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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    La mia resa davanti all'occidente scristianizzato
    Costanza Miriano si dice pronta a combattere come un soldato. Io voglio nascondermi
    Se Costanza Miriano si sente un soldato semplice, come dice nel titolo del suo ultimo libro (“Diario di un soldato semplice. Il Signore ama vincere con un piccolo esercito”, Sonzogno), io mi sento un disertore. O meglio, mi sento prossimo allo stato d’animo di quei militari italiani che l’8 settembre 1943, col re e lo stato maggiore in fuga verso Pescara, rimasero senza ordini e abbandonarono uniformi e caserme. Dunque leggo Costanza per capire dove ripiegare, dove ritirarmi con ordine (qualora sia possibile un ordine nella ritirata che sta vivendo il cristianesimo occidentale) o magari dove nascondermi, dove scappare. In fondo a questa antologia di testi del suo seguitissimo blog c’è un indice tematico dove trovo la battaglia che più meriterebbe di essere combattuta, quella contro l’abominevole utero in affitto, “l’uso più spietato e crudele che si possa fare del corpo di una donna: usarne una, massicciamente bombardata di ormoni, per produrre ovuli; poi un’altra per crescere un essere umano grande quanto una punta di spillo fino a che diventi in grado di farcela da solo; poi, infine, metterla da parte, impedendole perfino di toccarlo, quel bambino strappato alle sue viscere”. Resta che io vorrei gettare la spugna perché non vedo, Dio mi perdoni, come sia possibile farcela in un’Italia dove perfino i cattolici tifano Cristiano Ronaldo e ascoltano Elton John, e in una Chiesa dove chierici e laici non trovano di meglio che accapigliarsi sulla traduzione del Padre Nostro, ossia sul sesso degli angeli.
    https://www.ilfoglio.it/preghiera/20...izzato-226384/

    Cronaca di un incontro fra “Apoti”
    Aldo Maria Valli
    È un uomo giovane, dal fisico robusto. Occhi sinceri, che ti guardano senza incertezze. È un religioso, e indossa l’abito dell’ordine del quale fa parte. Racconta che un tempo ebbe una certa simpatia per la Chiesa del “rinnovamento” e dell’“aggiornamento”. Non era proprio un modernista, ma di certo guardava con sospetto a coloro che parlavano di difesa della tradizione e mettevano in guardia da certe derive del Vaticano II. Poi tutto è cambiato. Nel corso del pontificato di Francesco ha aperto gli occhi. Non è diventato lefebvriano, ma ha incominciato a capire le preoccupazioni espresse da quella parte della Chiesa e ora si riconosce in quell’impegno per la custodia della dottrina e il rispetto della tradizione.
    Ci vediamo per la prima volta, non possiamo dire di conoscerci. Tuttavia si stabilisce una sintonia. Mi racconta che all’interno del suo ordine è stato completamente emarginato. Quando ha iniziato a esprimere apertamente i suoi dubbi e le sue perplessità circa l’indirizzo dato alla Chiesa dall’attuale pontificato, quando ha detto di non riconoscersi nel misericordismo e nella visione marcatamente orizzontale e sociale dell’evangelizzazione, quando ha fatto capire di non essere entusiasta della Chiesa che cerca a ogni costo l’applauso del mondo, i superiori lo hanno rimosso da tutti gli incarichi che ricopriva. Nessuno spazio di dialogo: la critica, sia pure garbata, non è stata ammessa. Cose succedono nella Chiesa che predica di costruire ponti e non muri…
    Gli dico che lo capisco bene e che non è certamente il primo a raccontarmi una vicenda simile e lui sorride. Non nutre il minimo rancore verso chi lo ha messo ai margini. Anzi, è molto sereno e ringrazia il buon Dio: tutto ciò che sta vivendo, sottolinea, gli permette di fare ordine nella vita, di assegnare la priorità a ciò che conta davvero, di recuperare spazi di preghiera.
    Parliamo di liturgia e mi dice che ormai ha scelto il vetus ordo. Strano, sottolinea, per uno come lui, mai stato in precedenza dalla parte dei tradizionalisti. Eppure la progressiva presa di consapevolezza della deriva della Chiesa cattolica in senso protestante lo ha spinto naturalmente verso la Santa Messa in rito antico, che ora gli appare come qualcosa non di esotico, ma di assolutamente naturale: l’unica Messa davvero cattolica.
    Camminiamo in silenzio e ci ritroviamo a sospirare insieme. Ci viene da ridere perché da un po’ di tempo i discorsi fra i “cattolici perplessi” finiscono sempre con un gran sospiro.
    Ci chiediamo: ma dove vuole arrivare questa Chiesa che insegue il mondo? Quale l’obiettivo finale di questa Chiesa che vuole essere amica e non parla più del peccato e del giudizio divino e si compiace di ottenere l’applauso del pensiero dominante? Dove si vuole arrivare lasciando intendere che tutte le religioni sono uguali? Che cosa si pensa di ottenere sostenendo che la Chiesa è al servizio del mondo e dimenticando che può essere al servizio del mondo solo se è al servizio di Dio?
    Di nuovo ci guardiamo e di nuovo sospiriamo. È il momento di stringerci la mano. Il tempo è passato in fretta. Ci ringraziamo a vicenda per la compagnia. Mi dice: “Sa, a volte uno pensa di essere impazzito. Vedi che tutti vanno in una certa direzione e pensi: ma allora in me c’è qualcosa che non funziona! Poi incontri un altro che la pensa come te e capisci di non essere pazzo”.
    Vorrei citargli Giuseppe Prezzolini e la sua celebre “Società degli Apoti”, ovvero di “quelli che non se la bevono”, gente che, anche a costo di pagare di persona, ama ragionare con la propria testa, senza accontentarsi degli slogan che suonano bene e sono di gran moda ma non dicono nulla. Vorrei ricordare che quando Prezzolini parlò della “Società degli Apoti” si innescò un appassionato dibattito che coinvolse gente come Piero Gobettti e don Luigi Sturzo. Ma ora con chi potremmo mai dibattere noi poveri “Apoti” sperduti nel mare del conformismo, dell’ignoranza e della superficialità?
    Intanto il religioso se n’è andato. Ci siamo promessi che ci rivedremo. Per farci coraggio e sospirare insieme. Che è già qualcosa.
    https://www.aldomariavalli.it/2018/1..._r7BHhXSmkvyuk

    IL SEGRETO DI BENEDETTO XVI. IL NUOVO LIBRO DI ANTONIO SOCCI PONE DOMANDE INQUIETANTI. IN ATTESA DI RISPOSTE
    Marco Tosatti
    Oggi esce l’ultimo libro di Antonio Socci: Il segreto di Benedetto XVI, per i tipi di Rizzoli. È un’opera avvincente; diremmo di più, sostanzialmente inquietante, nel senso letterale della parola, e cioè che annulla lo “stato di quiete” con cui tutti noi che abbiamo vissuto e seguito le drammatiche dimissioni di Benedetto XVI abbiamo accolto – si può dire, con naturalezza – un evento tanto drammatico. E soprattutto, se non ci sbagliamo nell’interpretazione, questo libro vuole infrangere lo “stato di quiete” dell’attuale gestione della Chiesa, del Pontefice regnante e della sua corte.
    Si parte da una constatazione evidente a molti: e cioè che la Chiesa cattolica la “Santa Madre Chiesa è dinanzi a una crisi senza precedenti in tutta la sua storia” come ha scritto padre Serafino M. Lanzetta. Anche R. Emmett Tyrrell Jr., sul Washington Times, usa la stessa immagine: “È arrivata l’ora che papa Francesco riconosca che è stato a capo della Chiesa Cattolica in un momento di crisi senza precedenti”.
    Giustamente rimarca l’autore che “La dolorosa serie di scandali per abusi che la travolge – con un vertice vaticano che non l’affronta – è solo la punta dell’iceberg di un grande smarrimento spirituale”, il segno di una perdita di fede, e di fiducia in quella che è stata, ed è ancora per molti, la dottrina cattolica. E sottolinea: “Il dramma, più vasto e profondo, ha come nodi la crisi di credibilità del papato di Jorge Mario Bergoglio, fonte di immensa confusione tra i fedeli, e il rischio incombente di deviazioni dalla dottrina cattolica che potrebbero portare la cristianità all’apostasia e allo scisma”.
    Socci pone le dimissioni di Benedetto XVI nel loro contesto storico. Fino al momento della rinuncia la Chiesa non aveva ceduto allo spirito del mondo e alle tempeste partite da lontano, dai tempi della rivoluzione francese, e da due secoli di attacchi iper laicisti e anti cattolici. Era stata l’unico bastione a opporsi allo globalizzazione delle coscienze. Benedetto compreso.
    Con la presidenza di Barack Obama/Hillary Clinton – in continuità con le presidenze di Bill Clinton degli anni Novanta – si è imposta su scala planetaria un’ideologia laicista, mascherata da ideologia politically correct, a supporto dell’egemonia planetaria degli Usa e della globalizzazione finanziaria. Dunque il pontificato di Benedetto XVI è diventato un ostacolo. E la chiesa cattolica si è trovata totalmente indifesa, senza alleanze…
    “Con la presidenza di Barack Obama ci si scontra intorno ai matrimoni omosessuali, all’aborto, alla ricerca sulle cellule staminali. La stessa Conferenza episcopale nazionale non si ritrova con l’Amministrazione di Washington intorno alla riforma sanitaria o alla cosiddetta agenda «liberal»”.
    “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”. Tutti ricordiamo quella frase, così misteriosa e inquietante di papa Benedetto. Ricorda Socci che “Il papa indicava così una serie di elementi da tenere presente: apostasia nella Chiesa, odio della fede da parte del mondo, l’anticristo e «la fine (perversa) di tutte le cose”. E ricorda anche ciò che Benedetto ha voluto dire del suo incontro con l’altro grande avversario dei Poteri che cercano di impadronirsi del mondo, corpo e anima:
    “[Con Putin] abbiamo parlato in tedesco, lo conosce perfettamente. Non abbiamo fatto discorsi profondi, ma credo che egli – un uomo di potere – sia toccato dalla necessità della fede. È un realista. Vede che la Russia soffre per la distruzione della morale. Anche come patriota, come persona che vuole riportarla al ruolo di grande potenza, capisce che la distruzione del cristianesimo minaccia di distruggerla. Si rende conto che l’uomo ha bisogno di Dio e ne è di certo intimamente toccato. Anche adesso, quando ha consegnato a papa Francesco l’icona, ha fatto prima il segno della croce e l’ha baciata”.
    Le dimissioni di Benedetto restano ancora per molti un grande punto interrogativo, un quesito dalle molteplici concomitanti risposte. Socci offre qui una sua ipotesi: “Pur non avendo alcuna prova, ho sempre pensato che Benedetto XVI sia stato indotto all’abdicazione da una macchinazione complessa, ordita da chi aveva interesse a bloccare la riconciliazione con l’ortodossia russa, pilastro religioso di un progetto di progressiva convergenza tra l’Europa continentale e Mosca. Per ragioni simili, credo sia stata fermata anche la corsa alla successione del cardinal Scola, che da patriarca di Venezia aveva condotto le trattative con Mosca”.
    Siamo comunque di fronte a un progetto di un mondo unipolare a egemonia americana – che quindi deve piegare una Russia tornata indipendente e autonoma – è l’ultima follia ideologica partorita dal Novecento dei totalitarismi…È un progetto imperialistico suicida per gli Stati Uniti e pericolosissimo per il mondo, ma impregna così in profondità l’establishment americano (sia nella fazione neocon sia in quella liberal) che perfino Donald Trump – il quale ha vinto contro di loro e contro questa ideologia – deve oggi venire a patti e si trova pesantemente condizionato da questo blocco di potere, che sembra più forte del presidente eletto perché ha in pugno il Deep State.
    Sono importanti da ricordare, e fa bene Socci a farlo, le manovre dell’amministrazione Obama-Clinton per organizzare una “rivoluzione” nella Chiesa. Una rivoluzione, in effetti, c’è stata, come abbiamo visto, e come vediamo. E non sono pochi quelli che la collegano ai poteri forti finanziari e ideologici a cui dava fastidio la Chiesa di Benedetto, e a cui davano fastidio i vescovi americani, schierati in una battaglia culturale, che li fa definire “cultural warriors” in tono dispregiativo dalla stampa prezzolata – e non è un modo di dire – dell’attuale Regime.
    Anche per questo “Benedetto XVI, durante gli anni del suo pontificato, è stato sottoposto ad attacchi sistematici e continui e si è trovato in una condizione di isolamento palese, sempre più pesante, fino a non avere più neanche il potere reale all’interno della Curia”. Dimissioni, e poi il Conclave; e una delle riunioni chiave per organizzare l’elezione di Bergoglio si svolge – come se non ci fossero aule e conventi e istituti religiosi a Roma! – nell’Ambasciata britannica.
    Nota Socci: “È alquanto singolare questo ruolo diretto giocato da una potenza che è storicamente anticattolica (peraltro è pure la culla della massoneria). Chiunque conosca un po’ la formidabile e «imperiale» politica estera britannica può facilmente essere indotto a ritenere che ci sia stato un forte interesse politico, di quell’importante Paese, a far eleggere Jorge Mario Bergoglio”.
    Accenniamo solo di passaggio, per motivi di spazio, alle analisi molto interessanti relative a quanto sta accadendo in Europa e nel mondo, al progetto di rendere inesistenti confini e identità, per gestire più facilmente le nuove masse finalizzate a servire un capitale senza volto. E veniamo al nodo dell’opera: le dimissioni di Benedetto, ma soprattutto che cosa hanno significato, e in che misura, e da che cosa si è dimesso.
    “Così, per Benedetto XVI dobbiamo chiederci: ha davvero rinunciato del tutto al ministero petrino? Non è più papa?”. Risponde Socci: “Dal punto di vista soggettivo possiamo dunque affermare che la sua intenzione – che è decisiva per definire l’atto che ha compiuto – non era quella di non essere più papa…È evidente che – pur avendo fatto una rinuncia relativa al papato (ma di che tipo?) egli ha inteso rimanere ancora papa, sia pure in un modo enigmatico e in una forma inedita, che non è stata spiegata (almeno fino a una certa data)”.
    E in effetti bisogna ricordare che Benedetto disse, parlando del pontefice romano: “Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero non revoca questo”. Ha ragione l’autore a sottolineare che questa distinzione, “Giusta o sbagliata”, non è stata presa sufficientemente da conto da parte degli osservatori, e – lasciando da parte noi giornalisti, per definizione faciloni e un po’ somari, brillanti magari ma somarii – soprattutto da parte di studiosi e canonisti.
    Si pone a questo punto un altro problema, enorme. “E a questo punto c’è chi si chiede – attenzione – se per il diritto canonico… una rinuncia dubbia non sia di fatto una rinuncia nulla, con le conseguenze colossali che intuiamo”. Non è il solo problema legato a quella decisione di papa Benedetto. Nota l’autore: “D’altra parte fu anche una fretta contraddittoria perché la rinuncia, quell’11 febbraio, non fu immediata come avrebbe dovuto, ma decorse a partire dalle ore 20.00 del 28 febbraio successivo, senza alcun motivo, cioè senza che vi fosse nessuna ragione tecnica o pastorale (né evidente, né dichiarata) in quella validità posticipata di diciassette giorni”.
    Si apre proprio per questo l’ipotesi della possibile nullità dell’atto: “La ragione per cui gli actus legitimi, come l’accettazione o la rinuncia non tollerano l’apposizione di condizioni o termini” afferma un esperto “risiede nel fatto che si tratta di atti che si compiono mediante la pronuncia di certa verba, come dicevano i giuristi romani, tali da risultare logicamente incompatibili con un rinvio – quale la condizione o il termine comportano – degli effetti dello stesso che con quei certa verba si compie. Dunque, l’incasellamento dell’accettazione e della rinuncia in questa categoria giuridica comporta la nullità radicale dell’atto (vitiatur et vitiat)”.
    La conclusione del canonista è chiara: “Oggetto della rinuncia irrevocabile infatti è l’execution muneris mediante l’azione e la parola (agendo et loquendo) non il munus affidatogli una volta per sempre». E “la rinuncia limitata all’esercizio attivo del munus costituisce la novità assoluta della rinuncia di Benedetto XVI”.
    Elementi confermati dal prefetto della casa Pontificia, mons. Georg Gänswein secondo cui la «rinuncia» di Benedetto XVI – il quale “decise di non rinunciare al nome che aveva scelto» – è diversa da quella di papa Celestino V il quale – dopo il suo abbandono del papato – «era ridiventato Pietro dal Morrone”.
    E continuava con una delle affermazioni più sorprendenti e clamorose: “Perciò, dall’11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat)”. È il nodo del doppio ministero, cioè il punto in cui si prospetta la “dimensione collegiale” del ministero petrino, “quasi un ministero in comune”.
    Un concetto che è necessario che prima o poi venga dipanato. Ma chi avversa e volesse impugnare questa concezione dei fatti – si ritroverebbe a fare i conti con la domanda sulla validità di una rinuncia dubbia o parziale. È questo il pacchetto esplosivo che Antonio Socci getta, con questo suo libro, sul tavolo della discussione sulla e nella Chiesa di oggi. Una serie di questioni e domande che attendono risposte precise.
    maglie e tosatti sul libro di socci,'il segreto di benedetto xvi',la domanda-bomba sulle dimissioni - Cronache

    LA PAPATA BOLLENTE - 'NEL NUOVO LIBRO SOCCI SI CHIEDE QUALE RICATTO INTERNAZIONALE SI CELI DIETRO LE DIMISSIONI DI PAPA BENEDETTO XVI: LA CHIESA DEL DISCORSO DI RATISBONA ERA UN OSTACOLO ALLA GLOBALIZZAZIONE SFRENATA
    Il segreto c'è, e sara’ svelato, anche se farlo inquieta e mette a rischio. Dello straordinario libro di Antonio Socci sulle dimissioni di Benedetto XVI e l'attuale condizione della Chiesa Cattolica, mi interessa, e soprattutto sono competente solo a, mettere in risalto il contesto storico mondiale che accompagna il papato, Le incredibili dimissioni, le circostanze ambigue dell'elezione del successore, la persistenza di una presenza discreta ma non rinunciataria del papa emerito col papa in carica.
    Per il resto volentieri vi lascio alla lettura della recensione colta, completa e necessariamente non rassicurante, di Marco Tosatti, vaticanista straordinario che recentemente ha aiutato Monsignor Viganò a far sentire la sua voce di denuncia degli scandali coperti dalla Chiesa di Bergoglio.
    Siete liberi di crederci o no, ma l'argomentazione è impeccabile e serrata. Il contesto storico mette i brividi a un osservatore anche impavido perché spiega bene come la globalizzazione intesa come redistribuzione iniqua del potere e delle ricchezze, non come forma evoluta di scambio, abbia invaso anche la sfera delle coscienze, abbia individuato nella Chiesa del discorso di Ratisbona un nemico da privare di baluardi.
    Quale ricatto internazionale si cela dietro le dimissioni di Papa Benedetto XVI, o per dirla in modo più prudente, a quale isolamento internazionale si è trovata esposta la Chiesa in quel periodo, spogliata di alleanze, identificata come scudo dell'Occidente da invadere e contaminare?
    E’ Il politically correct, bellezza, e tu non puoi farci niente. È la presidenza di Barack Obama, Premio Nobel alle intenzioni, l'allegria preventiva e senza costrutto ne’ preparazione politica delle cosiddette primavere arabe; infine con la missione in Libia del segretario di stato Hillary Clinton in preparazione, che farà fuori un dittatore spietato ma pensionato ormai, e divenuto, sia pur a caro prezzo di denaro, un collaboratore nell'opera meritoria di fermare sbarchi indiscriminati verso le nostre coste.
    Probabilmente l'operazione e’ cominciata prima, l'età dell'oro in economia di Bill Clinton che preparava le truffe della finanza, e l'accettazione della sua disinvolta vita privata da parte degli americani e dell'opinione pubblica.
    Ma l’agenda liberal si manifesta in tutta la sua aggressività con Obama: matrimoni omosessuali, aborto, ricerca sulle staminali, transgender. E, quel che è grave, non intende fare il proprio percorso accettando di avere un avversario nella cristianità, e nel Papa romano; intende isolare la fede, chi la prova, chi la pratica. In questa avversione sarebbe miope attribuire tutta la responsabilità a Washington, perché l'attacco è concentrico, si sviluppa facilmente in Europa e nell'Unione Europea a trazione tedesca e francese intenta alla pratica dell'accoglienza.
    Basta ricordare non solo le furibonde polemiche dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, ma le continue ostilità e boicottaggi aperti, uno per tutti la mancata visita all'università La Sapienza di Roma all'inizio del 2008. Uno scandalo, digerito con grande disinvoltura da chi comandava in Italia: governo Prodi, ben 67 firme di docenti contro la visita del Papa per l'inaugurazione dell'anno accademico dove lo aveva invitato il rettore. Tra le dichiarazioni quella immancabile di Emma Bonino: "Nessuno vuole imbavagliare il Papa o togliergli la parola. L'unico che ha la parola, mattina e sera, è appunto il Papa, con i suoi seguaci, e la morale cattolica”. Già piena Open Society, non era ancora l'epoca dell'abbraccio con Bergoglio.
    In quel periodo difficile di contrasto con i lupi, come lui stesso li definisce, Papa Ratzinger intreccio’ un rapporto stretto con Vladimir Putin, la Russia bianca cristiana. Segue questi incontri il cardinale Scola, al quale poi sarà tagliata la strada della successione al papato. Quella successione, ricorda Antonio Socci, viene discussa e organizzata anche all'interno dell'ambasciata britannica a Roma, sede a dir poco stravagante, certamente collegabile ad ambienti della massoneria.
    Il successore, Bergoglio, per citare un solo episodio, farà propria la battaglia culturale dell'amministrazione Obama contro i vescovi che si oppongono ad altri vescovi, per esempio a pedofili e protettore di pedofili, uno scandalo dimostrato ma rimasto senza risposte ufficiali anche di recente. Il successore farà propria la battaglia del multiculturalismo e perfino del politically correct.
    Nel frattempo certamente il sistema americano ha trovato il modo di difendersi e proteggersi eleggendo a sorpresa un fiero avversario di globalizzazione e correttezza politica nella persona di Donald Trump. ma il Deep State lo avversa in tutti i modi possibili, leciti ed illeciti.
    Nel frattempo il Papa del segreto, che in segreto ha lasciato, perché isolato e schiacciato dalla macchinazione che aveva invaso la Curia, secondo la tesi di Antonio Socci, alle prerogative del Papa non ha mai rinunciato, nemmeno nei vestimenti. C'è, e, quando deve, parla.
    maglie e tosatti sul libro di socci,'il segreto di benedetto xvi',la domanda-bomba sulle dimissioni - Cronache

    LA “RISPOSTA” DEL VATICANO ALLA NOSTRA ESTINZIONE
    Maurizio Blondet
    “Davvero simbolico il video proiettato sulla chiesa di Santa Maria della Minerva per concludere il Sinodo della Gioventù: la chiesa (o piuttosto la Chiesa?) viene scoperchiata, poi demolita, infine dissolta..”, mi scrive il lettore Alberto Piccoli. E’ accaduto a fine ottobre ma m’era sfuggito, perché ormai distolgo il pensiero e lo sguardo dal Vaticano occupato dalla junta sudamericana, come si deve fare per non guardare la madre fattasi, a tarda età, prostituta del “Mondo”.
    Tuttavia è stato commentato, negli ambienti cattolici americani ed inglesi – evidentemente meno assuefatti di noi dì questo Vaticano mai sazio di profanare – come satanico, demonico, inquietante, una forma di orribile scherno. Il significato è effettivamente inequivocabile: e poiché è stato autorizzato dal Vicariato di Roma, lo leggiamo come la pulsione di morte, lo spasimo di questa chiesa di Bergoglio per l’annichilimento di sé, di ogni soprannaturale e di ogni sacramentale – e di tutto il passato, duemila anni di arte e di bellezza che ormai odia.
    Insaziabile sete di profanazione
    L’architettura unica – facciata classica ed interno gotico unico in Roma, epitome integrale della Tradizione eropea – viene mostrata mentre si liquefa bavosamente, sventrata, scomposta, per una attimo non è che un teschio, e infine polverizzata : ma questa smaterializzazione, lo si dice chiaro, è solo “un trucco di fumo e di specchi”, a trick of smoke and mirrors come Shakespeare chiamava le magie del grande Illusionista, che sostituisce ciò che è stato solido con il vuoto dell’aria di cui è Principe, maceria – e tunnel delle tenebre finali.
    Nella chiesa così profanata sono conservati i resti mortali di Santa Caterina da Siena, ed è la chiesa titolare dei cardinale Antonio Dos Santos Marto di Fatima, il cui nome evoca i cari pastorelli Giacinta e Francisco Marto, cui a Fatima le Vergine Madre avvertì della crisi finale della Chiesa.
    “Mi ha chiesto se volevo restare per convertire altri peccatori. Le ho detto di sì”.
    Insomma si è sputato sui cari eroici fratellini che tutto han sofferto “per i peccatori” , e la Patrona d’Italia e d’Europa, la sapiente, la dottore della Chiesa per divina grazia evidente, essendo lei illetterata . Questa insaziabile voglia di oltraggiare e disonorare ciò che ci è caro, sacro e necessario, è davvero il più evidente indizio di ossessione satanica della Junta chiesastica.
    Ancor più significativo che questo abbia offerto la Junta al Sinodo dei Giovani. Nient’altro che l’immagine della propria volontà di autodistruzione. Come dirlo? Abbiamo la certezza che – con la popolazione femminile fra i 15 e i 49 anni diminuita di 900 mila unità – ormai l’estinzione degli italiani è “un processo innescato” e già di fatto irreversibile; i “giovani” a cui la chiesa rivolge il suo “messaggio” di “accoglienza” secondo le direttive dell’ONU non sono sempre più rari, ma al ritmo di 250 mila l’anno devono andare all’estero per trovare da vivere con dignità: il che significa, vivere in un’altra lingua, ossia in un altro universo culturale, spirituale. Alla lunga, assorbiti e integrati in una non-Italia.
    “Ciò significa”, cito Gianluca Marletta,”che l’Occidente così come lo conosciamo – da un punto di vista culturale, sociale, etnico, spirituale, sicuramente anche economico col suo corollario di “sicurezze” – è al suo termine. Non è apocalittica o escatologia, sono dati tecnici: pochi giovani significa pochi figli futuri, in ogni caso la FINE di una CIVILTA’. Possiamo far studiare i nostri figli, sperare per loro, ma una cosa è sicura: l’Italia, l’Europa, l’Occidente, sono clinicamente morti; e la presente è l’ultima generazione che ha la possibilità di vivere il tipo di mondo che noi stiamo ancora vivendo”.
    Il “messaggio” ai “Giovani”
    Così possiamo a vedere come sia totale il tradimento della chiesa vaticana a questi giovani su cui finge di puntare. Non ha altra risposta che quella di Soros e del Palazzo di Vetro, sostituire il sangue vecchio col sangue nuovo di immigrati africani e medioorientali dalla democrazia tumultuosa, che feroci sbarcano. Come se si trattasse di “sangue”, di materialità meccanica, come se la salvezza fosse nello stupro dei negri o dei musulmani sulle restanti giovani donne per”fare figli”.
    S’intende, non è questione di razza. Se non si hanno più figli naturali, si possono avere figli spirituali o culturali. Dovremmo avere l’ambizione di rendere “italiani” i nigeriani, eritrei o bangla, afghani e turchi, ossia: che sentano “propri” Dante Alighieri e Rossini e Verdi, che si sentano figli , nel proprio sangue, delle chiese romaniche, del barocco romano, il tema centrale dell’architettura per duemila anni. Noi, sterili geneticamente, abbiamo ancora una eredità da trasmettere, da donare ai nuovi venuti, perché ne siano orgogliosi.
    Ma noi, come massa, siamo forse coscienti e orgoglio di questa eredita? Non so chi conosca ormai Dante Alighieri, o si sente figlio della basilica tardo-romana di San Lorenzo. Noi stesso siamo già “stranieri” accampati fra le splendide rovine che ci ha lasciato – chi? Se non la Chiesa? Il Cristo diventato civiltà?
    “Chiamo Europa ogni terra che è stata romanizzata, cristianizzata e si è sottomessa allo spirito di disciplina dei Greci”, diceva Paul Valéry. Ora El Papa ci predica ogni giorno – come Soros, come Mattarella, come la Kommisione – che questo è “cristianesimo” da farisei, da “mummie da museo”, da “facce da funerale”, da “cristiani senza speranza” nel loro moralismo retrivo (traggo dal ricco florilegio di insulti bergogliani contro i credenti), formalisti, un ostacolo alla “carità” cristiana. La quale è pura solo se è senza cultura, senza passato.
    Vien da replicare con Barbey D’Aurevilly: “Il cattolicesimo ristretto, triste e pieno di scrupoli che si inventano contro di noi, non è quello – quello che fu sempre la civilizzazione del mondo. Il cattolicesimo è la scienza del Bene e del Male. Sonda le reni ed il cuore, due cloache traboccanti di un fosforo incendiario”.
    Ebbene: nell’ora tragica della nostra estinzione, El Papa ci toglie, la sua Chiesa ci fa mancare, proprio il tesoro che possiamo, anzi dobbiamo trasmettere ancora ai nuovi venuti; insulta, sputa e profana l’ultima speranza nostra di essere ancora padri – che trasmettono la cultura e la civiltà ricevuta ai figli che sono stati generati da altre madri. Generatori in loro della cultura. Esigente, perché è esigente la civiltà, bisogna apprenderla con disciplina ed amore.
    A questo, la neochiesa ci sostituisce ciò che Kolakovski ha chiamato “l’universalismo culturale che si nega” – ossia “che nega se stesso se è generoso fino al punto da disconoscere la differenza tra la tolleranza e l’intolleranza in se stesso e nella barbarie; si nega, se per non cadere nella tentazione della barbarie, dà agli altri il diritto di essere barbari”.
    E’ lo scacco finale della cristianità. E non a caso è una contraddizione in termini: perché quel che El Papa nega, è il Logos stesso. Il solo Pane di Vita che è anche Intelligenza – e lo sostituisce con l’assurdo surrogato demente della grande sostituzione, il surrogato con cui si è fatta pagare dall’Onu prostituendosi, antica madre, davanti al Palazzo di Vetro. Che in fondo è il nichilismo supremo, il luciferino “tutto ciò che esiste merita di morire” dell’Omicida fin da Principio.
    Perché in fondo è di questo che ci estinguiamo, come popolo o popoli, per la denutrizione di questo alimento che la neochiesa vuol privarci. Perché (e giuro, sarà l’ultima citazione) un non credente lucidissimo e disperato come Houellebecq, ha riconosciuto il bisogno radicale, e radicalmente insoddisfatto: “Qualcosa che superi e contenga l’esistenza. Noi non possiamo più vivere lontani dall’eternità”.
    Ma appunto per questo, cesso di scandalizzarmi e di temere. Noi abbiamo fallito e peccato al punto – tutti responsabili – che solo un intervento di Cristo può ormai salvarci. E ci è stato promesso. La crisi demografica irreversibile? Dio può creare figli di Abramo “da queste pietre”.
    https://www.maurizioblondet.it/la-ri...ra-estinzione/

  2. #362
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Amanti e abusi, la dolce vita della "spalla" di Maradiaga
    Ci sono guai grossi nella diocesi del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga legati sia agli abusi sessuali, sia ai comportamenti omosessuali del suo braccio destro, il vescovo Pineda. Che è stato dimesso, ma sul quale non è stata avviata nessuna indagine. La pubblicazione di un dossier svelta uno scenario inquietante sul "protetto" di uno dei principali collaboratori del Papa.
    Ci sono guai grossi nella diocesi del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, e guai altrettanto grossi nella Chiesa dell’Honduras: legati sia agli abusi sessuali, sia ai comportamenti omosessuali del braccio destro di Maradiaga, il vescovo Pineda, di cui si sono accettate le dimissioni, ma verso il quale a quanto si sa non sono state prese disposizioni canoniche, e non sembra essere neanche in corso un’inchiesta. Un articolo dell’8 novembre su ConfidencialHN.com, un sito attendibile di notizie dell'Honduras, riporta il racconto di un testimone chiave e di altra documentazione; non solo corrobora molte delle accuse contro il vescovo ausiliario di Tegucigalpa caduto in disgrazia, Juan Jose Pineda Fasquelle, ma fornisce anche maggiori dettagli sul caso.
    A luglio papa Francesco ha accettato le dimissioni del vescovo Pineda, che è stato accusato di aver abusato sessualmente di seminaristi. Molti dei quali hanno scritto una lettera per denunciare la situazione nel seminario. È stato anche accusato di avere una serie di amanti omosessuali e di una gestione allegra delle finanze dell’arcidiocesi, che è quella del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, di cui era il braccio destro. Maradiaga è uno dei principali consiglieri del Pontefice regnante, è un personaggio chiave sia del C9, il consiglio di cardinali a cui è affidata la riforma della Curia e della Chiesa, e ha giocato un ruolo in nomine importanti, come quella del cardinale Blase Cupich (insieme con McCarrick) a Chicago e del nuovo Sostituto alla Segreteria di Stato, l’arcivescovo Pena Parra.
    Mons. Pineda, 57 anni, ha spesso gestito la diocesi in nome del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, che è spesso in viaggio all’estero. E in particolare, nella primavera scorsa, il vescovo ha guidato l'arcidiocesi mentre il cardinale era assente per ragioni di salute.
    Prima delle dimissioni del vescovo Pineda, le accuse di corruzione morale e finanziaria avevano portato a una visita apostolica nel maggio 2017. I risultati dell’inchiesta, consegnata nelle mani del Pontefice, non sono mai stati resi pubblici. Così come non è stata resa di pubblico dominio alcuna sanzione contro il vescovo, o la notizia di alcun atto di riparazione da parte del vescovo stesso.
    Le accuse di cattiva condotta finanziaria riguardano la presunta appropriazione indebita di 1,3 milioni di dollari elargiti da parte del governo honduregno, e destinati a progetti caritatevoli; e che sarebbero “completamente scomparsi", secondo le fonti.
    Basandosi sulle dichiarazioni di un testimone chiave che faceva parte dell'inchiesta vaticana, il sito ConfidencialHN offre nuovi dettagli. Fra questi si afferma che al fine di ottenere la sovvenzione governativa, il vescovo Pineda visitò varie parrocchie, chiedendo ai sacerdoti di fornirgli i dettagli dei progetti presunti, a cui sarebbero dovuti andare i fondi governativi. Alcuni preti obbedirono, altri no. Nessuno dei progetti è stato eseguito. L'articolo afferma inoltre che un organismo di mediazione, accusato di riciclare il denaro del governo, è stato anche utilizzato allo scopo di acquisire i fondi.
    L'autore dell'articolo, David Ellner Romero, spiega come uno dei presunti amanti di Bishop Pineda, Erick Cravioto Fajardo, un laico messicano che il vescovo ausiliare ha travestito da prete per ottenere un'esenzione fiscale su un'auto Toyota Yaris che ha comprato per lui, abbia redatto un documento "ben scritto" per garantire la concessione.
    Era "così ben scritto", dice Ellner, che il cardinale Maradiaga ha firmato, "ignorando il vero scopo del suo assistente" e della "organizzazione criminale creata per saccheggiare questi fondi statali". Ellner riporta anche come la Chiesa non abbia mai controllato i fondi, ma invece siano stati "gestiti personalmente dal vescovo Pineda". Il cardinale "non ha avuto altro da fare che firmare il documento", riferisce Ellner, aggiungendo che il testimone ha detto: "Egli [ il cardinale] è stato giocato, ingannato e ha firmato".
    L'articolo di ConfidencialHN corrobora altre accuse: che il vescovo Pineda ha usato i soldi "per pagare favori sessuali, mantenere una rete di amanti, per i quali ha comprato diversi immobili, automobili, motociclette, e fare viaggi all'estero con un amante pagato, tra gli altri". Questi sono poi elencati in dettaglio, così come le presunte pratiche omosessuali.
    Notando la grande disparità tra le azioni del vescovo ausiliario e le sue omelie, Ellner afferma che il "testimone protetto" ha testimoniato le relazioni omosessuali tra il vescovo Pineda, Cravioto e altri. Questi atti sessuali erano praticati in modo "nascosto", ma sempre con finestre lasciate "aperte alla curiosità e al sospetto", e presumibilmente si svolgevano spesso a Villa Iris, residenza del cardinale.
    Il National Catholic Register ha scritto, nel marzo scorso che, per anni Cravioto ha vissuto in una spaziosa stanza adiacente all’appartamento del cardinale nella residenza dell’arcidiocesi. Anche il vescovo Pineda viveva nella villa..
    L'articolo racconta come il vescovo Pineda "era abituato a visitare i diversi comuni" dell'arcidiocesi, chiedendo sempre "due stanze", sebbene la comitiva comprendesse tre persone. "È sempre rimasto in una stanza singola con il suo assistente, Oscarito", ha detto il testimone.
    Ma più seria é l'accusa del testimone che il vescovo Pineda era solito portare dei chierichetti, che all'epoca erano anche seminaristi, per aiutarlo a celebrare la messa in un luogo chiamato Valle de Angeles.
    "Nella casa c'era solo una stanza con un letto e un divano, e lui [il vescovo Pineda] è rimasto con due bambini", ha affermato il testimone nella testimonianza che ha fornito all'inchiesta del Vaticano. "E la cosa strana è che il giorno dopo stavamo facendo colazione e il divano era chiuso, non utilizzato. Ciò significa che aveva dormito con loro due a letto".
    Ellner ritorna poi a Cravioto e spiega come, dopo essersi separati, presumibilmente si unirono ad altri amanti: il vescovo Pineda con Oscarito e Cravioto con un certo Denis, che ricevette una borsa di studio a tempo pieno all'Università cattolica dell'Honduras.
    Secondo quanto riferito, Cravioto e Denis si sono poi lasciati dopo un litigio, in cui il vescovo Pineda ha dovuto intervenire per fermarli, e Cravioto ha poi incontrato un altro amante chiamato Darwin che, secondo quanto riferito, ha una borsa di studio a tempo pieno all'università.
    Ellner, sostiene che è stata la sovvenzione di 1,3 milioni di dollari il catalizzatore che portato alla luce tutta la presunta pessima gestione, e, riferisce delle minacce che seguirono quando il vescovo Pineda fu sopraffatto dalle lamentele, specialmente dai seminaristi del seminario di Nostra Signora di Suyapa.
    Riferisce che il vescovo Pineda avrebbe scarabocchiato i nomi, in rosso, su uno specchio, nelle "grandi sale di Villa Iris", di una mezza dozzina di preti e laici che credeva lo avessero tradito, un'azione che il testimone ha detto denotava "il suo stato di follia”.
    In un editoriale del 16 novembre, ConfidencialHN mette in luce altri presunti casi di abuso in Honduras. Indica il caso di padre German Flores, accusato di aver violentato diverse ragazze, ma dice anche: "ci sono altri nomi" che, per "professionalità", scelgono di non menzionare. Nessuno di questi casi, dice, "è stato riferito alle autorità civili e giudiziarie".
    L'editoriale sostiene che il vescovo Pineda abbia trasferito padre Flores in un'altra parrocchia, poi ha cercato di mettere a tacere la situazione, ma non ha emesso "misure precauzionali o penitenziali contro l'autore del reato o qualsiasi azione che riflettesse desiderio di riparazione o preoccupazione per le vittime”.
    "Al comportamento recidivo dell'abusante si è risposoto con i trasferimenti", afferma l'editoriale. "Non c'è mai stato un gesto che parla di empatia o di simpatia cristiana con le vittime".
    Continua dicendo che la “l’ultima goccia" c’è stata quando la sorella di Maryorie Almendares, una delle presunte vittime di Padre Flores, è andata dalle autorità della Chiesa per sporgere denuncia. Il loro vescovo, il vescovo José Canales Motino della diocesi di Danli, avrebbe "impedito il processo canonico" e tenuto nascosto Padre Flores in una parrocchia di Tegucigalpa. Fino ad oggi, secondo l'editoriale, solo il vescovo Canales conosce l'ubicazione attuale di padre Flores e continua a provvedere a lui.
    ConfidencialHN afferma che il caso mostra "una gestione sbagliata e carente" da parte del vescovo Canales, e l'editoriale cita le parole di Papa Francesco sugli abusi sessuali del clero a Philadelphia nel 2015: "Prometto che i responsabili saranno tenuti a rendere conto".
    "I bambini dell'Honduras valgono quanto quelli del Cile, della Pennsylvania o dell'Irlanda", continua l'editoriale, riferendosi ai recenti casi di abusi sessuali nel clero, aggiungendo che tali crimini sono reati "mescolati al disprezzo per i poveri".
    "Il fatto è che i casi dell'Honduras non sono noti in Vaticano e nessuno parla di riparare il danno, di confortare le vittime, di sanzionare o canonicamente sanzionare i malfattori o i loro accessori, i vescovi.
    "Un'indagine approfondita farebbe luce su tali crimini nella Chiesa dell'Honduras", conclude l'editoriale.
    Amanti e abusi, la dolce vita della "spalla" di Maradiaga - La Nuova Bussola Quotidiana

    Se la Chiesa diventa un ricovero
    Fa una certa impressione sentir dire dal Papa: “Molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero”. È un segno dei tempi, ha aggiunto, la Chiesa deve adattarsi alla situazione. Fa una certa impressione sentire pure il Cardinal Ravasi che i cattolici sono ormai una minoranza in occidente. Nell’occidente cristiano; figuriamoci nel mondo.
    Tutto questo non è accaduto con Papa Bergoglio. È una storia lunga, secolare, viene da lontano. Col suo papato il processo si è però molto accelerato.
    Papa Francesco ha auspicato di dismettere le chiese per aiutare i poveri, aggiungendo che “non ha valore assoluto il dovere di tutelare e conservare i beni culturali della Chiesa, perché in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri”. Dunque, dismettiamo le Chiese e usiamole per ospitare poveri, in particolare migranti.
    Cosa vuol dire in pratica? Che le Chiese diventano ricovero per i bisognosi o patrimonio immobiliare da vendere, affittare e il ricavato da destinare all’accoglienza dei migranti? Le ipotesi in campo sono di quattro tipi: a) che diventino luoghi di culto di altre religioni, per esempio islamica, come stava accadendo per la Chiesa dei Cappuccini di Bergamo. b) che diventino musei o luoghi di cultura, come auspica Ravasi. c) che vengano cedute o locate per le più svariate attività: ristorazione, alberghi, beauty farm. d) che vengano trasformate in ostelli e ricoveri per i migranti e i barboni.
    Nel primo caso c’è un vago sapore di nemesi storico-religiosa. Molte chiese sorsero in luoghi sacri di religioni precristiane, nella convinzione che l’aura del sacro perdurasse. Ma suscita preoccupazione religiosa e civile pensare che oggi potrebbero diventare moschee e centri di raccolta islamica.
    Nel secondo caso, sicuramente la destinazione è più sobria e neutrale, da luogo di culto a cultura, ma riduce la religione a museo. E poi se la fede cristiana lascia la sua eredità alla cultura, ha vinto l’illuminismo? E il cinema, ad esempio, è compatibile oppure no, e la musica fino a che punto? Insomma un grappolo di perplessità per un uso comunque secondario.
    La terza ipotesi è la vendita o locazione commerciale per usare poi i ricavati in opere di carità. Già succede di vedere chiese sconsacrate diventate alberghi, trattorie, beauty farm. Dal Risorto al Resort. Soluzione più redditizia, ma simbolicamente la più sconfortante in assoluto.
    Infine la trasformazione delle chiese in ricoveri per i poveri ha una motivazione umanitaria nobile. Ma si può liquidare un luogo di culto, un patrimonio di generazioni per soccorrere una quota di poveri del nostro presente? Se i papi avessero distribuito i soldi ai poveri del loro tempo, oggi non avremmo magnifiche cattedrali, capolavori d’arte, luoghi di preghiera per le generazioni in cui viene consacrata e affidata la vita, il matrimonio, la morte. In ogni chiesa c’è il respiro e l’affanno di generazioni, il sacrificio e la fede di chi l’ha edificata, frequentata, vissuta; c’è il ricordo dei santi e dei martiri, il legame sacro di una comunità, la sua anima, la sua storia, la sua identità. Capisco la desolazione di chiese vuote ma si può liquidare una fede cambiandole la destinazione d’uso, riducendola a pura assistenza sociale?
    Per aiutare i poveri si potrebbe cominciare a cedere o usare il vasto patrimonio immobiliare della Chiesa, di cui l’Unione europea ha sollevato la questione dell’Ici non pagata. Non i luoghi di culto, ma le proprietà, i palazzi, le case. Non sarebbe più francescana una Chiesa povera, piuttosto che una Chiesa dei poveri? Cominciate dalle proprietà e dagli affitti, piuttosto che dalle Chiese e i luoghi sacri. E poi confidate nella Divina Provvidenza…
    Se la Chiesa diventa un ricovero - Marcello Veneziani

    Benedetto XVI è ancora Pontefice e si oppone alle rivoluzioni di Francesco
    Antonio Socci
    Si dice che sia la stessa presenza silenziosa di Benedetto XVI ad aver scongiurato finora i più gravi strappi dottrinali, perché finché è in vita potrebbero essere da lui delegittimati con una sola parola agli occhi del popolo cristiano.
    Naturalmente è una possibilità estrema a cui il papa emerito presumibilmente ricorrerebbe solo per uno strappo dottrinale gravissimo e irreparabile (per esempio sull'Eucarestia) che sancirebbe di fatto uno scisma, quindi oggi è la semplice possibilità, è la semplice «presenza» di Benedetto XVI che ferma i rivoluzionari. Chi avrebbe mai pensato che il silenzio eremitico di un vecchio papa avesse un tale potere di interdizione?
    Tuttavia nonostante si sia imposto il silenzio e non contraddica pubblicamente Bergoglio ha voluto far arrivare a chi ha il potere in Vaticano dei segnali chiari a difesa dell'essenziale, di ciò che è d'istituzione divina e che non è a disposizione di nessuno, nemmeno dei papi: in particolare l'eucaristia e la Santa Messa.
    In maniera discreta Benedetto XVI fece sentire la sua voce nel maggio 2017 firmando la prefazione al libro del cardinale Robert Sarah, La forza del silenzio.
    Il prelato, particolarmente legato a Benedetto XVI e a Giovanni Paolo II, come prefetto della Congregazione per il culto divino rappresenta il principale ostacolo per quanti vogliono rivoluzionare la liturgia cattolica.
    Così Benedetto XVI scrisse nella prefazione al suo libro: «Dobbiamo essere grati a papa Francesco di avere posto un tale maestro dello spirito alla testa della Congregazione che è responsabile della celebrazione della liturgia nella Chiesa.... Con il cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la Liturgia è in buone mani».
    In realtà ha scritto Sandro Magister «non è un mistero che Jorge Mario Bergoglio abbia confinato il cardinale Sarah in tale carica per neutralizzarlo, non certo per promuoverlo. Di fatto l'ha privato di ogni autorità effettiva, l'ha circondato di uomini che gli remano contro e addirittura ha sconfessato in pubblico i suoi propositi in campo liturgico».
    Tuttavia, un tale sostegno di Benedetto XVI al cardinale Sarah lo ha reso praticamente intoccabile e, con lui in quella posizione, ha reso molto più difficili i progetti dei riformatori che infatti hanno reagito molto stizziti.
    Va detto che da nessuna parte sta scritto che un papa emerito debba eclissarsi e starsene zitto. Fu Benedetto XVI a scegliere, di sua spontanea volontà, il silenzioso eremitaggio. Forse anche per evitare di essere «tirato per la tonaca» e strumentalizzato.
    Poi papa Bergoglio, nell'intervista al «Corriere della Sera» del 5 marzo 2014, affermò che «Benedetto XVI non è una statua in un museo», e aggiunse: «Lui è discreto, umile, abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio che vedesse gente, uscisse e partecipasse alla vita della Chiesa».
    Può essere che la pensi così, ma può essere pure che il papa argentino sperasse di trovare in lui una legittimazione e un'autorevole copertura per le sue riforme rivoluzionarie.
    Speranza però destinata a restare delusa.
    Benedetto XVI è ancora Pontefice e si oppone alle rivoluzioni di Francesco

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Il Segreto di Benedetto XVI… rimane un suo segreto??
    E’ evidente che stiamo parlando dell’ultimo libro appena uscito di Antonio Socci, vedi qui, che volentieri abbiamo acquistato e letto, tanto è gradevole la lettura, quanto una crescente passione cattura l’attenzione, man mano che si arriva alla fine. Non sveliamo certamente “chi è l’assassino“, ognuno dovrà leggerlo per capire e per farsi una idea dei fatti narrati.
    Antonio Socci apre questa “inchiesta” come tale possiamo definirla, portando questa riflessione che vogliamo fare nostra: “La crisi attuale ha una causa che – come la «lettera rubata» di Edgar Allan Poe – si cerca per ogni dove, mentre sta da sempre sotto gli occhi di tutti, in bella evidenza. Solo che nessuno ha pensato – o ha voluto – cercarla lì dove, in effetti, doveva stare e dove si trova: si tratta del venir meno della fede, del modernismo e dell’apostasia che dilagano anche nel ceto ecclesiastico. Tutto questo si è coniugato con la nuova situazione geopolitica, venutasi a creare dopo il crollo del comunismo nell’Est europeo: potremmo definirla una globalizzazione neocapitalista che è ideologicamente anticattolica….“
    Da qui parte un breve ma anche intenso, quanto modesto, excursus storico (riepilogato anche da Marco Tosatti qui) atto a spiegare come la Chiesa abbia sempre lottato non per mantenere in vita se stessa, della cui potenzialità divina non ha mai dubitato, ma proprio per venire incontro a quei legami con i vari Cesare di turno, troni ed imperi, spesso anche ingrati e che, della Chiesa, hanno quasi sempre cercato di sfruttare l’amicizia e i rapporti per ottenere privilegi e poteri…. sottolineando, per l’appunto come:
    “…si è trattato di costruire continuamente su un equilibrio drammatico e instabile, basti pensare alla lotta per le investiture fra papato e impero (fra XI e XII secolo) o al periodo avignonese (XIV secolo) o alla fine dello Stato pontificio (seconda metà del XIX secolo). Le grandi e medie potenze che, di volta in volta, le hanno dato protezione hanno cercato, in tutti i modi, di influenzare o addirittura condizionare la più grande autorità spirituale del mondo: il papato.”
    Non faremo male ad inserire noi stessi, in tutti i vari contesti storici in cui la Chiesa ha dovuto operare, gli scritti dei Santi… come santa Caterina da Siena, per fare un esempio e le sue Lettere ai Pontefici, quando riuscì a convincere papa Gregorio a fare ritorno a Roma, dopo la lunga “cattività avignonese“…. o per frenare la nuova frattura interna alla Chiesa con la questione dello scisma d’occidente… Naturalmente Antonio Socci affronta una strada distinta, quella della geopolitica che, durante la questione francese vide, altro esempio, persino il rapimento di un Pontefice, Pio VII….
    L’excursus è breve ma intenso: “E il Vaticano? – si chiede Socci – Per il Vaticano c’è voluto più tempo. Infatti, negli anni Novanta ha potuto continuare nella sua missione, senza essere travolto dal nuovo ordine mondiale, perché il carisma di Giovanni Paolo II, vincitore morale e non violento del comunismo, era tale agli occhi dei popoli da garantire una piena libertà alla Chiesa…”
    E qui, giustamente, ci fermiamo. Primo perché è giusto, se volete, dover leggere voi il libro; secondo perché dobbiamo arrivare all’appunto che più ci interessa: questo “segreto” di Benedetto XVI che ha incuriosito un poco tutti, noi certamente sì. La cover e il titolo non vogliono svelare alcun ché e neppure trasmettere una delusione… piuttosto è evidente che un certo “segreto” resterà e forse è anche giusto che sia così, dal momento che – chi dovrebbe di-svelare… – ha deciso di non farlo, come quando decise (l’allora Ratzinger) in accordo con Giovanni Paolo II di non di-svelare completamente il famoso Terzo Segreto di Fatima. E’ forse disegno divino che certi “segreti” rimangano avvolti nelle trame fitte della storia della Chiesa giacché, tutto sommato, non è una istituzione umana ma divina…. sulla quale “le porte degli inferi non prevarranno, mai!”.
    Vogliamo, comunque sia, sottolineare alcuni aspetti che scaturiscono dalla lettura del libro di Antonio Socci:
    1) Chi ha seguito il tristissimo evento di quell’11 febbraio 2013, si è reso subito conto dello sfrenato ed insano giubilo dei “nemici della Chiesa“, nemici di Benedetto XVI, nemici del papato… Qualunque anima sinceramente cattolica, non poteva (e non può) “gioire” della “Rinuncia” di un Papa, chiunque egli fosse stato, perché una dimissione del genere non è mai foriera di “buone nuove”, ma è solo presagio di qualcosa più grave che sta per accadere. Antonio Socci lo racconta con l’inedito delle parole di santa Giacinta di Fatima… Noi ricordiamo come l’anno dopo ci fu chi addirittura stava per “festeggiare” l’anniversario della Rinuncia… come fosse stato qualcosa da ricordare con torta e champagne… Quella “Rinuncia” è stata un trauma per la Chiesa, di cui Benedetto XVI sembra voglia rispondere personalmente – e da solo – a Dio, essendosene assunto la completa responsabilità.
    2) C’è un problema di fondo: quanto è stata (ed è) valida la forma attraverso la quale Benedetto XVI ha fatto questa Rinuncia? Il fatto che teologi e canonisti si astengono dal dare definizioni, atte a colmare quelle lacune e quei “vuoti” del Diritto Canonico che MAI si era occupato di un caso simile, lasciano legittimo sospetto che – per ora – una risposta non l’avremo, semplicemente perché una risposta… non ce l’hanno neppure loro. Una risposta non ce l’ha nessuno, ma resta chiaro – e ai posteri che dovranno sbrogliare la matassa – che al momento il “segreto” c’è e resta integro. Queste “dimissioni”, questa “Rinuncia” ad una parte del ministero petrino, mantiene tutto il suo rigore di incomprensione e di sospetta invalidità. Nel 2016 avevamo affrontato l’argomento, vedi qui; così come quando Benedetto XVI affermando che si ritirava anche perché fisicamente non ce la faceva a seguire le GmG, scrivemmo subito le assurdità di tali affermazioni spiegando che si rinuncia semmai alla GmG e non al papato, vedi qui; così come quando uscì che Benedetto XVI, nel novembre 2017, benediceva con “benedizione apostolica” in un saluto privato al cardinale Brandmuller, un gesto davvero insolito per un “non più papa”, vedi qui, quando abbiamo il “papa attivo” che si rifiuta di benedire in termini “apostolici“….
    3) Comunque la pensiate è evidente che non possiamo avere “due papi”, e neppure uno “emerito” in meditazione, e l’altro attivo-regnante… a meno che – e Dio non voglia, come abbiamo spiegato qui – non siano tutti ed entrambi i due papi d’accordo su una modifica alla radice del papato stesso…. Tuttavia anche volendo pensare a ciò, è palese che di fatto, Benedetto XVI, non è affatto d’accordo su come stia procedendo la Chiesa…. qui troverete un riassunto dei fatti. Farebbe però anche pensare che – forse – la preghiera del “papa ritirato sul monte” a Dio non debba piacere molto, dal momento che la Chiesa – col suo “papa attivo e regnante“, sta andando verso un precipizio senza precedenti nella storia! Antonio Socci ha il merito di aver raccolto nel suo libro tutta una serie di “indizi, esami e riesami” che in questi sei anni hanno tentato di dare risposte mentre, è davvero palese ed inquietante, il silenzio tombale, persino spettrale, assunto dal Vaticano e da tutta la Santa Sede.
    Resta altrettanto palese, come riporta lo stesso Socci nel libro, quanto sia anomalo che fin dal suo inizio, Bergoglio, abbia avuto “bisogno” di una certa presenza fisica di Benedetto XVI, atta quasi a volersi far confermare nella sua “legittima” elezione. E questo non una volta, ma più di una volta, fino alla famosa rottura con quel “maldestro pastrocchio” creato da Dario Edoardo Viganò (da non confondere con l’arcivescovo Carlo Maria Viganò)… leggete qui. Da questo “incidente“, abbiamo notato come Benedetto XVI sia davvero “scomparso” dalle stesse richieste di Bergoglio, anche se gli vengono portati i nuovi cardinali per essere “ulteriormente benedetti”… benedizioni extra che però sembrano non sortire alcun effetto e nessun beneficio, visti i risultati che stiamo vivendo.
    4) E veniamo ad una conclusione che, naturalmente, non pone la parola fine al “Segreto di Benedetto XVI” che “resta Papa“…. con Socci sottolineiamo tutta una serie di “campanelli d’allarme” che Benedetto XVI ha suonato in questi sei anni e raccolti, in ultima analisi, attraverso l’ultimo incontro di mons. Gänswein nel settembre scorso, con parole inquietanti che riportiamo dal libro:
    “Il generale abbandono della fede dà una sensazione quasi da «ultimi tempi» e a questo punto monsignor Gänswein ha detto:
    In questa sensazione evidentemente non sono solo. In maggio, infatti, anche Willem Jacobus Eijk, cardinale arcivescovo di Utrecht, ha ammesso che, guardando all’attuale crisi, pensa alla «prova finale che dovrà attraversare la Chiesa» prima della venuta di Cristo – descritta dal paragrafo 675 del Catechismo della Chiesa cattolica – e che «scuoterà la fede di molti credenti». La persecuzione – continua il Catechismo – che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra svelerà il «mistero di iniquità».
    Questo passaggio di monsignor Gänswein ha colpito molto. Perché l’intervento del cardinale Eijck che egli cita e rilancia è stato un vigorosissimo altolà pubblicato il 7 maggio 2018 dall’arcivescovo di Utrecht contro l’apertura all’intercomunione con i protestanti votata dai vescovi tedeschi e avallata da Roma…”
    Nel mentre lasciamo ai posteri la sentenza, non disdegniamo di riflettere sulla gravità della situazione… ringraziando Antonio Socci per averne ulteriormente parlato.
    https://cronicasdepapafrancisco.com/...n-suo-segreto/

    IL “CRISTO MIGRANTE”, TEORIZZATO DALLA CHIESA BERGOGLIANA, NON C’ENTRA NIENTE COL VERO GESU’ DEI VANGELI. ECCO LA VERA STORIA.
    Antonio Socci
    Dal 2013, anno di arrivo di papa Bergoglio, ad ogni Natale, immancabilmente, si rilancia l’idea della Sacra Famiglia come una famiglia di migranti.Con un evidente sottinteso politico.
    Quest’anno papa Bergoglio ha perfino fatto inviare una lettera, della “sezione migranti” del Vaticano, a don Biancalani, che si conclude con la formula: “In Cristo Migrante”.
    In diversi luoghi si allestiscono presepi bergogliani sul tema migratorio. Ad Acquaviva delle fonti, in provincia di Bari, hanno realizzato un presepio (vedi foto) dove Giuseppe e Maria sono due migranti che stanno affogando in un mare di bottiglie e Gesù bambino (di colore) sta dentro un salvagente.
    Ma è fondata questa idea del “Cristo Migrante”? La risposta è semplice: no. Il Vangelo racconta una storia del tutto diversa.
    LA VERA STORIA
    Intanto va detto che il popolo d’Israele, duemila anni fa, soffriva la dominazione romana ed era così forte l’anelito alla libertà e all’indipendenza che immaginava il Messia come liberatore politico del suo popolo dall’oppressione dello straniero.
    I Romani imposero un censimento dei loro sudditi. Così anche Giuseppe e Maria partono da Nazaret(dove abitava Maria e dove, probabilmente, viveva anche Giuseppe) versoBetlemme, non come migranti verso una terra straniera, ma, cometutti gli ebrei del tempo, per espletare le pratiche del censimento.
    Siccome Giuseppe – che era il capofamiglia e quindi il “rappresentante legale” – apparteneva alla tribù di Giuda, per la precisione al casato di re Davide – dovettero andare a Betlemme che era la città d’origine della sua famiglia.
    Ciò significa che andando a Betlemme non emigrarono in una terra straniera, anzi, il contrario: Giuseppe tornò nella sua patria, nella quale egli era addirittura conosciuto come uomo di stirpe regale.
    Anche se la discendenza davidica, nel corso dei secoli, era decaduta e Giuseppe faceva l’artigiano (diciamo che apparteneva al ceto medio di allora), formalmente poteva essere considerato un principe nella sua terra.
    Probabilmente, a Betlemme, Giuseppe aveva ancora delle proprietà, un po’ di terra, perché in seguito Egesippo, al tempo di Domiziano, testimonia che i parenti di Gesù sono ancora vivi e conosciuti e hanno dei campi che lavorano personalmente e che, secondo gli storici, dovevano trovarsi proprio nell’“ager Bethlemiticus”.
    L’ALBERGO
    Il viaggio verso Betlemme, in carovana con altri, durò qualche giorno e fu molto faticoso perché Maria era al nono mese di gravidanza e all’arrivo a Betlemme già stavano cominciando i segni del parto imminente.
    Il Vangelo di Luca ci dice che “non c’era posto per loro nell’albergo” (2,7). Ma cosa significa in questo caso la parola “albergo”? E perché “per loro”?
    Non si tratta degli alberghi di oggi. Siccome Betlemme era un punto di passaggio delle carovane che scendevano in Egitto, lì si trovava, da tanto tempo, un luogo di sosta per tali carovane (appunto un caravanserraglio, in ebraico “geruth”, foresteria) che era stato costruito da Chamaan, forse figlio di un amico di Davide.
    Giuseppe Ricciotti, nella sua “Vita di Gesù Cristo” spiega che, all’arrivo di Maria e Giuseppe, “il piccolo villagio rigurgitava di gente, che si era alloggiata un po’ dappertutto a cominciare dal caravanserraglio”.
    Il quale era “un mediocre spazio a cielo scoperto, recinto da un muro piuttosto alto” con “un portico di riparo” e con “le bestie che erano radunate in mezzo al cortile”.
    In quel frastuono di gente ammassata “si questionava d’affari e si pregava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava”.
    Perciò quando l’evangelista dice che “non c’era posto per loro”, bisogna intendere – spiega Ricciotti – che per le particolari condizioni di Maria, in procinto di partorire, non era un luogo adatto. Non c’era la riservatezza che era necessaria a una giovane partoriente.
    Non si sa se Giuseppe poté cercare nelle case di amici e parenti (anch’esse piene di gente) o se – vista l’assoluta urgenza – decise velocemente di riparare nella solitudine di quel ricovero per animali che forse poteva trovarsi proprio nella terra di sua proprietà.
    Anche quello era ovviamente un luogo sporco, ma se non altro era solitario, tranquillo e garantiva la riservatezza.
    STABILITI A BETLEMME
    Dopo il parto, fatto in condizioni di emergenza, Giuseppe poté trovare subito un alloggio e infatti la famiglia di Gesù si stabilì col bambino a Betlemme, che era appunto la città di Giuseppe e di Gesù, il quale, non a caso, da adulto verrà definito dalla gente “figlio di David”, discendente di Re David (come le profezie dicevano del Messia). Gesù in effetti era anche lui di stirpe regale, era un principe del suo popolo.
    Proprio questo scatenò Erode. Avendo saputo, nei mesi successivi alla sua nascita, dai Magi, che era venuto alla luce un potenziale pretendente al regno d’Israele e che era nato a Betlemme, Erode (idumeo per parte di padre e arabo per parte di madre) cercò di eliminarlo.
    I Magi, che arrivarono a rintracciare Gesù alcuni mesi dopo la sua nascita (quindi in una abitazione di Betlemme, non più nella grotta), avevano lasciato al bambino oro incenso e mirra.
    Quell’oro fu molto importante per la Sacra Famiglia che dovette sfuggire a Erode. Perché permise loro di andare in Egitto (che era sempre sotto i Romani) e lì stabilirsi finché non fosse morto Erode.
    FUGA E RITORNO A CASA
    Dunque: la fuga della Sacra Famiglia non era dovuta a volontà di emigrazione, ma alla prima persecuzione anticristiana.
    Quindi, se proprio vogliamo ricordarli come profughi, bisognerebbe parlare degli odierni cristiani perseguitati più che degli attuali migranti, i quali, come si sa, sono mossi perlopiù da ragioni economiche e di lavoro. Eppure nessuno parla delle vicende della Sacra Famiglia rammentando i cristiani perseguitati di oggi come invece si dovrebbe.
    In secondo luogo non era in corso una migrazione di massa verso una terra straniera. Né in Egitto c’erano campi profughi sovvenzionati e pagati dalle casse pubbliche dove si poteva stare a lungo.
    In Egitto Giuseppe mantenne la famiglia svolgendo il proprio lavoro per alcuni mesi. Ma già l’anno successivo seppero della morte di Erode e così la famiglia di Gesù ritornò a casa, scegliendo stavolta Nazaret, il villaggio di Maria (dove probabilmente aveva abitato anche Giuseppe).
    Lì vissero stabilmente e Gesù stesso esercitò il mestiere del padre fino all’inizio della sua vita pubblica. Dunque non si vede come si possa accostare la loro vicenda agli odierni flussi migratori di massa.
    ULTIMO EQUIVOCO
    C’è un ultimo equivoco da chiarire. Il prologo del Vangelo di san Giovanni dice: “il mondo fu fatto per mezzo di lui,/ eppure il mondo non lo riconobbe./ Venne fra la sua gente/ ma i suoi non l’hanno accolto”.
    Queste parole non si riferiscono a una mancata accoglienza di un inesistente “Gesù Migrante”, ma alla mancata accoglienza del suo annuncio. Infatti Gesù morì crocifisso. Si riferisce cioè alla fede cristiana.
    Gesù non venne nel mondo per sponsorizzare la caotica politica migratoria oggi auspicata dai globalisti, ma venne per annunciare che Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza.
    https://sadefenza.wordpress.com/2018...a-vera-storia/

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Il vescovo con l'amante "protetto" da Schönborn
    Il capitolo della diocesi pubblica il rapporto sul dissesto economico e morale in cui è sprofondato la diocesi di Gurk-Klagenfurt sotto il vescovo Schwarz: scandali finanziari e perfino sessuali con la presenza accertata di un'amante del prelato molto attiva nell'amministrazione. Una situazione conosciuta dal 2008 e che non era estranea neppure al cardinal Schönborn.
    Il Vaticano per misteriosi motivi – c’è chi ha visto in questo lo zampino del card. Schönborn per motivi che vedremo più avanti – aveva proibito la pubblicazione di un rapporto sulla corruzione e i disastri finanziari della diocesi di Gurk-Klagenfurt. Ma il Capitolo della cattedrale, sotto la guida di mons. Guggemberger ha deciso di disattendere il veto, e ha pubblicato il rapporto, che getta una luce pessima su 17 anni di gestione da parte del vescovo Alois Schwarz, da qualche mese traferito alla diocesi di St. Pölten.
    Secondo quanto affermano persone che conoscono la realtà della Chiesa austriaca, mons. Schwarz è persona vicina al cardinale di Vienna Christoph Schönborn. Mons. Guggenberger afferma ora che sia Schönborn che la Conferenza episcopale austriaca hanno saputo della situazione a Gurk dal 2008. Guggenberger ha anche rivelato pubblicamente che il vescovo Schwarz ha permesso a una certa donna di "danneggiare la reputazione dell'ufficio episcopale e della Chiesa in Carinzia. "Era così ricattabile dai suoi sacerdoti nel contesto dell'obbligo di vivere nel celibato".
    Come riferisce il sito di notizie cattolico austriaco Kath.net il 18 dicembre, mons. Engelbert Guggenberger, l'amministratore provvisorio della diocesi di Gurk-Klagenfurt, ha pubblicato il rapporto sullo stato finanziario e morale della diocesi dopo la partenza del vescovo Schwarz. Rendendo noto il rapporto ha messo in chiaro che agiva nel suo ruolo di membro del capitolo della cattedrale di Gurk, e non come amministratore diocesano. Guggenberger, in questo modo, potrebbe aver tentato di eludere un recente ordine proveniente dalla Congregazione per i vescovi, guidata dal cardinale Marc Ouellet che aveva chiesto alla diocesi di non pubblicare il rapporto, ma, piuttosto, di inviarlo a Roma. Si dice che il cardinale Christoph Schönborn abbia esercitato pressioni perché il documento non fosse reso pubblico, come invece è accaduto.
    Il rapporto descrive un "Sistema del vescovo Schwarz", a cui a una persona di fiducia del vescovo – una donna - è stato assegnato un ruolo di leadership di cui avrebbe abusato, causando gravi danni morali e finanziari alla diocesi. Il vescovo Schwarz ha ora ricevuto dalla diocesi una richiesta di rimborso dei debiti precedenti. E il cardinale Schönborn, insieme ad altri, sapeva tutto di questo dal 2008, come Guggenberger rivela.
    "Le accuse sollevate erano troppo serie e troppo conosciute” ha detto Guggenberger, e a causa della recente decisione del Vaticano di ordinare alla diocesi di non pubblicare i risultati della commissione, molte persone "non solo i cattolici in Carinzia, ma in tutto il paese" si sono indignate. "Abbiamo ricevuto quotidianamente innumerevoli chiamate, SMS, e-mail e lettere." La maggior parte delle persone ha espresso il proprio sostegno ai tentativi diocesani di chiarire le cose”, ha detto "ma molti hanno anche minacciato di lasciare la Chiesa, qualora i risultati della relazione finale non fossero presto pubblicati". Molte persone hanno anche contattato il cardinale Schönborn e il Vaticano "per chiedere trasparenza".
    Guggenberger chiarisce che i risultati del rapporto diocesano sono il risultato del lavoro di un gruppo di lavoro diocesano e di esperti indipendenti. Dichiara inoltre che le richieste di rimborso sono state inviate al vescovo Schwarz, per danni finanziari alla diocesi.
    Il rapporto finale afferma che la diocesi ha subito gravi perdite finanziarie negli ultimi anni, in particolare sotto la guida della signora Andrea Enzinger, con la quale si dice che il vescovo Schwarz abbia avuto una relazione impropriamente stretta. L'aveva nominata a capo del St. Georgen Educational Center che ha un hotel e un centro conferenze. Secondo il rapporto, sotto la sua guida le finanze hanno avuto un tracollo, sono stati avviati progetti di costruzione eccessivamente costosi, i costi del personale sono aumentati e i dipendenti hanno lasciato il lavoro o sono stati espulsi dalle loro posizioni.
    La chiave di questo "sistema del vescovo Schwarz", secondo il rapporto - che si basa anche su molte interviste personali ai dipendenti diocesani - è il rapporto del vescovo Schwarz con la signora Enzinger: "con la conoscenza e il sostegno del vescovo Dr. Alois Schwarz, Andrea Enzinger ha abusato della Diocesi di Gurk facendone un palcoscenico per i propri interessi personali, e ha danneggiato, con le sue azioni, la reputazione dell'ufficio episcopale e della Chiesa in Carinzia”. Enzinger è stata licenziata non appena il vescovo Schwarz ha lasciato la diocesi.
    Il rapporto afferma anche che il vescovo Schwarz aveva violato la legge della Chiesa sciogliendo una commissione finanziaria - come è prescritto e richiesto dalla legge della Chiesa - che era stata progettata per sorvegliare certe decisioni finanziarie da parte del vescovo. "La diocesi di Gurk non aveva un corpo di controllo", afferma il testo.
    Mons. Guggenberger, nel suo comunicato stampa sopra menzionato, ha aggiunto che il "rapporto del vescovo con l'ex capo del Centro educativo St. Georgen è causa, fino ad oggi, di molte chiacchiere, pettegolezzi e speculazioni". Una fonte che vive a Klagenfurt dice che l'auto di Schwarz, per esempio, era spesso parcheggiata la sera davanti all’abitazione della signora Enzingers, ed entrambi andavano spesso a fare shopping in città, apertamente e tutti li potevano vedere. Si dice anche che andassero insieme in viaggio a Vienna, alloggiando in un appartamento di proprietà della diocesi di Gurk.
    "Il vescovo Schwarz", continua Guggenberger, "è stato, attraverso questo rapporto di dipendenza, guidato e diretto dagli umori della sua confidente," con "grave danno" all'ufficio episcopale e alla Chiesa. Molti sacerdoti e dipendenti diocesani, spiega, erano "molto preoccupati" per questa situazione. L'amministratore diocesano chiarisce anche che molte persone hanno provato a parlare di ciò con il vescovo Schwarz per anni.
    "Le autorità responsabili della Chiesa", afferma, "cioè la nunziatura a Vienna e, con essa, le autorità romane - anche il cardinale Schönborn, così come i diversi arcivescovi metropolitani di Salisburgo [prima Alois Kothgasser, poi Franz Lackner ], sono stati informati per anni degli effetti del "Sistema del vescovo Schwarz". La Conferenza episcopale austriaca [guidata da Schönborn] conosceva le condizioni della Chiesa della Carinzia al più tardi dal 2008".
    In particolare, Guggenberger menziona l'arcivescovo Kothgasser di Salisburgo che, su commissione della Conferenza episcopale austriaca, ha discusso della questione a Corinthia. "Tuttavia," conclude Guggenberger, "dal 2008, le circostanze descritte non sono affatto cambiate, al contrario. A causa del suo stile di vita, il vescovo è stato sempre più ostacolato nell'esercizio del suo ufficio, perché era ricattabile dai sacerdoti nel contesto dell'obbligo di vivere nel celibato”. A un certo punto Schwarz assunse addirittura un ex agente del servizio segreto austriaco per indagare su alcune lettere anonime scritte da alcuni dei suoi impiegati.
    Schwarz si è rifiutato di fare dichiarazioni, dopo la pubblicazione del rapporto. Il cardinale Schönborn, ha elogiato ancora Schwarz quando si è insediatoo nella sua nuova diocesi di St. Pölten, nel luglio 2018. "Credo che sia un'ottima scelta per St. Pölten", ha concluso il cardinale Schönborn.
    Ci sembra di poter fare un’annotazione finale. Interessante e meritorio il comportamento del Capitolo della cattedrale, che ha rifiutato la richiesta di Roma di mettere a tacere quello che evidentemente è uno scandalo dannoso per la Chiesa. E interessante osservare – in questi tempi in cui gran parte degli scandali del clero hanno risvolti e origine omosessuali – che la persona coinvolta nel caso del vescovo Schwarz era una donna. Resta da capire perché il Vaticano volesse silenziare uno scandalo che era sotto gli occhi di tutti. Amicizie altolocate?
    Il vescovo con l'amante "protetto" da Schönborn - La Nuova Bussola Quotidiana

    PERCHÈ LA NOMINA DI TORNIELLI “AD NUTUM” DEL PONTEFICE È COSA BUONA
    MARCO TOSATTI
    Ieri, come sapete, il Papa ha fatto due nomine importanti: il nuovo direttore dell’Osservatore Romano, Andra Monda, e un incarico nuovo, non previsto finora dallo statuto della Segreteria per la Comunicazione, quelle di Direttore Editoriale, affidata ad Andrea Tornielli, fino ad oggi coordinatore di Vatican Insider, una creatura giornalistica nata anni fa a fianco de La Stampa, per volontà del direttore, Mario Calabresi, e per ispirazione dell’attuale Capo Ufficio Stampa dell’ENI, Marco Bardazzi, che ne fu anche il coordinatore fino a quando non fu chiamato al nuovo incarico.
    Grazie a questa nomina straordinaria, che si potrebbe quasi definire “ad nutum” del pontefice, dal momento che – come spesso accade nel regime vigente in Vaticano – si tratta di ruoli personali, non previsti dalla struttura, Tornielli potrà compiere un lavoro che negli ultimi anni molti hanno sospettato che svolgesse con la “copertura” di una testata “indipendente”, rivendicando un’imparzialità rispetto alla materia di cui si occupava di cui questa nomina svela adesso la fragilità.
    La partenza di Tornielli verso il suo nuovo incarico mi libera dallo scrupolo che ho avuto finora – lealtà verso una testata in cui ho lavorato – nel raccontare un paio di episodi interessanti.
    Il primo ha avuto luogo nell’autunno del 2014. All’epoca ero titolare di un blog, nato molti anni prima, San Pietro e Dintorni, quando era direttore de La Stampa Giulio Anselmi. E collaboravo sia con La Stampa che con Vatican Insider. Il blog era collegato alla home page di Vatican Insider; come accadeva anche per altri colleghi. Un giorno mi accorsi che il collegamento non esisteva più, e ne chiesi spiegazione.
    Eravamo durante il primo Sinodo sulla Famiglia. Turbolento; e grazie ad alcuni contatti che avevo all’interno dell’aula, su San Pietro e dintorni usciva un resoconto dei lavori e delle dinamiche ben diverso dalla patina di glassa ufficiale. Tornielli venne a Roma, e mi disse in buona sostanza che quello che stavo scrivendo creava difficoltà con la Segreteria di Stato; che quando andava a parlare con loro dell’opportunità che gli dessero una mano a trovare finanziamenti gli rispondevano: ma vede che cosa scrive la Stampa…e che non era facile spiegare ai suoi interlocutori che non era La Stampa, ma Marco Tosatti. Aggiunse che comunque non aveva nessuna intenzione di censurarmi e che il collegamento con San Pietro e Dintorni sarebbe stato ripristinato più avanti. Il che, naturalmente, non accadde. Quando poi ho letto la notizia data dal collega Magister – e che io sappia mai smentita – del finanziamento fornito a Vatican Insider dai Cavalieri di Colombo, una grande organizzazione finanziario-religiosa americana, le cose mi divennero più chiare.
    Decisi infine di non proporre più articoli a Vatican Insider quando qualche anno fa suggerii a Vatican Insider di scrivere un articolo sui rapporti Cina-Vaticano, perché erano emerse notizie interessanti. Mi fu risposto che era meglio di no, perché “il tema era delicato”. Delicato per chi? Non certo per un giornale che dovrbbe essere indipendente, come La Stampa. Io sono un po’ tonto, ma non così tonto da non capire, quando le cose mi vengono ripetute…E da allora non ho più avanzato proposte.
    Ecco perché penso che questa nomina sia un fatto positivo. Anche se mentre scrivevo queste poche righe mi è venuta in mente un’osservazione. Chissà che cosa penseranno adesso tutte quelle persone che hanno letto in questi anni Tornielli, e hanno creduto che fosse distaccato e obiettivo rispetto alla materia trattata.
    PERCHÈ LA NOMINA DI TORNIELLI ?AD NUTUM? DEL PONTEFICE È COSA BUONA : STILUM CURIAE

    Trump in difesa dei cristiani perseguitati, Bergoglio contro.
    I cristiani del Medio Oriente, finora martirizzati, perseguitati, dispersi e ignorati da tutti, hanno finalmente un difensore. Non si trova in Vaticano, ma a Washington, precisamente alla Casa Bianca.
    Il presidente Donald Trump ha infatti firmato l' Iraq and Syria Genocide Relief and Accountability Act (HR390), cioè una legge che riconosce il «genocidio» in corso, perpetrato dai gruppi Jihadisti ai danni di cristiani e yazidi.
    È una legge che obbliga formalmente il governo americano ad andare in soccorso di queste popolazioni anche con progetti umanitari che difendano le minoranze religiose e stabilizzino quelle aree. Inoltre tale legge permette all' amministrazione Usa di intervenire contro i persecutori, per dare la caccia ai terroristi che si macchiano dei crimini più efferati.
    Per la firma di Trump, a questo atto solenne, hanno esultato i cristiani del Medio Oriente e quelli americani, insieme con i loro vescovi. Gelida invece la reazione negli ambienti vaticani: è il Vaticano di papa Bergoglio, dove si detesta Trump, dove non si muove un dito per i cristiani perseguitati e dove invece si preferisce caldeggiare - quotidianamente e ossessivamente - le migrazioni di massa (specie musulmane) in Italia e in Europa. Il cinismo del Vaticano bergogliano nei confronti dei cristiani perseguitati si è reso evidente in una recente dichiarazione del Segretario di Stato di Bergoglio, il cardinale Parolin, una dichiarazione che ha dell' incredibile.
    Come riporta l'agenzia dei vescovi italiani, Sir, Parolin è stato interpellato sulla tragedia di Asia Bibi, la donna pakistana, madre di cinque figli, che, per la sua fede cattolica, era stata accusata falsamente di blasfemia. Asia ha sopportato quasi dieci anni di carcere durissimo, rifiutando di convertirsi all' Islam, è stata condannata a morte in due gradi di giudizio e infine è stata assolta dalla Corte Suprema del Pakistan.
    Com' è noto la donna e la sua famiglia ora vivono braccati dai fanatici e suo marito ha chiesto asilo politico in diversi Paesi. La famiglia è poverissima ed è ad altissimo rischio in Pakistan.
    I SILENZI DI PAROLIN - Ebbene Parolin, il numero 2 della Chiesa di Bergoglio, interrogato su questo caso, che ha commosso e indignato il mondo intero, ha dichiarato che attualmente non c' è nessuna attività diplomatica della Santa Sede per Asia Bibi e la sua famiglia. Poi ha testualmente aggiunto: «È una questione interna al Pakistan, spero possa risolversi nel migliore dei modi».
    Come dire: chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. La sconcertante dichiarazione dell'uomo di punta del Vaticano ha scandalizzato molti, pur essendo passata in sordina sui media. Infatti le gravi violazioni dei diritti umani non sono mai un affare interno di un regime, ma chiamano in causa tutti gli uomini e tutti i popoli. Lo proclama quella «Dichiarazione universale dei diritti dell' uomo» di cui proprio in questi giorni il mondo ha celebrato i 70 anni (dall' approvazione all' Onu).
    Ma soprattutto è sconcertante che sia il vertice della Chiesa a lavarsi le mani così platealmente della sorte di una donna condannata a morte per la sua fede cattolica e oggi minacciata con tutta la sua famiglia. Sono parole inaudite che cestinano pure il Vangelo, oltre al semplice senso di umanità.
    NON DISTURBARE - Purtroppo però la scelta di questo pontificato sembra proprio quella di non disturbare i regimi che perseguitano i cristiani, "sacrificando", all' abbraccio con i dittatori, i diritti fondamentali dei perseguitati per la fede: lo dimostra anche il recente accordo del Vaticano con il regime comunista cinese che ha scandalizzato sia i cattolici perseguitati della Cina, sia i cattolici del mondo libero.
    Peraltro lo stesso cardinale Parolin - contraddicendosi platealmente - ha poi rilasciato un' altra dichiarazione sconcertante. Intervistato da Rai News il 13 dicembre scorso sul Global Compact sull' immigrazione, ha sostenuto, a nome del Vaticano, che «poter migrare è un diritto», mentre, per gli Stati come l' Italia, «il diritto a non accogliere non c' è».
    Un' idea del genere, grottesca fino al ridicolo (oltreché inquietante), di per sé distrugge la sovranità di qualunque Stato, perché se uno Stato non può controllare le sue frontiere ed è costretto a subire qualsiasi emigrazione di massa, non esiste più come Stato. Basti pensare all' Italia che dovrebbe rassegnarsi, senza poter fare nulla, alla potenziale emigrazione sul suo territorio di centinaia di milioni di persone dall' Africa. Sarebbe davvero un' invasione e con effetti apocalittici.
    L' aspetto surreale delle posizioni espresse dal numero 2 di Bergoglio è questo: mentre il Vaticano non intende disturbare i regimi dove sono violati i diritti umani fondamentali (perché sono questioni interne), lo stesso Vaticano nega a paesi liberi e democratici di esercitare una loro fondamentale prerogativa, quella di controllare le proprie frontiere, e decidere se e quale politiche migratorie praticare.
    Tutto questo, peraltro, mentre il Vaticano, circondato da alte mura, è l'unico Stato che non ha accolto e non accoglie nessun migrante e nessun profugo. Tanto meno accolgono la famiglia di Asia Bibi che, per la fede cattolica, è gravemente a rischio. Eppure Oltretevere vi sono grandi palazzi e lussuosi appartamenti, occupati da prelati che poi fanno prediche agli altri sul dovere dell' accoglienza. Gesù così tuonava contro alcuni esponenti del potere religioso del suo tempo: «Dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23, 3-4).
    Si ha la netta sensazione che a questo Vaticano importi assai poco pure dei migranti, ma li usa ideologicamente secondo l'Agenda Obama che poi è l' Agenda Onu. Nella stessa direzione del Global compact for migration"che produrrebbe una destabilizzazione globale, colpendo le identità dei popoli.
    Per l'Italia, per l' Occidente e per la Chiesa le posizioni di Bergoglio sono devastanti. Anche sul Global Compact - come sui cristiani perseguitati - meno male che c' è Trump.
    https://gloria.tv/article/BbvaUEqjvynE3DYBcHGUJEZja

    "Nuovi “nemici”, nuovi traditori
    SUPER EX. LA GUERRA CIVILE DI BERGOGLIO/LENIN
    Per capire l’ennesimo atto d’accusa di Bergoglio, erga omnes, senza alcuna traccia di autocritica, nel discorso alla curia romana, bisogna fare un parallelo storico.
    Bergoglio è come Lenin, il padre della dittatura comunista.
    Perchè? Presto detto. Nel 1917 Lenin capisce che la Russia deve uscire dalla guerra mondiale per rafforzare la rivoluzione. Lo fa, appena può, nel marzo 1918, siglando la pace con la Germania; nel contempo ha chiara un’altra idea: si esce dalla guerra con i nemici esterni, per iniziare con la massima dedizione la guerra civile, la guerra con i nemici interni, i menscevichi, i socialisti rivoluzionari, i borghesi, i credenti…
    Così fa Lenin.
    Ebbene, cosa è successo, invece, nel 2013?
    Bergoglio ha siglato subito la pace mondiale con i nemici della Chiesa. Ha chiuso con le battaglie culturali di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Ruini ecc. Lo ha fatto firmando la resa pubblica con Scalfari, sul quotidiano più anticlericale e anticristiano del paese.
    Poi, subito dopo, come Lenin, chiuso un fronte, ne ha aperto un altro, ha ri-acceso la guerra civile, la guerra dentro la chiesa, quella che dura in un certo senso da sempre, ma soprattutto da cinquant’anni. La guerra portata avanti, per intenderci, dai teologi progressisti al Concilio, dai cattolici per il comunismo, per il divorzio e l’aborto, negli anni Sessanta e Settanta, dai cardinali Martini, Danneels e altri, durante gli ultimi due pontificati.
    Questa guerra Bergoglio la ha condotta a suon di nomine (Galantino, Paglia, Martin, Cupich…) di emarginazioni (Bagnasco, Caffarra, Mueller, Burke, Sarah…), di forzature (i sinodi), di scomuniche (Francescani dell’Immacolata ecc.), di continui proclami eterodossi, di santificazioni inopportune (Lutero, don Milani…), di anatemi contro farisei, dottrinari ecc…
    Dalla guerra contro il nichilismo anti-cristiano esterno alla Chiesa, abolita, condannata, alla guerra civile contro l’ortodossia interna. Stessa strategia di Lenin; stesso stile dogmatico e testardo.
    Ma l’analogia non è finita: oggi Bergoglio lamenta il caos e la confusione nella chiesa, scrive che essa è “investita da tempeste e uragani” e ciò significa che sta perdendo, che la normalizzazione non è avvenuta. Anche in questo caso Bergoglio imita Lenin: nessuna autocritica, neppure minima, ma l’accusa verso predecessori e contemporanei non in linea con lui, inventando ed additando sempre nuovi “nemici”, nuovi traditori. Le rivoluzioni hanno sempre bisogno di nemici, di Giuda, di eterodossi da additare…perchè se tutto non va bene, come promesso, qualcuno deve essere colpevole! Se la nuova Chiesa non decolla, se l’effetto Bergoglio è ormai un ricordo lontano, va cercato il capro espiatorio, a costo di apparire ridicoli identificando un monsignore onesto che ha parlato, con il diavolo in persona!
    Lenin sembrò vincitore, ma finì senza l’uso della parola, afasico. Ne aveva dette troppe.
    Bergoglio parla ancora, e molto; soprattutto si difende ed accusa, senza sosta; ma come ho avuto già modo di notare, le sue parole cadono ormai nel vuoto, le sue liste di proscrizione sono sempre più segnale di una rabbia impotente, dell’ammissione di un fallimento.
    Gli avversari, infatti, non mollano, pur pochi e umiliati; gli amici più di tanto non si espongono (quanti dei numerosi cardinali che ha nominato, lo difendono pubblicamente?); i processi travolgono il G9; lo scandalo pedofilia sommerge i suoi principali alleati…
    La pace con il mondo è fatta, ma la guerra civile non è vinta. Soprattutto grazie all’opposizione dei laici, decisiva, determinante. Quei laici che hanno visto chiaramente, dietro il presunto rinnovamento, il tradimento; dietro le professioni pubbliche continue di anticlericalismo, il clericalismo più insidioso.
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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Il linguaggio di Francesco, volutamente impreciso
    Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha fatto tre affermazioni dal contenuto molto problematico. Dapprima ha detto che Maria non è nata santa. Poi ha detto che il cristianesimo è rivoluzionario.Infine che è meglio essere atei piuttosto che andare in Chiesa e poi comportarsi male. Un linguaggio volutamente impreciso.
    Papa Francesco
    Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha fatto tre affermazioni dal contenuto molto problematico. Dapprima ha detto che Maria non è nata santa ma lo è diventata perché santi non si nasce ma si diventa. Poi ha detto che il cristianesimo è rivoluzionario. Quindi ha affermato che è meglio essere atei piuttosto che andare in Chiesa e poi comportarsi male: “C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio, e lo fanno per essere ammirati dagli uomini. E quante volte vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come se fossi ateo. Ma se tu vai in chiesa, vivi come figlio, come fratello e dà una vera testimonianza, non una contro-testimonianza”.
    La prima affermazione chiama in causa la corretta interpretazione del dogma dell’immacolata concezione. La seconda si oppone agli insegnamenti di moltissimi pontefici che hanno insegnato l’incompatibilità tra il concetto di rivoluzione e la fede cristiana. La terza è un intrico di gravi questioni teologiche e pastorali che richiedono di essere decrittate tramite un fine lavoro di esegesi che però nessun fedele è in grado di fare. Da qui il “conflitto delle interpretazioni” e lo smarrimento di tanti che si attendono invece dal papa poche e chiare parole. A far confusione, dicono, ci pensiamo già noi.
    La terza affermazione sugli atei e gli incoerenti frequentatori della messa è tra l’altro in contraddizione con altri insegnamenti dello stesso Francesco. E’ nota la discussa affermazione della Evangelii gaudium ripresa nella famosa nota 351 di Amoris laetitia secondo cui “l’Eucarestia non è un premio per i perfetti ma un aiuto per i deboli”. Ammesso che sia così, non si capisce perché sia meglio essere atei che andare in chiesa pur essendo cristiani incoerenti. La coerenza qui viene richiesta in modo assoluto, mentre in nome di una superiore misericordia ai divorziati risposati non si chiede più la coerenza di vivere come fratello e sorella secondo le indicazioni di Familiaris consortio 84.
    In ogni caso, anche se esaminata in se stessa, la frase presenta delle oscurità teologiche. L’ateismo, quando è colpevole, un tempo era considerato un peccato. Oggi, di fatto, non è più così, perché si pensa che Dio si riveli in tutti gli uomini e quindi anche negli atei. E’ per questo che si concedono le chiese alle cattedre dei non credenti e si permette loro di insegnare (in chiesa) che Dio non esiste. L’ateismo è la situazione dell’uomo che consapevolmente rifiuta Dio. Come è possibile che tale situazione di vita sia preferibile a chi va in chiesa pur non riuscendo poi ad essere cristiano fino in fondo nella vita pratica? In questo modo la coerenza diventa il criterio di valutazione al posto del contenuto di verità. Un ateo coerente sarebbe preferibile ad un cristiano incoerente. Può essere corretto criticare l’ipocrisia, anche se oggi (siamo seri …) quanti vanno in chiesa tutti i giorni “per essere ammirati dagli uomini”?, ma è problematico indicare la coerenza dell’ateo come alternativa.
    La frequenza con cui papa Francesco pronuncia frasi problematiche come queste conferma un significativo cambiamento del linguaggio pontificio su cui da tempo si concentrano studiosi e osservatori. L’esempio massimo di questo nuovo codice comunicativo è stata Amoris laetitia. Si tratta di un linguaggio volutamente impreciso, allusivo, evocativo, sfumato, volatile ed ondeggiante. Un linguaggio che propone domande senza risposta, contrapposizioni dialettiche senza sintesi, polarità senza combinazione e spesso usa frasi del tipo “sì...ma” dove il “ma” introduce non solo attenuanti ma eccezioni. E’ un linguaggio per immagini dalla problematica interpretazione teologica più che per concetti: la dottrina come pietre scagliate, la tradizione che non è un museo, il peccato chiamato fragilità, il confessionale che non deve essere sala di tortura … E’ un linguaggio che non chiude ma apre, non precisa ma pone domande, non conferma ma fa nascere dubbi. Un linguaggio “in tensione”, storico, biografico, esistenziale, dinamico, che procede per contrapposizioni e contraddizioni e che inquieta.
    La questione principale davanti a questi evidenti cambiamenti su cui, come ripeto, sono stati già scritti libri e libri, è se dietro questo mutamento di linguaggio ci sia anche un mutamento nella concezione del papato stesso. Il linguaggio non è mai solo linguaggio. Quando si usano parole nuove per indicare le cose di prima vuol dire che è nata una nuova dottrina che le vede in modo diverso. Specularmente, se si vuole far nascere un nuovo modo di pensare bisogna parlare in modo diverso. In questo senso il linguaggio di papa Francesco è l’estremizzazione coerente del passaggio iniziato col Vaticano II dalla dottrina alla pastorale, dalla natura alla storia, dalla metafisica all’ermeneutica. E ciò non poteva finire per riguardare anche il ruolo del papa nella Chiesa.
    Il linguaggio di Francesco, volutamente impreciso - La Nuova Bussola Quotidiana

    Piccolo elogio dei bacchettoni ipocriti
    di Giorgio Enrico Cavallo
    Ogni tanto, ascoltando le parole di Bergoglio, sorge spontanea una domanda: ma in quale Chiesa vive? Questa domanda scatta automaticamente quando si ascoltano le sue parole in merito ai «cristiani pappagallo», come lui li chiama. Gli ipocriti. I bacchettoni. È tornato ad occuparsene nel corso della prima udienza generale dell’anno: «è uno scandalo vedere persone che vanno in Chiesa, stanno tutta la giornata lì o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri, parlando male della gente. Questo è uno scandalo. Meglio non andare in chiesa. Meglio vivere come un ateo».
    Meglio vivere come un ateo? L’affermazione di Bergoglio lascia quantomeno dubbiosi: davvero, alla poca fede è preferibile l’assenza totale di fede? Mai si è visto nella storia un papa che fa lo “sponsor” dell’ateismo, prediligendolo ad una fede infiacchita o ormai abitudinaria; in ogni caso, siamo ormai discretamente immunizzati di fronte alle infelici affermazioni del pontefice, per cui sorvoleremo e punteremo dritti alla domanda più importante: in quale chiesa si vede gente che sta lì tutto il giorno per pregare e farsi vedere?
    Sarebbe un toccasana trovare gente così. Invece, entrando nelle nostre belle chiese, se va bene possiamo trovare l’addetto delle pulizie che lava per terra. Sul serio: preferiremmo di gran lunga trovare schiere di ipocriti bacchettoni che danno aria alla bocca sgranando rosari per mettersi in mostra, piuttosto che ammirare il desolante deserto delle nostre chiese.
    Ci fossero davvero, questi benedetti bacchettoni ipocriti! Gente che sta in chiesa tutto il giorno per farsi ammirare. Pensate un po’: significherebbe che, per la nostra società, andare in chiesa, salmodiare e compiere opere pie significa ancora qualcosa. Immaginate un po’, ragazze che perdono la testa per il mansueto universitario occhialuto che, non avendo muscoli da mostrare, sgrana infiniti rosari per far colpo! Immaginate: i chierichetti esisterebbero ancora, perché i genitori (ovviamente, bacchettoni doc) manderebbero tutti i pargoli, ogni domenica, ad assistere la Messa. Naturalmente, la Messa sarebbe in latino, perché i bigotti doc si valutano in base a quante preghiere in latino conoscono. Se ne conosci di più, vinci un santino benedetto.
    Tornando seri, questa Chiesa non esiste. Purtroppo, la Chiesa che esiste è moribonda ed esisterà ancora per poco: i fedeli disertano Messa e le chiese sono vuote. Sempre. Altro che “meglio essere ateo”. Atei siamo già, e per tanto così meglio essere bacchettoni. Sarebbe il primo passo per approfondire la propria fede. Sarebbe la base di partenza per la propria vita spirituale, che necessita di essere continuamente esercitata e raffinata, perché «pregare si fa dal cuore, da dentro», come osserva Francesco, e mettere le tende in chiesa serve ma poi te la devi vedere a tu per tu con il Padrone di casa.
    Forse, un po’ di moralisti “old style” in più rimetterebbero in riga questa società sbandata. Ben venga, dunque, l’esercito dei bigotti. Magari un giorno arriverà davvero a liberarci dall’oppressione del politicamente corretto e dalla dittatura dell’ateismo. Sperare non costa niente e, per quel che ci riguarda, noi già ripassiamo le preghiere in latino. Il santino benedetto lo vogliamo davvero.
    https://campariedemaistre.blogspot.c...-ipocriti.html

    “AO’ …CHE ME SERVE DIO SE POSSO ESSE ‘NA ‘BRAVA PERSONA’ PURE DA ATEO?”.
    di Gianluca Marletta
    Questa espressione – che sento proferire spesso – nasce da una totale incomprensione.
    Premessa necessaria: purtroppo è vero che un certo ‘moralismo’ religioso ha veicolato da decenni l’idea che la Religione serva essenzialmente “ad assolvere una certa morale”, ergo ad essere “brave persone”, quasi assimilando la Religione all’educazione civica; ma qui c’è un enorme errore di fondo.
    Ricapitoliamo.
    La RELIGIONE ha come primo scopo quello di condurre alla Santità, non al “buon comportamento”. Santità significa partecipazione Reale allo Spirito, possibilità di Salvezza, al limite trasformazione dell’essere (é una realtà Ontologica e Oggettiva, niente di “vacuo”, di “soggettivo” o di “sentimentale”). Certamente, la Santità si manifesta “anche” come adesione ad una morale (peraltro non necessariamente sovrapponibile alla laica “educazione civica”), ma NON é quello il suo scopo e il suo fine più importante.
    Di contro, sinceramente non capisco cosa si intenda per “BRAVA PERSONA”, visto che – nel concreto – non esiste categoria umana al giorno d’oggi che non si consideri “buona” o che non tenda ad auto-giustficare i suoi atti (ho conosciuto da ragazzo spacciatori di eroina che si consideravano “brave persone”, perché ‘infondo non erano mica loro a costringere i tossici a comprarsi la roba…).
    Tra le persone “religiose” vi sono molti che sbagliano, che compiono atti iniqui? Certamente si. Dirò di più: se tutti i “credenti” fossero perfetti, irreprensibili, camminassero sulle acque e resuscitassero i morti, non avrebbero nemmeno bisogno di alcun tipo di Religione …sarebbero già dei Realizzati.
    Di contro, è abbastanza ridicolo immaginare che “fuori dalla religione” le persone siano “più brave” (anche solo da un punto di vista “civico”). E del resto, non si capisce proprio per quale ragione, lì dove vige semplicemente la “spietata legge dell’ego”, dei suoi bisogni e dei suoi capricci, il comportamento umano dovrebbe essere migliore o “più equilibrato”.
    Molti Cristiani vanno a Messa e poi sparlano e odiano il prossimo? Forse si. Ma tra quelli che “a Messa non ci vanno” mi sembra che la mormorazione e l’odio per il prossimo (anche per futilissimi motivi) sia la norma accettata.
    Ci sono Cristiani che tradiscono la moglie? Certo che si. Ma magari “sanno” pure che è sbagliato e si dispiacciono di quello che fanno. Tra quelli “di fuori”, al contrario, certi atteggiamenti sono incoraggiati, esaltati e portati “ad esempio”.
    In conclusione: gli amici Atei o non credenti sono convinti di essere “brave persone”? Buon per loro.
    Per quanto mi riguarda personalmente, e a scanso d’equivoci, dev’essere chiaro che quello che cerco é ALTRO.
    https://www.maurizioblondet.it/ao-ch...-pure-da-ateo/

    Ma il Pontefice sbaglia: non c'è uomo perfetto
    Sul recente «Meglio atei che cristiani ipocriti» di Bergoglio, il commento di un lettore: "Se bisogna attendere di essere santi prima di diventare cristiani... allora solo la Madonna può definirsi cristiana. Invece, è vero che sia molto meglio essere cristiani che essere atei. E, ancora, è molto meglio essere cristiani e parlare male degli altri che essere atei. Non perché parlare male sia giusto o giustificabile, ma perché la misericordia di Dio - la misericordia VERA - implica il sapere e comprendere che siamo peccatori. Per questo nostro Signore ha creato la S. Confessione: non come una autorizzazione a peccare, ma come un salvagente che - qualora si cada nel peccato e ci si renda conto del male commesso con il proposito serio di non volerlo più commettere - possa tirare fuori ciascuno di noi dall'inferno cui sarebbe destinato se non arrivasse nostro Signore Gesù Cristo con la Sua Grazia (che passa dai Sacramenti e dalla preghiera) a tirarci in salvo".
    ---------------------------------------------
    «Meglio atei che cristiani ipocriti» è il titolo corrente per il primo discorso di Papa Francesco nel 2019, forse pronunciato per non darci tregua nemmeno durante le vacanze di Natale.
    Si potrebbe come al solito dare la colpa ai giornalisti, grossolani e frettolosi, e dire che la catechesi del Santo Padre, stavolta centrata sul Padre Nostro, è stata molto più articolata. Vero: nell'Aula Paolo VI non sono mancate espressioni più sfumate. Ma anche falso: sono andato a leggermi il discorso completo, sull'ufficialissimo sito del Vaticano, ed effettivamente contiene un passaggio così sintetizzabile. Eccolo: «Quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo».
    Si capisce che il Papa sta parlando a braccio, e pure questo fa parte del suo non darci mai tregua: come tutti vivo in una valle di lacrime e in più, come cattolico, mi tocca il pontificato di chi è solito parlare a braccio. Che può far rima con casaccio.
    «Meglio non andare in chiesa» è un'affermazione pericolosa, le chiese sono già disertate abbastanza, speriamo non lo prendano in parola. Chesterton, un maestro di realismo cristiano, scrive che «se vale la pena fare una cosa, vale la pena di farla male». Bergoglio, che almeno nell'estrapolazione risulta un maestro di cristiano utopismo, prefigura chiese frequentate esclusivamente da persone che non odiano e non sparlano, e dunque chiese deserte. Siamo tutti più o meno ipocriti e se non ci rassegnassimo a fare male le cose buone (ad esempio andare a messa la domenica) faremmo soltanto quelle cattive. Meglio ipocrita che ateo: se non fossi credente non crederei nemmeno nell'esistenza del peccato, non avrei più nemmeno il freno del rimorso.
    Secondo me esiste anche un problema lessicale: non ci sono più gli ipocriti di una volta, l'ipocrisia non è più quella dei tempi del Vangelo. Duemila anni fa Cristo identificava gli ipocriti con chi ostentava devozione per ottenere vantaggi sociali.
    Oggi il Vicario di Cristo insiste con questa definizione senza tenere conto che, in una società secolarizzata come la nostra, ostentare devozione garantisce semmai compatimento, risolini. Anziché «ipocrita» bisognerebbe dire «incoerente»: ebbene sì, sono incoerente, le mie azioni spesso non coincidono con le mie dichiarazioni, faccio quello che posso e posso abbastanza poco. Un po' come (si parva licet) San Pietro che promise a Gesù fedeltà fino morte e poi, quando buttava male, fece finta di non conoscerlo nemmeno. O come San Paolo che scrisse: «In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo». Fossero vivi, anche Pietro e Paolo rischierebbero gli strali di Jorge Mario.
    Chiesa e post concilio: Ma il Pontefice sbaglia: non c'è uomo perfetto - Camillo Langone

    Eugenio Scalfari: "Il Papa sta facendo comprendere alla sua comunità la cultura moderna"
    di Diego Fusaro
    "Il Papa sta facendo comprendere alla sua comunità la cultura moderna". Così nella sua immancabile omelia domenicale il demofobo Eugenio Scalfari, instancabile elaboratore di preci in nome dei mercati globali.
    Mi permetto di correggerlo: a me pare che ultimamente si stiano abbandonando le radici della spiritualità cristiana in nome di un traghettamento della christianitas verso l'abisso del nichilismo globalcapitalistico del Vangelo secondo Soros.
    Resta da capire il perché. Ricatto? Tradimento?
    Scalfari e il Vangelo secondo Soros di Papa Francesco - Affaritaliani.it

    Il destino delle nostre Chiese vuote
    Il Papa annuncia che i luoghi sacri, senza fedeli, vanno riconvertiti per l'accoglienza. Il segno di una crisi profonda
    Marcello Veneziani
    La Chiesa annuncia che chiuderà per mancanza di preti e di fedeli. Non era mai capitato di sentire una cosa del genere, e non da gente qualunque o da un sacerdote irriverente ma dal Vicario di Cristo in terra, il Papa in persona. Molte chiese, ha detto Bergoglio, «fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero». La Chiesa deve adattarsi ai tempi cambiati, ha proseguito Francesco, deve dismettere le chiese e aiutare i poveri, giacché «non ha valore assoluto il dovere di tutelare e conservare i beni culturali della Chiesa, perché in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri». Un annuncio storico, per giunta sotto Natale, ma è passato quasi inosservato. Siamo alla liquidazione dell’esercizio? In passato avevamo sentito i papi denunciare la scristianizzazione della società ma nessuno si era mai spinto a parlare di chiese senza devoti e senza sacerdoti da riadattare come ospizi per barboni e migranti. Che regalo di Natale...
    Un patrimonio religioso diventa patrimonio immobiliare, la religione della fede diventa «religione dell’umanità», avrebbero esultato i positivisti e i socialisti. Un luogo sacro e santo che si trasforma in ostello è lo specchio di una Chiesa che diventa Organizzazione umanitaria. Come una qualsiasi ditta, la Chiesa con Papa Francesco sta cambiando la sua «ragione sociale»? E noi qui a discutere del presepe, del crocifisso nelle aule pubbliche, o delle moschee. E la gente applaude a Matteo Salvini e ai ministri Lorenzo Fontana e Marco Bussetti che sollevano il tema della difesa della civiltà cristiana e dei suoi simboli millenari, la croce, il presepe.
    A proposito, non bastava l’annuncio papale ma a cancellare il Natale ora ci sono anche i preti d’assalto: il genovese don Paolo Farinella non celebra il Natale in odio a Salvini e alla politica sui migranti. E il prete padovano don Luca Favarin si rifiuta di fare il presepe perché gli dà fastidio il suddetto fronte presepista di Diopatriaefamiglia. Su una cosa però hanno ragione: non si può diventare cattolici solo a Natale, e andare a messa e farsi i selfie col presepe. Nell’Occidente cristiano, e non solo nel mondo, c’è ormai apatia religiosa e le chiese vuote, se non vogliamo che finiscano come pizzerie, diventino almeno musei o luoghi di dibattito. Come dire, non più luoghi di culto ma di cultura; la fede lascia la chiesa in eredità agli intellettuali. Soluzione illuminista.
    Intanto, in giro, le chiese sconsacrate diventano resort, trattorie, teatri, luoghi polifunzionali. O peggio, come si stava facendo a Bergamo con la chiesa dei Cappuccini, rischiano di essere comprate dagli islamici per farne una moschea; una specie di nemesi religiosa, se si considera che molte chiese cristiane sorgono su luoghi di culti precristiani.
    Se i papi nei secoli avessero distribuito i soldi ai poveri del loro tempo anziché edificare altari, conventi e cattedrali, oggi non avremmo capolavori d’arte né luoghi di preghiera in cui viene consacrata e affidata la nascita, la morte, il matrimonio. In ogni chiesa è riflesso il travaglio di popoli e di generazioni, il sacrificio e la fede di chi l’ha edificata, amata, vissuta; c’è il ricordo dei santi e dei martiri, il legame sacro di una comunità, la sua anima, la sua storia, la sua identità.
    È desolante vedere le chiese vuote ma si può liquidare una fede cambiandole la destinazione d’uso, riducendola a pura assistenza sociale? Magari per aiutare i poveri si potrebbe usare il vasto patrimonio immobiliare della Chiesa. Meglio cedere un edificio per usi profani piuttosto che una chiesa. Ed è meglio che le chiese celebrino il Natale e allestiscano il presepe, piuttosto che ridursi a sedi per assemblee di migranti.
    Qualche anno fa ebbi la fortuna di visitare le parti del Vaticano non aperte al pubblico: in 200 metri vidi la più alta concentrazione di capolavori che ci sia al mondo: la Cappella paolina di Michelangelo, le sale del Bernini per ricevere i sovrani, le logge dipinte dalla scuola di Raffaello, la prima carta geografica con l’America collocata a Oriente, vidi perfino un minuscolo e magnifico bagno del segretario di Stato dipinto dallo stesso Raffaello. Non c’è al mondo tanta densità di grazia e di bellezza in uno spazio così intensamente popolato d’arte, contiguo alla Cappella Sistina: in quegli affreschi era descritta la condizione umana, il viaggio di anime e corpi tra cielo e terra, luce e tenebra. Là c’era tutto l’uomo, nella sua massima grandezza e nel nudo confronto con la sua miseria di mortale. Se al posto di tutta quella bellezza, la Chiesa avesse soccorso i poveri, sfamato un po’ di gente, cosa avrebbe lasciato alle generazioni seguenti, quali risposte avrebbe dato alla vita, alla morte, alla speranza?
    Certo, sconforta vedere sotto Natale le chiese vuote. Ma ancor più sconforta l’annuncio dei saldi di fine cristianità.
    https://www.panorama.it/news/cronaca...-chiese-vuote/

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Piccolo elogio dei bacchettoni ipocriti
    di Giorgio Enrico Cavallo
    Ogni tanto, ascoltando le parole di Bergoglio, sorge spontanea una domanda: ma in quale Chiesa vive? Questa domanda scatta automaticamente quando si ascoltano le sue parole in merito ai «cristiani pappagallo», come lui li chiama. Gli ipocriti. I bacchettoni. È tornato ad occuparsene nel corso della prima udienza generale dell’anno (ascoltabile qui): «è uno scandalo vedere persone che vanno in Chiesa, stanno tutta la giornata lì o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri, parlando male della gente. Questo è uno scandalo. Meglio non andare in chiesa. Meglio vivere come un ateo».
    Meglio vivere come un ateo? L’affermazione di Bergoglio lascia quantomeno dubbiosi: davvero, alla poca fede è preferibile l’assenza totale di fede? Mai si è visto nella storia un papa che fa lo “sponsor” dell’ateismo, prediligendolo ad una fede infiacchita o ormai abitudinaria; in ogni caso, siamo ormai discretamente immunizzati di fronte alle infelici affermazioni del pontefice, per cui sorvoleremo e punteremo dritti alla domanda più importante: in quale chiesa si vede gente che sta lì tutto il giorno per pregare e farsi vedere?
    Sarebbe un toccasana trovare gente così. Invece, entrando nelle nostre belle chiese, se va bene possiamo trovare l’addetto delle pulizie che lava per terra. Sul serio: preferiremmo di gran lunga trovare schiere di ipocriti bacchettoni che danno aria alla bocca sgranando rosari per mettersi in mostra, piuttosto che ammirare il desolante deserto delle nostre chiese.
    Ci fossero davvero, questi benedetti bacchettoni ipocriti! Gente che sta in chiesa tutto il giorno per farsi ammirare. Pensate un po’: significherebbe che, per la nostra società, andare in chiesa, salmodiare e compiere opere pie significa ancora qualcosa. Immaginate un po’, ragazze che perdono la testa per il mansueto universitario occhialuto che, non avendo muscoli da mostrare, sgrana infiniti rosari per far colpo! Immaginate: i chierichetti esisterebbero ancora, perché i genitori (ovviamente, bacchettoni doc) manderebbero tutti i pargoli, ogni domenica, ad assistere la Messa. Naturalmente, la Messa sarebbe in latino, perché i bigotti doc si valutano in base a quante preghiere in latino conoscono. Se ne conosci di più, vinci un santino benedetto.
    Tornando seri, questa Chiesa non esiste. Purtroppo, la Chiesa che esiste è moribonda ed esisterà ancora per poco: i fedeli disertano Messa e le chiese sono vuote. Sempre. Altro che “meglio essere ateo”. Atei siamo già, e per tanto così meglio essere bacchettoni. Sarebbe il primo passo per approfondire la propria fede. Sarebbe la base di partenza per la propria vita spirituale, che necessita di essere continuamente esercitata e raffinata, perché «pregare si fa dal cuore, da dentro», come osserva Francesco, e mettere le tende in chiesa serve ma poi te la devi vedere a tu per tu con il Padrone di casa.
    Forse, un po’ di moralisti “old style” in più rimetterebbero in riga questa società sbandata. Ben venga, dunque, l’esercito dei bigotti. Magari un giorno arriverà davvero a liberarci dall’oppressione del politicamente corretto e dalla dittatura dell’ateismo. Sperare non costa niente e, per quel che ci riguarda, noi già ripassiamo le preghiere in latino. Il santino benedetto lo vogliamo davvero.
    https://campariedemaistre.blogspot.c...-ipocriti.html

    “Grazie Francesco”. Da “todos los masones del mundo”
    «Todos los masones del mundo se unen a la petición del Papa por “la fraternidad entre personas de diversas religiones”».
    È davvero pieno di entusiasmo e riconoscenza il messaggio che i massoni spagnoli hanno inviato a Francesco: «Tutti i massoni del mondo si uniscono alla richiesta del papa per “la fraternità tra persone di diverse religioni”».
    Il testo è stato rilanciato in un tweet della Gran Logia de España, nel quale si sottolinea l’identità di vedute rispetto a quanto sostenuto da Francesco nel messaggio di Natale.
    «Nel suo messaggio natalizio dalla loggia centrale del Vaticano – scrivono infatti i massoni del Grande Oriente Español – Papa Francesco ha chiesto il trionfo della fratellanza universale tra tutti gli esseri umani: “Il mio augurio di buon Natale è un augurio di fraternità. Fraternità tra persone di ogni nazione e cultura. Fraternità tra persone di idee diverse, ma capaci di rispettarsi e di ascoltare l’altro. Fraternità tra persone di diverse religioni. Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio a tutti coloro che lo cercano. E il volto di Dio si è manifestato in un volto umano concreto. Non è apparso in un angelo, ma in un uomo, nato in un tempo e in un luogo. E così, con la sua incarnazione, il Figlio di Dio ci indica che la salvezza passa attraverso l’amore, l’accoglienza, il rispetto per questa nostra povera umanità che tutti condividiamo in una grande varietà di etnie, di lingue, di culture…, ma tutti fratelli in umanità! Allora le nostre differenze non sono un danno o un pericolo, sono una ricchezza. Come per un artista che vuole fare un mosaico: è meglio avere a disposizione tessere di molti colori, piuttosto che di pochi!”».
    Nel mettere in evidenza con enfasi l’importanza dei concetti espressi da Francesco, la Gran Loggia di Spagna rileva: «Le parole del Papa mostrano la lontananza attuale della Chiesa dal contenuto di Humanum genus (1884), l’ultima grande condanna cattolica della massoneria».
    Nell’enciclica Humanus genus in effetti il papa Leone XIII condannò senza mezzi termini la massoneria, stigmatizzando «il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti», un atteggiamento che il pontefice dell’epoca definì «via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre».
    Secondo i massoni spagnoli, il modo in cui il papa attuale condanna il fondamentalismo religioso e chiede fraternità e tolleranza avvicina la Chiesa alla massoneria accomunandole nell’impegno per la fratellanza universale, al di là delle differenze in campo politico, culturale, nazionale e religioso.
    L’attestato di stima nei confronti del papa da parte della massoneria fa notizia, ma non stupisce. Dopo Paolo VI, Jorge Mario Bergoglio (che dal 1999 è socio onorario del Rotary Club) è decisamente il papa più apprezzato dalla massoneria internazionale.
    Mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI furono duramente osteggiati dai massoni, il pontefice argentino ha ricevuto ripetuti elogi (https://www.marcotosatti.com/2017/04...a-prima-volta/) dalla massoneria, sia in Europa sia nelle Americhe. E certamente nuovi elogi arriveranno, dato che il papa si appresta a partecipare ad Abu Dahbi, all’inizio del prossimo febbraio, su invito dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, all’Incontro interreligioso internazionale sulla fratellanza umana, tema da sempre caro alla massoneria.
    Pure dai massoni italiani nel corso del tempo sono arrivate espressioni di stima e simpatia nei confronti di Francesco. Anni fa, per esempio, Gustavo Raffi, all’epoca gran maestro del Grande Oriente d’Italia, disse a migliaia di fratelli riuniti a convegno: «Basterà volgere lo sguardo dentro quelle mura che separano l’Italia dal Vaticano per capire che qualcosa sta cambiando. Osserviamo con attenzione e rispetto come questo papa stia accelerando i tempi di un cambiamento epocale entro l’orizzonte di strutture tradizionalmente restie ad accogliere i fermenti di innovazione. E di riflesso il suo influsso si riverbera ben oltre i confini delle sagrestie».
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    Abusivi..sciò!
    Il Vaticano allontana i barboni. Ma il Papa chiede di far sbarcare i migranti
    La gendarmeria Vaticana allontana sistematicamente barboni, clochard e senza tetto italiani che bivaccano in Piazza San Pietro e in un sottopasso attraversato ogni giorno da migliaia di pellegrini. La prassi è talmente consolidata che non fa neppure notizia. Eppure, nonostante gli sgombri quotidiani, Bergoglio s'immischia negli affari di stato altrui, chiedendo ai capi "stranieri" di far sbarcare i clandestini africani delle Ong. Poi la Chiesa si lamenta per il precipitare delle offerte, il crollo delle udienze, lo svuotamente delle chiese e il calo di popolarità del papa più amato dai non credenti.
    https://apostatisidiventa.blogspot.c...scio.html#more

    Francesco da innocente a colpevole. Cattive notizie dalla sua Argentina
    Zanchetta
    Tempi difficili per la nuova squadra degli addetti stampa del papa. La prima dichiarazione pubblica che Alessandro Gisotti, neodirettore della sala stampa della Santa Sede, ha diramato dopo la sua entrata in ruolo ha riguardato il caso di un vescovo argentino (nella foto) che rischia di mandare in frantumi la strategia adottata da Francesco per affrontare la questione degli abusi sessuali commessi da sacri ministri.
    È la strategia che ispira la lettera inviata a Capodanno dal papa ai vescovi degli Stati Uniti riuniti per gli esercizi spirituali, in vista del summit che dal 21 al 24 febbraio riunirà a Roma i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo.
    Anche in questa lettera, infatti, come già aveva fatto in precedenza con i vescovi del Cile, Francesco si colloca dalla parte dei senza potere e delle vittime del potere, cioè dell’innocente “popolo di Dio”, contro la casta clericale che abusa sì del sesso, ma a suo giudizio abusa più di tutto e prima di tutto proprio del “potere”.
    Non importa che nel caso del Cile Francesco avesse lui stesso, fino all’ultimo e contro ogni evidenza, difeso l’innocenza di vescovi di cui ha dovuto infine riconoscere la colpevolezza. Né importa che nel caso degli Stati Uniti pesi su di lui l’accusa di aver dato copertura e onori a un cardinale, Theodore McCarrick, di cui pur conosceva le riprovevoli pratiche omosessuali. Nell’uno e nell’altro caso, Francesco si è autoassolto o incolpando chi l’aveva mal consigliato o rifiutando di rispondere a chi – come l’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò – l’ha chiamato in causa personalmente. E anche nel summit di fine febbraio egli si apprestava a riprodurre tale dinamica tipicamente populista, con lui nella veste di purificatore di una casta clericale ebbra di potere.
    Ma ora che è esploso il caso del vescovo argentino Gustavo Óscar Zanchetta, per il papa tutto ciò diventa più difficile.
    A sollevare il caso, il giorno di Natale, è stato il quotidiano argentino “El Tribuno”, dando notizia che tre sacerdoti della diocesi di Orán avevano denunciato al nunzio apostolico il loro vescovo Zanchetta per abusi sessuali su una decina di seminaristi, e che anche per questo, il 1 agosto 2017, il papa aveva rimosso il vescovo dalla diocesi.
    Nel replicare il 4 gennaio a queste notizie e alle conseguenti domande dei giornalisti, il direttore della sala stampa vaticana Gisotti ha affermato che Zanchetta “non è stato rimosso” ma “fu lui a dimettersi”; che le accuse di abuso sessuale “risalgono a questo autunno” e non prima; che le indagini in corso in Argentina “devono ancora arrivare alla congregazione per i vescovi”; e che comunque “durante l’investigazione previa mons. Zanchetta si asterrà dal lavoro” che gli compete attualmente in Vaticano, come assessore dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
    Intanto, già questa sospensione dal lavoro imposta a Zanchetta fa pensare che in Vaticano le accuse di abusi sessuali siano ritenute serie. Ma anche a prescindere dalla data in cui tali accuse sarebbero state inoltrate alle autorità ecclesiastiche competenti – nell’autunno del 2018 secondo la sala stampa vaticana, nel 2015 secondo quanto riconfermato da “El Tribuno” – è l’intera vicenda di questo vescovo a mettere in cattiva luce il comportamento di papa Francesco.
    Quando Jorge Mario Bergoglio fu eletto a successore di Pietro, Zanchetta era un semplice sacerdote. Che però era da lui ben conosciuto, in quanto da anni sottosegretario esecutivo della conferenza episcopale argentina presieduta dallo stesso Bergoglio. Conosciuto e anche apprezzato, al punto che Zanchetta fu uno dei primissimi argentini che il nuovo papa promosse vescovo, di sua iniziativa, saltando ogni trafila canonica, il 23 luglio 2013, alla testa della diocesi di Orán, nel nord del paese.
    Ma come vescovo di Orán Zanchetta durò poco. A motivo dei “rapporti molto tesi con i sacerdoti della diocesi”, che gli procurarono “accuse di autoritarismo” e resero manifesta la sua “incapacità di governare”, riconosce oggi la Santa Sede, stando a quanto dichiarato da Gisotti.
    Sta di fatto che il 29 luglio 2017 all’improvviso Zanchetta sparì. Senza alcuna messa d’addio e senza alcun saluto ai suoi sacerdoti e fedeli. Fece solo sapere, da località imprecisata, che aveva problemi di salute da curare urgentemente altrove e che era appena tornato da Roma, dove aveva rimesso il suo mandato nelle mani di papa Francesco. Il quale prontissimamente, il 1 agosto, accettò le sue dimissioni.
    Zanchetta fu ospite per breve tempo del vescovo della diocesi di Corrientes, 900 chilometri più a sud, Andrés Stanovnik, lo stesso che l’aveva ordinato. Per poi ricomparire in Spagna, a Madrid, in apparente buona salute.
    Curiosamente, la capitale della Spagna è la meta a cui Francesco aveva indirizzato due anni prima, nel 2015, il vescovo cileno Juan de la Cruz Barros Madrid – prima di promuoverlo a vescovo di Osorno contro il parere dei vertici della Chiesa cilena e della nunziatura – per un mese di esercizi spirituali predicati dal celebre gesuita spagnolo Germán Arana, tra i consiglieri più ascoltati dal papa in tante nomine episcopali e in questo caso difensore accanito dell’innocenza di Barros, già colpito da accuse pesantissime di abusi sessuali.
    Sta di fatto che anche a Zanchetta la trasferta madrilena fece da preludio a una sua nuova promozione da parte di Bergoglio, che il 19 dicembre 2017 lo chiamò in Vaticano nientemeno che a gestire l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, in sigla APSA, nel ruolo nuovo e creato apposta per lui di “assessore”.
    L’APSA è il vero asse portante dell’amministrazione vaticana. Oltre a possedere cospicui beni mobili e immobili, svolge un ruolo paragonabile a quello di una banca centrale, tant’è vero che il riordino finanziario della Santa Sede che Francesco affidò all’inizio del pontificato al cardinale australiano George Pell aveva proprio l’APSA nel cuore della riforma. Ma poi Pell fu costretto ad abbandonare l’impresa, la sua riforma non andò in porto e l’APSA è divenuta l’approdo di personaggi privi di competenza amministrativa, falliti nei loro precedenti ruoli, ma che Bergoglio vuole tenere vicini a sé, suoi amici e protetti. Ultimo caso quello dell’arcivescovo Nunzio Galantino, già discusso segretario generale della conferenza episcopale italiana, lì imposto dal papa, e ora presidente dell’APSA.
    Quando Zanchetta lasciò Orán, i media argentini descrissero il disordine finanziario in cui aveva lasciato la diocesi. Ma ciò non disturbò minimamente la sua promozione all’APSA “in considerazione della sua capacità gestionale amministrativa”, come ha tenuto a dire il portavoce pontificio Gisotti nella sua dichiarazione del 4 gennaio scorso, prima di asserire che comunque “nessuna accusa di abuso sessuale era emersa al momento della [sua] nomina ad assessore”.
    Vero o no che le accuse risalissero invece al 2015, come ribadito dalla stampa argentina che riporta le parole degli autori della denuncia, resta il fatto che il trattamento di riguardo riservato da papa Francesco a Zanchetta lascia attoniti, per l’incredibile assenza di “discernimento” nel valutare la persona, ripetutamente promossa a cariche di rilievo nonostante la sua palese inadeguatezza e inaffidabilità.
    Caso non isolato. Ma che basta da solo a contraddire il postulato dell’estraneità e dell’innocenza di papa Francesco di fronte agli abusi di potere – prima che di sesso, come lui ama dire – della casta clericale.
    Il rischio è che il summit convocato in Vaticano dal 21 al 24 febbraio – per come si riverbererà sulla pubblica opinione – trovi Bergoglio non nel ruolo di giudice senza macchia, ma anche lui sul banco dei colpevoli di aver tollerato e coperto gli abusi.
    Francesco da innocente a colpevole. Cattive notizie dalla sua Argentina - Settimo Cielo - Blog - L?Espresso

    Francesco e gli abusi sessuali. Il papa che sapeva troppo
    L’ultimo fatto di cui Settimo Cielo ha dato notizia pochi giorni fa è il caso del vescovo argentino Gustavo Óscar Zanchetta e della sua stupefacente carriera fino a un’elevata carica nella curia vaticana, nonostante le sue manifeste prove di inadeguatezza e di inaffidabilità e le denunce di suoi abusi sessuali su una decina di seminaristi.
    Il caso Zanchetta è un esempio lampante di quegli “abusi di potere, di coscienza e sessuali” tanto stigmatizzati da Francesco. Peccato però che tutta la carriera di tale personaggio sia frutto dell’amicizia e della protezione del papa.
    Un secondo caso è quello dell’ex cardinale Theodore McCarrick. La congregazione per la dottrina della fede – come rivelato il 7 gennaio da Catholic News Agency – ha quasi ultimato un processo penale “amministrativo”, più rapido e stringente di quello canonico regolare, sulle sue malefatte, raccogliendo le testimonianze di altre due vittime da lui abusate, anche durante il sacramento della confessione, quando avevano l’età di 11 e 13 anni, e di altri dodici seminaristi fatti oggetto di pratiche omosessuali quando egli era vescovo a Metuchen e a Newark.
    È quindi probabile che prima dell’incontro del 21-24 febbraio papa Francesco adotti nei confronti di McCarrick un’ulteriore ed estrema sanzione: la riduzione allo stato laicale.
    Anche qui, però, continua a pesare su Francesco la responsabilità di aver dato per anni copertura e onori a McCarrick pur essendo a conoscenza – al pari di altri alti esponenti della gerarchia, in questo e nei due precedenti pontificati – dei suoi riprovevoli comportamenti omosessuali, decidendosi a sanzionarlo soltanto dopo che erano usciti allo scoperto, pochi mesi fa, anche suoi abusi su minori.
    Un terzo caso riguarda il cardinale Donald Wuerl, fino allo scorso ottobre arcivescovo di Washington e tuttora amministratore apostolico della diocesi in attesa della nomina del successore, ringraziato da Francesco con parole commosse di orgoglio e di stima per la “nobiltà” d’animo mostrata – a detta del papa – nel respingere le accuse di aver coperto abusatori sessuali a lui noti, tra i quali McCarrick.
    In effetti, lo scorso giugno Wuerl aveva dichiarato di non aver mai saputo nulla degli abusi imputati a McCarrick prima che uno di essi, a danno di un minore, fosse divenuto noto nella primavera del 2018.
    Ma il 10 gennaio di quest’anno sia la diocesi di Pittsburgh, sia l’arcidiocesi di Washington hanno confermato che già nel 2004 Wuerl, all’epoca vescovo di Pittsburgh, aveva saputo della cattiva condotta di McCarrick da un ex sacerdote di quella diocesi, anche lui vittima di atti omosessuali da parte dello stesso McCarrick, e aveva inoltrato l’esposto all’allora nunzio apostolico negli Stati Uniti, Gabriel Montalvo.
    Nell’estate del 2018 anche il rapporto del “grand jury” della Pennsylvania sugli abusi sessuali del clero si è abbattuto contro Wuerl, accusato di aver lasciato impuniti vari casi di abusi, quando era vescovo di Pittsburgh.
    E poi è entrato in campo, sempre contro di lui, l’autorevole ex vaticanista di “Newsweek” Kenneth Woodward, che in un memoriale sulla rivista cattolica progressista “Commonweal” ha scritto che la diocesi di Pittsburgh era nota da tempo come una delle più pervase da preti omosessuali, a partire da chi ne fu vescovo tra il 1959 e il 1969, John J. Wright, poi cardinale e prefetto della congregazione vaticana per il clero, lui stesso con tanti giovani amanti e con suo segretario personale proprio quel Wuerl che gli fu successore.
    Eppure, incredibilmente, la parola “omosessualità” non ricorre mai né nella lettera di Francesco al “popolo di Dio” del 20 agosto 2018, né nella sua lettera ai vescovi degli Stati Uniti del 1 gennaio 2019, né nella sua conversazione con i gesuiti irlandesi. Come se questo problema non esistesse.
    Quando invece è proprio la pratica omosessuale il fattore statisticamente dominante tra il clero che abusa, negli ultimi decenni. Esattamente come è la pratica omosessuale con giovani e giovanissimi a caratterizzare il comportamento di McCarrick, di cui si conoscono solo pochissimi casi di abusi su minori, anch’essi comunque maschi. Ed è questa deliberata rimozione del fattore omosessualità il tallone d’Achille della strategia anti-abusi di Francesco.
    Francesco e gli abusi sessuali. Il papa che sapeva troppo - Settimo Cielo - Blog - L?Espresso

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Volantini accusatori: cinque sacerdoti nel mirino
    VENEZIA Curia veneziana di nuovo sotto attacco dopo le proteste del mese scorso sotto la sede del Palazzo patriarcale. Mani ignote hanno attaccato mercoledì notte nelle aree attorno alle chiese dell'area marciana - da San Moisè, a San Zulian, San Salvador, Santa Maria Formosa, San Lio - alcuni volantini, in cui viene messa in dubbio la serietà morale di 5 sacerdoti del patriarcato di Venezia. Cinque religiosi che vengono accusati di «reati e condotte irrispettose del loro ruolo e dei fedeli», con riferimenti espliciti alla vita privata e sessuale degli stessi.
    L'accusa colpisce anche il patriarca Francesco Moraglia, che secondo la mano anonima che ha redatto i volantini non avrebbe preso provvedimenti nei confronti dei sacerdoti in questione «alimentando lo scandalo, lo sconforto e la costernazione di una comunità già molto «vilipendiata» (così nel volantino).
    https://www.ilgazzettino.it/nordest/...i-4268298.html

    PICCOLO PROBLEMINO
    La neochiesa conciliare ha un PICCOLO PROBLEMINO: i pretazzi porcelloni non possono essere spretati perché succederebbe un patatrac di dimensioni mostruose:
    tante parrocchie resterebbero improvvisamente scoperte (OH MY GOD, una cosa del genere è già sufficiente a far venire i brividi di terrore alle loro eccellenze monsignori vescovi);
    tanti pretuncoli dalla coscienza sporca troverebbero modo di vendicarsi (nei tribunali, sui media, nel consiglio presbiterale, ecc.) quantomeno perché finora l'avevano passata liscia e trovano ovviamente allarmante il possibile inizio di una stagione di punizioni (la vendicatività di un prete è superata solo da quella di un vescovo, e quella di un vescovo è superata solo da quella delle curie);
    tanti vescovi (in carica e dimessi) verrebbero riconosciuti come conniventi o almeno incapaci di gestire il proprio clero (dev'essere una moda tutta postconciliare: persino quel Gran Bergoglione sapeva del frocio McCarrick e non ha fatto nulla). Tutto questo avviene perché hanno l'invincibile timore di passare per quelli che preferiscono punire i malfattori piuttosto che aprire una piattaforma di dialogo con loro...
    La radice di quel PICCOLO PROBLEMINO sta nel fatto che da almeno un paio di generazioni (diciamo piuttosto dal Conciliabolo Vaticanosecondo) viene portato al sacerdozio non il candidato che desidera santificare sé stesso e il prossimo (cosa che diffonderebbe pericolosamente la liturgia tridentina), ma l'insipido clown del circo parrocchiale campione del politicamente corretto e che abbia un minimo di attitudine managerial-dialogante.
    Il corpo di quel PICCOLO PROBLEMINO consiste nell'accanimento clericale a nascondere la polvere sotto il tappeto, sperando che non se ne accorga neppure Nostro Signore. Anche la moragliesca rivoluzione delle parrocchie recentemente iniziata sembra essere la solita gattopardata. Ma credete forse che essere vescovo consiste nel fare il pranzo coi poveri, la letterina pastoralina, l'incontrino con il rabbino, gli auguri per il Ramadàn, e la predichetta sul Vangelo del giorno in attesa della berretta cardinalizia?
    I frutti di quel PICCOLO PROBLEMINO sono in questo stillicidio di scandali (una cosa che rallegrerà ogni Massoneria): mentre il Titanic affonda, gli ufficiali di bordo comandano di procurarsi qualche secchio senza farsi notare...
    Oggi abbiamo il caso Moraglia, che alcuni ritengono un buon vescovo. Sarà magari buono a distribuire prediche. Magari dice pure tutte le preghiere e non mangia carne il venerdì, chissà. Sarà pure che la curia (in quanto tale è proverbialmente vendicativa) potrebbe averlo scavalcato prendendo iniziativa con quel ridicolo annunciar querele (e telecamere e identificazione impronte digitali e tutto il resto del vocabolario di Sherlock Holmes urlato col sangue agli occhi) e avendo come immediato risultato quello di confermarci che le accuse del volantino sono fondate. Ma se sua eccellenza è un cattolico che ci tiene alla sua anima, dovrebbe immediatamente dimettersi, poiché:
    se "non sapeva", significa che non governava (le notizie nei corridoi di curia corrono velocissime, e non c'è bisogno di istruire un processone per discernere quali sono quelle ragionevolmente fondate e da attenzionare subito); e se per accorgersene ha dovuto aspettare l'affissione dei volantini, significa che era incapace di governare la diocesi; dunque dovrebbe dare le dimissioni per "obbligare" il Vaticano a munire la diocesi di un vescovo con più polso (ah, ah, ah!) e per evitare di sovraccaricare la propria anima di altre grosse responsabilità;
    se "sapeva", significa che ha governato male; se un prete si lascia guidare dai desiderata del suo basso ventre andava massacrato senza pietà.
    BUT PORCA PUTTANA, quando vescovi e curie vogliono perseguitare qualche prete usano un milione di modi efficacissimi e collaudatissimi per rovinargli la salute mentale e fisica (ed economica e tutto il resto, specialmente se il soggetto propende verso la Tradizione): non ditemi che l'unica soluzione verso un pedo-prete o un frocio-prete o un avido parassita è sempre il dargli una vacanzina e un trasferimentino. Non ditemi che è tanto tanto difficile somministrare una brutale sospensione a divinis a un soggetto indegno. Non ditemi che è impossibile ridurre allo stato laicale un prete che perde il pelo ma non il vizio;
    e perfino nell'improbabile ipotesi che il volantino sia una zingarata andava data una risposta immediata, pubblica, forte, sfruttando il volantino come alibi per bastonare i furbacchioni (curie e vescovi sono già espertissimi in simili manovre... quando si tratta di bastonare gratuitamente i sospetti tradizionalisti). Ma questo lo poteva fare solo un vescovo capace di governare la diocesi e che se ne infischi dei titoli di giornale e che abbia davvero a cuore la giustizia di Dio e la salute spirituale del proprio gregge...
    Quanto detto vale evidentemente anche per gli altri vescovi, specialmente quelli che per il momento non si ritrovano uno scandalo sui giornali.
    Prevedo che Moraglia non si dimetterà (diventando così ancor più un utile idiota di certe lobby), e che il pugno di ferro verrà utilizzato solo contro il cattolico denunciante, e che i pretonzoli potranno continuare a trastullarsi.
    https://letturine.blogspot.com/2019/...roblemino.html

    "Il partito del Papa (o dei migranti) è destinato a perdere"
    Lo storico Roberto De Mattei boccia l'idea di un "partito di papa Bergoglio" e sostiene che sia destinato alla sconfitta certa
    Giuseppe Aloisi
    Roberto De Mattei, esperto di Storia del Cristianesimo e di Storia Moderna, ne è sicuro: il "partito di papa Bergoglio", quello unioneuropeista e favorevole, sempre e comunque, all'accoglienza dei migranti, è destinato a essere sconfitto.
    A riportare il pensiero del professore è stata l'Adnkronos.
    Da settimane si vocifera della nascita di un "partito dei cattolici", sponsorizzato da alcuni vescovi italiani e promosso - pare - dalle realtà associative cattoliche più progressiste, come la Comunità di Sant'Egidio. Ma per De Mattei, una formazione di questo tipo, comunque vada, non andrà lontano: "Populismo chiama populismo - ha dichiarato all'agenzia citata - e il risultato è che il 'partitò dei vescovi in gestazione', che poi sullo sfondo è il 'partito bergogliano', è destinato a perdere".
    L'analisi prosegue, centrando il fatto che questa realtà politica sarebbe - così come è pacifico per i sovranisti - ascrivibile al populismo. Solo che, in questa circostanza specifica, parleremmo di un populismo di sinistra: "Il partito dei vescovi, o bergogliano - ha continuato De Mattei - , è in sostanza il partito dei migranti a sua volta populista, ma di un populismo di sinistra, alternativo al populismo attuale". La pastorale di Bergoglio - questo è deducibile leggendo la riflessione - è per De Mattei la vera fonte ispiratrice del simbolo che potrebbe presto comparire sulle schede elettorali.
    "Il partito del Papa (o dei migranti) è destinato a perdere"

    Ora Bergoglio vuole "cancellare" l'eredità di papa Benedetto XVI
    Riccardo Cascioli
    Questione di giorni e altri due importanti fili che tengono legato papa Francesco al suo predecessore saranno tagliati: voci sempre più insistenti danno infatti per certa la soppressione della Prefettura della Casa Pontificia, il cui titolare è monsignor Georg Gänswein, che è anche segretario personale di Benedetto XVI: e la fine della Commissione Ecclesia Dei, istituita nel 1988 per il dialogo con la Fraternità sacerdotale San Pio X (i lefevriani), ma oggi punto di riferimento soprattutto per l'applicazione del Summorum Pontificum, il Motu proprio di Benedetto XVI che liberalizzava la messa in latino secondo il rito antico.
    Due decisioni che, se confermate, hanno un grande valore simbolico oltre che operativo. Non si tratta peraltro di mosse a sorpresa. Il primo nome eccellente a cadere fu il cardinale statunitense Raymond Burke, che Benedetto XVI aveva voluto a Roma nel 2008 come prefetto della Segnatura apostolica. Nel novembre 2014 papa Francesco lo ha rimosso, ma già un anno prima lo aveva sostituito alla Congregazione dei vescovi.
    Poi è toccato al cardinale Gerhard Müller, dal 2012 prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, amico personale di Benedetto XVI e curatore dell'opera omnia di Joseph Ratzinger, liquidato bruscamente alla scadenza del primo mandato, alla fine del 2017. Una modalità diversa è stata invece adottata nei confronti del cardinale guineano Robert Sarah, che lo stesso papa Francesco nomina alla guida della Congregazione per il Culto divino nel novembre 2014 spostandolo dal Pontificio Consiglio Cor Unum, neutralizzato aggirandolo nelle decisioni e isolandolo completamente, anche con delle sconfessioni pubbliche di sue iniziative.
    Dunque l'ultimo tassello da rimuovere è monsignor Georg Gänswein, un personaggio scomodo che, con interviste e conferenze, ha mantenuta aperta la questione dei «due Papi», molto ben spiegata nel recente libro di Antonio Socci Il segreto di Benedetto XVI con affermazioni che rifiutano per papa Benedetto il ruolo di «nonno saggio» che il suo successore gli ha voluto dare. «Con il passo dell'11 febbraio 2013 non ha affatto abbandonato questo ministero ha detto Gänswein - non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo».
    Parole che non hanno certo fatto piacere a papa Francesco. La soppressione della Prefettura della Casa Pontificia spostando il compito degli appuntamenti e delle udienze del Papa a una sezione della Segreteria di Stato gli permetterebbe di togliersi di torno Gänswein giustificando il tutto con la necessità di una più ampia riforma della Curia.
    Ancora più significativa e foriera di conseguenze è però la seconda mossa, che è nell'aria da molto tempo: la chiusura della Commissione Ecclesia Dei, che colpirebbe soprattutto un importante atto di magistero di Benedetto XVI, ovvero la liberalizzazione della messa in latino secondo il Messale romano promulgato da san Pio V (1570) e nuovamente edito da san Giovanni XXIII nel 1962. Nel luglio 2007 con la lettera apostolica Summorum Pontificum Benedetto XVI chiariva che si tratta della «forma straordinaria» dell'unico rito romano, la cui «forma ordinaria» è quella secondo il messale promulgato nel 1969. In questo modo papa Benedetto voleva recuperare un tesoro della tradizione «mai abrogato» e da tenere «nel debito onore», ed evitare pericolose divisioni nella Chiesa dal punto di vista liturgico. Non è un segreto infatti che molti vescovi abbiano ostacolato e ostacolino l'applicazione di questa decisione, figli di una lettura «rivoluzionaria» del Concilio Vaticano II. Una corrente che trova molto sensibile papa Francesco, il quale non ha mai nascosto la sua avversione per la messa in «forma straordinaria». La soppressione della Commissione Ecclesia Dei formalmente non cambierebbe nulla ma di fatto darebbe molta più forza a coloro che vorrebbero cancellare il Summorum Pontificum e la messa in «forma straordinaria».
    Potrebbe sembrare una questione «tecnica», ma in realtà si tratta di un punto vitale per la Chiesa, visto che la liturgia è il cuore della fede cattolica, e in una Chiesa che appare già così divisa e confusa l'ultima cosa di cui c'è bisogno è un'altra frattura.
    Ora Bergoglio vuole "cancellare" l'eredità di papa Benedetto XVI

    Lo sgarbo del papa ai tradizionalisti: chiusa l'Ecclesia Dei
    Il Papa ha chiuso la commissione deputata a occuparsi del cosiddetto "rito tridentino". Così Bergoglio combatte il tradizionalismo
    Francesco Boezi
    Papa Francesco, alla fine, ha davvero chiuso la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
    Un'istituzione cara sia a Giovanni Paolo II sia a Benedetto XVI. Quest'ultimo aveva esteso il suo ruolo, consentendo ai fedeli di rivolgersi a essa per la concessione del messale romano. Bergoglio, non è un mistero, ha una visione liturgica differente. I lettori si ricoderanno della reprimenda avanzata nei confronti del cardinal Sarah sull'interpretazione di un altro Motu proprio. Il porporato africano, invece, è uno strenuo difensore del vetus ordo.
    Questo motu proprio, annunciato dal vaticanista Marco Tosatti in tempi non sospetti, è stato effettivamente emanato in forma di lettera apostolica nella giornata di oggi. Adesso, quello cui era deputata l'Ecclesia Dei spetterà alla Congregazione per la Dottrina della Fede, quindi a mons. Ladaria, un gesuita. Ratzinger, durante il suo pontificato, aveva esteso i compiti della commissione, sganciandola, in parte, dallo scisma dei lefebvriani. Giovanni Paolo II, quando l'ha pensata, si è proposto di sanare quella ferita.
    La notizia rischia di sollevare un vero e proprio polverone. L'universo cattolico - conservatore ritiene infatti la promozione e il sostegno al cosiddetto "rito tridentino" fondamentale per il futuro del cattolicesimo. Il Santo Padre ha di fatto cancellato un simbolo del cristianesimo tradizionalista, dando un segnale alla fronda che sta contestando il suo operato. Il fatto che la Ecclesia Dei sia stata sciolta rende probabile pure la seconda parte del retroscena svelato qualche settimana fa: è possibile, dunque, che il pontefice argentino stia per rimuovere padre Georg Gaenswein dalla prefettura della Casa Pontificia, che verrebbe a sua volta abolita.
    Lo sgarbo del papa ai tradizionalisti: chiusa l'Ecclesia Dei

    Fate l’amore non fate i dogmatici. Parola di papa Francesco – di Italo Mariano
    Lunedì 28 gennaio 2019, Papa Francesco era sull’aereo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi a Panama, nell’America Centrale. Con il microfono in mano, ha offerto al pubblico le novità effervescenti del suo Pontificato.
    Da una parte, riguardo all’aborto, ha affermato che Dio perdona sempre. Quindi anche senza pentimento e cambiamento di vita, si presume. Anzi, alle madri che hanno abortito, Papa Bergoglio dice: «Tuo figlio è in cielo, parla con lui. Cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli», e così nega che per entrare in Paradiso sia necessario il Santo Battesimo, illudendo tristemente quelle povere donne.
    Dall’altra parte, Papa Francesco ha pure pensato ai giovani, a modo suo, dichiarando che nelle scuole dovrebbe essere insegnata l’“educazione sessuale”. Cioè come idolatrare e praticare il sesso, che non è affatto, detto così, «un don de Dios», «un dono di Dio», secondo le parole di Papa Bergoglio, ma qualcosa di isolato in se stesso, un idolo a cui prostrarsi.
    Dio non ha creato il “sesso”, ma l’amore coniugale orientato alla procreazione che dona la vita ai figli attesi da Dio; e Dio non ha creato l’“atto sessuale”, ma l’atto coniugale, che secondo la natura che gli è propria è fecondo e dona la vita, mentre il piacere che lo accompagna è sì un dono nel dono, ma immensamente inferiore al dono della vita. Il piacere dura breve tempo, mentre un figlio riceve la vita temporale per poter ricevere, con la grazia del Battesimo e la fedeltà, la vita eterna.
    Ci siamo mai domandati quanto Dio ama i suoi figli? Tanti genitori invece amano il “sesso”, ed è per questo che i figli, quei pochi ai quali è concesso di nascere, sono ancora più impuri e infelici dei loro genitori.
    Del resto, Papa Bergoglio aveva già dedicato a questa sua intenzione un intero paragrafo dell’“esortazione papale” Amoris Laetitia, quella dove fra l’altro dispone, nella nota 336 del capitolo ottavo, l’ammissione degli adulteri ai sacramenti, senza chiedere che si pentano e correggano la loro condotta.
    Ma vi ricordate, cari lettori, quando per la prima volta si sentì Papa Francesco proporre la riammissione ai sacramenti degli adulteri non ravveduti? Era il 28 luglio 2013, sull’aereo che lo portava a Rio de Janeiro per la Giornata Mondiale della Gioventù di quell’anno. Disse allora che bisognava prendere esempio dagli ortodossi che concedono una «seconda possibilità» a chi è già legittimamente sposato. Quindi era chiaro fin da allora il progetto di calpestare tre sacramenti: il Matrimonio, la Confessione e la SS. Eucaristia, ma anche i cuori dei figli privati di una famiglia unita.Vedete dunque come e quanto Papa Francesco pensa ai giovani.
    Questa volta, cosa si poteva ancora calpestare? Quel che resta della purezza di bambini e ragazzi, e della loro capacità di seguire santamente la vocazione matrimoniale o consacrata. La Chiesa, finché non è andato al potere il modernismo, cioè la corrente di pensiero del clero ribelle, non ha mai nemmeno lontanamente pensato, vissuto o proposto una “educazione sessuale” nella scuola. Questo fa parte del piano di pervertimento dei bambini e dei giovani che viene portato avanti ormai da secoli da massoni e progressisti, e che rientra nell’opera di corruzione dei costumi in tutti gli ambiti e a tutti i livelli. I nemici della Chiesa hanno ben compreso, almeno dall’Ottocento, che per distruggere la religione dovevano corrompere i cristiani, facendo crollare la religione dal suo interno, con il consenso delle persone ridotte a massa. Ma la fede non potrà mai scomparire del tutto. Con i suoi pochi fedeli, Dio rifarà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5).
    Non è al putrido “sesso” che devono essere educati i bambini e i giovani, ma alla purezza e a una responsabile e santa vita matrimoniale o consacrata. E questo possono e devono farlo solo i genitori, nell’intimità della vita familiare, nel rispetto dello sviluppo e della sensibilità del singolo fanciullo.
    I genitori hanno difficoltà a insegnare la purezza e l’amore responsabile? Allora la Chiesa aiuti e istruisca i genitori a saper educare. Invece ora chi dovrebbe reggere la Chiesa e guidare le anime alla santità, si comporta come gli orchi che vogliono impadronirsi della gioventù e trascinarla ancor di più nel fango. In questo modo si espropriano i genitori del loro esclusivo diritto a educare e non diseducare i propri figli.
    Ora, con questa nuova uscita di Papa Bergoglio, immaginate cosa vorranno fare nelle scuole cattoliche. Finora la scuola cattolica ha corrotto la gioventù molto meno della scuola statale, ateo-massonica. Ora magari cominceranno a portare l’“educazione sessuale” nelle scuole cattoliche perché «l’ha detto Papa Francesco», perché «la Chiesa si apre ai giovani» e così via.
    https://www.riscossacristiana.it/fat...italo-mariano/

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Arrivano i CattoMani: l'imam predica il suo Gesù in chiesa
    La parrocchia Santa Maria di Caravaggio di Milano apre le porte della chiesa per far predicare all'imam Pallavicini il Gesù dell'islam: un profeta e niente più. Il tutto con la scusa dell'anniversario dell'incontro tra San Francesco e il Sultano. Che fu l'esatto contrario di quanto accaduto l'altra sera. Invece che preoccuparsi dell'evangelizzazione dei musulmani, come fatto dal poverello d'Assisi, si punta sulla coranizzazione dei cattolici.
    Li chiameremo CattoMani, perfetta crasi che suggella l’unione di cattolici e musulmani. In altri ambiti si chiama dialogo Cristianoislamico, ma a ben guardare quanto sta accadendo si scopre che di dialogo c’è ben poco. Soprattutto se la scusante è quella del più celebre dialogo, che però non fu mai tale, tra San Francesco e il sultano Malik Al-Kamil, del quale ricorrono quest’anno gli 800 anni.
    Un anniversario davvero curioso quello che una parrocchia di Milano ha voluto ricordare se si tiene conto che alla fine dei giochi, si scopre che il cosiddetto dialogo si è trasformato in un tentativo neanche tanto mascherato di rovesciare le parti: non più i cristiani che evangelizzano i musulmani, vero scopo dell’ardita missione del poverello di Dio tra i maomettani nel 1219, ma gli islamici che provano a islamizzare i cristiani. Una coranizzazione delle comunità cattoliche.
    Come non chiamare diversamente l’evento svoltosi il 18 gennaio scorso in una chiesa milanese e intitolato “Gesù nell’Islam”. Teatro dell’incontro la chiesa-santuario di Santa Maria di Caravaggio a Milano e protagonista della conferenza l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Comunità islamica italiana.
    Un evento che si inserisce nella cornice del già avviato cammino di conoscenza reciproca (sic!) avviato dal decanato milanese e che aveva già avuto tra le sue tappe principali la celebrazione eucaristica ecumenica del 21 luglio 2016 e il ciclo di incontri e di preghiera sulla spiritualità di Maria, nel maggio scorso.
    A ben guardare le foto dell’evento, pubblicate sul profilo Facebook della parrocchia, l’impatto è di quelli che non lasciano molto spazio all’immaginazione: l’imam in cattedra, appena sotto il presbiterio, ma quel tanto che basta per coprire l’immagine della Vergine che si trova sotto l’altare nella cripta. E ad ascoltare una nutrita pattuglia di fez, dal nome del noto copricapo marocchino divenuto nei secoli uno degli emblemi dell’Islam.
    Il sito della parrocchia parla di un incontro ben riuscito alla ricerca di una convergenza spirituale. La meditazione di Pallavicini infatti ha preso spunto da alcuni versetti del Corano in cui si parla di Gesù. E’ ormai un canovaccio rodato, utilizzato anche per la venerazione che il mondo islamico tributa alla Santissima Vergine: mostrare che la fede in Gesù Cristo e quella in Allah altri non sono che declinazioni diverse di un unico ceppo.
    Per l’occasione infatti gli ospiti, il Coreis (Comunità Religiosa islamica) e la moschea Al – Walid hanno diffuso una specie di comunicato nel quale hanno elencato le volte in cui il testo sacro dell’Islam parla di Gesù Cristo. Il quale, non è una novità, è considerato l’ultimo dei profeti e niente più. Né Dio, né salvatore, né redentore. Insomma, parlare di Gesù Cristo per un islamico significa parlarne in termini per i quali tutto si può dire tranne che riconoscerlo come Dio incarnato. Figuriamoci poi accettarne la morte in croce e la Resurrezione. Una bestemmia, per loro. Ma ovviamente, per i CattoMani è sufficiente presentare la questione come una pura giustapposizione di identità. Un dialogo tra sordi, nel corso del quale si dà la possibilità ai musulmani di parlare di Gesù, ma si evita accuratamente di presentare il Gesù cristiano in modo tale che siano gli islamici a riconoscere il loro errore, vero scopo dell’evangelizzazione.
    La stessa che, attraverso un’opera di predicazione coraggiosa e illuminata, San Francesco mise in campo in terra d’Egitto proprio di fronte al Sultano. Dubitiamo fortemente che l’altra sera a Milano si sia adottato questo metodo, sennò avremmo trovato commenti ben diversi rispetto alla convergenza spirituale. Che proprio non solo non ci fu, ma dovette essere una constatazione tanto evidente anche nel poverello d’Assisi.
    Infatti, giova rammentarlo, nella Leggenda Maggiore (IX) troviamo spiegato senza ombra di smentita quanto accadde quel giorno. “L’ardore di carità lo spingeva al martirio, sicché ancora una volta tentò di partire verso i paesi infedeli per diffondere con l’effusione del proprio sangue la fede nella Trinità”. Infatti, Francesco arrivato davanti al sultano, che aveva emanato l’editto di dare una ricompensa a chi gli portava la testa mozzata di un cristiano, lo accolse e rimase colpito dalla sua tenacia non tanto nel farlo parlare, ma nell’illustragli la dottrina cristiana rinunciando a tutte le ricchezze che gli aveva messo davanti. “E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo con tanto coraggio, forza e tanto fervore di spirito da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo”.
    Della storia si sa che poi Francesco fece ritorno all’accampamento cristiano perché si rese conto che “non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno”. Insomma: se anche ci fu dialogo, ma Francesco se ne guardò bene dal chiamarlo così, fu un fallimento completo.
    Da parole come conversione e predicazione di Gesù Cristo Salvatore, si evince chiaramente come quell’incontro, che oggi viene stiracchiato di qua e di là per giustificare un dialogo senza identità alcuna, sia il simbolo dell’evangelizzazione a costo della vita. Proprio il contrario di quello che è accaduto a Milano l’altra sera, dove in un luogo di culto, sono risuonate parole che dipingono Gesù come un profeta e niente più. Se non è una bestemmia questa, per noi, cosa lo è mai?
    Intanto però l’operazione di cattoislamizzazione prosegue senza colpo ferire e nell’indifferenza totale. La stessa indifferenza che, da parte cattolica, si mostra per la conversione, questa sì a costo della vita, di quei musulmani che approdano alla fede cattolica, ma devono starsene nelle catacombe sociali di un mancato riconoscimento che li ghettizza due volte: nelle loro comunità d’origine e in quelle d’approdo, che dovrebbero invece rallegrarsi di una decisione così enorme.
    Arrivano i CattoMani: l'imam predica il suo Gesù in chiesa - La Nuova Bussola Quotidiana

    Il cardinale Müller ha pubblicato un manifesto contro il papa?
    Il cardinale Mueller ha pubblicato un testo, diviso in cinque punti, per ribadire quale sia la verità sulla dottrina cattolica
    Giuseppe Aloisi
    Il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha pubblicato un "manifesto della fede" che, nelle sue intenzioni, è utile a ribadire quale sia l'unica, vera, dottrina cattolica. Ma è davvero solo questo lo scopo del porporato?
    Il teutonico, che non fa parte dell'opposizione a papa Francesco, almeno non di quella manifesta, è stato il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede durante il pontificato di Joseph Ratzinger. Un incarico che non gli è stato rinnovato dal pontefice argentino, nonostante la prassi prevedesse una sorta di riconferma automatica. Rimane, tra gli ecclesiastici, uno di quelli maggiormente deputati a occuparsi di tradizione e catechesi. Ma perché pubblicare un testo che, punto per punto, cinque per l'esattezza, sembra voler ripristinare la verità del catechismo? Chi potrebbe averla messa in discussione?
    Il riferimento nel manifesto non è rintracciabile, ma pare abbastanza deducibile. Anche se nessuno, a oggi, ha scritto che il documento di Mueller è stato pubblicato a mo' di critica diretta nei confronti del pontefice della Chiesa cattolica. Il cardinale ha giustificato la pubblicazione di questo testo, sottolineando che a chiederglieli d'intervenire sono stati dei vescovi. E il "fronte tradizionalista". stando ai commenti che comparsi sui social network, ha già interpretato questa mossa come finalizzata a sgombrare il campo dalla "confusione dottrinale" che impererebbe di questi tempi.
    Lo stesso cardinale, all'interno della presentazione, ha scritto, come si legge su Aci Stampa, che: "...è con chiara determinazione che occorre affrontare la ricomparsa di antiche eresie". La verità della fede, in sintesi, sarebbe in pericolo. Il porporato, di recente, si è sganciato dal papa per quanto riguarda gli scandali legati agli abusi. Bergoglio ha individuato nel "clericalismo" la causa scatenante, mentre per Mueller, come per altri, bisognerebbe porre l'accento sul legame esistente tra quanto emerso, in negativo, nel corso di questi anni, e l'omosessualità.
    Il cardinale Müller ha pubblicato un manifesto contro il papa?

    ECCO PERCHÈ UN PAPA PUÒ ESSERE ELETTO SU ISPIRAZIONE DELLO SPIRITO SANTO E UN ALTRO SU PRESSIONE DEI POTERI MONDANI (A PROPOSITO DI UNA FRASE DI SAN VINCENZO) - Antonio Socci
    Ci sono zelanti scribi e turiferari di vario peso che da sei anni si trovano ad applaudire papa Bergoglio anche se, ogni giorno, ne dice di tutti i colori. È una vitaccia la loro, perché devono magnificare continuamente le splendide “vesti”, cioè le gesta, di un sovrano che è palesemente inadeguato (per questo personalmente sento di dover pregare tanto per lui). È un papa sprovvisto di una seria preparazione teologica, troppo desideroso di compiacere i potenti padroni del mondo, clamorosamente privo delle basi culturali minime oltreché di prudenza, di misericordia evangelica e di “sensus Ecclesiae”. Costoro lo sanno bene perché da tempo ci sono liberi intelletti che – con dolore – segnalano le cose più stravaganti e inaudite. Ma gli zelanti scribi non cercano di correre ai ripari, diradando i loro elogi al sovrano o invitandolo alla prudenza. No. Si avventano su coloro che hanno il torto di amare la verità e di dirla. Così qualche zelante scriba non ha trovato di meglio che mettere sotto il microscopio me, che pure non sono nessuno, per una mia citazione di san Vincenzo che costoro credono (erroneamente) falsa.
    Vedremo dopo di cosa si tratta. Prima devo esprimere la mia divertita sorpresa. Abbiamo infatti un papa che, proprio in fatto di citazioni, manifesta una disinvoltura sconcertante e una fantasia straordinaria, un caso unico nella storia del papato, eppure a questi scribi non interessano le strane citazioni papali. A loro interessa una mia citazione. Non è curioso? Eppure papa Bergoglio è immensamente più importante di me e le sue citazioni (come vedremo) hanno conseguenze pesanti sulla vita della Chiesa.
    Faccio un esempio. Nel mio libro “Non è Francesco” riportavo proprio – fra tante altre cose – il singolare caso di una sua citazione che (questa sì) sembrerebbe davvero inventata. Ecco cosa scrivevo:
    C’è una citazione prediletta da papa Bergoglio. La ripropone di continuo. La prima volta da Papa citò questa frase subito dopo l’elezione, durante il discorso ai cardinali nella sala clementina:
    “Egli, il Paraclito, è il supremo protagonista di ogni iniziativa e manifestazione di fede. … Io ricordo quel Padre della Chiesa che lo definiva così: «Ipse harmonia est». Il Paraclito che dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa”.
    Dopo di allora ha citato quel «Padre della Chiesa» e la frase «Ipse harmonia est», riferita allo Spirito Santo, una miriade di volte. Per esempio il 19 maggio 2013 (omelia di Pentecoste, nella messa con i movimenti ecclesiali) o il 4 ottobre 2013, ad Assisi, nella cattedrale di San Rufino, parlando ai religiosi. Ma già la citava da cardinale, come si vede nell’intervista rilasciata a «30 Giorni» nel 2007.
    C’è solo un problema: che non esiste un Padre della Chiesa che abbia detto quella frase. Pure in Vaticano, dove sistemano tutti i discorsi papali per la pubblicazione sugli «Acta Apostolicae Sedis», non l’hanno trovato e quindi la frase compare senza attribuzione. Tuttavia, nessuno glielo dice, quindi Bergoglio continua a citare quel – non meglio identificato – «Padre della Chiesa».
    Avrei taciuto volentieri anch’io se alla fine quella citazione improbabile, durante l’incontro di Caserta del 28 luglio 2014 con il pastore pentecostale Giovanni Traettino, non fosse diventata la base «teologica» della nuova visione ecumenica che Bergoglio vuole dare alla Chiesa. Infatti ha detto: «La Chiesa è una nella diversità. E, per usare una parola bella di un evangelico che io amo tanto, una “diversità riconciliata” dallo Spirito Santo. [Perché] Lui fa entrambe le cose: fa la diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi. Per questo i primi teologi della Chiesa, i primi padri – parlo del secolo III o IV – dicevano: “Lo Spirito Santo, Lui è l’armonia”, perché Lui fa questa unità armonica nella diversità».
    Considerato che nessun Padre della Chiesa ha mai pronunciato quella frase, sembra un po’ debole una teologia ecumenica fondata su di essa che – addirittura – spazza via la Dominus Iesus, la quale ha dietro di sé tutta la solidità della teologia cattolica.
    Ho scritto queste cose nel libro del 2014. Evidentemente la citazione fantasma – ripetuta di continuo – creava un certo imbarazzo in Vaticano. Così, nel 2017 (ci sono voluti tre anni), hanno cercato (maldestramente) di metterci una toppa e un articolo dell’Osservatore romano attribuisce quella “citazione” a Basilio di Cesarea. Solo che il passo che citano di san Basilio non contiene affatto questa espressione. Eccolo qua:
    «Se dunque lodano Dio tutti i suoi angeli, se lo lodano tutte le sue potenze, questo avviene per il concorso dello Spirito. Se accanto a lui stanno migliaia di migliaia di angeli e infinite miriadi di ministri è nella potenza dello Spirito che essi compiono irreprensibilmente il loro ufficio. Tutta quell’armonia sovra-celeste e indicibile (pàsan oun ten hyperourànion ekèinen kài àrreton harmonìan) nel servizio di Dio e nel mutuo accordo delle potenze sovra-cosmiche non potrebbe conservarsi senza che le presiedesse lo Spirito».
    L’Osservatore romano, con evidente imbarazzo, commenta: “L’aforisma latino ‘ipse harmonia est’ non può e non vuole essere, proprio in quanto tale, una traduzione letterale del passo in questione”. In effetti quella frase “citata” da Bergoglio non c’è proprio, non c’è per nulla, né come traduzione letterale, né, in senso lato, come sintesi concettuale. Perché Basilio (che peraltro scrive in greco e non in latino) parlava del canto di lode a Dio degli angeli nei Cieli, mentre Bergoglio parla, confusamente, di carismi nella Chiesa oltretutto alludendo alle confessioni protestanti (come se i cori angelici e i seguaci di Lutero fossero la stessa cosa e come se fosse stato lo Spirito Santo a suscitare lo scisma protestante…). Ognuno può trarre le sue conclusioni. Ma gli scribi bergogliani dovrebbero rispondere al quesito: è una citazione vera o inventata?
    Non solo. Anche facendo il taglia e cuci a una citazione si può far dire a un autore l’opposto di quello che lui effettivamente afferma. Prendiamo proprio san Vincenzo di Lérins (di cui parleremo dopo): Papa Bergoglio più volte cita il celebre passo sullo sviluppo del dogma del “Commonitorium”, ma non lo cita per intero, fa un taglia e cuci da cui – guarda caso – restano escluse proprio le frasi che contraddicono la sua idea. Per esempio, nel discorso al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione cita questo passo affermando:
    “D’altronde, come già ricordava san Vincenzo di Lérins: «Forse qualcuno dice: dunque nella Chiesa di Cristo non vi sarà mai nessun progresso della religione? Ci sarà certamente, ed enorme. Infatti, chi sarà quell’uomo così maldisposto, così avverso a Dio da tentare di impedirlo?» (Commonitorium, 23.1: PL 50)”. (…)
    Questa legge del progresso secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorium, 23.9: PL 50), appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina”.
    Anche nell’intervista a padre Antonio Spadaro per “Civiltà Cattolica”, Bergoglio cita una frase tratta da quel passo di san Vincenzo di Lérins:
    “Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età”.
    Poi Bergoglio prosegue:
    “San Vincenzo di Lérins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del ‘depositum fidei’, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce”.
    Adesso leggiamo quel brano integrale del “Commonitorium” segnalando in neretto le parti omesse da Bergoglio:
    Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo?Vi sarà certamente e anche molto grande.
    Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire?
    Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno.Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
    È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa.
    Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.
    La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi.
    Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima.
    È evidente che il taglia e cuci bergogliano al “Commonitorium” fa dire a san Vincenzo di Lérins una cosa molto diversa da quanto lui davvero afferma. Anzi, più che diversa, gli fa dire una cosa antitetica.
    Egualmente sconcertanti sono altre citazioni bergogliane contenute addirittura nei suoi documenti ufficiali. Penso ad esempio a un testo come l’Amoris laetitia che ha un impatto devastante nella pastorale della Chiesa.
    In quel testo le citazioni vengono disinvoltamente “trattate” e usate proprio per giustificare la nuova dottrina bergogliana in materia di unioni.
    È il caso della citazione di un paragrafo della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, dove si omette il seguito (nello stesso paragrafo), perché contradice la tesi che si vuol sostenere, e che poi rifluisce nella più sconcertantenota 329 in cui Bergoglio cita poche parole della “Gaudium et spes” (n. 51) per applicare in modo fuorviante, a coppie divorziate o risposate civilmente, quello che il documento del Concilio applica alle sole coppie validamente sposate. Facendo dire così alla “Gaudium et spes” un’enormità che è totalmente opposta al suo vero contenuto.
    Sandro Magister così ha sintetizzato la disinvolta operazione bergogliana:
    In effetti nella nota 329 della “Amoris lætitia” papa Francesco rivolge ai divorziati risposati che hanno scelto di convivere non più da adulteri ma “come fratello e sorella”, e quindi con la possibilità di fare la comunione, un esplicito rimprovero: quello di recare un possibile danno alla nuova famiglia, poiché – parole letterali – “se mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'”. Questo con tanto di citazione – in realtà ritagliata da tutt’altro contesto – della costituzione conciliare “Gaudium et spes”. E, peggio, col sottinteso che fanno meglio gli altri a condurre una piena vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione”.
    Un altro caso clamoroso è la citazione a sproposito di san Tommaso d’Aquino (cap. 304) per fargli dire l’opposto di quello che il grande teologo insegnava. Come è stato scritto, è un modo di “valorizzare l’adulterio citando (male) san Tommaso” VEDI QUI:
    Valorizzare l'adulterio citando (male) san Tommaso - La Nuova Bussola Quotidiana
    Tutto questo sembra davvero sconcertante, ma non interessa i nostri studiosi clericali che si applicano con accanimento a me.
    Eppure una mia citazione non cambia nulla, mentre le tante citazione disinvolte di Bergoglio cambiano la dottrina e l’insegnamento della Chiesa.
    Comunque è a me che costoro rivolgono le loro attenzioni critiche. E – dopo tanto studio – è arrivato finalmente il “formidabile” colpo: insinuano che io abbia inventato una citazione.
    Ora, mi corre l’obbligo di ringraziare sinceramente questi zelanti scribi clericali, sia per l’importanza che mi attribuiscono (decisamente esagerata); sia per l’ingrato lavoro che si sono accollati.
    Infatti in questi sei anni (oltre a qualche centinaio di articoli) ho scritto tre libri dedicati al “caso Bergoglio/Benedetto XVI”, cioè: “Non è Francesco”(Mondadori), “La profezia finale” (Rizzoli) e “Il segreto di Benedetto XVI” (Rizzoli).
    Se consideriamo pure il capitolo che ho dedicato a Bergoglio in “Traditi, sottomessi, invasi”, siamo quasi a 800 pagine complessive (senza contare qualche centinaio di miei articoli). In circa 800 pagine che ho pubblicato, dense di tantissime citazioni, con riferimenti bibliografici e note, pensavo sinceramente di poter incorrere in diversi errori e imprecisioni, cosa più che normale e scontata. Invece i miei zelanti scribi non sono riusciti a trovare nient’altro che un banale errore di nome, cioè una citazione di san Vincenzo Pallotti che io ho erroneamente attribuito a un altro san Vincenzo (cioè san Vincenzo di Lérins). Mi dispiace che abbiano faticato così tanto, per trovare così poco. Sicuramente se si applicano di più potranno trovare altri miei errori e li ringrazierò se me li segnaleranno, come già li ringrazio per questa segnalazione.
    In ogni caso aver attribuito a san Vincenzo di Lérins una frase di san Vincenzo Pallotti non mi sembra una cosa da perderci il sonno. È vero, loro l’hanno sbandierata come se avessero scoperto chissà quale misfatto e addirittura hanno titolato “Una citazione inventata da Antonio Socci?”. Avevano l’aria di chi finalmente ha preso in castagna questo giornalista che critica papa Bergoglio. Ma era il loro stesso articolo a smentire l’insinuazione malevola contenuta nel titolo, infatti il loro articolo riportava una fonte autorevole della citazione del Pallotti che è l’introduzione al volume, curato da Giovanni Cittadini, “Pio IX, Lettere” (vol. I, Laurenziana, Roma), pubblicato nel 1990. Se cercano meglio potranno trovare pure altre fonti. A me basta prendere atto che questi affannati scribi si contraddicono da soli, smentendo nel loro stesso articolo ciò che insinuano nel titolo.
    La citazione originale di san Vincenzo Pallotti é questa: “Alcuni papi Iddio li vuole, alcuni li permette, altri li tollera”. Quella che mi era stata riportata e trasmessa diceva: “Alcuni papi Iddio li dona, altri li tollera, altri li infligge”. Come si vede c’è una difformità lessicale sul verbo “infliggere”, ma non c’è una sostanziale differenza concettuale, anzi: mi sembra molto migliore e più corretta la versione di Cittadini, perché fa capire che Dio non ha nessuna parte (nemmeno come intento punitivo) nell’elezione dei cattivi papi (non ce li “infligge” Lui, ma gli uomini che li eleggono). Dunque adotto volentieri la prima versione che mi è più utile per far capire il cuore del problema. Ringrazio i miei critici per la segnalazione, perché così rafforzano il concetto che volevo esprimere. Oltretutto aver riportato la seconda versione in miei scritti del 2011 esclude del tutto che sia stata modificata deliberatamente quella parola di san Vincenzo Pallotti contro l’attuale pontificato, perché nel 2011 Bergoglio stava a Buenos Aires e regnava Benedetto XVI.
    Del resto – ripeto – se nel 2014, riprendendo quella stessa citazione del 2011, avessi avuto quell’intenzione “antibergogliana” sarebbe stato per me più efficace e utile citare la prima versione. In ogni caso si tratta di in una citazione che veniva fatta discorsivamente (infatti non aveva un rimando bibliografico in nota), per esprimere un concetto che dovrebbe essere noto a tutti i cattolici. L’importante, al di là delle diverse sfumature linguistiche, è proprio il concetto espresso da quel santo, che è lo stesso in entrambe le versioni. Ma i miei zelanti inquisitori si guardano bene dall’andare alla sostanza ed evitano di riflettere su quella frase di san Vincenzo. Si fermano a criticare il dito, perché serve ad attaccare polemicamente il proprietario del dito, ma – per un animo che ha a cuore la Chiesa – è molto più importante guardare la luna che quel dito indica. Quella espressa nella frase di san Vincenzo è una concezione perfettamente cattolica che dovrebbe mettere in guardia dal rischio, oggi devastante, della papolatria.
    Infatti lo stesso identico concettoè stato espresso dall’allora cardinale Ratzinger, in una dichiarazione riportata da “Avvenire”, nel 1997. Il mio critico – tal Marcotullio – definisce “famigerata dichiarazione” quella del futuro Benedetto XVI. Io invece seguo questo grande teologo e papa che tuttora è fra noi il grande maestro della fede. Dunque Ratzinger, con la sua nota chiarezza, alla domanda se è lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione di ogni papa, dette testualmente questa risposta:
    Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto.
    In effetti la storia della Chiesa offre molti esempi di papi indegni (anche senza ricordare i papi che Dante mette all’Inferno). Così Ratzinger conferma proprio quanto affermato da san Vincenzo. Si possono usare parole diverse, si può argomentare con uno stile diverso, ma resta la stessa concezione cattolica dei papi. Per questo la Chiesa, durante i Conclavi, chiede ai fedeli di pregare affinché i cardinali eleggano il candidato che è nel cuore di Dio: proprio perché è possibile che eleggano qualcuno che non è adeguato al pontificato o che sarebbe pernicioso e magari è spinto da lobby e poteri di questo mondo. In questo ultimo caso, lo Spirito Santo – diceva il card. Ratzinger – garantisce solo che costui non possa distruggere del tutto la Chiesa, anche se può fare danni immensi.
    C’è di che riflettere… Facciamolo dunque con serenità e senza paraocchi, cari amici scribi. Riflettiamo con la pace di Cristo nel cuore.
    https://www.antoniosocci.com/ecco-pe...-san-vincenzo/

  9. #369
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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Non ha futuro la Chiesa di Bergoglio
    di Marcello Veneziani
    Qual è il punto debole del messaggio di Papa Francesco al mondo, qual è il motivo principale per cui suscita grande dissenso? Corrado Augias su la Repubblica, rispondendo a un lettore che aveva visto il suo dialogo televisivo con me, notava che nel mio ultimo libro avrei eretto “un coerente edificio di pensiero reazionario” in cui critico il Papa perché riduce la fede a sociologia. Giusta l’osservazione sul Papa (anche se nel libro mi occupo d’altro) ma non la collocherei nell’alveo del pensiero reazionario. La definizione di reazionario in sé non mi spaventa ma non rispecchia il senso di quella critica.
    A dir la verità non critico il Papa solo perché rompe col passato, con la tradizione e la civiltà cristiana, con la storia e la dottrina della Chiesa dei secoli passati. Ma per una cosa a mio parere più radicale e più devastante. Non c’è più nella Chiesa di Papa Bergoglio l’orizzonte d’attesa, l’aspettativa del futuro e la trascendenza. Tutto è ripiegato e risolto nel frangente storico, in questo oggi e nell’urgenza di soccorrere.
    L’impareggiabile risorsa della religione cristiana rispetto a ogni visione laica è di prospettare l’eterno oltre il tempo, l’avvenire oltre la vita terrena, la resurrezione oltre la morte. Il messaggio cristiano che apre i cuori e convoglia le menti è tutto rivolto al futuro, e la fede come la speranza sono virtù teologali interamente rivolte al futuro, a quel che accadrà. La forza suprema della fede è addomesticare la morte, dare uno spiraglio alla vita oltre la parabola terrena, far capire che non finisce tutto qui, che la vita è oltre e fuori il sepolcro, Veni foras; e oltre l’umano c’è il divino, oltre la storia c’è la luce eterna. E su questa scommessa, su questa apertura all’eterno, fonda la morale e le relazioni tra gli uomini e col mondo. Illusione o menzogna per gli atei e gli scettici, speranza o promessa di redenzione per i devoti e i credenti, ma la ragione ultima del credere, del pregare e della morale che ne deriva, è lì, in quell’aspettativa. La Chiesa di Papa Bergoglio è interamente piegata sul presente, affronta i temi del presente, prende a cuore la condizione contemporanea: i migranti, la fame, la pace, i corrotti, le ingiustizie sociali. Compito prioritario, se non esclusivo, della Chiesa è per lui affrontare questi problemi, esortare all’accoglienza, denunciare le disparità e produrre politiche umanitarie. E se le chiese sono vuote di sacerdoti e fedeli si tratta per lui di mutarne la ragione sociale, e renderle luoghi di accoglienza per i poveri e gli affamati, più assistenza meno preghiera, più solidarietà meno liturgia, sacro e devozione.
    È vero che la carità è la terza virtù teologale con la fede e la speranza. Ma se compito della Chiesa fosse quello di rendere migliore la vita alle persone viventi oggi, il suo ruolo non sarebbe diverso di quello di un’organizzazione umanitaria, di Amnesty international, di un’associazione di pronto soccorso. La Croce sarebbe solo Croce rossa. La scommessa decisiva di una fede è Dio e non migliorare le condizioni di vita dei presenti.
    Che nel nome della fede il cristiano si carichi anche di questo fardello è cosa buona e giusta ma che la fede in Dio sia surrogata dalla motivazione sociale segna la fine della fede, e trasforma la fede in impegno sociale, la preghiera in aiuti umanitari. Il sottinteso è che conta di più salvare un uomo in mare che un’anima persa. So la risposta: salvando un uomo, salvo Gesù Cristo, in ogni uomo c’è Lui, far la carità è il modo migliore di testimoniare la fede in Dio. Ma a giudicare dall’attenzione, dalle parole e dagli atti di ogni giorno, sta avvenendo piuttosto qualcosa di diverso: Dio è sostituito dall’Umanità, Cristo è sostituito dal Povero, l’anima è sostituita dal corpo da sfamare, la redenzione ultraterrena è soppiantata dal riscatto sociale. E diviene irrilevante il rito, la liturgia, il simbolo, la preghiera, la fede. Ecco, la cosa che più sconcerta e che tanti avvertono, è la Sostituzione. Al posto di Dio l’umanità. La cattedrale è il barcone.
    https://www.agerecontra.it/2019/02/n...-di-bergoglio/

    Per rompere il muro di silenzio
    Aldo Maria Valli
    Cento laici di tutto il mondo in piedi, in preghiera silenziosa, nel cuore di Roma, vicino alla chiesa nella quale è custodita una reliquia di San Giovanni, che non ebbe paura di perdere la sua vita per la verità. In silenzio per abbattere il muro del silenzio è stato il titolo della manifestazione che si è svolta il 19 febbraio in piazza San Silvestro. Il silenzio denunciato è quello dei pastori che tacciono di fronte alla confusione, all’ambiguità, all’apostasia.
    Dopo la manifestazione, nella sede della Stampa estera si è svolta una conferenza stampa a cui hanno partecipato John Smeaton (Gran Bretagna), presidente della Society for the Protection of the Unborn Child; Michael Matt (USA), direttore della rivista Remnant; Scott Schittl (Canada), rappresentante del portale Life Site News; Julio Loredo (Perù), socio fondatore di Tradicion y Accion por un Perù Mayor; Jean-Pierre Maugendre (Francia), presidente di Renaissance Catholique; Arkadiusz Stelmach (Polonia), vice-presidente dell’Istituto Piotr Skarga; Roberto de Mattei (Italia), presidente della Fondazione Lepanto.
    In riferimento al summit in corso in Vaticano sugli abusi sessuali, il professor De Mattei ha detto: “Se il vertice dei presidenti delle conferenze episcopali del mondo riuniti da papa Francesco si limiterà a trattare gli abusi sui minori, come annuncia il titolo del summit, senza affrontare, ad esempio, la questione dell’omosessualità nella Chiesa, sarà un incontro destinato al fallimento, perché non risalirà alle vere cause del problema. Sarebbe ipocrisia limitare gli scandali alla pedofilia, ignorando la piaga dell’omosessualità che non è solo un vizio contro natura, ma anche una struttura di potere all’interno della Chiesa”.
    Il dibattito è stato moderato dal giornalista Giuseppe Rusconi, che ne riferisce nel suo sito Rossoporpora.
    E proprio al collega Rusconi ho posto alcune domande.
    Qual è stato l’intento dell’iniziativa?
    Gli organizzatori – gruppi di cattolici provenienti da sette Paesi diversi – si riproponevano di far sentire la propria voce alla vigilia del summit vaticano sulla “protezione dei minori nella Chiesa”. Un titolo, questo, che è stato modificato nelle ultime settimane rispetto a quello iniziale che parlava di “tutela dei minori e degli adulti vulnerabili”. E la modifica non è irrilevante, poiché nella versione odierna il titolo intende escludere che durante i lavori ci si possa occupare anche degli abusi su ultra-diciottenni, come nel caso di numerosi seminaristi. Far sentire la propria voce, dicevo, perché normalmente nei media generalisti o nei grandi media appare poco. Allora gli organizzatori hanno pensato di attirare l’attenzione mediatica dapprima con una manifestazione di silenzio eloquente (tipo Sentinelle in piedi) a piazza San Silvestro, poi con una conferenza stampa internazionale presso la Stampa estera di Roma. L’obiettivo di rompere il silenzio penso sia stato raggiunto, soprattutto tra i corrispondenti esteri.
    Tu hai moderato il dibattito: che cosa ti ha colpito di più?
    È stata una conferenza stampa in cui inizialmente ogni relatore si è presentato rispondendo a una domanda (a ognuno ne è stata posta una diversa) su aspetti importanti della problematica ecclesiale riguardante gli abusi sessuali. Poi c’è stato ampio spazio per le domande dei colleghi. Il tutto è durato un’ora e mezzo. Da evidenziare che la conferenza stampa è stata un’occasione insolita per molti colleghi di ascoltare le ragioni avanzate da gruppi cattolici conservatori su un tema tanto drammatico per l’intera società e ancora più drammatico – se possibile – all’interno della Chiesa. Ecco… si è potuto ascoltare. E ciò non è oggi un fatto così banale.
    Qual è il contenuto più forte uscito dall’incontro?
    Preoccupazione comune dei relatori è stata quella di evidenziare come il vertice convocato in Vaticano – con uno sforzo organizzativo imponente – rischi di trasformarsi in un fiasco. Il timore è che l’assemblea si riduca a discutere riduttivamente di qualche norma comune in materia di abusi sessuali, senza però affrontare il problema alla radice. È fuorviante insomma attribuire la causa di quanto è successo a un peraltro vago “clericalismo”, senza invece considerare un quadro molto più vasto caratterizzato da una crisi morale dirompente che devasta l’odierna società e ha riflessi pesantissimi su una Chiesa in cui la confusione in materia di valori regna sovrana, avviata com’è a ‘sdoganare’ comportamenti, come quelli omosessuali, che ancora oggi catechismo e dottrina sociale considerano inaccettabili.
    https://www.aldomariavalli.it/2019/0...vtjNkpXdyaJdT4

    L'ombra dei pedofili e le strane carriere dei porporati gay tra le mura vaticane
    Dopo il caso McCarrick Bergoglio rimanda la resa dei conti al vertice di febbraio
    Riccardo Cascioli
    Non basterà a papa Francesco la ormai certa riduzione allo stato laicale dell'ex cardinale statunitense Theodore McCarrick per calmare le acque e gestire a suo modo il vertice sugli abusi sessuali del clero convocato in Vaticano dal 21 al 24 febbraio prossimo, con la presenza dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo.
    Come si ricorderà, la vicenda McCarrick un abusatore seriale - ha provocato un vero e proprio terremoto nella Chiesa cattolica, che dagli Stati Uniti è arrivato in Vaticano, fino a Santa Marta, residenza del Pontefice. Il problema non sono solo gli abusi sessuali, principalmente su seminaristi, che risalgono già agli anni '80 e proseguiti per oltre venti anni. Ciò che maggiormente inquieta è come sia stato possibile che malgrado ci fossero denunce e voci insistenti sulla sua omosessualità attiva e sugli abusi, abbia potuto fare una brillantissima carriera ecclesiastica essendo stato promosso fino all'arcidiocesi di Washington e addirittura nominato cardinale. È anche il tema dell'ormai famosa lettera-dossier pubblicata nell'agosto scorso dall'ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, che ha chiamato in causa diversi esponenti della Curia Romana e lo stesso papa Francesco che, pur a conoscenza dei dossier su McCarrick, gli ha dato importanti incarichi personali per conto della Santa Sede.
    Lo scorso ottobre, poi, papa Francesco ha accettato le dimissioni di McCarrick dal cardinalato ma solo dopo che era emersa la denuncia riguardo agli abusi su un minorenne. E ora, dopo un processo-lampo alla Congregazione per la Dottrina della Fede, si attende che il Papa lo riduca allo stato laicale. Ma ciò che è apparso chiaro in questi mesi è che papa Francesco vorrebbe chiudere qui il capitolo McCarrick e poi passare semplicemente a decidere le misure per evitare che simili cose accadano in futuro. Ha infatti chiuso l'archivio vaticano ai vescovi americani che volevano una inchiesta radicale, rimandando ogni eventuale iniziativa a dopo il vertice di febbraio. E anche nella lettera ai vescovi Usa dello scorso 1 gennaio proprio sul tema degli abusi sessuali, è evidente il tentativo di confinare ai soli Stati Uniti il problema McCarrick.
    Il motivo è comprensibile: ci sono vescovi e cardinali strettamente legati a McCarrick che risultano nel circolo degli amici di papa Francesco. A cominciare da Donald Wuerl, chiamato a suggerire i candidati all'episcopato negli Stati Uniti al posto del silurato cardinale Raymond Burke. Wuerl, successore di McCarrick a Washington, ne ha coperto chiaramente le responsabilità in tutti questi anni e proprio nei giorni scorsi sono emerse nuove testimonianze che lo inchiodano. Ma c'è anche il cardinale Kevin Farrell, altro pupillo di McCarrick, che oltre alla porpora ha avuto in «dono» a Roma la guida del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Anche lui mantenuto al suo posto malgrado l'assoluta inattendibilità della reclamata ignoranza sul «vizietto» di McCarrick. Farrell peraltro è anche responsabile della «svolta omosessuale» all'ultimo Incontro mondiale della Famiglia a Dublino, lo scorso agosto, quando a parlare è stato invitato il gesuita americano padre James Martin, che ha lanciato una crociata per inserire l'agenda Lgbt nella Chiesa.
    Proprio la questione dell'omosessualità nel clero sta infiammando la preparazione del vertice sugli abusi. È evidente che papa Francesco non ne vuole parlare in alcun modo, e anzi ha più volte affermato che la causa degli abusi sessuali va ricercata nel clericalismo, in pratica un abuso di potere. E alcuni suoi collaboratori si sono spinti perfini a negare l'evidenza, ovvero che McCarrick abbia avuto relazioni omosessuali.
    Sicuramente una pubblica critica che leghi gli abusi sessuali del clero all'omosessualità sarebbe molto impopolare agli occhi del «mondo». C'è quindi il fondato timore che il vertice di febbraio sarà usato da chi vorrebbe legittimare l'omosessualità anche nel clero: «Si può essere bravi preti anche se gay», è il ritornello di moda tra le correnti più progressiste, ma sicuramente ci sono cardinali influenti, come il tedesco Reinhard Marx, l'austriaco Christoph Schömborn, lo statunitense Blaise Cupich, che non hanno nulla da obiettare. Certo, evitare di parlare di un problema omosessualità nel clero è il primo passo per una sua legittimazione.
    Per questo nelle ultime settimane ci sono stati diversi interventi di cardinali che hanno criticato l'approccio di papa Francesco al tema abusi. Tra questi i due cardinali superstiti dei Dubia, Walter Brandmüller e Raymond Burke. Il primo ha ricordato ciò che anche un dettagliato rapporto negli Stati Uniti ha messo in evidenza: l'80% degli abusi sessuali non sono commessi su bambini ma su adolescenti maschi. Vuol dire che il legame tra omosessualità e abusi sessuali è «statisticamente provato». Ciò non vuol dire che tutti i preti con tendenze omosessuali siano potenzialmente abusatori, ha sottolineato Burke, ma è un fatto che la stragrande maggioranza di questi abusi vengano da una «debolezza morale» che non c'entra nulla con il clericalismo. Ancora più chiaro l'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Gerhard Müller che, in una lunga dichiarazione, ha affermato tra l'altro che «balbettare di clericalismo o di strutture della Chiesa come causa, è un insulto alle molte vittime degli abusi sessuali».
    Ad alzare ulteriormente la temperatura, in questi giorni sono scese in campo anche delle associazioni di laici, che hanno lanciato una petizione online da presentare ai vescovi che parteciperanno al vertice vaticano. Il titolo non lascia spazio ad equivoci: «Fermiamo la rete omosessuale nella Chiesa». È stata lanciata da una associazione svizzera, Pro Ecclesia, sostenuta dal sito americano LifeSiteNews, ma immediatamente rilanciata in tutte le lingue (in italiano da La Nuova Bussola Quotidiana). Chiede una serie di misure, tra cui la reintroduzione di un articolo del Codice di Diritto Canonico del 1917 che stabiliva sanzioni dure, fino alla riduzione allo stato laicale, per i chierici responsabili di atti omosessuali. Improbabile che il Papa acconsenta, ma gli sarà comunque difficile lasciare il tema omosessualità fuori dalla porta del vertice.
    L'ombra dei pedofili e le strane carriere dei porporati gay tra le mura vaticane

    Vaticano, Viganò accusa il papa di chiamare pure collaboratori gay
    Il papa riduce McCarrick allo stato laicale, ma Viganò rincara la dose e parla di "collaboratori omosessuali" chiamati e mantenuti nel tempo
    Carlo Maria Viganò ha scelto il periodo in cui il papa ha ridotto allo stato laicale l'ex cardinal Theodore McCarrick per tornare a dire la sua. Le tempistiche, nelle "cose vaticane", hanno sempre il loro peso.
    In questo scritto, che è stato presentato in virtù di un incontro sugli abusi svoltosi grazie alla volontà National Catholic Register, l'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti dimostra di non aver cambiato idea. Viganò, per mezzo del suo intervento, ha posto domande pesanti. Il testo nella sua interezza è rintracciabile sul blog di Aldo Maria Valli. Il monsignore procede attraverso l'elencazione di alcune domande: "Perché - chiede, riferendosi al "summit straordinario" - l’incontro si concentrerà esclusivamente sull’abuso di minori? Questi crimini sono davvero i più orribili, ma le crisi negli Stati Uniti e in Cile, che hanno in gran parte accelerato il prossimo vertice, riguardano gli abusi commessi non solo contro i minori, ma contro giovani adulti, inclusi seminaristi". Sembrerebbe che la Santa Sede non voglia affrontare la diffusione di tendenze omosessuali all'interno degli ambienti ecclesiastici. Gli scandali relativi agli abusi sessuali e l'omosessualità sono, almeno in buona parte, collegabili. Lo hanno dichiarato più cardinali nelle passate settimane.
    Poi Viganò alza il tiro sul medesimo argomento, specificando: "Perché la parola “omosessualità” non compare mai nei recenti documenti ufficiali della Santa Sede? Questo - continua - non significa affatto che la maggior parte di coloro che hanno una inclinazione omosessuale siano abusatori, ma resta il fatto che la stragrande maggioranza degli abusi è stata commessa da chierici omosessuali nei confronti di ragazzi in età post-puberale".
    Ma il passaggio che rincara la dose è quello che riguarda papa Francesco: "Perché - prosegue Viganò - Papa Francesco mantiene e chiama addirittura come suoi stretti collaboratori persone che sono notoriamente omosessuali?". E ancora: "Perché si è rifiutato di rispondere a domande legittime e sincere su queste nomine? In tal modo ha perso credibilità circa la sua reale volontà di riformare la Curia e combattere la corruzione".
    L'ex nunzio apostolico, in sintesi, si dice convinto che il pontefice argentino non abbia preso le giuste contromisure dopo la pubblicazione del "memorandum". E anzi, Bergoglio potrebbe aver nominato dei consacrati - che Viganò, evidentemente, riterrebbe essere omosessuali - pure negli ultimi tempi.
    Vaticano, Viganò accusa il papa di chiamare pure collaboratori gay

    Un cardinale: "Si riconosca rapporto omosessualità - abusi su minori"
    L'ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede vaticana, il cardinale Gerhard Müller, afferma che i dirigenti della Chiesa devono riconoscere il ruolo centrale che l'omosessualità ha avuto nella crisi degli abusi sui minori
    Matteo Orlando
    Secondo un alto prelato vaticano ci sono dei rapporti tra l'omosessualità e gli abusi sessuali sui minori che hanno coinvolto diversi chierici in giro per il mondo.
    L'ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha affermato in un'intervista al National Catholic Register, che i dirigenti della Chiesa devono riconoscere il ruolo centrale che l'omosessualità ha avuto nella crisi degli abusi e, criticando alti vertici della Chiesa che si erano espressi diversamente, ha sostenuto che l'abuso sessuale del clero è fondato su una cattiva condotta sessuale, e non solo sul clericalismo.
    Per il cardinale coloro che riducono gli abusi sessuali nella Chiesa al clericalismo, e non menzionano mai il ruolo che l'omosessualità ha svolto nella crisi mondiale legata agli scandali venuti alla luce, "non vogliono confrontarsi con le vere ragioni" degli abusi e stanno sfruttando tali crimini "per il loro programma", che sarebbe l'attacco al celibato sacerdotale.
    Il cardinale Muller, che ha voluto far sentire la sua voce in previsione della riunione dei vescovi che si occuperanno, dal 21 al 24 febbraio, della "protezione dei minori", ha spiegato chiaramente che "la grande maggioranza di tali abusi non è dovuta al sacramento degli ordini sacri, ma all'incontinenza sessuale" ad una "falsa comprensione della sessualità", al mancato rispetto "del sesto comandamento".
    "Se sei un prete devi predicare il Decalogo e rispettarlo. Dove è scritto nella Sacra Bibbia che se sei un prete sei fuori dalle regole della morale? Al contrario, bisogna dare il buon esempio", ha tuonato il porporato tedesco che si è augurato che la questione "pedofilia" nella Chiesa sia affrontata con verità e alla luce del Vangelo, della dottrina e della disciplina della Chiesa e della spiritualità del sacerdozio.
    Il cardinale Müller ha spiegato che l'omosessualità praticata "è contro il piano di Dio Creatore, e nessuno può relativizzare la Legge di Dio. La pratica omosessuale non è accettabile, non con gli adulti e assolutamente non con i minori. Oltre l'80% delle vittime di abusi sessuali sono giovani ragazzi, adolescenti maschi minorenni, ma oltre i 14 anni. Questi sono atti omosessuali, non pedofilia".
    Un cardinale: "Si riconosca rapporto omosessualità - abusi su minori"

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    Predefinito Re: Rif: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Vai alla messa in latino? Sei più fedele alla dottrina
    Usa. Per la prima volta una ricerca statistica su vasta scala confronta fedeltà alla dottrina, apertura alla vita e rifiuto dei contraccetivi e dell'aborto tra i fedeli che scelgono di frequentare la messa in forma straordinaria e quelli che optano per il novus ordo. I risultati sono sorprendenti. Almeno per la sociologia.
    Sul confronto tra la messa vetus ordo, quella rigorosamente in latino per capirci, e quella novus ordo, così come ordinariamente celebrata oggi in ogni chiesa, si registra da anni, in seno al mondo cattolico, un dibattito intenso, a tratti pure assai vivace. Trattasi, per lo più, di dispute su aspetti liturgici, teologici e pastorali sui quali, per ovvi motivi, la sociologia non mai messo il becco. Fino ad oggi, s’intende. Sì, perché è stata da poco diffusa una nuova ricerca che si occupa proprio di questo, e cioè di mettere a fuoco se vi siano differenze significative negli atteggiamenti e nelle condotte dei fedeli a seconda del tipo di messa che essi sono soliti frequentare.
    Nello specifico lo studio, a cura di don Donald Kloster, sacerdote laureatosi all’università del Texas, è stato realizzato sondando pensieri e opinioni di un campione di 1.322 persone tramite sondaggi anonimi, il tutto in un arco temporale che va dal marzo al novembre 2018. Le stesse domande sono state messe on line, con il questionario che ha ottenuto 451 risposte. Alla fine, ad essere interessati dalla ricerca sono stati fedeli americani provenienti da ben 16 differenti Stati, il che le conferisce una dimensione internazionale e perciò ancora più interessante.
    Le domande del questionario vertevano su ambiti diversificati quali l’approvazione o meno di contraccezione, aborto e matrimonio omosessuale, la frequenza di partecipazione alla messa settimanale e il tasso di fertilità. Ebbene, che cosa si è scoperto? Molte cose meritevoli di riflessione.
    Tanto per cominciare, si è riscontrata una netta difformità nell’adempimento agli obblighi settimanali quali, appunto, la frequenza alla messa, che è di uno sconfortante 22 per cento tra i cattolici che vanno alla messa novus ordo mentre sale addirittura del 99 tra quanti hanno come riferimento quella in latino. Stessa cosa per la confessione: il 98 per cento dei fedeli del vetus ordo si confessa almeno una volta l’anno, contro il 25 degli altri. Differenze enormi, che si rispecchiano anche nell’adesione alla morale.
    Infatti i fedeli del vetus ordo risultano in piena sintonia con gli insegnamenti della Chiesa. Basti dire che appena il 2 per cento di questi approva la contraccezione e il matrimonio tra persone dello stesso sesso e solamente l’1 per cento l’aborto. Oggettivamente, percentuali da contagocce.
    Una musica ben diversa, purtroppo, fra gli altri cattolici, con l’89 per cento che tollera la contraccezione, il 67 favorevole alle nozze gay e il 51 perfino all’aborto. Uno scenario, quest’ultimo, che sarebbe eufemistico definire preoccupante, e che testimonia la necessità di maggiori formazione e conoscenza tra i cattolici imbevuti, talvolta a loro insaputa, di cultura dominante.
    Degno di nota, inoltre, è il dato demografico, con la bilancia della natalità ancora una volta nettamente sbilanciata da una parte. Più precisamente, posto che le famiglie religiose rispetto a quelle che non lo sono risultano generalmente già più prolifiche, si è visto che le donne che frequentano la messa in forma straordinaria hanno un tasso di fertilità di 3,6 figli, contro i 2,3 delle altre. Un dato rilevante che suggerisce come, in prospettiva, quanti preferiscono la messa in latino saranno sempre di più. Altro che estinzione.
    Certo, questa pur stimolante e pionieristica ricerca lascia comunque aperto un dilemma dal sapore marzulliano ma in verità fondamentale, che è il seguente: si va alla messa "tridentina" perché si è più fedeli alla dottrina cattolica oppure si è più fedeli alla dottrina cattolica perché si frequenta la messa in latino? Probabilmente entrambe le cose, nel senso che poi parecchio, in realtà, dipende dall’esperienza individuale di ciascuno.
    Quel è che certo è che quella parte di mondo cattolico oggi così dialogante con la modernità laica e laicista di messa in latino non vuol manco sentir parlare. Ed è un peccato perché da quella messa e, soprattutto, da coloro che la frequentano ci sarebbe molto da imparare.
    Vai alla messa in latino? Sei più fedele alla dottrina - La Nuova Bussola Quotidiana

    Sull'omosessualità è cambiato il giudizio
    Non c'è più bisogno di documenti ufficiali. Al tempo del primato della pastorale sono i gesti e la prassi a decretare i cambiamenti dottrinali. Come è successo al summit sugli abusi sessuali per quel che riguarda l'omosessualità. Rivelatrici le affermazioni del vescovo Scicluna.
    La Chiesa sembra aver scelto di cambiare la sua tradizionale visione dell’omosessualità. Non c’è da aspettarsi su questo argomento nessun nuovo documento dottrinale. Di documenti dottrinali non se ne scrivono più. Gianni Baget Bozzo sostenne che dopo il Vaticano II nessun Papa si sarebbe più sognato di convocare un concilio dogmatico. Oggi si deve dire che nessuno si sogna più di emanare un documento dottrinale. La pastorale è la nuova dogmatica e non accogliere gli aggiornamenti pastorali la nuova eresia. I segni (pastorali nella forma ma dottrinali nella sostanza) del profondo cambiamento di posizione sull’omosessualità sono ormai moltissimi e sarebbe troppo lungo elencarli qui. Del resto li conoscono ormai tutti. L’ultima puntata è stato il recente summit sugli abusi, ove di omosessualità non si è parlato mentre l’argomento lo richiedeva con grande evidenza.
    Tra le espressioni verbali che esprimono la nuova visione, due mi sono sembrate particolarmente chiare. La prima è stata pronunciata dal vescovo Scicluna al suddetto summit: «Non ci sono condizioni come l’omosessualità e l’eterosessualità che predispongono al peccato». L’altra l’aveva pronunciata tempo fa il cardinale Schönborn: non si può parlare di coppie regolari o irregolari. Queste due espressioni si collocano in pieno nella linea Kasper: non esistono i “divorziati risposati” come categoria, dato che l’esistenza non è categorizzabile, ma esiste questo o quel caso di divorziati risposati da affrontare uno per uno.
    Potremmo chiamare questa posizione con l’espressione “nominalismo cattolico”. L’essere consiste nell’essere-in-situazione, l’esperienza è fatta di condizioni uniche, non esiste un ordine delle relazioni umane, e quindi non esistono situazioni naturali o innaturali, regolari o irregolari. L’approccio quindi non può avvenire per categorie ontologiche ma tramite il singolo accompagnamento. Ci vuole “discrezione” – direbbe Guicciardini – ossia apertura a comprendere la singola situazione senza incasellarla in categorie universali e astratte. In questo senso il discernimento di cui oggi tanto si parla è qualcosa di diverso dalla prudenza (prudentia, phronesis) perché non ha alle spalle una regola universale espressiva di un ordine da collegare con la situazione particolare, come accade invece per questa virtù.
    Nominalismo significa che le parole – per esempio: eterosessualità e omosessualità, coppie regolari o irregolari, divorziati risposati, famiglia, sessualità … - non fanno riferimento a nessuna realtà strutturata, nessun ordine e nessuna regola universale, ma solo situazioni diverse e plurime che vengono chiamate con espressioni collettive per comodità e per convenzione.
    La nuova visione dell’omosessualità e del suo esercizio porta con sé cambiamenti fondamentali in tutto l’impianto della dottrina cattolica, trasformandola essenzialmente. Per esempio, che ne è della creazione? Esprime ancora un ordine finalistico a cui attenerci per vivere da uomini? Che ne è della teologia della storia? È ancora quest’ultima la lotta tra la città di Dio e la città dell’uomo? Che ne è della missione della Chiesa verso il mondo, se la Grazia di Dio si manifesta in tutte le condizioni mondane?
    Potremmo anche dire che il passaggio alla nuova concezione della relazione omosessuale viene attuato trasformando le “attenuanti” in “eccezioni”. Amoris laetitia lo fa nell’ambito dei divorziati risposati, ma può valere anche per le relazioni omosessuali. Se non esistono peccati da intendersi come categoria, ma esistono le singole situazioni esistenziali di peccato, allora non si tratta di applicare la norma ma di iniziare un percorso di discernimento in modo da fare emergere – si dice - le condizioni “attenuanti” che possono perfino spiegare che in quel caso non c’è addirittura responsabilità personale nonostante la materia grave. Può iniziare così un percorso che si può anche concludere con l’ammissione all’Eucarestia, senza confessione e rimanendo nella stessa condizione. Con il che, però, le “attenuanti” sono già diventate “eccezioni”. Se non c’è un ordine finalistico, ogni condizione è un’eccezione.
    Cosa ben diversa se si parte dall’esistenza di un ordine finalistico e quindi di norme di vita naturale e soprannaturale. Allora avvicinarsi alla situazione unica e particolare di ogni persona significa valutare le “attenuanti”, che non annullano la regola. Il peccato rimane peccato, ma quella persona esporrà in confessionale le sue “attenuanti” che contribuiscono a rendere quel peccato un peccato particolare per un cammino altrettanto particolare di revisione di vita, pur non potendolo mai rendere con ciò un non-peccato, ossia un’eccezione.
    Sull'omosessualità è cambiato il giudizio - La Nuova Bussola Quotidiana

    Non è clericalismo, è lussuria
    Aldo Maria Valli
    Provate a immaginare un summit di agronomi. Convocati dal capo degli agronomi, arrivano da tutto il mondo e dicono di essere assai preoccupati. Alcune piante molto preziose, indispensabili per la vita sulla terra, si ammalano gravemente e in alcuni caso muoiono. La questione è dunque come curare le piante e soprattutto come mettersi al riparo dal pericolo, perché le piante non siano più colpite. Che si fa? Per prima cosa si cercano le cause, ma proprio qui nasce un problema. Gli agronomi sanno che almeno nell’ottanta per cento dei casi la colpa dell’attacco alle piante è di un certo agente patogeno (lo sanno perché lo dicono le indagini condotte in varie coltivazioni, ma anche in base alla loro esperienza diretta), eppure, per un tacito accordo, evitano accuratamente non solo di occuparsi di quell’agente patogeno, ma perfino di nominarlo. Gli agronomi sostengono di avere a cuore la sorte delle piante. Prova ne sia che nel corso del summit hanno parole di grande tenerezza, partecipazione e condivisione per le sofferenze patite dalle povere piante. Inoltre, durante la loro assise mondiale, gli agronomi ripetono spesso che quanto è accaduto è di una gravità inaudita e non dovrà succedere mai più. Ecco perché, spiegano, ci saranno controlli sempre più severi. Tuttavia, in base a quel tacito accordo, il nome dell’agente patogeno non viene mai fatto.
    Orbene, come pensate che si possa concludere un tale summit? Si concluderà con espressioni molto accorate e con tanti buoni propositi, ma, purtroppo, nel segno di una sostanziale inefficacia. Perché se il principale responsabile della malattia non può essere neppure nominato, è chiaro che qualunque proposito di contrasto del contagio è destinato a rivelarsi inconcludente.
    Ecco, il summit mondiale sugli abusi che si è tenuto in Vaticano assomiglia sotto molti aspetti al nostro immaginario incontro di agronomi. Al summit infatti sono state spese parole forti a condanna degli abusi, in difesa delle vittime e per una prevenzione più efficace. Eppure quella che, secondo gli studi e l’esperienza diretta, appare come una delle componenti decisive all’origine degli abusi stessi (o forse addirittura la componente decisiva) non è stata mai nemmeno nominata. O, se è stata nominata, ciò è avvenuto solo per dire che quella componente in realtà non c’entra per nulla.
    La parola che non è stata mai nominata, l’avete capito, è omosessualità. E questa omissione inficia alla radice tutto ciò che è stato detto durante l’incontro mondiale.
    Le ricerche condotte sul campo, le notizie di cronaca e le rivelazioni che, di tanto in tanto, sia pure a fatica, rompono il muro dell’omertà dicono che nell’ottanta per cento dei casi gli abusi commessi da chierici hanno natura omosessuale e non sono casi di pedofilia (interesse sessuale di un adulto per soggetti prepuberi), ma di efebofilia (interesse sessuale di un adulto nei confronti della medio-tarda adolescenza, in una fascia d’età compresa tra i quattordici e i diciannove anni). Nella stragrande maggioranza dei casi siamo quindi di fronte a maschi che abusano di maschi adolescenti. Ma nel corso del summit vaticano questa realtà è stata ignorata. Anzi, fin dal titolo (La protezione dei minori nella Chiesa) la si è voluta distorcere.
    Sul banco degli imputati è stata messa una realtà inafferrabile e imprecisata: il clericalismo. Sarebbe questo il colpevole degli abusi, come ha confermato Francesco nell’intervento di chiusura. Ma che cos’è precisamente il clericalismo?
    Nell’accezione comune, il clericalismo è un tipo di ideologia che rivendica la possibilità di intervento da parte della Chiesa nella politica e negli affari di uno Stato. Bergoglio invece usa la parola in un senso diverso: fa coincidere il clericalismo con l’abuso di potere e sostiene che tale abuso sorge quando il prete per qualche ragione si sente superiore agli altri ed è distante dal popolo.
    Ora, ammesso e non concesso che la parola sia utilizzabile nell’accezione divenuta comune negli interventi di Bergoglio, non è difficile accorgersi che attribuire l’origine degli abusi al clericalismo sposta tutto il discorso sul piano dell’indeterminatezza e dell’ambiguità. Un po’ come succede quando si dice che se il mondo va male è colpa della società, sostenere che se nella Chiesa ci sono gli abusi è colpa del clericalismo in realtà non spiega molto. Anzi, non spiega niente.
    L’abuso di potere, che a giudizio del papa è l’elemento più importante per comprendere il fenomeno degli abusi sessuali, può essere senz’altro una concausa, come succede ogni volta che un superiore approfitta della sua posizione per sfruttare, manipolare e oltraggiare l’inferiore, ma di per sé non basta. Per andare più in profondità occorre entrare nella sfera sessuale. E se si fa questo ci si imbatte inevitabilmente nella questione dell’omosessualità.
    In generale tutto il summit ha sofferto a causa di questo spostamento del focus verso una direzione poco chiara.
    Sentite che cosa mi scrive un prete, molto deluso dall’esito dell’incontro: “Questo meeting degli episcopati ha partorito solo vaghe indicazioni di tipo procedurale su trasparenza, denunce e processi, ma nulla sulle cause del fenomeno, in primis l’omosessualità e i costumi non casti dei consacrati, sia etero sia omosessuali. Ma solo partendo da queste cause è possibile affrontare il problema radicalmente e fare vera prevenzione. Il livello dell’analisi, così come la proposta dei rimedi, è rimasta nell’ambito giuridico, canonico e amministrativo, senza toccare la sfera morale. Come se il sesto comandamento in tutta la faccenda non c’entrasse per nulla! Ma questo è un modo pagano di affrontare la questione, non cristiano, né tanto meno cattolico”.
    Sono pienamente d’accordo. Aggiungerei che è un modo sociologico, e infatti durante i lavori (e anche leggendo l’intervento finale del papa) è sembrata emergere più la dimensione sociologica dell’analisi che quella teologica e spirituale.
    Resta una domanda: perché le cose sono andate così? Chi ha operato per estromettere la parola omosessualità dal confronto? Chi ha voluto che dal titolo del summit sparisse il riferimento agli adulti vulnerabili e restasse solo la tutela dei minori? Chi ha fatto in modo che certe realtà restassero avvolte nella nebbia?
    Rileggere la vicenda McCarrick (per limitarci alla più celebre) può aiutare a trovare la risposta. Nella Chiesa cattolica c’è una classe omosessualista in grado di condizionare, deviare, coprire. Questa è la rete nella quale occorre con coraggio mettere le mani. Questo è il bubbone che occorre far esplodere.
    Il vero clericalismo, se proprio vogliamo usare questo termine, è quello di chi non vuole fare chiarezza e chiamare le cose con il loro nome. Che cosa produce l’approccio sociologico, che tanto piace al mondo? Solo operazioni mediatiche. Che si traducono in generiche condanne e in una commiserazione sterile. Oltre che in un sostanziale insabbiamento.
    https://www.aldomariavalli.it/2019/0...wTyquhDmfeusqY

    BERGOGLIO PREDICA BENE E SCEGLIE MALISSIMO - TUTTI I FEDELISSIMI DEL PAPA SONO INCIAMPATI NELLO SCANDALO PEDOFILIA - DALL'AUSTRALIA AGLI USA, PASSANDO PER IL CILE, IL PONTEFICE HA PERSO GLI UOMINI SU CUI CONTAVA DI PIÙ - IL CONSIGLIO DEI NOVE È DIVENTATO IL CONSIGLIO DEI SEI. E LE SUE ULTIME PROMOZIONI POSSONO TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG…
    La caduta degli dei. L' ultimo a essere trafitto da accuse di pedofilia è il cardinale George Pell. Ma è solo l' ultimo, appunto. Il papato di Bergoglio è ormai costellato dalla detonazione di scandali che hanno portato, in tutto il mondo, a dimissioni e condanne di vescovi e cardinali. Bisogna «proteggere i piccoli dai lupi voraci», ha detto qualche giorno fa il Pontefice, a conclusione dell' incontro planetario «per la protezione dei minori della Chiesa».
    Ma i lupi non sono più solo viceparroci di remote canoniche. Sono i porporati che siedono accanto a Bergoglio. Sono i suoi stretti consiglieri. Sono il faro di masse di fedeli.
    Come il cardinale Pell, prefetto della segreteria economica vaticana dal 2014 fino a qualche giorno fa. Per la prima volta, un «ministro» della Santa Sede viene punito per abusi sessuali: dodici membri della giuria della County court dello stato di Victoria, in Australia, lo condannano per aver abusato di due ragazzini.
    I fatti sono del 1996: Pell, «sorseggiando il vino consacrato», li avrebbe molestati in una stanza sul retro della cattedrale di San Patrizio, a Melbourne, dove era arcivescovo.
    Il prelato, già indagato, s' era «autosospeso» nel giugno 2017. Adesso, però, scrive la Santa Sede, «in attesa dell' accertamento definitivo dei fatti» gli è «proibito in via cautelativa l' esercizio pubblico del ministero e il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età».
    Ora la condanna di Pell è diventata pubblica. Anche se risale all' 11 dicembre 2018. E proprio il giorno dopo, Pell viene estromesso dal Consiglio dei nove cardinali che papa Francesco aveva scelto per coadiuvarlo nel governo della Chiesa. Ufficialmente, si tratta di «ragioni d' età». Ma, assieme a Pell, vengono esautorati altri due porporati. Tra cui il cileno Francisco Javier Errázuriz, 85 anni, il membro più anziano del Consiglio. Anche lui, inciampato nella pedofilia. È accusato di aver insabbiato violenze e molestie: in particolare, quelle di padre Fernando Karadima, abusatore seriale, ridotto allo stato laicale il 28 settembre 2018.
    Una «decisione eccezionale» spiegò la sala stampa vaticana: presa «in coscienza e per il bene della Chiesa». Ma anche straordinariamente tardiva: Karadima era già stato condannato a febbraio del 2011 dalla Congregazione per la dottrina della fede. Verdetto confermato a giugno 2012. Eppure viene spretato sei anni più tardi. E solo dopo le enormi pressioni di opinione pubblica e vittime.
    Alcuni supposti correi, intanto, avevano già presentato dimissioni: probabilmente indotte. Alti prelati cileni. Una slavina di rinunce. L' 11 giugno 2018 lascia Juan Barros , vescovo di Osorno, allievo di Karadima, Cristián Caro Cordero, arcivescovo di Puerto Montt, e Gonzalo Duarte García de Cortázar, vescovo di Valparaíso. Il 27 giugno 2018, è la volta del monsignore di Rancagua, Alejandro Goic Karmelic, e dell' ordinario di Talca, Horacio del Carmen Valenzuela Abarca, altro figlio spirituale di Karadima.
    Il 21 settembre 2018 tocca a Carlos Eduardo Pellegrín Barrera, vescovo di San Bartolomé de Chillán, e a Cristián Enrique Contreras Molina, ordinario di San Felipe. Tutti trafitti dal sospetto di aver insabbiato, coperto, omesso.
    Negli stessi giorni, intanto, viene dimesso dallo stato clericale un altro famoso sacerdote cileno: Cristian Precht.
    Uguale provvedimento, l' 11 ottobre 2018, colpisce Francisco José Cox Huneeus, arcivescovo emerito de La Serena, membro dell' Istituto dei padri di Schoenstatt, e Marco Antonio Ordenes Fernandez, già vescovo di Iquique: entrambi, ancora una volta, accusati di abusi sui minori.
    Più ecumenica, invece, la pena inflitta, nel 2013, a Keith O' Brien: arcivescovo emerito di Saint Andrews and Edinburgh. Viene privato dei diritti e delle prerogative da porporato. Ma O' Brien, scomparso recentemente, rimane comunque cardinale. Incolpato da quattro sacerdoti di «comportamenti inappropriati» aveva amesso le sue responsabilità. Una sorta di sospensione colpisce ora anche Gustavo Oscár Zanchetta, nominato nel 2013, proprio dal Pontefice, alla guida della piccola diocesi di Orán, a Nord dell' Argentina. Lo scorso autunno è chiamato a Roma per coprire l' inedito ruolo di «assessore» nell' Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa). Intanto, però, in patria lo indagano per abusi sessuali. Garantismo ecclesiastico.
    Come quello di cui ha goduto, per decenni, un illustrissimo porporato: Theodore McCarrick, ex arcivescovo emerito di Washington, incolpato di molestie a seminaristi e abusi su almeno tre minori. Per anni è stato tra le personalità più influenti della Chiesa negli Usa.
    L' 11 gennaio 2019 viene però dimesso dallo stato clericale. Sentenza confermata lo scorso 13 febbraio. «Defrocked»: spretato. Ma pur sempre con ritardo e poca solerzia. McCarrick veniva già accusato nel memoriale di Carlo Maria Viganò, pubblicato lo scorso agosto in esclusiva mondiale dalla Verità.
    L' ex nunzio apostolico negli Stati Uniti nel j' accuse, denuncia gli abusi di McCarrick. E i lustri di omertà sul caso. Non risparmiando strali neanche alla inerzia di papa Francesco. Viganò si scaglia anche contro il successore di McCarrick alla guida dell' arcidiocesi di Washington, Donald Wuerl: «Sono assolutamente risibili», scrive nel memoriale, le dichiarazioni del prelato, che si dice all' oscuro dei precedenti di McCarrick. Intanto, viene pubblicato il report del gran giurì della Pennsylvania. Raccoglie le testimonianze di abusi sui minori negli ultimi settant' anni.
    Nel dossier, il cardinale Wuerl viene citato per il suo precedente incarico come vescovo di Pittsburgh, tra 1988 e il 2006. In alcuni casi, di fronte alle denunce, avrebbe voltato la testa. Così, a ottobre 2018, pure Wuerl si dimette. Un altro dei caduti nell' epoca bergogliana. La lista dei «vinti» si allunga. La resa dei conti, in Vaticano, potrebbe essere appena cominciata.
    bergoglio sceglie malissimo - tutti i fedelissimi del papa sono inciampati nello scandalo pedofilia - Cronache

 

 
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