Secondo alcuni studi, in Italia le donne investono più degli uomini in formazione ed istruzione e si laureano in media con voti più alti. Eppure, l'Italia è l'ultimo Paese nell'Unione Europea per tasso di occupazione femminile (47%). Come giustificare tali dinamiche? E perché una donna è spesso costretta a fare i salti mortali se vuole avere una famiglia e allo stesso tempo affermarsi sul lavoro per fare carriera? In che modo è possibile rendere più tangibili per ogni donna le così tanto sofferte pari opportunità? Il nostro Paese è in ritardo, e non garantisce a uomini e donne un eguale trattamento. Ritardo che lascia le donne italiane "in attesa": non di figli, ma di un'evoluzione, di una maggiore valorizzazione istituzionale, di una migliore posizione economica. Il nostro Paese ha tutto da guadagnare nel favorire la crescita dell'occupazione femminile ed una maggior partecipazione dei talenti "rosa" alle cariche decisionali più elevate.
Alessandra Casarico e Paola Profeta, entrambe professoresse associate all'Università Bocconi di Milano, hanno proposto delle soluzioni (illustrate nel loro libro: Donne in attesa - L'Italia delle disparità di genere, edito da Egea) per attenuare le disparità di genere presenti a tutt'oggi nel nostro Paese:
1) Il primo àmbito affrontato è quello inerente alla "organizzazione famiglia-lavoro", legato al problema della scarsa erogazione da parte dello Stato di servizi fondamentali, quali gli asili nido o i congedi di paternità obbligatori, che sono un prezioso aiuto per le mamme che intendano proseguire il loro percorso lavorativo. L'Italia si rivela nel complesso arretrata rispetto alla media europea, con l'unica eccezione dell'Emilia-Romagna. Inoltre, studiando gli esempi virtuosi di Francia (come il chèque emploi service universel o CESU), Gran Bretagna e Belgio, Casarico e Profeta propongono l'erogazione, da parte dello Stato, di "buoni-lavoro" che possano coprire le spese per i lavori domestici e le cure dei neonati. In tal modo, la lavoratrice può provvedere alle esigenze familiari a costi contenuti, mentre l'impresa può usufruire di agevolazioni fiscali. Infine, le professoresse sottolineano la necessità di rendere il sistema pensionistico più flessibile nei confronti degli equilibri lavorativi delle donne.
2) Il secondo àmbito analizzato è quello della scarsa partecipazione femminile ai vertici delle imprese. Come suggerito da Casarico e Profeta, lo Stato dovrebbe promuovere degli incentivi per le società che assumono donne e far adottare loro comportamenti più virtuosi nella crescita professionale femminile. Inoltre, andrebbe considerata l'ipotesi di introdurre le cosiddette quote rosa, non per creare membri "di serie A e di serie B", ma per ridurre le distorsioni presenti nel mercato del lavoro che rendono la competizione tra uomini e donne meno trasparente. In questo caso, l'azione politica si rende necessaria per fissare tali quote, sia obbligatorie (come è avvenuto in Norvegia), sia volontarie (il caso della Svezia). Infine, vi è altresì la questione del "monitoraggio" dei processi di selezione ai vertici delle imprese. Dopo lunghi ritardi, l'Italia si è finalmente conformata alla Direttiva 54 dell'Unione Europea, che richiede agli Stati membri di istituire un organismo indipendente volto a vigilare sul rispetto della parità di trattamento tra uomini e donne. Tuttavia, come osserva Fiorella Kostoris, professoressa dell'Università La Sapienza di Roma, è lecito dubitare dell'effettiva autonomia ed indipendenza dell'organismo di monitoraggio istituito nel nostro Paese, in quanto l'organo designato a tal fine dipende dal Ministero del Lavoro.
3) Il terzo àmbito esaminato è quello della partecipazione delle donne ai vertici della politica. La scarsa presenza femminile in tale contesto è da attribuirsi prevalentemente alla volontà dei partiti politici, i quali scelgono le proprie candidate. In alcuni Paesi europei, come Belgio, Francia, Spagna e Portogallo, sono state introdotte quote rosa obbligatorie, che hanno favorito la presenza femminile nelle cariche politiche (in Belgio pari al 50%). In Italia, tuttavia, dove sono presenti solamente delle quote volontarie a livello dei partiti, le proposte di introdurre quote obbligatorie hanno a lungo ricevuto la forte opposizione da parte dei politici di tutti gli schieramenti.
In alcuni paesi europei sono stati adottati dei comportamenti che tengono conto dell'organizzazione dei ritmi lavoro-famiglia. Nei Paesi Bassi, ad esempio, si sta sperimentando una maggior flessibilità degli orari dei servizi (poste, banca, etc), che prevede l'interazione diretta tra le amministrazioni locali ed i cittadini, al fine di soddisfare le esigenze di questi ultimi. Oppure ancora il telelavoro, che permette alle mamme con figli da accudire di uscire prima dall'ufficio e di continuare a lavorare da casa. Tali pratiche hanno fin'ora avuto dei risultati positivi, favorendo il raggiungimento di un maggior equilibrio nella gestione delle questioni familiari all'interno della coppia.
Ultima modifica di Carla; 12-12-11 alle 14:24
Il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando di fascismo. Chi non era fascista era oppresso. Non può parlare di vera fede politica chi opprime le fedi altrui. (Sandro Pertini)
Siccome le donne avanzano in continuazione nella società inserendosi in in tutti i liveli lascerei fare tutto al tempo senza forzare con leggi specifiche.
Basta con questo femminismo d'accatto e di propaganda..
Forza Italia per la Libertà!
(Gv 3, 20-21)
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio
Le donne dovrebbero stare in casa a pulire e a occuparsi dei figli, il lavoro fuori dalle mura domestiche è competenza dell'uomo.:giagia:
Questa è una legge naturale stabilita fin dal tempo della Creazione. :giagia:
Ritengo che il movimento Se non ora quando abbia perso la sua ragione fondante, come del resto Popolo viola e il resto
PEOPLE SMASH AUSTERITY