Taranto - La cannonata è arrivata a metà settembre, quando la compagnia taiwanese Evergreen ha deciso di dirottare quattro grosse linee di traffico dal porto di Taranto a quello del Pireo. Da un giorno all’altro lo scalo pugliese si è trovato con il 30% in meno dei traffici, in un anno già negativo. La società - fortissimi i legami con l’Italia, sin dai tempi dell’acquisizione del Lloyd Triestino -ha sostenuto la scelta sulla base di tre motivi di insoddisfazione: il Terminal Container di Taranto (Tct, di cui la stessa Evergreen è azionista al 40%, l’altro 60% è nelle mani della Hutchison di Hong Kong, la stessa holding che controlla il gestore di telefonia mobile “3”) ha livelli di produttività troppo bassi, picchi di assenteismo ingiustificati (dall’azienda dicono il 25%-30%), mentre l’Autorità portuale - commissariata per quattro anni - non ha portato avanti lavori pubblici come il prolungamento della diga foranea o i dragaggi a 16 metri di profondità, per fare entrare portacontainer più grandi rispetto a quelle che oggi possono scalare Taranto.
Mobilità per 160 persone, levata di scudi dei sindacati, degli enti locali, della stessa Autorità portuale -che ha minacciato la revoca della concessione al Tct. Evergreen ha specificato che il dirottamento potrebbe essere temporaneo, ma che qualcosa sulle condizioni del lavoro deve cambiare.
Due mesi caldi, fino all’incontro del 5 dicembre scorso in Prefettura a Taranto. Al termine, l’ente dirama una nota ufficiale in cui si fa riferimento tra le altre cose al fatto che «le organizzazioni sindacali e la stessa Tct hanno concordato un percorso finalizzato alla sottoscrizione di un accordo aziendale». Sarebbe una novità assoluta, in un settore dove, ricorda Giacomo Santoro, segretario generale della Filt Cgil genovese, «il contratto dei porti è recente e proprio nel 2012 andiamo al rinnovo».
«La discussione c’è - dice Luciano Canepa, rappresentante per il Tct - ma la forma giuridica non è ancora stata definita». Il problema, è che la questione tarantina pare non sia del tutto scollegata allo strappo che si è consumato nei giorni scorsi in Assoporti da parte di otto presidenti di Authority. A guidare la rivolta è lo stesso Canepa, numero uno del porto di Ancona. L’ipotesi circola nella stessa associazione, ed è stata apertamente tratteggiata da Ugo Milone, responsabile nazionale per i porti della Fit Cisl, parlando in Comitato portuale a Napoli venerdì scorso (il presidente Luciano Dassatti è un altro dei dissidenti). «Se Canepa pensa che uscendo da Assoporti - ha detto Milone - possa avviare un percorso che vada in questa direzione minando quanto di buono fatto da Assoporti, posso dire a titolo unitario che non siamo per niente d’accordo». Milone ha specificato che si tratta di questioni «locali: i nostri rappresentanti territoriali non ci hanno informato, quindi ufficialmente non potrei esprimermi». Anche se evidentemente la questione è comunque nota. «Si può ripartire dal contratto dei porti - spiega Milone -: al suo interno ha tutti gli strumenti che, se resi esigibili, te lo consentono».
Una “cordata” per forzare sul contratto? Si capirà dall’incontro di oggi in Assoporti. Rimane il fatto che l’uomo di Evergreen in Italia è Pierluigi Maneschi, che controlla anche il terminal container Molo VII di Trieste. E il presidente del porto giuliano, Marina Monassi, è tra i dissidenti della prima ora.
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