«[…] L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite, l’uso della libertà che tende a fare di un qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!»




La chiosa del discorso iniziale del funzionario di Pubblica Sicurezza del noto film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è spesso elevata a simbolo stesso della protervia, reazionaria e antidemocratica, propria degli apparati dello Stato e in particolare delle forze dell’ordine. Data per scontata questa venatura dell’Arma dei Carabinieri, bastione monarchico per eccellenza anche in epoca repubblicana, rimaneva da esporre quella della Pubblica Sicurezza, all’epoca della produzione del lungometraggio ancora divisa – la legge 121/81 era ancora molto in là da venire – tra funzionari e dirigenti civili e corpo di truppa sottoposto alla disciplina militare e inquadrato da ufficiali. Il periodo di pubblicazione del film è particolarmente significativo: pochi mesi prima non solo era avvenuta la strage di Piazza Fontana, con il denso strascico di perplessità per l’operato delle Forze dell’Ordine, ma soprattutto era trascorsa da poco tempo la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, prontamente elevato a martire della violenza repressiva dello Stato che solo pochi anni dopo il magistrato Romano Canosa definirà «tardo-borghese».
L’ultima frase, in particolare, è ancora vista come una bestemmia, e come paradosso rispetto alla repubblica, che si vorrebbe democratica, alla democrazia stessa e in generale rispetto al progresso.
Ora, se si accetta che il simbolo (e il nume da tutelare) sia la democrazia, ed è un assunto di partenza come un altro, si deve riconoscere che quella democratica è una delle forme di governo, e se è una forma di governo allora inerisce a uno Stato. Poiché lo Stato è l’ordinamento giuridico attualmente più forte, ne consegue che la democrazia inerisce al concetto di ordinamento giuridico.
Anche le teorie funzionaliste, che pure presuppongono l’estinzione “naturale” dello Stato sovrano, si basano sul concetto di permanenza di un efficace ordine giuridico, rispettoso dei cosiddetti “diritti umani”, ma egualmente capace di assicurare un’efficace convivenza e mediazione degli interessi, per quanto in sede tecnica e tecnocratica e non politica.
La stessa definizione di «ordinamento giuridico» presuppone un’effettività media, diffusa e stabile nel tempo del suo diritto, e il fatto che questo diritto sia supportato da un adeguato ed efficace potere sanzionatorio. Potere sanzionatorio che, con evidenza, non si può esaurire nel mero accertamento della violazione del diritto e nella determinazione della eventuale pena ad essa conseguente, ma che deve per sua natura includere l’effettivo impedimento materiale, sia repressivo che preventivo, della violazione del diritto, e l’effettiva applicazione dell’eventuale sentenza, che può variare dalla pena di morte alla semplice ammenda al mutare degli ordinamenti e delle violazioni del diritto.
Rispetto all’ordinamento giuridico in quanto tale, lo Stato si distingue per le caratteristiche di Popolo e Territorio, ma soprattutto per la caratteristica della Sovranità, che costituisce il fondamento delle competenze attribuite ai vari organi “costituzionali”. La Sovranità non è altro che l’effettivo esercizio legittimo ed esclusivo della forza, politica o violenta che sia, nell’ambito di detto territorio e nei confronti di detta popolazione. Questo monopolio dei poteri d’imperio è per sua natura distinto dai funzionari che materialmente lo esercitano, come notava la dottrina giuridica tedesca già del XVI secolo. Con la distinzione tra potere di imperio, facente capo allo Stato nel suo insieme, e i singoli funzionari che lo esercitano, si viene a delineare il tratto essenziale che caratterizza ogni corpo armato che eserciti la forza legittima all’interno di uno Stato, e cioè la sua derivazione e, contemporaneamente, partecipazione allo Stato stesso.
Per quanto attiene gli apparati più o meno armati incaricati del complesso dei compiti attualmente identificati come “di polizia”, la loro esistenza è giustificata in quanto sono sanzionati da una determinazione – di vario tipo, a seconda dell’ordinamento che viene in considerazione – del titolare dell’uso legittimo della forza, e cioè dello Stato stesso. In ogni forma ed epoca dello Stato, l’attività di polizia è sì diretta a salvaguardare il diritto, o quanto meno a individuare i responsabili della sua violazione, ma perché il diritto è l’espressione vivente della forza dello Stato. La protezione dei consociati è un’attività essenziale nella misura in cui tale protezione serve allo Stato. O se non dello Stato, sicuramente della società e della comunità. Rovesciando il tradizionale brocardo “ibi ius ibi societas”, senza diritto non vi può essere convivenza, e quindi né società né comunità.
E già la sola caratteristica del “cane a guardia dello Stato” potrebbe legittimare l’affermazione del personaggio cinematografico secondo cui «Repressione è civiltà», in quanto, almeno per l’orizzonte politico concretamente esistente, nessuna forma complessa di convivenza e sostanzialmente “civile” è sfuggita all’organizzazione di tipo se non statuale, almeno parastatuale. Poiché però in uno Stato (o in una comunità) connotato non dall’estraneità della stragrande maggioranza dei consociati rispetto al potere, ma viceversa da un ideale di partecipazione, più o meno democratica, più o meno rappresentativa, la salvaguardia dello Stato si traduce in modo meno discrezionale ed opzionale e più automatico nella salvaguardia di coloro che oggi sono identificati non più solo come cittadini-soggetti (in inglese il termine è efficacemente identico al concetto di suddito) ma anche come cittadini protagonisti della vita politica e sociale, in una parola civile, dello Stato-comunità.




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