Vaticano apre a farmaco blocca-pubertà. Cosi' tradisce la Chiesa
Un sostegno alla decisione dello Stato italiano di inserire il farmaco blocca-pubertà tra quelli erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale, arriva clamorosamente da Vatican News, portale ufficiale dell'informazione vaticana, e dalla bioeticista Laura Palazzani, membro della Pontificia Accademia per la Vita. Leggiamo affermazioni che privilegiano il desiderio alla vocazione, ribaltando completamente l'antropologia cattolica. E invece di interrogarsi sulle cause del disagio degli adolescenti offrono un farmaco: un materialismo positivista negazione del cattolicesimo. E' questo che si insegna nelle Università cattoliche?
- E' UN ABUSO SUI MINORI, di Silvana De Mari
Ho letto con molta perplessità l’intervista alla professoressa Laura Palazzani proposta da Vatican News (clicca qui), il portale ufficiale dell’informazione vaticana. Stiamo parlando della decisione di inserire la molecola TRP-triptorelina (il cosiddetto farmaco blocca-pubertà) fra i medicinali erogati dal Servizio Sanitario Nazionale.
Non entro nel merito delle questioni mediche. Non mi è possibile commentare la somministrazione di un farmaco antitumorale, che agisce alterando l’equilibrio ormonale, con lo scopo di bloccare lo sviluppo puberale di bambini sani, con «scarsità di letteratura scientifica disponibile». Ma questo è il mondo di oggi, le «magnifiche sorti e progressive» che ci propinano da secoli; prima o poi mi rassegnero'.
Quello che mi lascia perplesso è la posizione della professoressa, corrispondente della Pontificia Accademia Pro Vita e bioeticista di diverse istituzioni cattoliche.
Leggo, ad esempio, che la somministrazione di questo farmaco riguarderà «bambini […] che intendono cambiare sesso», e mi chiedo: come è possibile «cambiare sesso»? E' possibile scrivere maschio anziché femmina sui documenti, e viceversa; è possibile somministrare ormoni sessuali; è possibile inserire protesi e asportare chirurgicamente organi sessuali a persone sane… ma – ripeto - come è possibile «cambiare sesso»? Non abbiamo forse dei cromosomi sessuati in ogni cellula del nostro corpo? Come li cambiamo, con un virus? L’antropologia cattolica dice che l’uomo è sinolo (unione inscindibile) di anima e corpo; è possibile anche cambiare il sesso dell’anima?
Saremmo dunque «in presenza di una profonda sofferenza dei ragazzi con psicopatologie psichiatriche»... E un farmaco è la soluzione? Nessuna domanda sul motivo di tali sofferenze, sul perché «vivono forti disagi circa la loro corporeità maschile o femminile e intendono cambiare sesso»? Nemmeno un dubbio sull’ambiente sociale nel quale crescono i nostri figli, sul modo in cui li educhiamo? La risposta a queste sofferenze è semplicemente di tipo chimico? Non è forse, questo, puro materialismo positivista che ben poco ha a che fare con il cattolicesimo?
Ancora: è questa l’antropologia che viene insegnata all’Università Cattolica e alla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA), istituzioni cattoliche con le quali collabora la professoressa Palazzani? E' per questo insegnamento che i genitori pagano profumate rette, è per questa antropologia che vengono raccolte offerte annualmente? A che servono le università cattoliche se è difficile distinguerle dalle equivalenti laiche?
Di più, vista l’autorevolezza ecclesiastica della professoressa e del medium che l’ha intervistata. La Chiesa accetta che non sia la vocazione, il progetto che Dio ha per ognuno di noi, ma «il disagio circa la corporeità maschile e femminile» a guidare lo sviluppo dei ragazzi? Non più la ragione, la facoltà più elevata donata da Dio agli uomini; ma «la direzione da loro desiderata», il desiderio, le passioni? Si tratta di un ribaltamento completo rispetto all’antropologia della Chiesa, che ha sempre insegnato il dominio delle passioni e la guida della ragione, in grado di cogliere la realtà metafisica. Non è più cosi'?
La Chiesa ha sempre insegnato che non siamo cio' che siamo, ma cio' che dovremmo essere. La nostra vera natura è un progetto (la vocazione) da costruire. Ora, invece, siamo semplicemente cio' che desideriamo? Non abbiamo più una realizzazione, un telos, un compimento? Nessun orizzonte ci aspetta? Siamo solo «volontà e rappresentazione»? La vita è dunque disperazione e mancanza di senso?
Il Logos, l’ordine provvidenziale del creato, si è fatto carne e ha abitato presso di noi; e guida la Chiesa, sua sposa. La Chiesa ha dunque tradito il Logos per adeguarsi al mondo?
Vaticano apre a farmaco blocca-pubertà. Così tradisce la Chiesa - La Nuova Bussola Quotidiana
Il padrone chiama, Avvenire si rimangia tutto
In un articolo di ieri, 13 marzo, il quotidiano dei vescovi italiani, che era sempre stato critico verso il farmaco blocca-pubertà, cambia improvvisamente linea e si accoda all'aperturismo di Vatican News e della Pontificia Accademia per la Vita. Ecco il retroscena.
«Tutto inutile. (…) Inutili gli appelli degli esperti a proposito dei rischi sconosciuti. Inutili gli inviti alla cautela arrivati dagli stessi medici che si occupano di un disturbo dalle mille ombre che si chiama disforia di genere». Così, appena una settimana fa, il 6 marzo, Avvenire – con la firma di Luciano Moia - commentava negativamente la decisione dell’Agenzia del Farmaco (Aifa) di introdurre la triptorelina tra i farmaci erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, allo scopo di bloccare la pubertà in quei bambini che fanno fatica a riconoscersi nel proprio sesso.
E l’8 marzo, per rispondere al direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, che accusava Avvenire di essere un po’ distratto sul tema triptorelina, lo stesso Moia sparava una raffica di articoli pubblicati da Avvenire negli ultimi quattro anni su quello che loro stessi hanno battezzato “farmaco gender”. Ovviamente articoli molto critici.
Poi d’improvviso l’inversione a U. Il 13 marzo, cioè ieri, in grande evidenza a pagina 3 di Avvenire, lo stesso Luciano Moia scopre che in fondo la faccenda non è così chiara. Chi lo dice che cambiare sesso, in determinate condizioni, non sia lecito? La Chiesa non si è mai pronunciata «sulla liceità morale della “riassegnazione chirurgica”». E poi la sofferenza, il discernimento, il caso per caso, addirittura le periferie tanto care a papa Francesco in cui si troverebbe l’etica in questo caso. Certo, ci sono quelli che dicono “no, assolutamente”, però ci sono anche quelli che dicono “sì”. Insomma, tutto un complesso di cose per cui si deve evitare «la pretesa legalistica del “si può”, “non si può”». Che - non siamo scemi - equivale a dire: “si può”.
E cosa sarà mai successo in questi 5 giorni da provocare questa giravolta? Dato l’argomento, non si può fare a meno di pensare all’effetto di un bombardamento ormonale sfociato in una “riassegnazione del cervello”.
La realtà però è molto più banale e si potrebbe sintetizzare in “La voce del padrone”. Ecco dunque cosa è successo: il 7 marzo su Vatican News esce l’ormai famosa – almeno per i lettori de La Nuova BQ e di altri organi non allineati – intervista alla bioeticista Laura Palazzani, vice presidente del Comitato nazionale per la Bioetica (Cnb) e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita (Pav). La Palazzani aveva votato a favore dell’uso della triptorelina, sebbene in casi circoscritti, nel documento che il Cnb aveva pubblicato lo scorso luglio su richiesta dell’Aifa. E su Vatican News ne sosteneva, senza contraddittorio, le ragioni. Giustamente noi – e non soltanto noi - abbiamo dato grande spazio alla notizia perché semplicemente significa che la Santa Sede apre all’uso del farmaco blocca-pubertà e al conseguente “cambio genitale”.
Peraltro questa bella trovata in accoppiata Vatican News-Pontificia Accademia per la Vita ha generato molte reazioni negative, da parte di cattolici giustamente indignati che hanno chiesto ragione di tale scandalo. E allo stesso tempo anche difese d’ufficio, la più comune delle quali sostiene che la Palazzani parlava per sé e non a nome della Pav. Ci si aspettava dunque una qualche correzione del tiro. Illusi: il 12 marzo quindi ripercorrevo gli eventi degli ultimi mesi riaffermando la convinzione che non di svista si trattasse ma di “nulla osta” vaticano.
A quel punto possiamo immaginare qualche telefonata “calda” da Roma verso la direzione di Avvenire. Il grande capo della comunicazione vaticana Andrea Tornielli? Il presidente della Pav, monsignor Vincenzo Paglia? Qualcun altro che si può fregiare del titolo di “molto vicino a Santa Marta”? Provate a indovinare, ma in ogni caso è qualcuno che conta molto e che, scavalcando la Conferenza Episcopale Italiana, può mettere sull’attenti il direttore di Avvenire. E pretendere che un giornalista si giochi la faccia rinnegando pubblicamente quello che aveva scritto fino a 5 giorni prima. E così nasce l'articolo di ieri di Avvenire, in cui tra l'altro si vuole rispondere direttamente alle nostre argomentazioni (senza mai citarci, ovviamente).
Ma si consolino da quelle parti. Non sono i soli a dover piegare il capo, i padroni del vapore devono essere davvero molto contrariati e decisi a mantenere il punto. È successa un’altra cosa strana: ieri mattina sul blog di Costanza Miriano, che aveva scritto un articolo dai contenuti analoghi a quelli della Nuova BQ e che chiamava in causa la Pav, compare il commento di un altro membro della Pav, la spagnola Elena Postigo. Diceva così:
«Come membro dell’Accademia vorrei chiarire che alcuni di noi abbiamo saputo di questa polemica soltanto negli ultimi giorni. La questione non si è studiata in dettaglio nella Pav e quindi non ci siamo pronunciati ufficialmente. Penso infatti che dovremmo farlo.
Personalmente non condivido il parere del Cnb, e alcuni la pensiamo allo stesso modo. Questa decisione ha gravissime implicazioni di carattere medico, antropologico, etico e teologico. Bisogna distinguere il parere di alcuni membri da quello ufficiale della Pav».
Infatti, nel giro di pochissime ore il post del membro Postigo è scomparso. Ritirato. Ne resta la memoria solo in alcuni post di Facebook che l’avevano rilanciato (tranquilli, il fatto che ieri pomeriggio Facebook sia andato in tilt è pura coincidenza, non crediamo siano così potenti).
Possiamo dunque facilmente prevedere che la cosa non finirà qui e avrà il coraggio di parlare soltanto chi sarà disposto a fare quadrato attorno alla Palazzani e alla direzione della Pav.
Chi ha detto che lo stalinismo è morto?
Il padrone chiama, Avvenire si rimangia tutto - La Nuova Bussola Quotidiana
Adulterio e omosessualità. Le due parole sparite
È un fatto, non un’opinione. Le parole adulterio e omosessualità sono entrambe sparite dal magistero della Chiesa, il più alto, quello che fa capo al romano pontefice.
Della prima parola già si sapeva. È scomparsa del tutto proprio quando sarebbe stato più naturale pronunciarla, nei due sinodi sulla famiglia e poco dopo, quando papa Francesco ne tirò le somme nell’esortazione “Amoris laetitia”.
Mentre la scomparsa della seconda parola è più recente. Ed è avvenuta anch’essa proprio nel momento in cui sembrava impossibile non dirla: nel summit del 21-24 febbraio in Vaticano sugli abusi sessuali compiuti da sacerdoti e vescovi, quasi tutti su giovani e giovanissimi dello stesso sesso.
“Si sa che quando si vuol emarginare o eliminare una qualche verità non c’è bisogno di contraddirla apertamente, anzi questa sarebbe la strategia peggiore, perché susciterebbe aperte reazioni e richiamerebbe l’attenzione. Molto meglio, invece, passarla sotto silenzio, non parlarne più, confinarla fra le anticaglie in soffitta o in cantina, e nel giro di qualche tempo di essa si perderà del tutto memoria e si vivrà come se più non fosse”.
A fare questa osservazione è dom Giulio Meiattini, monaco benedettino dell’abbazia della Madonna della Scala a Noci, professore di teologia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, nella prefazione alla seconda edizione del suo libro “Amoris laetitia? I sacramenti ridotti a morale”.
La prefazione può essere letta integralmente nel blog di Aldo Maria Valli. Ma basta qui riprenderne i passaggi più focalizzati sulla messa al bando dell’una e dell’altra parola.
ADULTERIO
Scrive dom Meiattini:
“Il primo cambiamento, che non sembra sia stato colto nella sua effettiva gravità perché dissimulato, è la completa scomparsa, per non dire il bando, della parola ‘adulterio’. Essa è del tutto assente nei due ‘Instrumenta laboris’ previ ai sinodi del 2014 e 2015, assente nelle rispettive relazioni intermedie (‘Relationes post disceptationem’), mai usata dai due documenti finali sottoposti all’approvazione dei padri sinodali, e infine definitivamente seppellita da ‘Amoris laetitia’. Non è un dettaglio di poco conto. L’insegnamento della Chiesa, dal tempo dei Padri, ha sempre fatto immancabile riferimento ai testi evangelici e neotestamentari relativi all’adulterio come parte essenziale del suo insegnamento sul matrimonio indissolubile, con le relative conseguenze sulla prassi pastorale e la disciplina canonica. Nei menzionati documenti presinodali, sinodali e postsinodali, invece, questi passi non vengono mai citati espressamente, a parte una volta un paio di frammenti di Mt 19, 8-9, da cui è però censurato proprio il passaggio che fa appunto esplicito riferimento all’adulterio”.
È il passaggio in cui Gesù dice che “chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio”.
Dom Meiattini prosegue:
“Bisogna avere l’onestà di dirlo e di riconoscerlo: già da tempo nella Chiesa si adopera molto raramente la parola ‘adulterio’ nella predicazione o nella catechesi. Adesso poi, in ossequio al capitolo VIII di ‘Amoris laetitia’, si preferisce usare il termine neutro e innocuo di ‘fragilità’, che va a rimpiazzare nella maggior parte dei casi anche la stessa parola ‘peccato’. L’infedeltà coniugale occasionale o le nuove unioni stabili successive all’unico matrimonio celebrato davanti a Dio non sono più designate col termine appropriato con cui Gesù e la tradizione cristiana le definiscono: adulterio. […] Nei due sinodi e in ‘Amoris laetitia’ il peccato di adulterio è stato cancellato non con un colpo di spugna, bensì con un colpo di silenzio: semplicemente non se ne parla più. E che ne è stato di tutti quei passi neotestamentari, soprattutto evangelici, che ne parlano apertamente? Di essi figura solo uno sbiadito rimando fra parentesi, preceduto dalla sigla ‘cfr.’”.
OMOSESSUALITÀ
La scomparsa della parola omosessualità dal magistero della Chiesa – fa notare dom Meiattini – è avvenuta più gradualmente. Prima con una sua mutazione di significato e quindi di giudizio, e poi con il suo totale abbandono.
Il momento chiave del mutamento di giudizio sull’omosessualità è ravvisabile nei paragrafi 50, 51 e 52 della “Relatio post disceptationem” resa pubblica a metà del sinodo del 2014 sulla famiglia.
Quando il 13 ottobre 2014 la “Relatio” fu presentata alla stampa, il cardinale delegato Péter Erdõ – che formalmente figurava come l’autore del documento – si dissociò da quei tre paragrafi e ne attribuì la stesura surrettizia a Bruno Forte, nominato dal papa segretario speciale del sinodo. E il giorno dopo un altro cardinale di primo piano, il sudafricano Wilfrid Napier, denunciò il danno irreparabile che era stato fatto con quel colpo di mano: “Il messaggio è partito: questo è ciò che dice il sinodo, questo è ciò che dice la Chiesa. A questo punto non c'è correzione che tenga”.
Che cosa c’era scritto, infatti, in quei tre paragrafi? Che i comportamenti omosessuali vanno “accettati” e che “il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita di coppie dello stesso sesso”, meglio ancora se allietate da bambini.
Commenta dom Meiattini:
“Queste espressioni suscitarono consistenti e comprensibili reazioni nell’assemblea sinodale, tanto che nel sinodo del 2015 e infine in ‘Amoris laetitia’ si ripiegò su poche frasi molto più sobrie e non problematiche. Ma è chiaro che le parole usate in quei paragrafi rappresentavano comunque un tentativo di legittimazione indiretta, neanche troppo velata, dell’omosessualità e anche dell’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali”.
Alla vigilia del sinodo del 2018 sui giovani era quindi alta l’attesa su ciò che la gerarchia avrebbe detto in materia di omosessualità, dopo che nel suo documento base, l’”Instrumentum laboris”, aveva fatto capolino – per la prima volta in un testo ufficiale della Chiesa – il non innocente acronimo LGBT.
Poi, però, nel documento finale – alla cui stesura fu comunicato che aveva “preso parte personalmente anche papa Francesco” – all’omosessualità fu dedicato solo un breve cenno generico, nel paragrafo 150.
A proposito del quale dom Meiattini osserva:
“Alla prima lettura sembra trattarsi di un paragrafo in fondo innocuo. Si parla di rispetto delle persone omosessuali, di iniziative pastorali per la loro integrazione. È chiaro che nessuno vorrebbe discriminare queste persone e mancare loro di rispetto. Ma quello che colpisce, in queste frasi, non è tanto quello che è detto, bensì il silenzio. Il silenzio intorno alla dottrina comune e di sempre, secondo la quale l’inclinazione omosessuale rappresenta un disordine e l’assecondarla un peccato. Il silenzio, come si vede, sembra diventato un metodo per ammorbidire le coscienze e le intelligenze. Tacendo si apre la strada all’oblio”.
Ed eccoci al summit del 21-24 febbraio 2019, dal quale sparisce del tutto non solo la nozione ma anche la parola omosessualità. E a chi in conferenza stampa ne chiede il perché, il cardinale Blase Cupich e il vescovo Charles Scicluna – i due maggiori piloti dell’evento per mandato del papa – rispondono che “l’omosessualità non ha niente a che fare con l’abuso sessuale”, nonostante l’evidenza dei fatti dica l’opposto.
Attenzione. La parola omosessualità non compare nemmeno là dove sarebbe stato praticamente inevitabile, se non doveroso, pronunciarla. C’è un passaggio, nella relazione più applaudita delle nove tenute in aula, in cui la suora nigeriana Veronica Openibo elenca gli “altri problemi riguardanti la sessualità” oltre a quello dell’abuso sui minori che è oggetto del summit. Ed ecco l’elenco: “l’abuso di potere, il denaro, il clericalismo, la discriminazione di genere, il ruolo delle donne e dei laici”. Punto. L’omosessualità non c’è. Sostituita dal suo contrario, la discriminazione di genere, che sottintende l’omofobia.
È un silenzio, questo – nota dom Meiattini –, che fa sì che ormai in varie parti del mondo vi sono “preti e vescovi che riconoscono in pratica le convivenze omosessuali, perfino le benedicono, auspicano la loro regolamentazione civile ed evitano accuratamente di chiamarle per quello che sono: un disordine morale, un peccato che richiede pentimento, conversione e perdono”.
*
Resta da capire se questa doppia strategia del silenzio, su adulterio e omosessualità, adottata dalla Chiesa di papa Francesco, sia parte di un disegno coordinato e finalizzato.
La risposta di dom Meiattini è affermativa. E la spiega così:
“Fra il declassamento dell’infedeltà coniugale e delle unioni illegittime fra uomo e donna da peccato di adulterio a semplice imperfezione o fragilità, da una parte, e l’inizio di una sottile legittimazione delle relazioni omosessuali, soprattutto se ‘fedeli’, dall’altra, esiste un chiaro rapporto di consequenzialità.
“Infatti, se le unioni fra uomo e donna ‘cosiddette irregolari’ (come le chiama ‘Amoris laetitia’) non sono più chiamate adulterio, anzi, neppure rappresentano delle ‘vere’ irregolarità ma sono solo ‘fragilità’ o ‘imperfezioni’ rispetto all’ideale coniugale evangelico (sempre secondo il linguaggio usato da ‘Amoris laetitia’), viene meno il primo ostacolo per un riconoscimento dell’uso della sessualità al di fuori del matrimonio, almeno come non condannabile. Se a questo aggiungiamo la collaterale pastorale del ‘laissez-faire’ (come l’affidamento di incarichi pastorali a omosessuali pubblicamente conviventi, ecc.), ecco che la strada a un’ammissione tacita e di fatto delle coppie dello stesso sesso al di fuori del matrimonio è almeno socchiusa.
“Si possono così capire meglio le parole del cardinale Walter Kasper alla vigilia della pubblicazione di ‘Amoris laetitia’: che essa sarebbe stata solo il primo di una serie di cambiamenti epocali nella storia della Chiesa”.
Adulterio e omosessualità. Le due parole sparite - Settimo Cielo - Blog - L?Espresso
LOBBY GAY
Lgbt in San Pietro, cade un altro tabù
Non c’è dubbio che un’immagine e un gesto incidono più di mille parole. Ed è stato anche detto che Francesco è il Papa dei gesti. Addirittura il vaticanista dell’Avvenire Mimmo Muolo a questo tema ha dedicato un libro, uscito nel 2017, dal titolo eloquente: “L’enciclica dei gesti di papa Francesco”.
C’è dunque poco da interpretare guardando le foto in cui il Papa accoglie calorosamente i membri del Consiglio pastorale dei cattolici Lgbt+ della diocesi inglese di Westminster, quella del cardinale Vincent Nichols per intenderci. Il comunicato, diffuso l’altra sera dallo stesso Consiglio pastorale dei cattolici Lgbt+ e rilanciato in Italia dal sito catto-gay Gionata.org, si premura di spiegare che l’incontro con il Papa è arrivato lo scorso 6 marzo a conclusione di un pellegrinaggio a Roma del gruppo guidato dal loro cappellano, il padre gesuita David Stewart.
Dapprima «hanno ricevuto dei posti privilegiati all’udienza papale mattutina in Piazza San Pietro. Alla fine dell’udienza generale, il gruppo è stato invitato all’incontro con papa Francesco». Dunque, non si tratta di una foto “rubata”, come a volte accade; è stato un incontro ben programmato (c’è anche il messaggio di accompagnamento del cardinale Nichols) dall’entourage del Papa, e del resto anche le foto lo testimoniano. «Il capogruppo Martin Pendergast – dice il comunicato – ha presentato il gruppo a un sorridente papa Francesco» a cui è stata spiegata l’attività di questo Consiglio pastorale.
Insomma una bella testimonianza di accoglienza e umanità.
Cos’è che non va, vi chiederete? Si fa fatica a non provare grande fastidio per un metodo che è l’esatto opposto del Gattopardo: fare finta che nulla cambi perché cambi tutto. «La dottrina non si tocca», ma intanto la prassi contraddice la dottrina fino a svuotarla di significato, e senza mai affermarlo o darne le ragioni. Così, arriva un giorno e tutto è cambiato e non si sa perché. Fino a ieri l’omosessualità praticata era un peccato contro natura, addirittura uno dei 4 peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio», secondo la formula di Pio X, o che «gridano verso il cielo» secondo la definizione del Catechismo (CCC 1867). Non è l’invenzione di un Papa, è la Sacra Scrittura che così li definisce. Oggi invece pare diventata una virtù. In base a cosa? Non si sa, nessuno lo spiega, semplicemente in Vaticano si è deciso che adesso si fa in un altro modo. E chi obietta è un rigido, un dottrinario, uno che scaglia pietre. Alla faccia dei grandi discorsi sulla Sinodalità e delle menate sul popolo di Dio.
Il tutto peraltro avviene giocando sull’ambiguità, e questo è un altro punto di fastidio, oltre che di mancanza di virilità. «Il vostro parlare sia sì, sì; no no. Il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37) è ormai un retaggio del passato, deve essere una di quelle frasi di Gesù che – secondo il generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa – non sono state registrate, quindi magari non le ha dette. Così si ha buon gioco nel dire: «Ma il Papa accoglie tutti, tutti siamo peccatori». Noi siamo certi che il Papa lo fa con questo spirito di accoglienza della persona, ma il gesto parla oggettivamente, va ben oltre le intenzioni personali: e oggettivamente in questo incontro c’è la legittimazione del peccato.
Perché quelle che ha accolto non sono persone con tendenze omosessuali che vivono la loro condizione cercando di seguire l’insegnamento della Chiesa (vale a dire la verità sull’uomo che Cristo ci ha rivelato); no, sono un gruppo organizzato che rivendica l’omosessualità, la transessualità e la fluidità di genere come una normale espressione della propria personalità. In altre parole si tratta di associazioni e movimenti che semplicemente negano la natura dell’uomo e si prefiggono di cambiare la dottrina della Chiesa, di più la Sacra Scrittura, che è molto chiara sul progetto di Dio nei confronti dell’uomo («maschio e femmina li creò», Gen, 1,27).
Allora, coerenza vorrebbe che si spiegasse il cambiamento: si è sbagliato Dio? Si è sbagliata la Chiesa per duemila anni? Da qui non si scappa: non può essere che un gesto sia un giorno peccato contro natura e il giorno dopo un fatto naturale. Non è sviluppo della dottrina, è la sua negazione.
Peraltro si capisce meglio allora perché al recente summit sugli abusi sessuali, il comitato organizzatore abbia accuratamente evitato un dibattito sull’omosessualità, malgrado diversi vescovi abbiano sollevato il problema. Se non è chiaro: la lobby gay ha preso il comando delle operazioni nella Chiesa.
Due ulteriori notazioni, che fanno capire ancora meglio fin dove ci si sta spingendo nella promozione dell’agenda gay nella Chiesa. Il gruppo Lgbt+ inglese, nella sua permanenza a Roma ha anche recitato le lodi «dedicate alla memoria delle vittime dell’omofobia e della transfobia» nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, «un luogo che commemora i martiri dei nostri tempi, gestito dalla Comunità di Sant’Egidio». Credo che a nessuno possa sfuggire il tentativo di accostare le presunte vittime di una ancor più presunta omofobia a quanti nel XX secolo hanno perso la vita per amore di Cristo, per restare fedeli a lui e alla Chiesa. A nessuno può sfuggire l’operazione ideologica che profana un luogo voluto da san Giovanni Paolo II per fare memoria dei milioni di cattolici uccisi dai totalitarismi.
Seconda osservazione: apprendiamo con questo comunicato che la diocesi di Westminster ha addirittura un Consiglio pastorale dei cattolici e cattoliche Lgbt+. E immaginiamo che non sia un caso isolato. Dunque, in diverse diocesi non si parla più il linguaggio della Chiesa, ma quello del mondo. L’ideologia gender è entrata a pieno titolo nella pastorale. A Londra c’è la messa Lgbt+ ogni seconda e quarta domenica del mese nella chiesa dell’Immacolata Concezione in Farm Street (scelta proprio dal cardinale Nichols), tenuta dai gesuiti.
Si ricorderà che al Sinodo dei giovani lo scorso ottobre ci fu una polemica perché nell’Instrumentum Laboris (il documento preparatorio) era stata inserita la parola Lgbt, che indica già un cedimento verso l’ideologia gender. Nel documento finale del Sinodo la parola fu cancellata, ma come si vede la realtà è più avanti. Ci sono già vescovi e cardinali che, per convinzione o convenienza, si sono adeguati alla nuova dittatura e stanno cercando di imporla a tutta la Chiesa.
Lgbt in San Pietro, cade un altro tabù - La Nuova Bussola Quotidiana