum nova diocidiatio (?) che diceva quidquid contingentere existit non potest carere ratione antecedente e determinante e ne dà una prova che è proprio classica, è proprio parmenidea, non ne parla più, stranissimo.
    Qui bisognerebbe andare a rovistare coi filologi kantiani, nell'epistolario, come mai è successo questo, qui ci vuole uno Zanatta.
    La scienza non è che neghi la metafisica, è un'altra cosa. Però intendiamoci, la Critica della Ragion Pura anche quantitativamente dedica un quinto alla matematica ed alla fisica e gli altri quattro quinti alla critica della metafisica.
    La dialettica trascendentale è enormemente più lunga delle altre, anche quantitativamente. E poi Critica della Ragion Pura vuol dire critica della metafisica.

    Lei appunto diceva: questo discorso approda all'incontrovertibile, stavamo parlando della metafisica.

    In quanto la metafisica presume di approdare ad una conclusione incontrovertibile e infalsificabile per struttura; mentre il discorso scientifico per la sua struttura ipotetico - deduttiva è strutturalmente confutabile, falsificabile, ed ha significato solo in quanto parla di cose che siano falsificabili.

    Lei dice che il discorso metafisico è dimostrativo ma non persuasivo e poi credo che spieghi: l'antropos sporgerebbe oltre il logos, quindi l'antropos potrebbe anche affermare l'irrazionalità del reale, per esempio.

    Sì. Può anche affermare l'irrazionalità del reale. Può anche semplicemente dire che non è persuaso della mia razionalizzazione del reale ed aspettarne magari un'altra.
    Comunque io vedo che gli antropoi che io incontro, nove su dieci, non arrivano ad essere pienamente persuasi a condividere il mio discorso. Uno su dieci lo condivide; il secondo dice: è dimostrativo ma non mi persuade; poi altri dicono che non solo non è persuasivo ma neanche dimostrativo, poi, naturalmente c'è il decimo che dice: non capisco niente .

    Lei quale atteggiamento assume di fronte a queste reazioni?

    Io cerco di spiegarmi più che sia possibile, chiedo l'aiuto dei miei scolari, dei miei amici, del prof. Zanatta, per esempio, dellaprof.ssa Carilli che non condivide assolutamente questo discorso, e soprattutto di Padre Bergamaschi, chiedo aiuto, cioè di esporre con altri termini, con altre esemplificazioni, con certe metafore.
    La metafora deve venire in soccorso.
    Jacopson, che è il più grande linguista dei nostri tempi, dice che tutto il linguaggio umano è metaforico, quindi anche se usiamo la metafora qui, non è male, non inquina il discorso, ma io sono poco poeta quindi trovo poco l'aiuto della metafora. Aspetto l'aiuto di amici poeti, anche poeti che rincalzino il mio discorso.

    Circa i rapporti col personalismo sarebbe la persona in funzione della ragione o viceversa, perché i personalisti privilegiano, credo, la persona per accedere all'essere, per accedere a Dio; lei invece dice che si può accedere a Dio sia partendo dal filo d'erba che dalla persona.

    Certamente. Qui io ho uno slogan che è quello dell'escludenza dell'escludenza.
    Abbiamo discusso, noi neoclassici, noi metafisici più o meno tomisti, più o meno ultratomisti, abbiamo discusso a lungo specialmente in sede di convegni di Gallarate, del centro di filosofia di Gallarate, abbiamo discusso a lungo, tomisti o metafisici coi personalisti che chiamavamo anche fideisti e la conclusione del discorso è stata questa: che avevamo più ragione noi di loro, perché noi non eravamo escludenti delle loro tesi. Noi ammettevamo ed ammettiamo che si possa giungere a Dio per tante altre vie che non siano quelle della metafisica, però voi, dicevamo, non dovete escludere la positività del discorso metafisico.
    Sotto allo strano atteggiamento dei fideisti, di difendere tutte le motivazioni della loro fede, ma nello stesso tempo di combattere la pretesa metafisica di dimostrare l'esistenza di Dio, di dimostrare la creazione, c'era un presupposto, c'era un atteggiamento tipicamente Kantiano. Anche qui Kant era vivo sotto gli stessi spiritualisti cristiani, la formula kantiana che sta sulla soglia della Critica alla Ragion Pura quando Kant dice: Ho dovuto togliere di mezzo la scienza per far posto alla fede perché secondo Kant la metafisica, lungi dal portare a Dio, anzi, corrompeva l'immagine di Dio ed il motivo generale o di fondo per cui Kant riteneva che la metafisica corrompesse l'immagine di Dio era questo: che il sapere umano è sempre condizionato dalla sensibilità e che quindi se noi pretendiamo di rappresentarci col pensiero il divino, lo corrompiamo riconducendolo a delle dimensioni sensibili che non possono competere la divinità come tale.
    Questo è lo schema dell'esigenza Kantiana. Schema a cui la nostra tradizione filosofica aveva già risposto, soprattutto con la dottrina dell'analogia che S.Tommaso ha sviluppato in modo superbo.

    Adesso le chiedo un giudizio sull'idealismo.

    E perché? L'idealismo è morto, lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti.

    Lei lo considera definitivamente morto?

    Avevo detto che la filosofia moderna è un ciclo di pensiero che si conclude togliendo se stessa e facendosi dimenticare. La conclusione della filosofia moderna è precisamente l'idealismo.
    Oggi infatti l'idealismo non è più neanche preso in considerazione; per lo più viene considerato come una filosofia evasiva, come una filosofia astrattamente teoreticistica, lontana dai problemi reali, dai problemi concreti.

    Altro è snobbarlo o deriderlo ed altro è ricavarne la lezione.

    Si capisce. La lezione è stata ricavata. Il torto della filosofia contemporanea è di non tener conto di quel positivo che c'era nell'idealismo, precisamente in quanto conclusione della filosofia del conoscere, cioè della filosofia moderna.
    L'idealismo era la conclusione, il significato elementare dell'idealismo, detto in poche parole perché qui non ne possiamo dirne molte, era l'eliminazione del presupposto naturalistico in quanto presupposto.
    Quel famoso presupposto che ha condizionato tutto lo svolgimento del pensiero moderno.

    Prof. Bontadini, il Dio che lei ammette essere all'origine di tutte le cose e che scopre al termine della sua ricerca razionale, le sembra che sia quello di cui parla la teologia positiva o rivelata?

    Indubbiamente. E' lo stesso, solo che la teologia positiva mi rivela di Dio degli elementi, degli aspetti, mi rivela di Dio qualche cosa che la metafisica non mi dice.
    A quella stessa maniera che io conosco una persona per i suoi dati anagrafici ma non conosco tante altre sue qualità, tanti altri avvenimenti della sua vita. Questi altri avvenimenti della sua vita possono essermi rivelati da una maggiore conoscenza di queste persone.
    La rivelazione mi dice intorno a Dio cose che la metafisica non mi dice, però me lo dice di quello stesso Dio, perché?
    Perché per esempio la rivelazione cristiana ci dice che Cristo è uomo e Dio, e questa proposizione non avrebbe significato se io non sapessi che cosa vuol dire Dio. E questo me lo dice la ragione.
    Questo è presupposto al messaggio cristiano. Se il messaggio cristiano mi dice che Cristo è Dio, questo messaggio deve essere rivolto ad un uomo che comprende che cosa vuol dire Dio. E la metafisica aiuta a questa comprensione di che cosa voglia dire Dio.
    Non che la metafisica si sostituisca al messaggio cristiano, la metafisica congruisce col messaggio cristiano.
    I due messaggi sono circuminsesSì, si intrecciano, si potenziano a vicenda, perché la vera rivelazione, la vera manifestazione di Dio noi l'abbiamo in Cristo, ma quello che la metafisica dice razionalmente non è contrario, non è divergente da ciò che è contenuto nel Vangelo.
    Il simbolo della Chiesa cattolica come terzo attributo di Dio ci dice: Dio Padre, questo l'ha rivelato Cristo, onnipotente e creatore, vero? Questo è il terzo aggettivo.

    Lei il terzo teorema di creazione l'ha scoperto...

    Razionalmente. E questo è anche nello stesso tempo contenuto di fede. Non è assurdo che la medesima cosa possa essere creduta e dimostrata.

    La fede va colta filosoficamente per essere vera fede allora?

    Sì, ma è sempre colta filosoficamente, prendendo filosofia nel senso che abbiamo detto, perché ogni uomo è una filosofia e ogni uomo riceve la fede dentro il suo essere e di qui il suo essere filosofo.

    Quindi la fede della vecchietta e la fede di S.Bonaventura sarebbero sulla medesima linea.

    Sono e non sono sulla medesima linea. Gioberti diceva che ogni cattolico ha il suo cattolicesimo. Quando gli dissero: ma guarda che il Papa non è di questo parere, egli rispose: per l'appunto.
    La verità si trova paradigmaticamente nella visione leibinitziana (?) della monadologia.
    Ogni monade è assolutamente distinta dalle altre, cioè non ci sono due monadi uguali e ogni monade è centro di rappresentazione dell'universo.
    Ogni uomo rappresenta l'universo a suo modo e ogni cattolico riceve il cattolicesimo a suo modo. Questo non significa che non vuol togliere ai molteplici cattolici la caratteristica di essere cattolico e dire ce n'è uno solo che è il vero cattolico, sono tutti cattolici, ma tutti cattolici a modo suo.
    Mi sono espresso in modo un po' involuto, un po' contorto ma questo, voglio dire, non è contrario alla verità cattolica che ognuno di noi vive, anzi, deve vivere, perché nel Cristus totus ognuno di noi rappresenta l'apporto di un piccolo contributo che è suo e non è di altri. Ognuno di noi è chiamato dalla Provvidenza a dare quello specifico contributo che deve essere mio e non del mio amico. Il mio amico deve dare il suo.

    Io però sto pensando a quello che diceva prima sulla metafisica, quella resta una.

    Certo, la metafisica resta una, ma poi questa metafisica ricevuta dal singolo pensante entra in rapporto col contesto coscienziale e sapienziale e culturale di questo individuo e quindi assume delle risonanze esistenziali diverse.

    Se la sua ricerca fosse sfociata nella negazione di Dio ed anche del teorema di creazione, naturalmente, lei l'avrebbe accettata (questa ricerca) pur essendo credente?

    Avrei accettato questa conclusione? Questo scopo?
    Se io fossi arrivato razionalmente a dimostrare che Dio non esiste avrei indubbiamente accettato questa conclusione, perché non posso ammettere una visione irrazionale, contraddittoria della realtà.
    L'ipotesi che lei mi ha prospettato significa questo: se io fossi arrivato a dimostrare che è contraddittorio affermare l'esistenza di Dio? C'è qualcuno che pretende di essere arrivato a questo.
    L'ateismo è la concezione della realtà che non accede all'affermazione di Dio. L'antiteismo è quello che pretende di arrivare alla dimostrazione della non esistenza di Dio.
    Se così mi fosse accaduto io avrei accettato la conclusione, ma io so che questa ipotesi non si verifica precisamente perché sono incontrovertibilmente persuaso del contrario.

    E' più importante la sua fedeltà alla sua vocazione di filosofo o la fedeltà ai gruppi cui lei appartiene, per esempio: l'essere cattolico; decano dell'Università Cattolica; parrocchiano della tal parrocchia; membro della società filosofica e così via

    Ora qui bisogna vedere cosa significa il termine importante.
    Perché la fedeltà alla filosofia è una fedeltà a cui nessuno può venire meno perché nessuno può non essere filosofo e quindi la fedeltà alla filosofia significa fedeltà a se stesso e non possiamo non essere fedeli a noi stessi perché non possiamo smettere la nostra identità.
    Nell'orbita di questa fedeltà a me stesso, che è la fedeltà alla filosofia, allora posso poi valutare la fedeltà ai vari gruppi a cui io aderisco, cioè alla Chiesa cattolica, alla nazione italiana, alla città di Milano, alla Società filosofica, e allora qui c'è una gerarchia.
    Naturalmente quella che più è importante è l'adesione alla Chiesa cattolica perché lì ne va della salvezza.

    Se una istituzione sentisse in lei il suo filosofo, lei sarebbe soddisfatto?

    Sì, sarei soddisfattissimo, perché io sono "smisuratamente ambizioso".
    Quindi vorrei avere come miei seguaci tutti gli uomini, tutta l'umanità, o meglio la parte migliore, la pars potior, la parte peggiore invece contro di me.

    E se qualcuno le chiedesse una summa per avere un quadro teoretico di sostegno alla propria ideologia, lei la scriverebbe questa summa?

    No, io scriverei un breviario, non una summa.

    Più o meno come sarebbe concepito?

    Il discorso breve cui abbiamo cercato di accennare in questa seduta, un 50 - 60 pagine, dove sarebbe un po' più sviluppato però la prospettiva storica, la gestazione storica, la genesi storica di questo discorso breve, di questa metafisica, a partire dai greci, a partire soprattutto da Parmenide e vedendo come gradualmente, pedentetim (?) avrebbe detto S.Tommaso, passo passo si sia arrivati a questo esito.

    Prof. Bontadini, ognuno di noi ha un maestro che riconosce come tale, se fosse trovato, per ipotesi, un documento inedito in cui Aristotele ripudiasse proprio quei punti per i quali lei lo ha riconosciuto come maestro, quale sarebbe la sua reazione?

    Ma, mi sembra che Lei mi ha fatto due domande o due osservazioni; la prima diceva che ognuno di noi ha un maestro

    Sì, ognuno di noi riconosce un maestro

    Aristotele è maestro di coloro che sanno e quindi è anche mio maestro, nell'ipotesi che io sappia.

    Però se fosse scoperto un documento inedito in cui Aristotele ritratta proprio quei punti che per lei erano fondanti

    E direi: "povero Aristotele", ma metterei in dubbio l'autenticità del documento.

    Ah, metterebbe in dubbio la ...

    Intendiamoci, nella fase della vecchiaia, quando si dice che l'uomo rimbambisce, uno può anche ritrattare le cose migliori che uno ha detto da giovane o da maturo. Quindi non è da escludere che Aristotele ad un certo momento si dimenticasse delle verità che aveva scoperto.

    Quindi le verità che lei ha acquisito da Aristotele sono indipendenti da lui

    Sì, lei mi continua a citare Aristotele, ma io più che Aristoteleo sono parmenideo.

    Le ho citato Aristotele perché è più noto.

    I miei grandi autori sono Parmenide in primo luogo, poi Platone in secondo luogo, poi venendo avanti S.Agostino, poi venendo giù anche S.Tommaso, si capisce, anche Leibniz che ha dato grandi contributi a questo, e poi lo stesso Gioberti, il nostro Gioberti, va tenuto in considerazione più di quanto non abbia fatto la Chiesa cattolica in questo ultimo secolo.
    La Chiesa cattolica ha sottratto alla condanna alcuni testi di Rosmini ma secondo me dovrebbe sottrarre anche alcuni testi di Gioberti, non tutto Gioberti forse, forse il gesuita moderno non potrebbe essere sottratto alla condanna, ma la protologia potrebbe essere sottratta; lì veniva accusato di ontologismo ma non è ontologismo, nel senso che portava al panteismo.

    Senta, ancora due domande.

    Due sole?

    Si. Horkaimer (?) mi pare che abbia detto nella nostalgia del totalmente altro: certamente possiamo riconoscere la nostra finitezza senza nulla sapere dell'infinito. Questa asserzione è d'accordo con la sua analisi del divenire?

    No. Perché noi comprendiamo razionalmente la nostra finitezza solo in rapporto alla affermazione dell'infinito, cioè del creatore.

    Se un'arca di Noè dovesse ancora salvare una sola delle sue opere, quale lei imbarcherebbe?

    Questa che ho qui, sono 20 pagine, è intitolata Per una teoria del fondamento.

    Potrebbe riassumerla in poche battute?

    Sono 53 pagine, ma si potrebbero ridurre anche a 20. L'ho già riassunta oggi come oggi. Domani spero di scrivere, di far in tempo ancora a scrivere 20 pagine migliori.

    Pensando ai suoi scritti, avrebbe alcune retractationes da fare?

    Sostanzialmente no. Ci sono dentro vari spropositi, ma anche quegli spropositi stavano bene al loro posto.

    Prof. Bontadini, la ringrazio.

    Ringrazio lei.


    Intervista di P. Bergamaschi al Prof. Bontadini
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  3. #3
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    Predefinito Rif: Intervista di Padre Aldo Bergamaschi al Prof Gustavo Bontadini

    Citazione Originariamente Scritto da Platone Visualizza Messaggio
    Si. Horkaimer (?) mi pare che abbia detto nella nostalgia del totalmente altro:
    Ma il trascrittore non ha mai sentito parlare di Horkheimer?

 

 

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