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    Arrow Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Nota editoriale: Questo articolo è stato scritto poco prima delle ultime elezioni iraniane. Gli eventi successivi, che - di fronte ad una assolutamente non ambigua contrapposizione fra un popolo in rivolta, appoggiato da tutte le organizzazioni dei lavoratori e dai comunisti iraniani, e uno stato dittatoriale reazionario e assassino - hanno visto la stragrande maggioranza dei sedicenti anti-imperialisti italiani e stranieri schierarsi compattamente a sostegno del regime iraniano e della sua feroce macchina repressiva, confermano nel modo più tragico le analisi dell'autrice.
    Paola Pisi

    DI VALERIA POLETTI
    uruknet.org.uk

    L’eroe dei due mondi Ahmadinejad, acclamato al suo ritorno dalla Conferenza di Durban da una folla ben coreografata, ottiene il plauso di molta parte della sinistra occidentale grazie al ruolo sostenuto dall’Iran a favore di Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano, ciò che farebbe della teocrazia iraniana il più luminoso esempio di "oggettivo antimperialismo".

    Dobbiamo pensare che gli studenti e i lavoratori che in Iran si espongono ad una repressione selvaggia per liberarsi del regime degli ayatollah senza accettare il patrocinio americano non hanno capito niente?

    Queste due note vorrebbero essere un invito a riflettere sulle loro ragioni.

    Dopo mesi di repressione nelle piazze e assassinii di protagonisti della rivoluzione, l’atto costitutivo della Repubblica Islamica dell’Iran fu ratificato, nell’estate del 1981, con l’esecuzione di 2665 militanti dei Mojaheddin [1] e di altre formazioni della sinistra iraniana [2].

    Il Tudeh, partito sedicente comunista, filosovietico, riformista sotto lo shah e collaborazionista con Khomeyni, veniva liquidato con una serie di pogrom successivi tra il 1982 e il 1988 [3].

    La santificazione del regime procede da quelle decine di migliaia di giovani bassiji mandati a morire sul fronte della guerra contro l’Iraq laico e progressista, in un delirio nazionalista che cancellava le aspirazioni popolari espresse dall’insurrezione [4].

    Mentre si consolidavano le basi materiali della teocrazia capitalista, la tutela intransigente della proprietà privata [5] e la presa di possesso dello Stato da parte dell’apparato clericale [6], i Comitati di lotta contro le cose vietate e le Pattuglie della collera di Dio imponevano l’ordine morale islamico nella società. E non c’è bisogno di ricordare cosa questo significhi. Mentre si rifiutava la riforma agraria alle masse diseredate delle campagne venivano soppressi i sindacati indipendenti e, nel giugno 1981, il regime scatenava una feroce repressione contro i lavoratori: dai 300 ai 500 arresti al giorno, decine di migliaia di oppositori assassinati nelle carceri [7]. Più di 10.000 tra studenti e docenti universitari venivano massacrati in seguito alle proteste del giugno 1981 [8]. Tudeh e Fronte Nazionale schieravano i propri militanti a difesa dello Stato islamico, negando il loro sostegno alle manifestazioni del 1° maggio, in nome della "comune" lotta contro l’imperialismo americano alleato dello shah. È forse da questo slogan dell’epoca, lanciato di fatto contro le aspirazioni delle masse – ai tempi probabilmente pervase da un autentico sentire antimperialista – , che buona parte della sinistra si è lasciata affascinare dalla rivoluzione islamica tanto da preferire la teocrazia degli ayatollah allo Stato laico iracheno? Tanto da diffondere la fandonia dell’accordo tra il partito Baath iracheno e la CIA nonchè quella del sostegno americano a Saddam Hussein trascurando la provata complicità USA-Iran nell’affare Iran-Contras o l’altrettanto provato supporto israeliano all’Iran durante e dopo la guerra Iraq-Iran[9]?

    Trent’anni dopo la proclamazione della Repubblica Islamica – cioè, mi permetto di dire, dopo la sconfitta della rivoluzione – l’Iran soggiace ad un regime di terrore, la grande maggioranza della popolazione versa in condizioni economiche disastrose ed è soggetta alla deprivazione dei più elementari diritti dei lavoratori, la discriminazione e oppressione delle minoranze non ha attualmente paragoni nel mondo, le donne sono vittime della più retrograda e vessatoria legislazione sul pianeta [10].

    Trent’anni dopo la sconfitta della rivoluzione i Guardiani della Rivoluzione aggrediscono manifestanti e lavoratori in sciopero, uccidono, torturano [11]. Per assicurare la stabilità del regime e per salvaguardare gli interessi di una classe dominante che intende rispettare le compatibilità con il sistema capitalistico occidentale e prosperare a rimorchio dei flussi di investimento dei capitali esteri. L’accelerato processo di privatizzazioni (che interessa in particolar modo le risorse e l’industria strategica) insieme alla possibilità offerta agli investitori esteri di acquisire il 100% di aziende prima gestite dallo Stato non pare proprio indirizzare l’Iran sulla strada dell’antimperialismo (nonostante le altisonanti dichiarazioni di Ahmadinejad), quanto piuttosto rafforzare i già forti legami del regime con il mondo dominato dalle multinazionali [12].

    Né pare testimoniare alcuna inclinazione antimperialista la storia e l’attualità dei rapporti internazionali della Repubblica Islamica.

    Nonostante la violenza verbale della campagna propagandistica contro il "grande satana" (Stati Uniti) e contro Israele, l’Iran di Khomeyni aveva interessi convergenti con gli alleati diabolici. Per l’uno e per gli altri il nemico assoluto in Medioriente era il nazionalismo arabo, laico e progressista, in grado, soprattutto dopo la vittoria della rivoluzione in Iraq, di ingenerare in prospettiva ravvicinata un processo di sviluppo economico e sociale autonomo che avrebbe investito l’intera area – penalizzando e forse mettendo in crisi l’egemonia statunitense – e che avrebbe portato l’Iraq a dotarsi di un apparato militare capace di costituire un pericolo concreto per il "piccolo satana". La Repubblica Islamica ha ottenuto prezioso sostegno finanziario e militare tanto dagli Stati Uniti quanto da Israele durante la guerra con l’Iraq [13]: fino da allora la teocrazia iraniana, eliminata ogni possibile opposizione interna, mirava ad espandere la sua influenza politica e religiosa sul mondo arabo, e rappresentava il miglior antidoto alla febbre antimperialista (non semplicemente antiamericana) che, con punte più e meno accentuate, tendeva a pervadere gli arabi ex-colonizzati.

    Nella prima Guerra del Golfo la neutralità iraniana veniva ottenuta dal governo iracheno in cambio della firma del trattato di pace notevolmente vantaggioso per l’Iran [14], ma l’"errore" sarà corretto dagli ayatollah con la piena collaborazione assicurata agli americani in occasione dell’aggressione contro l’Iraq nel 2003.

    Dopo avere attivamente collaborato con gli Stati Uniti nel sostenere le milizie musulmane bosniache durante la guerra in Jugoslavia [15], ed avere affiancato il "grande satana" nell’aggressione americana all’Afghanistan [16], l’Iran è stato attore chiave nell’agevolare la guerra americana contro l’Iraq (a partire dal falso dossier sulle inesistenti "armi di distruzione di massa"), nell’affiancare le truppe di invasione con la penetrazione di milizie addestrate per condurre una guerra coperta contro la Resistenza irachena, per compiere azioni di terrorismo sotto falsa bandiera, per annichilire la volontà di resistenza della popolazione civile con barbari massacri dei fiancheggiatori della Resistenza armata, ma anche con azioni pianificate di "pulizia etnica" contro sunniti, cristiani, sciiti laici, palestinesi, e con violenze ed eccidi per imporre la shari'a. Le Badr Brigates (milizia dello SCIRI, il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica) e il Mahdi Army di Moqtata al-Sadr hanno fatto di gran lunga più morti che non i bombardamenti americani [17].

    Insediato nel governo fantoccio iracheno servo di due padroni con il beneplacito degli Stati Uniti, l’Iran sostiene apertamente il regime afghano [18], e non manca di appoggiare le fazioni settarie integraliste sciite in Pakistan [19], Paese in via di destabilizzazione in funzione degli interessi geopolitici statunitensi e degli appetiti delle grandi compagnie coinvolte negli affari dei gasdotti [20] oltre che oggetto dei bombardamenti americani.

    A dispetto degli infuocati scambi di accuse reciproche, dunque, esiste una più che discreta sintonia tra il "grande satana" e la teocrazia che governa il "Paese degli Ari", un vero bastione antimperialista secondo i "nostri" commentatori [21]!

    Quanto allo zelo nel difendere i Palestinesi intrappolati a Gaza, piacerebbe sapere per quale motivo i Palestinesi intrappolati nell’Iraq occupato sono stati invece perseguitati e massacrati dalle milizie filo- iraniane [22]. Forse perché rimasti partigiani dello Stato laico e impermeabili alla islamizzazione forzata? Ma nemmeno per i palestinesi dei Territori occupati gli ahyatollah dimostrano grande considerazione: nonostante le ripetute proteste del Comitato per il Boicottaggio e il Disinvestimento in Israele, l’Iran intrattiene ottime relazioni di affari con Veolia e Alstom, le multinazionali impegnate nella costruzione delle colonie israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme est [23].

    Vero vincitore della seconda Guerra del Golfo, l’Iran non intende mancare l’occasione di accedere alla spartizione del mondo arabo approfittando della relativa debolezza degli Stati Uniti (più che mai invischiati in guerre che non riescono a vincere) e del progressivo raffreddamento delle relazioni USA-Israele.

    Con la fine dell’URSS e dopo la distruzione dell’Iraq, infatti, il ruolo dello Stato ebraico, argine all’espansione sovietica in Medioriente e avamposto militare contro ogni speranza di unificazione araba, tendeva a perdere la sua ragione strategica. Non si può negare che, all’interno degli Stati Uniti, abbia continuato ad operare a favore dei piani israeliani in questi anni una cosiddetta "lobby ebraica", ma è impensabile attribuirle una influenza decisiva sulle scelte dell’Amministrazione in fatto di politica estera: le ragioni del capitalismo e dell’imperialismo non si fondano sulla difesa di interessi particolari di un nucleo, per quanto agguerrito e potente, ma sulla dinamica della mondializzazione capitalista, e non si affidano a think-tank, per quanto influenti, espressione di una pedina che è parte non determinante del sistema di dominio.

    Eliminato il comune nemico, l’Iraq, dalla scena mediorientale, sono venute anche a cadere le motivazioni dell’alleanza sotterranea tra lo Stato sionista e quello teocratico riportando le due potenze regionali ad una situazione di fronteggiamento e confronto di interessi contrapposti. Se Israele mira a gestire intere aree di produzione e gli scambi commerciali nel "Grande Medioriente", l’Iran si propone di dilatare la propria influenza politica nella regione lasciando alle multinazionali occidentali il privilegio di sfruttare risorse e forza lavoro (come si evince dal nuovo corso delle privatizzazioni): i due progetti sono palesemente incompatibili.

    Con la guerra del 2006 contro il Libano il governo israeliano intendeva innanzitutto colpire i tentacoli della piovra iraniana per frenarne le mire espansionistiche e, come obiettivo massimo, creare pregiudizio alla ipotizzabile futura alleanza tra Stati Uniti e Iran. Inserendosi nello scontro l’Iran si proponeva di impedire un eventuale avanzamento del cosiddetto "processo di pace": la "pacificazione" tra Israele e i maggiori Stati arabi avrebbe evidentemente allontanato la prospettiva di penetrazione politico-militare iraniana nel mondo arabo.

    A prescindere dal maggiore o minore consenso che Hezbollah e Hamas possano raccogliere all’interno dei loro Paesi e delle ragioni che li oppongono allo Stato sionista, entrambe le organizzazioni hanno assolto perfettamente il compito loro assegnato, quello cioè di predisporre un casus belli per l’aggressione israeliana.

    Fermata nella sua campagna militare dal veto statunitense, Tel Aviv incassa una sconfitta politica e vede ulteriormente ridimensionata la sua importanza quale alleato strategico degli Stati Uniti, ma ottiene di dividere ulteriormente, indebolendolo, il fronte della resistenza antisionista. È del resto evidente che, al di là dell’effettivo valore sul campo delle milizie di Hezbollah e degli errori di strategia militare di Israele, quest’ultimo non avrebbe avuto eccessive difficoltà (oltre che nessuna remora) a polverizzare il Paese dei cedri e la sua resistenza: tanto in Libano quanto a Gaza la campagna sionista è stata fermata dal veto statunitense (e da quello della cosiddetta "comunità internazionale") a dimostrazione che non è Israele a dettare le condizioni.

    Hezbollah entra stabilmente nella compagine governativa libanese e garantisce al suo sponsor iraniano una tribuna da cui lanciare una intensa campagna propagandistica di promozione dei precetti religiosi e politici dell’Islam.

    Teheran, con l’operazione libanese ma ancor di più con la "vittoria" di Hamas a Gaza, ottiene una base territoriale nel cuore del mondo arabo, una base da cui muovere per portare l’attacco dell’Islam politico dentro le maggiori nazioni arabe, dentro l’Egitto e l’Arabia Saudita, e vede notevolmente accresciuto il suo ascendente sulle masse arabe.

    La mobilitazione delle comunità sciite, sobillate dagli agenti iraniani, che inneggiano alla secessione in Arabia Saudita [24], e i progettati attentati a firma della Fratellanza Musulmana (alleata di Hezbollah) in Egitto [25] non sono certo semplici operazioni di propaganda, e meno che mai azioni rivoluzionarie: non appoggiano movimenti popolari contro gli odiosi regimi fino ad ora complici degli americani favorendo l’unità delle organizzazioni di opposizione, ma cercano di scatenare violenze settarie dentro nazioni arabe, violenze che hanno lo scopo di fomentare una guerra civile tra il popolo, colpendo sì i governi, ma per portare questi Paesi in uno stato di destabilizzazione che agevoli interventi di forze esterne. Possiamo facilmente predire che, in un simile scenario, non saranno solo le forze iraniane ad intervenire! Non è nemmeno difficile preconizzare che si possa arrivare anche per questa via a quello smembramento delle nazioni arabe auspicato dagli agenti mondiali dell’imperialismo e dal capitale transnazionale interessato alla realizzazione del cosiddetto "Grande Medioriente" – cioè l'area compresa tra Egitto e Turchia a occidente, Afghanistan e Pakistan a oriente – verso il quale sono rivolti gli appetiti dei grandi investitori oltre che delle maggiori compagnie petrolifere nel mondo. È così che l’Iran assolverebbe al suo ruolo "oggettivamente antimperialista"?

    Difficile dire, sulla scorta delle considerazioni fatte sopra, che siano le sorti della Palestina e dei palestinesi a stare cuore ai dirigenti politici iraniani o che sia il fanatismo antiebraico (l’antisionismo ha ben altra dignità) di Ahmadinejad a motivare gli aiuti in armi e denaro forniti ad Hamas: l’esportazione della "rivoluzione islamica" ha altri e più vasti orizzonti e, a quanto pare, non crea pregiudizio ad una alleanza di fatto, ancora per poco celata, con il "grande satana" capitalista e imperialista.

    Così come non è per feroce odio razziale di origine religiosa che Israele aggredisce Libano e Palestina con bombe al fosforo, ma per cinico calcolo strategico, come è naturale che avvenga per un Paese colonialista, capitalista e razzista. "Secondo il viceministro della Difesa israeliano Ephraim Sneh, la guerra con Teheran non è una questione di se, ma di quando […] il Libano è semplicemente il preludio a una guerra ben più ampia con l’Iran’" [26]. Allo stesso modo possiamo leggere l’aggressione a Gaza. E pare ridicolo sostenere che l’efferatezza dei crimini israeliani nella regione siano frutto di una cultura religiosa. La spietatezza non è prerogativa dell’ebraismo, né inclinazione esclusiva dei sionisti: si tratta di terrorismo contro la popolazione civile identico a quello praticato, con la complicità tra gli altri dello Stato italiano, dagli anglo-americani in Iraq e in Afghanistan, perché il terrore è l’arma per vincere la resistenza di un popolo. La colonizzazione e l’occupazione della Palestina è in sé un’aberrazione della storia e un atto criminale contro i diritti umani.

    In realtà, benché sia già nei calcoli lo scontro diretto con l’Iran [27], Israele teme ben di più la prospettiva non lontana di una destabilizzazione globale del Medioriente. Il conflitto generalizzato neutralizzerebbe l’egemonia militare dello Stato degli ebrei, e un teatro con più attori ostacolerebbe l’accesso ai centri produttivi e ai mercati arabi all’asfittica economia del Paese (che non sarebbe, allo stato attuale delle cose, in grado di sopravvivere in assenza dei consistenti aiuti americani). Lieberman, nel discorso delle 1100 parole in occasione del suo insediamento nella carica di ministro israeliano degli Esteri, ha infatti affermato che i veri problemi per il "mondo libero" arrivano "dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’Iraq - e non dal conflitto israelo-palestinese" [28]. E in una intervista al quotidiano russo Moskovski Komsomolets ha dichiarato che è molto più concreto il pericolo che l’arsenale atomico pakistano possa cadere nelle mani dei fondamentalisti islamici rispetto a quello rappresentato dall’atomica iraniana [29]. Mentre è evidente che Israele ha ora un nemico in comune con i Paesi arabi "moderati" (Egitto, Arabia Saudita, Marocco, Giordania) minacciati dall’espansionismo sciita iraniano, e, dunque, ha interesse a non compromettere le proprie relazioni con essi [30].

    Da parte sua l’ Amministrazione Obama non solo ha avviato trattative con il governo degli ayatollah e con quello siriano [31] e ha reso pubblico l’intendimento di arrivare ad un disgelo nelle relazioni USA-Iran con il plauso della Unione Europea [32], ma ha anche associato l’Iran al programma di "ricostruzione" dell’Afghanistan [33].

    È palese la divaricazione crescente tra la politica estera di Washington e quella di Tel Aviv: sullo sfondo si profila una sorta di sconvolgimento delle alleanze, una situazione in cui grandi e medie potenze faranno scontrare sul campo i propri satelliti, ogni genere di fazioni armate locali e organizzazioni terroriste. E la Russia? Potrebbe essere l’ago della bilancia o sbilanciarsi a favore di Israele. Cosa che potrebbe fare la differenza tra un conflitto mediorientale combattuto per procura da attori regionali e un conflitto mediorientale di più vaste proporzioni.

    È ancora lecito aderire all’"Ahmadinejad fans club" in nome della sua pretesa difesa della causa palestinese?

    Indubbiamente la Repubblica Islamica costituisce un elemento di disturbo verso l’attuale egemonia statunitense in Medioriente e i suoi interessi a medio termine si contrappongono a quelli dell’"entità sionista", ma attribuirle per questo un ruolo "oggettivamente antimperialista" – come sostiene attualmente la più parte dei commentatori del movimento contro la guerra – contraddice la più elementare e fondamentale ragione della lotta contro l’imperialismo: l’antimperialismo è un progetto di emancipazione di una società dal dominio economico e politico esercitato da una potenza capitalista su un popolo, è un movimento nato con le guerre di liberazione nazionale anticoloniali e fondato tanto sul principio di autodeterminazione quanto su quello della dissoluzione del vincolo di dipendenza dal modello di sviluppo della potenza dominante. In altre parole, è intrinsecamente legato alla lotta contro il dominio del capitalismo. E contro la guerra imperialista, da chiunque condotta.

    Un ruolo contingentemente antiegemonico, come al massimo può definirsi quello dell’Iran degli ayatollah, giocato non certo con la finalità di emancipare le popolazioni mediorientali dallo sfruttamento capitalistico ma per assoggettarle ad un dominio teocratico che incarna l’assolutismo reazionario come mai si è verificato nella storia, è il ruolo del peggior nemico degli antimperialisti come delle masse proletarie e popolari.

    Lo testimonia il grande e variegato (oltre che estremamente coraggioso) movimento di opposizione interna alla Repubblica Islamica [34] e il movimento nelle università [35]; lo rende evidente il moltiplicarsi degli scioperi in tutti i settori della produzione. Lo dichiarano inequivocabilmente le organizzazioni della resistenza iraniana, Mujahedeen-e-Khalq [36] e Hands off the People of Iran [37] in primo luogo, ma anche le associazioni studentesche [38] e il Partito del Lavoro dell’Iran [39].

    Perché gli antimperialisti nostrani non fanno riferimento a queste formazioni e non si impegnano a fianco delle masse popolari oppresse dell’Iran piuttosto che confidare nelle virtù "rivoluzionarie" dell’idolatria? Perché non reagiscono alla censura e all’esclusione decretata da Stop the War contro l’organizzazione dell’opposizione iraniana Hands off the People of Iran colpevole di aver criticato il governo di Teheran [40]?

    Perché il movimento contro la guerra, invece di dare voce ai blogger iraniani che quotidianamente rischiano la vita per denunciare le atrocità commesse dal regime, le giustifica in nome del diritto ad una "diversa civiltà giuridica", oltre ad accogliere al suo interno personaggi come George Galloway che si pronuncia contro l’asilo politico ad un gay iraniano condannato a morte [41]?

    Si tratta dello stesso movimento contro la guerra che, dopo averne avallato la diffamazione, ha approvato il linciaggio e l’assassinio di Saddam Hussein e degli esponenti del governo antimperialista iracheno.

    Personalmente non ho altro da aggiungere se non che l’uso sistematico della tortura, l’avvilimento delle donne, l’assassinio degli studenti e dei lavoratori, l’impiccagione di adolescenti gay e di giovani donne mi riempie di pre-politica indignazione.
    Valeria Poletti
    Fonte:www.uruknet.org.uk
    Link: http://www.uruknet.info/?p=s10044&hd=&size=1&l=i
    23.06.2009

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Una giusta riflessione.
    Gli ideali del clero iraniano e di Ahmadinejad sono agli antipodi di quelli marxisti.....in comune hanno solo il nemico ovvero l'imperialismo occidentale......
    Ma, cmq, non dobbiamo essere avventati nei giudizi lasciandoci trasportare dall'emotività dei nostri mass-media. Infatti se l'Onda Verde di Moussavi giungesse al potere, non rappresenterebbe la maggioranza della popolazione iraniana. Avremmo al governo un ceto di imprenditori borghesi filo-occidentali......una plutocrazia al posto della teocrazia.......con buona pace delle masse proletarie contadine che hanno riposto la loro fiducia in Ahmadinejad....
    Bene riflettiamo proprio sull'elemento della distrubuzione sociale e geografica del voto...

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da contropotere Visualizza Messaggio
    [...]
    Dopo mesi di repressione nelle piazze e assassinii di protagonisti della rivoluzione, l’atto costitutivo della Repubblica Islamica dell’Iran fu ratificato, nell’estate del 1981, con l’esecuzione di 2665 militanti dei Mojaheddin [1] e di altre formazioni della sinistra iraniana [2].

    Il Tudeh, partito sedicente comunista, filosovietico, riformista sotto lo shah e collaborazionista con Khomeyni, veniva liquidato con una serie di pogrom successivi tra il 1982 e il 1988 [3].
    [...]
    Ahahahah, come se fosse un demerito...
    Secondo questa qui dovevano tenersi i comunisti.

  4. #4
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    Da una parte abbiamo un regime nato dalla rivoluzione di Khomeini, che all'inizio fece grandi promesse di ridistribuire la ricchezza del paese, ma che non le ha mantenute.

    Dall'altra abbiamo la rivolta della Teheran bene che non si accontenta dei privilegi mantenuti sotto il regime e ne vuole di più.

    La cosa da capire è che nessuna delle due parti in causa può essere considerata favorevole ai lavoratori iraniani.

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    tutti i sondaggi internazionali pre-elezioni davano sicura l'elezione di Ahmadinejad

  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Citazione Originariamente Scritto da dies irae Visualizza Messaggio
    Una giusta riflessione.
    Gli ideali del clero iraniano e di Ahmadinejad sono agli antipodi di quelli marxisti.....in comune hanno solo il nemico ovvero l'imperialismo occidentale......
    Ma, cmq, non dobbiamo essere avventati nei giudizi lasciandoci trasportare dall'emotività dei nostri mass-media. Infatti se l'Onda Verde di Moussavi giungesse al potere, non rappresenterebbe la maggioranza della popolazione iraniana. Avremmo al governo un ceto di imprenditori borghesi filo-occidentali......una plutocrazia al posto della teocrazia.......con buona pace delle masse proletarie contadine che hanno riposto la loro fiducia in Ahmadinejad....
    Bene riflettiamo proprio sull'elemento della distribuzione sociale e geografica del voto...
    Avere la maggioranza dei voti non significa un cazzo nei fatti.
    Gli imprenditori borghesi sono borghesi e filo-occidentali perchè si rendono conto della differenza abissale che c'è fra un paese governato da una setta di scimmie negre lobotomizzate dalle prediche sul Corano e una democrazia liberale occidentale, magari imperfetta ma sicuramente molto più libera e molto meno violenta dei loro preti di merda e del loro esercito di Pasdaran-Scimmie noi siam!

    E sono sicuro che Ahmadinescimmia ha fatto moltissimo per le masse contadine...Le ha ricoperte d'oro...Forse l'Iran è nella situazione in cui è per il sistema economico che ha, perchè i suoi leader auto-imposti per diritto divino continuano a credere alle favole della distribuzione e dei capi illuminati che decidono per tutti invece di lasciare la gente libera di scegliere e di produrre e vendere e regalare quello che vuole. Forse l'Iran è quello che è non perchè manchi "democrazia", informazione o qualche altra presa per il culo di questo genere, ma semplicemente perchè in Iran lo Stato è onnipotente e il singolo è schiacciato. In nome di ideali finti nei quali credono solo i cervelli finti.

    E non mi stupisce che ai religiosi cattolici il regime dei preti con presidente fantoccio iraniano stia tanto simpatico...Si tratta di scimmie bianche che pendono dalle labbra del papa esattamente come quella massa di negri lobotomizzati non muove un dito senza esplicito ordine dell'ayatollah.

    CERCHIAMO DI EVITARE VOLGARITA' E INSULTI PERSONALI
    Ultima modifica di Nicola; 29-06-09 alle 23:44 Motivo: post segnalato all'amministrazione

  7. #7
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Citazione Originariamente Scritto da AlBeRtO Visualizza Messaggio
    Avere la maggioranza dei voti non significa un cazzo nei fatti.



    Il principio democratico vale solo quando vincono gli 'amici' ....bien sur hefico:
    " Cosa chiede tutta la folla moderna ? Chiede di mettersi in ginocchio davanti l'oro e davanti la merda "
    L. F. Celine

  8. #8
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Citazione Originariamente Scritto da contropotere Visualizza Messaggio
    Il Tudeh, partito sedicente comunista, filosovietico, riformista sotto lo shah e collaborazionista con Khomeyni, veniva liquidato con una serie di pogrom successivi tra il 1982 e il 1988.

    le donne sono vittime della più retrograda e vessatoria legislazione sul pianeta.

    Trent’anni dopo la sconfitta della rivoluzione i Guardiani della Rivoluzione aggrediscono manifestanti e lavoratori in sciopero, uccidono, torturano.

    l’uso sistematico della tortura, l’avvilimento delle donne, l’assassinio degli studenti e dei lavoratori, l’impiccagione di adolescenti gay e di giovani donne.
    :289::289::289:

  9. #9
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Citazione Originariamente Scritto da Louis Ferdinand Visualizza Messaggio
    Il principio democratico vale solo quando vincono gli 'amici' ....bien sur hefico:
    Il principio democratico è una cosa assurda a prescindere da chi vinca. E quelli che difendono tanto la democrazia a spada tratta sono degli indottrinati che hanno bisogno di esplorarla ancora un po' per rendersi conto di cosa sia e di quali risultati dia all'atto pratico.

  10. #10
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    Predefinito Riferimento: Gli antimperialisti nella trappola iraniana

    Citazione Originariamente Scritto da Perseo Visualizza Messaggio
    Da una parte abbiamo un regime nato dalla rivoluzione di Khomeini, che all'inizio fece grandi promesse di ridistribuire la ricchezza del paese, ma che non le ha mantenute.

    Dall'altra abbiamo la rivolta della Teheran bene che non si accontenta dei privilegi mantenuti sotto il regime e ne vuole di più.

    La cosa da capire è che nessuna delle due parti in causa può essere considerata favorevole ai lavoratori iraniani.
    Levarsi dai coglioni i preti che vogliono controllare cosa pensi è il primo passo per fare il bene dei lavoratori iraniani.

 

 

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