Hobbes è assai più radicale nel riservare il monopolio della violenza allo Stato; ad ogni modo Locke sosteneva il diritto di resistenza ai poteri pubblici, cosa che per Hobbes rischiava di legittimare rivolte e guerre civili (sulla base dell'argomento che la peggiore dittatura quantomeno assicura ordine e stabilità).
Ultima modifica di Troll; 06-12-11 alle 18:53
Ok, ed infatti giustamente il Leviatano di Hobbes viene visto da Schmitt come "compimento" della riforma luterana. Però credo che un qualcosa di assimilabile sul piano teoretico-filosofico al cosiddetto "totalitarismo moderno", inteso nell'accezione da te prima accennata di forma politica che non riconosce una legge etica superiore a quella che dà a se stesso, si riscontri compiutamente più in Hegel che in Hobbes. Certo, è assai probabile che senza Hobbes e quindi senza il passaggio dalla Res Publica Christiana alle monarchie assolute autocratiche e "superiorem non recognoscentes" non avremmo avuto Hegel.
Credere - Pregare - Obbedire - Vincere
"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).
Non vorrei dire castronerie, ma Hegel è un teorico del Rechtstaat fondamentalmente, più che del totalitarismo è il teorico di uno stato come unica entità in cui si può realizzare l'idea di giustizia (come Platone, del resto).
Se bisogna dare un nome, anche se per ragioni temporali non si può considerarlo "padre", quello potrebbe essere Kelsen, che dal punto di vista giuridico finisce per giungere all'idolatria dello Stato.
Per Hegel lo Stato è addirittura "l'ingresso di Dio nel mondo", Spirito oggettivo, ecc.
Non solo la realizzazione dell'idea di giustizia come in Platone: fa un passo ulteriore, probabilmente a causa del fatto che, a differenza del filosofo greco, Hegel è un immanentista.
Kelsen è vero che esclude qualsiasi elemento che ritiene strettamente "non-giuridico" in senso tecnico dallo studio del diritto, ma si pone pur sempre in un'ottica liberaldemocratica.
Credere - Pregare - Obbedire - Vincere
"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).
Il padre del totalitarismo è, paradossalmente, ma indiscutibilmente, J.J. Rousseau.
Io non mi sento italiano,
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Discussione interessante. L'immagine del Leviatano sul frontespizio originale dell'opera hobbesiana rimanda più all'organicismo. Ma la genesi stessa dello Stato hobbesiano (pattizia e individualistica) lo smentisce. Nemmeno gli esiti sono 'totalitari' (a prescindere dal netto anacronismo dell'uso di questo termine), né 'totali' (Schmitt aveva ragione, quasi quanto Strauss). In realtà Hobbes ha a che fare più col superamento della politica barocca della ragion di Stato, anche se ne conserva la dissoluzione di ogni fondamento sostanzialistico (teologico) del potere.
Rousseau aveva intuito lo storicismo prima di Hegel, solo che nel "progresso" lui non ravvisava nulla di buono per l'umanità; al contrario, indicava il procedimento tecnologico come la principale fonte di infelicità, in quanto allontanava l'uomo dallo "stato di natura". Oggi molti ambientalisti e critici del capitalismo moderno industrializzato si rifanno - consciamente o inconsciamente - a Rousseau.
Ultima modifica di donerdarko; 07-12-11 alle 09:40
Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)
Sospendo su Hegel, visto che lo conosci sicuramente meglio di me, anche se mi pare che lo stato totalitario sia una distorsione dello stato Hegeliano, nel senso che partendo da una stessa premessa si arriva a conclusioni e contenuti diversi.
Su Kelsen: in realtà la sua è una contraddizione di fondo, che spinge poi a considerarlo "totalitario", è un giuspositivista che accoglie la validità intrinseca della norma, e non perchè sia di natura, ma perchè prodotta dallo stato, il che è quello che gli imputa Ross chiamandolo quasi-positivista per distanziare il giuspositivismo dal nazismo.
In realtà, forse, la discussione a monte che dovremmo fare è su che cosa sia il "totalitarismo", che viene ritenuto tipicamente moderno (o addirittura un esito necessario ed inevitabile della modernità, come ricordava prima Troll, citando Del Noce), nonostante nelle sue versioni "destre" - fascismo e nazionalsocialismo - si sia richiamato ad una mitologia o teologia politica o, a voler usare termini meno altisonanti ed impegnativi, ad una concezione del mondo arcaicizzante o tradizionale. La polemica cattolica lo ha genericamente ma sostanzialmente ricondotto, per lo più, ad un assolutismo di Stato che non riconosce alcuna legge etica superiore a quella frutto della produzione giuridica dello stesso Stato totalitario e ad una statolatria neopagana. Accettare però questa semplificazione apre però le porte a cosa sia stato, al di là della teoria, in concreto, il "totalitarismo": è paradossale che il Fascismo si sia detto "totalitario" per primo ed in maniera esplicita, ma venga, quasi all'unanimità, ritenuto il meno "totalitario" di tutti i regimi autocratici del Novecento in quanto "In realtà al regime fascista per essere veramente totalitario non solo mancava il ricorso sistematico al terrore di massa e, quindi, al sistema concentrazionario, ma esso – un po’ per motivi oggettivi, che discendevano dal modo compromissorio con cui era giunto al potere, un po’ per il pragmatismo di fondo di Mussolini, un po’ coerentemente alla sua particolare concezione del totalitarismo – non mirò mai o non riuscì a realizzare compiutamente nessuno degli aspetti caratterizzanti un regime totalitario vero e proprio. […] non mirò mai né ad una compiuta transizione dallo Stato di diritto allo Stato di polizia, né tanto meno a realizzare il controllo totalitario del partito sullo Stato. Esso operò – è vero – nel senso di una compiuta concentrazione del potere nello Stato e di una totale politicizzazione della società sino a tendere alla eliminazione della distinzione tra Stato e società civile, ma anche qui in una prospettiva che poco o nulla aveva a che fare con quella del nazismo o con quella dello stalinismo" ("Mussolini il Duce – Lo Stato totalitario 1936-1940", a p. 10).
C'è da dire che gli elementi che De Felice, probabilmente riprendendoli dalla Arendt, ascrive come precipui del totalitarismo moderno, così come comunemente inteso, ossia il ricorso de facto sistematico a campi di concentramento come strumento di repressione politica unito ad un uso politico e legalizzato del terrore, sono lontani dall'orizzonte di Thomas Hobbes.
Però a questo punto, inoltre, verrebbe da chiedersi che senso abbia l'uso dell'aggettivo totalitario come onnicomprensivo di ideologie e regimi fra loro tanto diversi e che in realtà nemmeno condivisero del tutto fra loro quei metodi che il De Felice nella citazione attribuisce come caratterizzanti un "totalitarismo vero e proprio".
Kelsen è un giusformalista ed effettivamente quel suo positivismo spinto ed estremo può tanto giustificare un sistema costituzionale liberaldemocratico, ma anche uno di tendenza opposta.Su Kelsen: in realtà la sua è una contraddizione di fondo, che spinge poi a considerarlo "totalitario", è un giuspositivista che accoglie la validità intrinseca della norma, e non perchè sia di natura, ma perchè prodotta dallo stato, il che è quello che gli imputa Ross chiamandolo quasi-positivista per distanziare il giuspositivismo dal nazismo.
Ultima modifica di Giò; 07-12-11 alle 21:09
Credere - Pregare - Obbedire - Vincere
"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).