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Discussione: Benvenuti al sud

  1. #1
    Blut und Boden
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    Benvenuti al sud

    Il principe azzurro, «u’ zeit», si chiama Ruggero. Arriva in Vespa, con il casco incastrato al braccio e la marmitta crepitante. Puntuale, è davanti alla maglieria abusiva di Santa Maria all’una del pomeriggio, l’ora della pausa pranzo. Lei, Sterpeta, d’istinto corre ad abbracciarlo, poi s’intimidisce. Le guance si fanno rosa come il camice, s’imbarazza quando lui vuole baciarla: teme lo sguardo del padrone. Che a Barletta, città di disfide, cuore e passione, è sempre un amico di famiglia, un benefattore, uno zio vero o presunto. Mai uno speculatore. Pure Salvio Cinquepalmi lo appellavano «zio». Tutti i giorni partiva alle 7 del mattino con una macchina furgonata per fare il giro delle case. Raccoglieva le donne per la sua fabbrica di via Muro Spirito Santo e i ringraziamenti dei loro parenti: «Che ‘a Madonn’ v’accumpagn’» gridavano dai balconi di Settefrati, Patalini, e anche di Canne e Montaltino, le frazioni più lontane. Ma il 3 ottobre persino la Vergine s’è dovuta arrendere di fronte agli uomini. E ai loro peccati.
    Quando il palazzo «si scfla’isc», crolla dal lato di via Roma, resta intatta, misteriosa e misericordiosa, soltanto l’immagine della Madonna con lo sguardo fisso sulle macerie. Zio Salvio, il padrone del maglificio, è vittima e carnefice degli errori suoi e degli altri indagati, presenti e futuri: l’inchiesta per ora è concentrata sui tecnici, ma la politica non è immune. Intanto però Maria, la sua ragazzina di 14 anni, è morta insieme a Pina, Matilde, Giovanna, Antonella. Nessuna di loro superava i 37 anni d’età. Tutte erano cresciute alla scuola della dignità, talvolta eccessiva, che racconta meglio di tanta antropologia il Mezzogiorno d’Italia. E il suo badare alla forma più che alla sostanza.
    A Barletta una donna delle pulizie costa «a nero» 8 euro l’ora, una badante poco più. Ragazze e signore che lavorano ai telai ne guadagnano 3,95, meno della metà. Come si spiega? «Da noi resiste la nobiltà operaia» risponde Rino Daloisio, giornalista che è dentro le viscere di Barletta. «La fabbrica fa sentire le famiglie più degne. Mentre quella di domestica viene considerata un’attività dequalificante». Ruggero conferma a modo suo: «Sterpeta a fare le pulizie? Mandaci a tua sorella».
    Il Meridione, insomma, la pensa sempre in un certo modo: per ragioni d’onore, un guadagno si può e si deve rifiutare. E certo «non sta bene» che una donna italiana vada a rassettare la casa di un’altra. Gli uomini non vogliono, e fa sentenza. Nulla importa che le domestiche straniere siano benestanti e soddisfatte. Oltre che insensibili alle chiacchiere.
    D’altronde pure la giunta comunale di Barletta, seppur «transitoria» (il copyright è del sindaco Nicola Maffei), manco un’assessore donna ha. Sembra costruita apposta per confermare il preconcetto del maschio meridionale dominante. Ma questo è niente, la rappresentazione più plastica del peso dei patriarchi si manifesta al calar della luce. Per la precisione, a 100 metri dal municipio e 20 dal crollo.
    Altro che articolo 8 e contratto Fiat per Pomigliano: in piazza Aldo Moro, che qui continuano a nominare piazza Roma, c’è l’altra Italia, quella in cui il mercato del lavoro è già avanti a ogni legge Biagi. Decine di uomini trattano in autonomia le condizioni del giorno dopo, rigorosamente in nero. Le tariffe (orecchiate) sono le seguenti: i braccianti agricoli stanno intorno ai 4 euro l’ora, i semplici manovali dai 5 ai 6 euro, il mastro di cantiere da 9 a 10. Gli aiutanti di barbieri, meccanici, elettricisti, idraulici godono (si fa per dire) di un forfettario sui 100 euro a settimana. Mance escluse, però.
    Parallele corrono poi le negoziazioni per conto di mogli, figlie e fidanzate per telai e orti. A Barletta e dintorni la disoccupazione femminile ufficiale supera il 50 per cento del totale, ma centinaia di donne lavorano stabilmente non solo nelle maglierie ma pure nell’ortofrutta. Come e più degli uomini: è una cosa che si vede. Fisicamente.
    L’aspetto più surreale della faccenda è proprio l’agorà delle trattative. Sulla piazza principale, quella dei funerali e dell’indignazione, ruotano le sedi di partiti, sindacati e patronati. Ovvero: la classe dirigente che inneggia alle regole ma poi tollera gli abusivi, i loro telai e gli odori aspri delle colle industriali. Due ore dopo i funerali, nei «sottani», le fabbrichette della centralissima via della Cattedrale, erano già in piena attività le donne sedotte da Gabriel Garko e Raoul Bova. E dai loro calendari «svergognati».
    Meno male che ogni tanto interviene la Guardia di finanza. In tre anni le fiamme gialle hanno chiuso a Barletta 45 laboratori. Un segnale, almeno. Più forte ancora è risultato quello datato 16 gennaio 2010, la condanna di 19 persone per un giro di mazzette: ispettori del lavoro, commercialisti, consulenti, responsabili di Caf. E l’immancabile politico, Salvatore Tupputi, arrestato mentre era consigliere provinciale e presidente di un centro di assistenza fiscale, l’Eurocaf. I magistrati gli danno un anno e lui lascia la struttura ai figli che fanno politica. Per fare spazio ai giovani, annuncia. Quando si dice la meritocrazia…
    Il fatto è che la crisi, non questa crisi, ma quella partita all’inizio degli anni Novanta, ha dilatato le truffe. Per esempio, ormai a Barletta e in (quasi) tutto il Mezzogiorno esiste una vera e propria fabbrica delle pratiche fasulle per previdenza e lavoro. Per dire: il 13 giugno due donne sono state beccate a percepire pensioni di invalidità falsificate. Ma forse fa ancora più impressione il «lavoro grigio», ormai il 40 per cento del totale. Riguarda gli operai che vengono assunti soltanto per il tempo utile a ottenere l’indennità di disoccupazione. Dopodiché il soggetto resta in azienda per lavorare in nero. E ringrazia pure, dimentico di avere truffato lo Stato e peggiorato i propri diritti.
    Per fortuna c’è chi mantiene ancora un certo distacco da queste cose. In posti come il Quo vadis in piazza della Disfida e il Marlene di via Nazareth, Pino, Marilena e i giovani borghesi emergenti disegnano il loro futuro. Va da sé: escludendo il tessile. La parola d’ordine è cambiamento. Francesca Dargenio e Pierangelo Piccolo, i ragazzi di Zero assoluto, la lettissima free-press locale, scommettono per esempio sul rilancio del porto e sul turismo. Volano alto, parlano di muse, miti e poesia, ma poi picchiano sul comune «che fa le delibere antimovida e fredda l’entusiasmo di tutti noi».
    Loro, sempre caldi, sognano invece il ritorno al tempo in cui la città fu opulenta, quando decine di imprenditori del tessile e del calzaturiero fecero i soldi veri. Di più: emuli inconsapevoli di Adriano Olivetti, costruirono fabbriche e capannoni panoramici pur di regalare ai loro operai la vista mare. Addirittura nel 1985 si parlò in Europa del «caso Barletta», la città venuta dal nulla che deteneva il quinto reddito pro capite d’Italia. Fiscalmente dichiarato.
    Arrivarono le grandi griffe, si girava in Porsche e Ferrari, esplose il mercato immobiliare. «Poi però la favola venne interrotta dalla prima globalizzazione » racconta Luigi Pannarale, barlettano, prof di sociologia all’Università di Bari. «Le prime massicce importazioni da Taiwan e dalla Corea devastarono il tessuto connettivo delle piccole e medie imprese locali». Era insomma impossibile competere con il mercato del lavoro asiatico.
    Qualcuno si inserì nell’import-export, scampando il fallimento. La gran parte, viceversa, tentò disperatamente di portare avanti l’impresa invece di riconvertirla o chiuderla. Fu questione sentimentale, da un lato, e (ovviamente) di forma, dall’altro: la città è piccola e la gente mormora, l’onta sarebbe stata troppo grande. È finita con le Mercedes usate e la scoperta delle biciclette, i capi firmati comprati a rate, il trasloco nelle case pasoliniane della 167. Peggio è andata ai capannoni: abbandonati, arrugginiti, invenduti finanche alle aste giudiziarie.
    Eppure nella prima metà degli anni Novanta gli acquirenti ci sarebbero pure stati. I cinesi volevano fare come a Prato e San Giuseppe Vesuviano: prendersi mezzi, luoghi e know-how. Ma sono stati respinti con perdite. Per intenderci, a Barletta, città di circa 95 mila abitanti, di cinese non c’è nemmeno un ristorante. Pure il riso alla cantonese hanno boicottato.
    «Forse perché ci eravamo già cinesizzati noi» commenta amaro Pannarale «quel sistema produttivo stava già contagiando la nostra terra». Certo è che ormai si è cristallizzato come fatto «normale», tanto da indurre il sindaco Maffei a un primo sussulto di sincerità poi smentito («Non criminalizzo il lavoro nero»), però condiviso da molti in città. Ecco, aggiunge Pannarale, «la straordinarietà dell’occupazione irregolare è diventata quotidianità. Quella che è un’emergenza viene accolta come fatalità e l’arrangiarsi tra mille piccole illegalità la normalità».
    Per stare ai fatti: in tre giorni, soltanto due esercenti hanno prodotto spontaneamente al cronista lo straccio di uno scontrino. Uno per onestà, l’altro perché la proprietaria, secondo il racconto del barista, «è uscita. E quando non c’è lei lo devo fare per forza per la contabilità, sennò pensa che mi rubo i soldi suoi».
    Carlo Puca
    Martedì 18 Ottobre 2011

    Benvenuti al sud - Italia - Panorama.it
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #2
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    Predefinito Rif: Benvenuti al sud

    Il problema è che i meridionali accusano noi di quello che fanno loro.



  3. #3
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    Predefinito Rif: Benvenuti al sud

    Citazione Originariamente Scritto da Quayag Visualizza Messaggio
    Il problema è che i meridionali accusano noi di quello che fanno loro.
    Ed il padano medio si ferma pure a riflettere se sia vero o no :sofico: !
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

 

 

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