Risultati da 1 a 3 di 3
  1. #1
    Сардиния
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    Predefinito Il Default greco e la fine dell'Euro: CI SIAMO!

    Grecia, “default più pesante del previsto
    E il piano franco-tedesco è disastroso”

    Parla Nicholas Economides, docente della Leonard Stern School of Business di New York, già consulente del governo di Atene: "Tutti sapevano che il programma imposto al Paese nel maggio del 2010 non avrebbe funzionato. Lo sapeva l’Unione europea, lo sapevano il Fmi e la Bce, lo sapeva l'esecutivo. E sulla proposta di Merkel-Sarkozy di imporre restrizioni finanziarie dice "è terribile"

    Nicholas Economides, docente della Leonard Stern School of Business di New York, e consulente della US Federal Trade Commission
    “Lo sapevano tutti che il programma imposto alla Grecia nel maggio del 2010 non avrebbe funzionato. Lo sapeva l’Unione europea, lo sapevano il Fmi e la Bce, lo sapeva il governo greco”. Nelle parole di Nicholas Economides, docente della Leonard Stern School of Business di New York, e consulente della US Federal Trade Commission (dopo esserlo stato anche dei governi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Nuova Zelanda), c’è tutta la consapevolezza di chi, per il suo Paese d’origine, le disgrazie le aveva viste arrivare con netto anticipo. Ma anche, aggiungeremmo noi, la chiara percezione di una delle più evidenti realtà della crisi dell’euro. La salvezza dell’Europa, sembrano ripetere ossessivamente Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, passa dalla sopravvivenza dell’Italia, non certo – questo non viene detto ma è implicito – dall’ormai impossibile recupero della Grecia. Insomma, l’Europa potrà anche essere salvata ma per la Grecia il futuro resta nero.

    Atene affonda, e questo è noto da tempo. Ma il naufragio, è notizia di questi giorni, sarà più disastroso del previsto. L’indiscrezione l’ha lanciata in settimana la Reuters. Il governo greco continua a trattare con i creditori il taglio del valore delle obbligazioni sovrane. Solo che, a quanto pare, sul tavolo dei negoziati non c’è più il famoso 50% ipotizzato a luglio, bensì un più pesante 75%. In pratica è come se Atene chiedesse ai suoi investitori, le banche elleniche in primis, di accettare una svalutazione che abbassasse il prezzo dei titoli a un quarto del loro valore originale. Un colpo micidiale per il già martoriato sistema bancario europeo.

    Eppure, nonostante tutto, quel -75% rischia davvero di essere la reale soglia di sostenibilità nella ristrutturazione debitoria del Paese. Interpellato da Ilfattoquotidiano.it, Economides conferma la logica dei numeri. “Per rendere il debito sostenibile – spiega – serve un haircut più profondo, pari al 75% o più. Voglio ricordare che lo stesso capo economista di Citibank (Willem Buiter, ndr) ha parlato di un taglio pari all’85% del valore dei titoli. Ed è meglio che questo avvenga tutto in una volta, invece che a rate imponendo il 50% oggi e un taglio ulteriore in seguito”. Difficile calcolare con precisione l’ammontare delle perdite del nuovo concambio. In estate si calcolava che un taglio del 50% avrebbe imposto una svalutazione di 1,4 miliardi di euro per il sistema bancario francese, il più esposto tra gli stranieri, e di ben 9 miliardi per le stesse banche private elleniche. L’Italia se la sarebbe cavata con una perdita di 207 milioni. Di fronte alle ultime richieste, sostiene la Reuters, le banche coinvolte sarebbero disposte per il momento a cedere fino al 60% del controvalore dei bond di Atene.

    Oggi la Grecia vive il suo primo sciopero generale di 24 ore della nuova era Papademos, segno che l’austerity continua ad alimentare il malcontento oltre che a massacrare un’economia che non riesce ad uscire dalla recessione. Il bond greco a un anno rendeva ad agosto oltre il 40%, un tasso già di per sé mostruoso. In questi giorni, riferisce Bloomberg, il suo rendimento è balzato al 317%. Il presente, insomma, significa soprattutto bancarotta. Ma i problemi più evidenti dovrebbero manifestarsi in seguito.

    “La proposta franco-tedesca di imporre restrizioni finanziarie (e conseguenti sanzioni, ndr), che alcuni membri dell’eurozona accetteranno e altri no, è fondamentalmente disastrosa – sostiene Economides – . Alcuni Paesi, come Grecia, Portogallo, Italia, Belgio e Irlanda, non saranno in grado di raggiungere i parametri imposti prima di alcuni anni. Altri, invece, non accetteranno di consegnare la gestione dei propri bilanci a Bruxelles e a Berlino”. L’idea, insomma, è che il piano possa funzionare solo per i Paesi che ne hanno meno bisogno, dalla Germania alla Francia, dall’Olanda alla Finlandia. Gli altri, al contrario, “avrebbero ogni incentivo per riprendere a stampare le proprie valute nazionali il prima possibile”, abbandonando l’euro “in modo disordinato” e scatenando “una crisi più lunga e grave rispetto a quella del 2008”. Scenari tremendi, ma per fortuna, aggiungiamo noi, ancora improbabili. Sempre che, è ovvio, i futuri piani di stabilità sappiano tenere adeguatamente conto delle reali possibilità di ciascuno. E questa, ovviamente, non sarà certo un’impresa da poco.

    Fonte: Link
    Era meglio far saltare l'Euro subito, piuttosto che immolare l'italia per salvare Germania e Francia.
    Ultima modifica di Dogma; 03-12-11 alle 09:02

  2. #2
    Giusnaturalista
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    Predefinito Rif: Il Default greco e la fine dell'Euro: CI SIAMO!

    Ormai si sa che torneremo alla Lira. Stiamo stiamo solo rimandando di mese in mese. Anche inutile fare referendum per decidere se stare in europa o meno, tanto salta tutto ugualmente. Ma ora che lo sappiamo, perchè non uscirne il prima possibile, in modo da organizzarci bene, con un default controllato magari, restituendo ai creditori magari la metà di quanto sottoscritto, in modo ridurre della metà il debito pubblico? Dopotutto i creditori hanno comprato titoli di stato scommettendo sull'economia italiana. La scommessa l'han persa, fine della questione. Torniamo saggiamente alla Lira, con modestia, sapendo di fare una cosa saggia, e smettiamola di sognare gli stati uniti d'europa che si trasformeranno in unione sovietica europea. Devono essere gli stati uniti a sognare l'europa degli stati liberi senza fed.
    Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.


  3. #3
    Сардиния
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    Predefinito Rif: Il Default greco e la fine dell'Euro: CI SIAMO!

    Fatta eccezione per l'Unione Sovietica (che seriamente, non ha niente a che vedere con questa cosa oligarchico-finanziario che è l'Europa), per il resto condivido largamente il tuo intervento, perchè vero e fondato.

    intanto, vi propongo questo interessante articolo ...una prospettiva che non lascia indifferenti

    Austerità Europea: tutto daccapo dal 1931?
    Un giovane economista Tedesco ci propone le impressionanti analogie tra la situazione della Germania nel 1931 e quella dei paesi periferici di oggi, che dovrebbero farci riflettere, perché se si impara dalla storia non c'è bisogno di ripeterla...

    di Fabian Lindner – Un paese affronta una voragine economica e politica, il governo è sull’orlo della bancarotta e persegue politiche di austerità feroce: enormi tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici e drastici aumenti delle tasse, crollo dell’economia e tassi di disoccupazione che esplodono, le persone combattono le une contro le altre per la strada, mentre le banche falliscono e il capitale internazionale fugge dal paese. Grecia 2011? No, Germania 1931.


    Il Capo del governo non è Lucas Papademos, ma Heinrich Brüning. Il “Cancelliere della fame” taglia la spesa del governo per decreto, ignorando il Parlamento, mentre il PIL scende senza limiti. Due anni dopo Hitler sarà al potere, otto anni dopo avrà inizio la Seconda Guerra Mondiale. La situazione politica di oggi è ancora diversa, ma le analogie economiche sono spaventose.

    Come nei paesi in crisi di oggi, il problema chiave della Germania nel 1931 era il debito estero. Gli Stati Uniti erano il più grande creditore della Germania, e i debiti della Germania erano denominati in dollari USA. Dalla metà degli anni ’20, il suo governo aveva preso in prestito ingenti somme all’estero per pagare le riparazioni di guerra nei confronti di Francia e Gran Bretagna. Il credito estero finanziò anche i Ruggenti Anni Venti della Germania – il boom economico, dopo l’iperinflazione del 1923. Come la Spagna, Irlanda e Grecia di oggi, la ripresa della Germania degli anni ’20 è stata causata da una bolla del credito.

    La bolla è scoppiata quando i mercati finanziari statunitensi sono crollati nel 1929. Investitori Statunitensi e banche sono stati colpiti duramente, hanno perso la fiducia e ridotto i rischi – in particolare i loro investimenti in attività Europee. I flussi di credito in Germania, Austria e Ungheria si sono fermati all’improvviso. Gli investitori statunitensi non volevano il reichsmark – la moneta Tedesca – ma Dollari, moneta che la Reichsbank Tedesca non poteva stampare. La fuga del dollaro dalla Germania – soprattutto dai depositi bancari Tedeschi – ha portato al rapido esaurimento delle riserve di valuta della Reichsbank.

    Per guadagnare dollari la Germania doveva trasformare il suo enorme deficit delle partite correnti in un avanzo. Ma come i paesi in crisi di oggi, la Germania era intrappolata in un sistema monetario con tassi di cambio fissi, il gold standard, e non poteva svalutare la sua moneta. Tuttavia, anche dopo aver lasciato il gold standard, il Cancelliere Brüning ed i suoi consiglieri economici temevano gli effetti inflazionistici di una svalutazione e un replay della iperinflazione del 1923.

    Senza liquidità in dollari dall’estero, l’unico modo per il governo di invertire il conto corrente era una forte deflazione dei salari e dei costi. In soli due anni Brüning tagliò la spesa pubblica del 30%. Il Cancelliere aumentò le tasse e tagliò i salari e le spese di previdenza sociale di fronte a una disoccupazione crescente e alla povertà. Il PIL reale diminuì dell’8% nel 1931 e del 13% un anno dopo, la disoccupazione aumentò al 30% e il denaro rimasto fuoriusciva dal paese. Le partite correnti invertirono il segno, da un deficit enorme a un piccolo avanzo.



    Ma non c’erano abbastanza dollari disponibili sui mercati mondiali. Nel 1930 il Congresso degli Stati Uniti aveva introdotto la Smoot-Hawley-tariff per impedire le importazioni nel paese. I paesi con debiti in dollari furono tagliati fuori dal mercato Statunitense e non potevano guadagnare il denaro necessario per servire i loro debiti. La situazione non migliorò quando il presidente Hoover proposeo una moratoria di un anno su tutti i debiti esteri della Germania. La moratoria era osteggiata sia dalla Francia – che insisteva sul pagamento delle riparazioni tedesche – che dal Congresso degli Stati Uniti. Quando il Congresso finalmente approvò la moratoria nel dicembre del 1931 era troppo poco e troppo tardi.

    Nell’estate del 1931, le banche Tedesche cominciarono a fallire, portando sia a una stretta creditizia che a enormi pacchetti di aiuti pubblici per salvare le banche più grandi. Le banche dovettero essere chiuse e il governo andò in default sul suo debito. La moratoria di Hoover e una politica di espansione fiscale sotto il successore di Brüning, von Papen, arrivarono troppo tardi: i fallimenti e la disoccupazione aumentarono e i nazisti guadagnarono terreno politico.



    I paralleli con la situazione economica di oggi sono spaventosi: Grecia, Irlanda e Portogallo devono perseguire politiche di austerità feroce sotto la pressione dei paesi creditori e dei mercati finanziari, al fine di riportare i loro saldi di conto corrente dal deficit al surplus; la disoccupazione Greca è al 18%, in Irlanda al 14% e in Portogallo al 12%, la Spagna è addirittura al 22%. E quelli che potrebbero aiutare non fanno abbastanza: la Germania e i banchieri centrali Tedeschi richiedono drastiche misure di austerità e danno in cambio solo aiuti parziali e insufficienti – troppo poco, troppo tardi, adesso come allora.


    La Germania nel 1931 avrebbe avuto un grande vantaggio se gli Stati Uniti – e anche la Francia – avessero fornito la liquidità necessaria alle banche Tedesche e al suo governo. Forse la radicalizzazione politica avrebbe potuto essere evitata. Ma gli Stati Uniti erano in una svolta isolazionista. Non volevano essere coinvolti nel disordine degli affari Europei.


    Oggi la Germania gioca il ruolo degli Stati Uniti. Sia il parlamento che il governo esitano a fornire l’aiuto necessario ai paesi in crisi: entro l’EFSF, la Germania è pronta a garantire solo fino a 211 miliardi di euro di indebitamento dei paesi in crisi. Questo non è sufficiente. Nel 2008 le garanzie per il sistema bancario Tedesco sono state di 480 miliardi di euro.


    La Germania insiste ancora sul suo surplus delle partite correnti. Questo è, per definizione, il deficit dei paesi in crisi. Così impediscono a questi paesi di guadagnare il denaro per servire i loro debiti. Inoltre, la Germania si oppone ferocemente a provviste di liquidità da parte della BCE. Gli economisti Tedeschi e i banchieri centrali giustificano la passività della BCE con la minaccia dell’inflazione. Ma si mescolano le lezioni storiche dell’iperinflazione Tedesca del 1923 e la sua crisi di deflazione e disoccupazione del 1931.


    Questo errore di giudizio può facilmente ritorcersi contro: la reputazione della Germania in tutta Europa è già in declino, le tensioni politiche nei paesi in crisi con la disoccupazione a livelli record sono aumentate in modo drastico e il sempre più probabile crollo della zona euro potrebbe minacciare l’economia Tedesca, in particolare le sue banche e le sue esportazioni.



    Gli Stati Uniti hanno imparato a proprie spese che si devono assumere la responsabilità per la stabilità economica del mondo. La seconda guerra mondiale fu una delle conseguenze della crisi del 1930, che avrebbero potuto evitare.


    Dopo non essere riusciti a stabilizzare il sistema economico mondiale nei primi anni ’30, nel 1945 gli USA hanno imparato che solo la cooperazione economica potrebbe portare a un mondo pacifico e prospero. Col piano Marshall e l’apertura dei loro mercati alle esportazioni Europee, hanno consentito all’Europa di ricostruire la propria economia distrutta. Nello stesso tempo, gli esportatori Statunitensi approfittavano della fame dell’Europa per i beni di investimento e di consumo.

    Fino a primi anni ’70 gli Stati Uniti hanno guidato il commercio internazionale e il sistema monetario – il sistema di Bretton Woods – garantendo la prosperità economica, un libero mercato caratterizzato dall’equità sociale e quindi i pre-requisiti economici della socialdemocrazia.


    Sia il pubblico Tedesco che i politici dovrebbero imparare dalla storia. La solidarietà con i paesi in crisi è nell’interesse di lungo periodo della Germania. Il governo Tedesco dovrebbe smettere di abusare del suo potere di dettare il declino economico di altre nazioni. L’alternativa è la stagnazione economica e l’aumento delle tensioni fra le nazioni Europee. Il verdetto è ancora valido: coloro che non imparano dalla storia sono destinati a ripeterla.

    Fonte: Link

 

 

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