Ma mezzo Pdl è in rivolta
Il ministro Matteoli, Meloni e Sacconi contro il governo Monti, con loro decine di parlamentari azzurri. Lupi e Alemanno aprono al nuovo esecutivo.
Ufficialmente la nomina di Mario Monti a senatore a vita, propedeutica alla sua designazione alla guida di un governo tecnico, genera solo sorrisi. Come quello di Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del Popolo della libertà: «È un bel segnale». In realtà l’accelerazione sul nome dell’ex commissario europeo spacca il Pdl, dove ex An e ministri come Maurizio Sacconi e Giorgia Meloni sparano bordate all’indirizzo del possibile esecutivo guidato dal professore lombardo. Ai loro occhi, una simile soluzione avrebbe anche il difetto di allentare l’alleanza con Lega, orientata a tornare all’opposizione con la prospettiva di riconquistare consensi. Così adesso il centro di comando del Pdl, rappresentato dal segretario, Angelino Alfano, dai tre coordinatori e dai capigruppo parlamentari, dovrà faticare non poco per convincere il resto del partito a “donare il sangue”, ovvero i voti in Parlamento, a quell’esecutivo di transizione finora sempre allontanato dalle ipotesi per il dopo Berlusconi. Ipotesi che prevedevano al primo posto le elezioni anticipate. Da qui un drammatico vertice di partito nella sala del governo a Montecitorio. Riunione cui in serata ha fatto seguito, nel tentativo di trovare una posizione comune, un nuovo incontro a Palazzo Grazioli aperto anche alla Lega.
Ex An infuriati. Quelli più infuriati sono gli ex An. «Un governo di larghe intese sarebbe valutato con enorme freddezza», annuncia Massimo Corsaro, vicecapogruppo a Montecitorio. In prima fila tra i contestatori c’è Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, che fa sapere di considerare «la nascita di un governo del “tutti insieme” una iattura definitiva». «Io sono per votare immediatamente», avverte l’ex colonnello di An, che afferma di controllare una pattuglia di trenta deputati pronti a mettere i bastoni tra le ruote di Monti. «Dopo Berlusconi ci può essere solo il voto anticipato e un governo eletto dai cittadini», è il messaggio recapitato con una telefonata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Si morde le labbra anche Ignazio La Russa. «Chiedete a Napolitano», risponde stizzito il ministro della Difesa ai cronisti che in Parlamento lo sollecitano sul significato della nomina di Monti a senatore a vita. Più diretta Meloni, che mette nero su bianco il proprio altolà «ai tentati dal ribaltone: la difficile situazione economica mondiale è figlia soprattutto della debolezza della politica. Agli sciacalli della speculazione finanziaria l’Italia deve ribadire il primato della politica sull’economia». E ancora: «Non è il momento di cedimenti agli interessi di lobby e di palazzo. È tempo di rispettare la centralità della sovranità popolare». Quindi l’avvertimento sul voto come «l’unica risposta possibile alla crisi». Sulla stessa lunghezza d’onda Sacconi: «Pdl e Lega dovranno affrontare la crisi di comune accordo», conservando il valore di un’alleanza «orientata dai valori della tradizione alternativa alla sinistra di radice comunista e alle spregiudicate borghesie del capitalismo relazionale». Parole che non è difficile leggere come uno stop a Monti, espressione di quel capitalismo.
I realisti che tendono la mano Sull’altro fronte trovano posto Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, uno dei primi ad aprire a Monti («sarebbe da irresponsabili escludere qualsiasi ipotesi»), Franco Frattini, ministro degli Esteri, favorevole alla prosecuzione della legislatura, Gianni Alemanno e Roberto Formigoni. «Tutte le ipotesi devono essere vagliate per il bene dell’Italia», ammonisce il sindaco di Roma. Sarà un caso, ma le stesse parole le sceglie il governatore della Lombardia: «Berlusconi esplori tutte le possibilità, nessuna esclusa, perché l’Italia possa avere un governo che riporti sotto controllo la situazione economica».
di Tommaso Montesano
Ma mezzo Pdl