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  1. #1
    AUT CONSILIO AUT ENSE
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    Predefinito Fondazione Occidente:Spunti di Lavoro

    Pungolato da Richard, mi sono deciso a tirare fuori dal cassetto alcune riflessioni che avevo fatto dopo essermi casualmente imbattuto di recente in questo piccolo poemetto di Rutilio Namaziano.


    Come penso saprete, questo poemetto (su cui si sta ancora lavorando, perchè ogni tanto ne salta fuori un frammento) narra il viaggio di ritorno di Rutilio Namaziano (già praefectus urbis) da Roma alla nativa Gallia, in un mondo devastato dalle invasioni barbariche (Vandali, Goti, chi più ne ha più ne metta).

    Uno sguardo sul mondo morente di Roma, che tanto mi ricorda il nostro Occidente azzoppato e in crisi profonda.
    Ci sono dei passaggi che mi hanno fatto salire le lacrime agli occhi, quando descrive città di Roma e lo sfacelo in cui stava precipitando il mondo romano.

    Gia' Carducci aveva subito il fascino di questo testo.
    Tradusse infatti i versi 47-66, sotto il titolo Addio a Roma.

    Ecco la Traduzione dei primi novanta versi.

    Qua potrete trovare il testo completo, steso in un latino oramai postclassico e gia' imbarbarito ma ancora possente : Rutilius Namatianus: De Reditu Suo).
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


    IL DISPUTATOR CORTESE

    Possono tenersi il loro paradiso.
    Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.

  2. #2
    AUT CONSILIO AUT ENSE
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    Predefinito Rif: Fondazione Occidente:Spunti di Lavoro

    Libro Primo

    … piuttosto ti meraviglierai, o lettore,
    che un viaggio così veloce
    possa tanto presto privarmi delle gioie di Roma.
    Forse è lunga, per noi che veneriamo Roma, una vita intera?
    Nulla, che ci piace senza limite, può essere lungo.
    Oh, quanto e quante volte potrei annoverare tra i beati, [5]
    colui cui toccò in sorte di nascere
    in questo luogo felice,
    e, generosa discendenza dei nobili Romani,
    cumula l’innata dignità con l’onore di abitare nell’Urbe!
    I semi di tutte le virtù, inviati giù dal cielo,
    non avrebbero potuto capitare
    in altri luoghi più degnamente. [10]
    Felici anche coloro che, ricevuti in sorte
    favori molto simili, vennero ad abitare nel Lazio!
    La sacra Curia si apre al merito straniero
    e non reputa estraneo chi si dimostra
    degno di essere dei suoi;
    questi fruiscono del potere dell’ordine e dei colleghi [15]
    e prendono parte al culto del Genio, che essi venerano:
    quale crediamo che sia,
    attraverso gli eterei poli astrali,
    il consiglio del sommo Dio.
    Ma il mio destino è strappato
    da queste zone adorate
    e i campi della Gallia natia mi richiamano. [20]
    Sono stati resi davvero impraticabili
    dalla guerra troppo lunga,
    ma quanto meno mi sono graditi,
    tanto più meritano la mia pietà.
    È un crimine meno grave trascurare
    concittadini al sicuro;
    ma le pubbliche sventure
    esigono da tutti aiuto e protezione.
    Le lacrime e la presenza
    sono dovuti ai tetti aviti; [25]
    spesso la disgrazia, corroborata
    dal dolore, ci giova;
    e non è lecito ignorare più a lungo
    i grandi disastri, che ho aggravato
    a causa del ritardo nel porvi rimedio.
    Ormai è tempo, dopo questi spietati incendi,
    di costruire, nei possedimenti dilaniati,
    anche solo povere baracche da pastori. [30]
    Ma anzi, le stesse fontane,
    se potessero proferir parola
    e se gli stessi nostri alberi potessero parlare,
    potrebbero a ragione incalzare me che indugio,
    e metter vele ai miei rimpianti.
    Ormai siamo sopraffati, lasciati i vincoli della città diletta, [35]
    e controvoglia ci disponiamo
    ad un tardivo ritorno.
    Ho scelto la via di mare, poiché le strade, nel piano
    sono inondate dai fiumi,
    oppure si ergono a picco sulle rocce.
    Dopo che la campagna toscana e la via Aurelia
    hanno subito le violenze del Goto,
    messe a ferro e fuoco, [40]
    non si contengono più le selve con le case,
    né i fiumi con ponti;
    è meglio affidarsi alla navigazione, benché incerta.
    Imprimiamo moltissimi baci
    sulle porte che dobbiamo lasciare;
    malvolentieri i piedi valicano i sacri confini.
    Con le lacrime chiediamo perdono
    e offriamo in sacrificio una lode, [45]
    per quanto il pianto lascia che le parole scorrano:
    “Del mondo che tu stessa creasti
    regina bellissima, ascolta, o Roma
    nell’empireo cielo accolta; ascolta,
    madre non sol d’uomini, ma di dei:
    non lontano dal cielo siamo
    attraverso i templi tuoi. [50]
    Il tuo nome cantiamo e sempre,
    finché concesso, canteremo:
    chi dovesse dimenticarti,
    non speri di finir bene.
    Negli uomini vergognosi oblii
    avranno eclissato il Sole, prima
    che il ricordo della tua gloria
    scompaia dal nostro cuore.
    Doni ai raggi del Sole uguali, [55]
    ovunque fluttua intorno Oceano,
    infatti, tu spandi.
    Febo stesso, che tutto domina,
    per te si volge, e porta i suoi cavalli
    da una sponda all’altra
    dei tuoi domini.
    Non ti fu di ostacolo l’Africa
    dalle sabbie infuocate, né
    ti sbarrò il passo il Nord
    con il Generale Inverno. [60]
    Ovunque la natura distese la vita,
    le terre furono aperte al tuo valore.
    Di genti diverse facesti una sola patria;
    giovò ai barbari la tua dominazione;
    e offrendo ai vinti di partecipare [65]
    alle tue leggi, facesti una Città
    di ciò che prima era il mondo.
    Riconosciamo come tuoi progenitori Venere e Marte,
    di Eneadi madre e di Romulidi padre;
    la tua clemenza vittoriosa sa mitigare
    l’impeto delle tue armi, nei tuoi costumi
    si mescolano gli attributi di ambedue le divinità. [70]
    Per questo hai onesto piacere
    nel combattere e nel perdonare: così vinci
    chi hai temuto, e ami chi hai vinto.
    Si venera l’inventrice dell’olio, e
    parimenti lo scopritore del vino, e
    il ragazzo che primo affondò l’aratro nel terreno;
    la medicina, con l’arte di Peone,
    è salita sugli altari, e grazie alla sua nobiltà [75]
    è stato fatto dio l’Alcide: e anche tu,
    che abbracci il mondo con trionfi civilizzatori,
    e fai vivere ogni cosa sotto una patto comune.
    Te, o diva, te celebra ogni luogo fatto romano,
    che porta un pacifico giogo sul collo indipendente. [80]
    Tutte gli astri, nei loro moti eterni,
    mai videro impero più bello.
    Forse si arrivò a metter insieme,
    con le armi assire, qualcosa di simile,
    quando i Medi assoggettarono i loro vicini?
    I grandi re dei Parti e i tiranni di Macedonia [85]
    si diedero il cambio tra loro con sorti alterne.
    E non che tu, nascendo, disponessi
    di più coraggio o braccia, ma piuttosto
    più prudenza e saggezza:
    con guerre giuste e una pace non superba
    la tua nobile gloria ha raggiunto il culmine. [90]
    E non è tanto il fatto che tu regni,
    ma che tu meriti di comandare:
    con le tue grandi imprese
    superi ogni paragone.
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


    IL DISPUTATOR CORTESE

    Possono tenersi il loro paradiso.
    Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.

  3. #3
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    Predefinito Rif: Fondazione Occidente:Spunti di Lavoro

    Voler elencare i tuoi alti monumenti
    ricchi di trofei,
    sarebbe come voler contare tutte le stelle,
    e i tuoi templi sì splendono da confondere
    i nostri occhi smarriti: [95]
    si viene a credere che così siano
    le stesse dimore degli dei.
    E che cosa dire dei canali sospesi su archi aerei,
    dove a stento Iride eleverebbe l’arco d’acqua?
    Potrei meglio dire che sono monti
    elevati fino al cielo: tali e quali
    alle opere da Giganti che la Grecia loda? [100]
    I fiumi, stornati dai loro corsi, vengono
    chiusi dai tuoi edifici; e ardite
    terme prosciugano laghi interi.
    E non si dimentichino le vene indigene
    che bagnano le mura roride: esse risuonano
    di fontane che nascono qui.
    Così i freschi vapori temperano la canicola estiva [105]
    e una sorgente più pura allevia l’innocente sete.
    E certo per te un improvviso gorgo di acque calde
    squarciò la strada della rupe Tarpea
    sotto i piedi del nemico che avanzava.
    Se fosse eterno, potrei anche pensare ad un caso:
    ma venne in tuo aiuto e poi scomparve. [110]
    Che cosa dirò dei boschi racchiusi tra i tuoi soffitti,
    dove l’uccello, di casa, canta diverse melodie?
    L’anno non smette mai di essere
    mitigato dalla tua primavera e l’inverno,
    vinto, rispetta e protegge le tue delizie.
    Rialza la testa coronata d’alloro, e le chiome [115]
    bianche del sacro capo muta in giovanili, o Roma.
    Il diadema dorato dal cimiero merlato splenda
    e l’aureo scudo sprizzi continuamente fuoco.
    L’ingiuria dimenticata nasconda la triste disgrazia;
    il dolore disprezzato saldi per sempre le ferite. [120]
    Nelle tue sventure, asseconda la speranza
    di ciò che sempre succede: come il cielo,
    anche tu sopporti i danni come ricchezze.
    Le luci astrali tornano a risplendere,
    dopo essere scomparse; vedi bene che
    la Luna cala, per potere sorgere di nuovo.
    La sconfitta dell’Allia non rinviò
    il castigo di Brenno vincitore; [125]
    il Sannita pagò i vergognosi trattati
    con la schiavitù; dopo molte disfatte,
    benché vinta, mettesti in fuga Pirro;
    lo stesso Annibale ebbe a piangere i suoi successi.
    Ciò che non può affondare,
    ritorna a galla con maggior slancio, e balza
    ancora più in alto dagli infimi fondali; [130]
    e come una torcia inclinata acquista nuove forze,
    più risplendente ti rialzi, e da un’umile sorte
    ora tendi in alto. Spandi leggi che
    sopravvivranno nei secoli romani e, sola,
    non temere i filtri delle Parche fatali,
    sebbene, passati sedici volte dieci, e mille anni, [135]
    ancora il nono per te se ne stia andando.
    E per quelli che restano, nessun timore
    di stabilire un termine, finché saranno le terre
    e il cielo si adornerà degli astri.
    Ti rinforza ciò che mina gli altri regni:
    poter trarre forza e crescita dai mali,
    è un modo per risorgere a nuova vita. [140]
    Quindi forza, si sacrifichi alfine la gente sacrilega:
    i Goti, impauriti, pieghino i superbi colli.
    Le terre pacificate ti diano ricchi tributi,
    barbari bottini riempiano i tuoi venerabili seni.
    Eternamente per te il Reno ari, inondi il Nilo, [145]
    e il mondo fertile nutra la sua nutrice;
    e anzi l’Africa, ricca per il suo sole, ma
    ancor più per le tue piogge, raduni per te feconde messi.
    Sorgano intanto granai nei solchi del Lazio,
    e untuosi torchi producano nettare di Esperia. [150]
    Lo stesso Tevere, trionfalmente cinto di canne,
    sottometta le sue acque docili agli usi della città;
    e, attraverso le placide rive, ricchi traffici
    dalla campagna porti qua giù, e dal mare in su.
    Ti prego, apri un mare calmato dai due Gemelli; [155]
    e Citerea mia guida renda praticabile la via del mare,
    se non ti dispiacqui, quando ressi le leggi di Quirino,
    se onorai e consultai i sacri padri.
    Poiché non aver mai dovuto usare la spada per un delitto,
    non vada a gloria del prefetto, ma del popolo. [160]
    Sia che mi sia dato di chiudere la vita nelle paterne terre,
    sia che mai tu sia restituita ai miei occhi,
    mi considererò fortunato e oltremodo felice,
    se ti degnerai per sempre di ricordarti di me.”
    _________________
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


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  4. #4
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    Predefinito Rif: Fondazione Occidente:Spunti di Lavoro

    Ottimo son felice che si sta iniziando a lavorare come Fondazione
    "Cecchi ...Paone ha dichiarato che ci sono due gay in squadra. Prandelli mi ha detto che mi facevate questa domanda. Se ci sono dei froci i problemi sono loro, io spero non ce ne siano".
    Antonio Cassano 99

 

 

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