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    Predefinito Rif: Le delizie della società multietnica

    Citazione Originariamente Scritto da DanielGi. Visualizza Messaggio
    Il ghetto di cui si parla nell'articolo è costituito da immigrati islamici.... immigrati che considerano infedeli i cristiani e non intendono lavorare alle loro dipendenze, mentre intendono sfruttare, con la guerra dei ventri, rigidamente programmata dalle loro autorità religiose, lo stato di welfare costruito in Occiente e che in un certo senso è il nostro vanto civile.

    Lo stesso trattamento che queste cosiddette minoranze hanno verso i cristiani viene riservato, con ancora maggiore violenza verso gli ebrei...

    in queste condizioni, quando è l'immigrato islamico portatore di disprezzo religioso, è evidente che l'integrazione è estremamente difficile... per non dire impossibile.

    Che fare, quindi ?

    http://img51.imageshack.us/img51/6351/abcxv.jpg

    .................................................. ..................

    Tutte le balle sugli immigrati Bugia 1: fanno lavori di scarto
    L'inchiesta di Libero sugli extracomunitari. Altro che risorsa, fanno concorrenza ai commercianti e ci costano quanto due finanziarie
    di Gilberto Oneto
    In queste settimane il dibattito si infuoca attorno alla manovra economica e tutti hanno suggerimenti su dove e come ridurre le spese. Nessuno però dice mai di intervenire su una delle voragini che si inghiottono i soldi della comunità: l’immigrazione. È stata abilmente fatta passare l’idea che gli immigrati siano una risorsa, una ricchezza, che siano quasi i soli a contribuire in positivo alle dissestate casse comuni. Sull’immigrazione è stata fatta una colossale opera di disinformazione. I principali gruppi di motivazioni che vengono solitamente tirati fuori per giustificare l’immigrazione sono: 1) che i nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni, 2) che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, 3) che gli immigrati sono una risorsa economica, 4) che sono una ricchezza sociale, 5) che pongono rimedio alla nostra denatalità, 6) che abbiamo il dovere della solidarietà. Vediamo di esaminare soprattutto i punti aventi incidenza economica, non senza avere prima fatto una indispensabile premessa.

    Secondo l’Istat, nel gennaio 2011 ci sono in Italia 22.832.000 occupati, 14.989.000 inattivi (fra i 15 e i 64 anni) e 2.145.000 disoccupati: l’8,6% della forza lavoro, il 29,4% di quella giovanile. Nel biennio 2009-2010 gli occupati sono scesi di 532.000 unità, cioè la disoccupazione è in aumento. Nel 2010 un quinto dei disoccupati è straniero, e cioè più di 400.000 persone. Alla fine del 2007 gli stranieri disoccupati erano il 9,5% e gli italiani il 6,6%. Nel 2010 il tasso di occupazione degli stranieri è sceso dal 64,5 del 2009 al 63,1, e quello di disoccupazione è passato da 11,2 a 11,6. Nel 2005 i cassintegrati stranieri sono stati 65.546 su 613.151: il 10,7% del totale. Nel 2010 ogni 10 nuovi disoccupati, 3 sono immigrati. Da tutto questo si deduce con grande chiarezza che il mercato del lavoro italiano è in crisi, che diminuiscono i posti di lavoro e che non c’è alcuna necessità di altri stranieri che non vengono a sopperire a mancanza di mano d’opera ma a sostituire quella italiana, addirittura favorendone l’espulsione dal mercato.

    Questo trend è dimostrato dal fatto che fra il 2005 e il 2006 circa il 42% dell’aumento di occupati è straniero, la percentuale diventa il 66% nel 2006-07, cioè gli stranieri si inseriscono nel mercato del lavoro più degli italiani (nel 2007 il tasso di attività della popolazione italiana in età fra 15-64 anni è del 60,0% , quello degli stranieri del 73,2%). A questo concorre il fatto che gli italiani sono più vecchi ma anche che le retribuzioni medie degli stranieri sono inferiori del 24% rispetto a quelle dei lavoratori italiani.

    Insomma non si tratta di fare lavori che gli italiani rifiutano, ma di farli a stipendi più bassi. Questo ha anche a che fare con l’identikit delle imprese che prediligono forza lavoro immigrata, che sono essenzialmente artigiane, collocate in settori tradizionali, a basso livello tecnologico e basate su un modello organizzativo centrato sui bassi salari più che da aumenti consistenti di produttività. Sono perciò le attività più a rischio di chiusura e che tentano di combattere la concorrenza estera facendo lavorare manodopera immigrata, quasi una sorta di delocalizzazione del lavoro invece che dell’imprenditorialità. È un cerchio rischioso oltre che immorale: si toglie lavoro agli italiani a vantaggio di chi costa meno facendone ricadere i costi sociali sulla comunità. Tutto questo nel campo del lavoro dipendente e scarsamente qualificato.

    IL COMMERCIO
    I dati ci raccontano però anche un’altra storia. A fine 2007 gli stranieri sul mercato del lavoro erano il 6,5% della forza lavoro totale, più della metà dei quali (il 56,2%) nei servizi, nel commercio e nell’artigianato, cioè lavoratori autonomi. Nel 2010 c’erano 213.267 imprese con titolare straniero: il 3,5% di tutte le imprese e il 7,2% di quelle artigiane. Il fenomeno conosce tassi di aumento vertiginosi. Altri 69.439 stranieri sono soci di imprese cooperative.

    Riesce a questo punto difficile sostenere che i cinesi – ad esempio – facciano i bottegai perché gli italiani rifiutino tale lavoro, o gli egiziani i pizzaioli, o gli albanesi gli artigiani e così via. I lavori legati al commercio sono, in particolare, un evidente segno di colonizzazione e conquista del mercato, non certo una forma di sopravvivenza economica o – meno che meno – di supporto a una manodopera carente. Insomma, più della metà degli stranieri che lavorano regolarmente si dedica ad attività che in nessun modo possono essere considerate rifiutate dagli italiani.

    Se le liste di collocamento, le statistiche di disoccupazione o gli elenchi di cassintegrati si riempiono di stranieri, che senso ha farne venire altri? Inoltre, è vero che alcuni di loro fanno lavori pesanti, socialmente squalificati o anche pericolosi ma è sicuramente vero che tali lavori non vengano assunti dagli italiani solo perché non vengono pagati abbastanza. È un problema che potrebbe essere risolto sia lasciando operare la legge del mercato (se non si trova nessuno che lo voglia fare a quel prezzo, si aumenterà il prezzo) che incentivando economicamente i lavori più disagiati.

    Il primo caso non può però funzionare se il mercato viene lasciato aperto a tutti i disperati del mondo: ci sarà sempre qualcuno disposto anche solo temporaneamente ad accettare le condizioni più sfavorevoli e il prezzo sarà perciò tenuto basso. Lo fanno solo per un po’ e poi si trovano qualcosa di meglio innescando così un doppio processo perverso: l’esigenza di lavoratori a basso costo diventa continua e l’operazione di abbassamento del costo del lavoro si trasferisce anche verso l’alto e finisce per intaccare tutti i livelli sociali. Il danno è generale con il degrado della qualità del lavoro, l’abbassamento dei salari e l’allontanamento dei lavoratori autoctoni più anziani o meno specializzati che non possono sostenere la concorrenza dei nuovi arrivati. Questi accettano posizioni disagiate (o a condizioni meno favorevoli) per un po’ ma poi si sindacalizzano e così il gioco si ripete all’infinito con danno per tutti. Con alcuni miliardi di diseredati al mondo ci sarà sempre qualcuno disposto a concedersi per meno fino alla catastrofe economica e sociale. Già oggi ci sono stranieri con ruoli dirigenziali e il processo di “scavalco” delle fasce più deboli degli italiani è favorito dai livelli di istruzione degli immigrati (il 12% ha una laurea, il 41,2% un diploma): il fenomeno del brain waste (sottoutilizzo delle capacità intellettuali) non può che essere temporaneo e nel tempo gli stranieri più giovani, più scaltri o istruiti finiranno per “scavalcare” gli italiani meno capaci relegandoli sempre in fondo alle classifiche sociali ed economiche. Da mettere in conto al fenomeno immigratorio c’è il peggioramento delle condizioni degli italiani più deboli.

    IPOTESI DI RISPARMIO
    Si parla di lavoratori da fare venire in un paese in cui c’è un tasso di disoccupazione fra i più alti del mondo occidentale, in cui si pagano sussidi di disoccupazione e stipendi a “lavoratori socialmente utili” giusto per mantenerli, in cui ci sono milioni di pubblici dipendenti (una bella fetta dei quali “poco utili”), ci sono milioni di pensionati baby e di finti invalidi a cui si passa una pensione a mo’ di regalia, e dove ci sono legioni di cassintegrati. Una grossa fetta della ricchezza prodotta serve per mantenere gente che non ha lavoro, che non vuole lavorare o che fa pochissimo per il vantaggio della comunità. Si tratta di una cospicua forza lavoro che potrebbe essere impiegata a uguale costo in attività più utili per tutti. In ogni caso è folle sostenere la necessità di fare venire da fuori qualcuno che faccia il lavoro che potrebbero benissimo fare tutti questi.

    Se proprio ci sono attività molto sgradite, si deve risolvere il problema con i mezzi che abbiamo, magari integrando gli stipendi per i lavori sgraditi ma necessari. Costerà sempre meno che mantenere tutto l’ambaradan dell’immigrazione. Si possono dare stipendi da nababbi a conciatori e raccoglitori di rifiuti e risparmieremo in ogni caso, come comunità, una montagna di soldi che ora va in assistenza, accoglienza, prevenzione, controllo, rimpatrio eccetera, degli immigrati.
    Tutte le balle sugli immigrati Bugia 1: fanno lavori di scarto - immigrati, bugie, lavoro, concorrenza sleale, commercianti, artigiani, gilberto oneto - liberoquotidiano.it

  2. #12
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    Predefinito Rif: Le delizie della società multietnica

    "MAFIA ASIATICA E ATTIVITÀ ILLEGALI: È SOLO LA PUNTA DELL'ICEBERG"
    Sara Menafra per "il Messaggero"
    Del lato oscuro della comunità cinese residente a Roma si sa poco. Pochissimo. Lo spiega subito il sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia Diana De Martino che lo scorso 11 ottobre ha presentato alla Commissione parlamentare sulla mafia la relazione sulla criminalità romana assieme ai vertici di piazzale Clodio: «Conosciamo solo la punta dell'iceberg, è una comunità molto chiusa».
    L'attenzione degli investigatori al momento è tutta dedicata alla cattura dei killer della piccola Joy e del padre Zhou Zheng. Ma l'attività di money transfer che i Zheng svolgevano parallelamente al bar su via Casilina e la caccia ai clienti che preferivano affidarsi a loro piuttosto che ad uno sportello o ad una banca, ha riacceso i riflettori su un mondo potrebbe aver lambito la vita di Zhou Zheng.
    Dottoressa De Martino, cosa sappiamo con certezza di questo mondo?
    Il primo punto da cui partire è che delle attività illegali che toccano la comunità cinese conosciamo solo la punta dell'iceberg. Le denunce che ci arrivano sono pochissime, anche per crimini gravi come le rapine. Nell'ultimo periodo in cui ho lavorato presso la procura di Roma mi sono occupata del sequestro di un bambino a scopo di estorsione. E capimmo subito che la vicenda venne denunciata immediatamente solo perché era avvenuta durante l'orario di lavoro dei genitori, che gestivano un ristorante proprio sotto l'abitazione, altrimenti con ogni probabilità non ne avremmo saputo nulla neppure in quella occasione.
    Si parla della presenza sul territorio di famiglie importanti della mafia cinese, che qui hanno una specie di succursale.
    I clan cinesi veri e propri si occupano soprattutto del rapporto con la madre patria. In particolare nel traffico di esseri umani che arrivano in Italia con documenti contraffatti o usati più volte per persone diverse.
    Ma quanto è esteso il giro di affari illegale? E ci sono legami con la criminalità italiana?
    Qualche indicazione interessante ce l'ha data l'operazione Muraglia cinese, nel 2008. Una joint venture tra il clan camorristico dei Giuliano e la mafia cinese. L'organizzazione, attraverso la società immobiliare Dafa Consulenze, aveva monopolizzato la gestione e il controllo delle attività commerciali a Roma. La merce contraffatta partiva dalla Cina e arrivava al porto di Napoli. Veniva stoccata nei magazzini del Napoletano e poi trasferita in alcuni capannoni a Cassino, in provincia di Frosinone.
    Ma la stessa società era in grado di fornire servizi al mercato illegale, tra i quali il riciclaggio mediante trasferimento verso l'estero di ingenti somme di denaro. Sappiamo che i soldi da spostare sono molti e provengono da attività di vario genere. In molti casi prevedono intense relazioni commerciali internazionali, come nel caso del traffico dei rifiuti scoperto dalla procura di Roma ormai quasi dieci anni fa, con l'indagine del pm Iasillo.
    In tutto questo magma tra legale e illegale che peso ha l'attività di money transfer?
    Sicuramente è una attività essenziale per imprese criminali che, in particolare nel caso di quelle cinesi, si occupano di contrabbando e mercato illegale. Ma poi il money tranfer illegale o comunque frazionato viene posto in essere anche solo per evitare le nuove tassazioni sulle transazioni. Nelle ultime inchieste di cui ci siamo occupati veniva attivato usando sia in partenza che in arrivo dei nomi di fantasia, un metodo piuttosto semplice per far transitare ingenti somme di denaro.
    Quali altri tipi di attività economiche illegali conosciamo?
    Lasciano certamente impressionati le estensioni anche fisiche di capannoni che contengono merce contraffatta o merce prodotta dalle stesse fabbriche che vendono legalmente in Italia, ma diffuse attraverso circuiti paralleli. L'operazione del febbraio 2010 nella periferia romana che ha portato a rintracciare 500mila tonnellate di merce, contenuti in trenta magazzini a loro volta compressi in otto capannoni.

    "Macelleria italiana". Bufera a Bergamo.
    Di Mariela Golia
    "Macchè razzismo. Conosco il proprietario e ha voluto semplicemente dire che la macelleria non era gestita da stranieri perché altrimenti i clienti non avrebbero comprato sapendo che gli stranieri macellano gli animali in modo diverso". Il leghista Ettore Pirovano, presidente della Provincia di Bergamo, spiega ad Affaritaliani.it il perché del cartello "macelleria italiana-siamo italiani" esposto in un negozio a Treviglio (Bergamo).
    Il macellaio Antonino Verduci è finito in mezzo a una vera e propria bufera dopo aver esposto nel suo negozio il cartello "macelleria italiana-siamo italiani". Non per razzismo, giura, ma per assicurare quei clienti convinti che il negozio fosse passato agli immigrati. L'immagine della sua vetrina decorata con tanto di tricolore e scattata da un altro commerciante trevigliese è finita su Facebook dove si sono scatenati tutti coloro che lo hanno accusato di razzismo e hanno invocato il boicottaggio.
    "Se queste persone avessero una vita capirebbero che i problemi sono altri", commenta Pirovano.
    E ancora: "L'unico razzismo è nei confronti dei cretini. Treviglio, con i suoi 30mila abitanti, è la seconda città della Provincia di Bergamo. I commercianti non sono affatto razzisti". Ma alla domanda: andrebbe in una macelleria gestita da stranieri? Il presidente della Provincia mette le mani avanti: "Ho lavorato per molti anni in Algeria, ho visto come macellano gli animali e preferisco come lo facciamo noi".


    Un parroco poco buonista e terzomondista….

    Immigrato si rifugia in chiesa, il parroco lo denuncia alla polizia
    L'uomo ha 33 anni ed è di nazionalità camerunense. E' stato svegliato dal parroco del Sacro Cuore e dai fedeli prima della santa messa
    Riccardo Bastianello
    PADOVA - Un «ospite» del tutto inatteso ha complicato domenica mattina la celebrazione della messa domenicale nella chiesa del Sacro Cuore. Quando i primi fedeli intorno alle 7.30 sono iniziati ad arrivare hanno trovato ad attenderli un giovane camerunense che tra quelle panche aveva trovato riposo per la notte. Il 33enne è stato svegliato dal parroco e consegnato alle forze di polizia, nel frattempo allertate dai fedeli. L'immigrato si era rifugiato in chiesa probabilmente nel cuore della notte. Di certo al suo risveglio gli effetti dei fumi dell'alcol erano ancora ben visibili. E proprio per questo il suo risveglio è stato accompagnato da qualche imprecazione. In chiesa è arrivata una volante della polizia. Il 33enne africano è stato denunciato per resistenza a pubblico ufficiale (appena viste le divise delle forze di polizia ha tentato di fuggire spintonando i presenti) e per violazione di proprietà privata.
    Immigrato si rifugia in chiesa, il parroco lo denuncia alla polizia - Corriere del Veneto

  3. #13
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    Predefinito Rif: Le delizie della società multietnica

    LA LEGITTIMITA’ DELL’OPPOSIZIONE AL MULTICULTURALISMO
    ALAIN LAURENT
    Il dramma norvegese dello scorso luglio ha fornito ai partigiani benpensanti del multiculturalismo (i “multikulti” come si dice in Germania) l’insperata occasione di scatenarsi contro l’antimulticulturalismo (necessariamente “razzista”!) e contro il rifiuto dell’islamizzazione delle società occidentali (ovviamente “islamofobe”!). Accusandole di aver ispirato l’azione del folle omicida, che vi si appellava.
    Questa messa in causa, degna dei processi di Mosca, invoca l’ideale pluralista delle società aperte, ma il multiculturalismo ne è una caricatura, poiché tende a disgregare le società aperte sostituendole con una contrapposizione di comunità, chiuse sulla loro particolare “identità culturale”.
    Questa accusa poggia su di una grossolana manipolazione: assimilare una recente realtà multiculturale che, entro limiti ben precisi, resta compatibile con le norme e gli usi democratici dello società occidentali – e l’ideologia culturalmente relativista e sociologicamente collettivista che è il multiculturalismo, difeso principalmente da una buona parte dell’intellighenzia sinistrorsa e dai soliti “utili idioti” di un certo pseudo”liberalismo”.
    Poiché quello che vanta veramente il multiculturalismo è l’istituzionalizzazione e la legalizzazione di “diritti collettivi” allo sviluppo culturale separato dei gruppi da poco giunti in Occidente, per organizzarsi giuridicamente e vivere secondo le proprie tradizioni, anche quando contraddicono o distruggono i valori democratici occidentali: status ineguale della donna, concezione tribale, teocratica e oscurantista della vita, limitazioni delle libertà di coscienza e di espressione, precedenza per le alleanze estere.
    Questi rischi non sono passati inosservati ad alcuni dirigenti europei (Merkel, Cameron, Sarkozy, …) che sotto la pressione dei fatti e di una gran parte dell’opinione pubblica nazionale hanno dovuto esplicitamente convenire che “il multiculturalismo non funziona”.
    Ma ci si deve comunque ricordare che questi politici, per la loro passata condiscendenza e incoscienza, sono stati fra i primi responsabili di ciò che denunciano, oggi e troppo tardi.
    È inoltre curioso e sintomatico che se i multiculturalisti si indignano per qualsiasi riferimento a ”l’identità nazionale”, non mostrano che tenerezza per ogni minima rivendicazione di protezione e promozione de “l’identità culturale” e dei particolarismi etnico-religiosi dei gruppi da poco arrivati in Europa. E si può anche constatare che questi sconsolati incensatori del “legame sociale” e del “vivere insieme” si compiacciono così facilmente della balcanizzazione indotta dalla loro ipertolleranza verso il “dispotismo delle minoranze” … visibili e il “diritto” a qualunque differenza.
    Se combattere intellettualmente il multiculturalismo vuol dire essere razzisti, populisti (altro termine di moda per uccidere gli spiriti liberi!) o addirittura fascisti, allora lo sono:
    – Pascal Bruckner (“Il multiculturalismo contemporaneo è un razzismo dell’antirazzismo, incarcera le persone alle proprie radici… (…) rinforza il potere di coercizione della collettività sugli individui privati” – Le Monde, 20 febbraio 2007);
    – Elia Barnavi (“Il multiculturalismo è un’illusione. Non si costruisce una società degna di questo nome richiudendo le persone dentro la propria lingua, la propria cultura, la propria memoria (…). Che sia perverso o sincero, il multiculturalismo conduce al ghetto” – Les religions meurtrières, 2007);
    – Alain-Gérard Slama (“Più le nostre democrazie confondono la tolleranza con il relativismo, più si aprono al multiculturalismo, più permettono ai terroristi di muoversi a loro agio nella società che li accoglie, più facilitano la diffusione della propaganda che le affossa” – Le siècle de Monsieur Pétain, 2005);
    – Pierre-Henri Taguieff (“Il trionfo del multiculturalismo implica l’autodistruzione del vero pluralismo (…). Il multiculturalismo rende normale uno stato di guerra etnicizzata, latente o patente” – La République enlisée, 2005);
    – Alain Finkielkraut (“I partigiani della società multiculturale richiedono per ogni uomo il diritto alla servitù” – Défaite de la pensée, 1987);
    – o ancora Ivan Rioufol denuncia “trenta anni di dimissioni della Repubblica rispetto alla pressione di un’immigrazione di popolamento, ghettizzata dall’educata indifferenza della anime pie che non parlano altro che di multiculturalismo” – La République des faux-gentils, 2004).
    Si potrebbero anche aggiungere i nomi di Revel, Vargas Llosa, Ayaan Hirsi Ali, del grande liberale italiano Giovanni Sartori e di tanti altri …
    LA LEGITTIMITA’ DELL’OPPOSIZIONE AL MULTICULTURALISMO | L'Indipendenza

    Sulla cittadinanza
    Autore: Stefano Spinelli
    Prima delle feste natalizie, era già intervenuto il Presidente della Repubblica. Andando un po’ oltre i propri compiti istituzionali, aveva lanciato un messaggio per riconoscere la cittadinanza italiana a tutti i bambini stranieri nati in Italia, cambiando l’attuale legge. Per la verità la proposta era stata accolta in modo non molto entusiasta dal Presidente Monti, forse consapevole delle diverse reazioni che avrebbe suscitato nell’anomala maggioranza bipartisan che lo sostiene.
    Eppure oggi il ministro Riccardi, per la cooperazione internazionale e l’integrazione, rilancia la proposta: “ritengo che si debbano riprendere i lavori in materia di cittadinanza almeno per affrontare il problema dei bambini nati in Italia figli di stranieri che sono qui da un certo periodo. I minorenni figli di cittadini stranieri – ha precisato – sono il 7,5% della popolazione scolastica”.
    Chi mai potrebbe non essere d’accordo con il fatto di considerare italiani i bambini figli di immigrati che vanno a scuola con i nostri figli e che imparano le stesse cose? Chi mai avrebbe tanto poco cuore da negare anche a loro di essere cittadini italiani, in omaggio tra l’altro al 150° anniversario dell’unità d’Italia?
    Eppure, vorrei qui spiegare perché questa proposta ha ben poca utilità pratica, è uno specchietto per le allodole, per raccogliere facili consensi, e non migliorerebbe la situazione degli stranieri, anzi creerebbe diversi problemi.
    Intanto vorrei sottolineare che la cittadinanza è una qualifica, uno status giuridico importante, è – diciamolo pure – un valore aggiunto, perché a essa sono collegati una serie di diritti (ad esempio, elettorato attivo e passivo), che si aggiungono ai diritti umani generali che spettano a tutte le persone in quanto tali. Essa rappresenta la caratteristica peculiare di una data comunità di persone legate da una storia e una tradizione ben precise. Alla base della cittadinanza c’è l’idea di fedeltà al paese e alle proprie leggi, come ben sottolinea l’art. 54 della Costituzione, “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. In sostanza, alla base della cittadinanza c’è l’idea di appartenenza.
    La prima riflessione è dunque che la cittadinanza non è un semplice titolo di carta, che può essere distribuito come un volantino propagandistico. Mi pare che oggi sia spesso uno sport nazionale quello di fare a gara a chi concede con più larghezza la possibilità di diventare italiani: bastano 5 anni di permanenza in Italia, basta nascere in Italia, diamo l’elettorato e il voto anche senza cittadinanza… tanto siamo tutti uguali. Certo, ma ciò non vuol dire che dobbiamo essere anche tutti italiani.
    L’egualitarismo universale, l’indistinzione a priori ha solo provocato molti danni nella storia dell’uomo, così come oggi ne sta provocando la globalizzazione. In questo caso, la svendita della cittadinanza svilisce i riferimenti culturali insiti nel fatto di essere cittadino, e si considera così poco importante essere italiani che si concede la cittadinanza indipendentemente dal fatto che si desideri o meno far parte del nostro paese.
    In secondo luogo, mi pare che quello sollevato sia un falso problema.
    Già con l’attuale legge 91/1992, i bambini che nascono in Italia e che rimangono a vivere in Italia, possono diventare italiani al compimento del diciottesimo anno di età. A chi giova far acquisire loro la cittadinanza durante la minore età, quando non possono ancora esercitare i diritti a essa connessi? Giova solo a chi voglia dimostrarsi a tutti i costi paladino dell’accoglienza (a parole).
    E’ invece importante mantenere il fatto che per ricevere la cittadinanza ci debba essere una richiesta, cioè una scelta ben precisa, dimostrando così di aver maturato una vera partecipazione al destino del paese in cui ci si è trovati a nascere e a vivere. E questo può avvenire solo con il raggiungimento della maggiore età, l’età in cui anche ai cittadini italiani è concesso di poter esercitare il proprio status in modo attivo.
    Regalando la cittadinanza agli inconsapevoli bambini stranieri, le cui famiglie magari non la vogliono o comunque vogliono mantenere la propria, non si farebbe un buon servizio. Tanto più che quei bambini godono comunque – ovviamente – di tutti gli stessi diritti e servizi dei minorenni italiani.
    Per quanto riguarda poi i minori stranieri di seconda generazione, che – si dice – sono quindi perfettamente integrati in Italia e sono più italiani degli italiani, ci si chiede per quale motivo debba riconoscersi loro la cittadinanza, quando il proprio nucleo familiare, pur in Italia da lungo tempo, non ha mai chiesto di diventare italiano. Si ricorda, infatti, che la cittadinanza si acquisisce anche da parte di qualunque straniero che sia in Italia da almeno dieci anni. Una volta acquisita la cittadinanza o dal padre o dalla madre, il bambino nato in Italia è italiano.
    Se quindi permangono situazioni di minori stranieri nati da genitori stranieri a loro volta nati in Italia, è perché questi ultimi non hanno mai sentito la necessità e non hanno mai voluto diventare italiani.
    E’ poi ovvio che la sorte dei minori stranieri è legata a quella del loro nucleo familiare.
    Se il nucleo familiare è stabile e integrato in Italia da almeno un decennio, la cittadinanza è acquisibile in ogni momento e – come sopra visto – non ha molto senso riconoscerla “prima” al minore nato in Italia.
    Se il nucleo familiare non è stabile o è da poco tempo in Italia, riconoscere la cittadinanza al minore nato in Italia, comporterebbe grossissimi problemi. Se i genitori non hanno il permesso di soggiorno o hanno perso i requisiti per mantenerlo, potrebbe verificarsi l’ipotesi di una possibile divisione della famiglia, con l’allontanamento dei genitori del minore ormai italiano. Oppure dovrebbe riconoscersi automaticamente il permesso di soggiorno anche ai genitori del minore italiano, in virtù del principio di unità familiare, pur in mancanza dei requisiti minimi per poter vivere, lavorare e mantenersi, con tutto ciò che ne consegue. Ciò tra l’altro alimenterebbe la speranza di venire in Italia al solo scopo di far nascere il proprio figlio per poi acquisire il permesso di soggiorno.
    Se può aiutare il riferimento esterofilo, visto che sembra che non ne possiamo mai fare a meno, non mi risulta che in nessuno degli stati europei a noi vicini un bambino acquisisca automaticamente la cittadinanza.
    Sostenere che il problema dell’integrazione si risolva attraverso la concessione di uno status giuridico è fuorviante e ideologico.
    Sulla cittadinanza


    IMMIGRAZIONE
    Leggo sull’agenzia Corrispondenza Romana del 22 novembre 2011 i risultati di un sondaggio dello spagnolo IPSOS sull’immigrazione effettuato tra i cittadini di Belgio, Gran Bretagna, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Polonia, Spagna e Svezia. Domanda: «Pensa che vi siano troppi immigrati nel suo Paese?». Ha risposto «sì» il 77% dei belgi, 71% inglesi, 67% italiani, 67% spagnoli, 53% tedeschi, 52% francesi.. Altra domanda: «Pensa che l’immigrazione abbia avuto un impatto positivo o negativo? Ha risposto «negativo» il 72% dei belgi, 64% inglesi, 56% italiani, 55% spagnoli, 54% tedeschi, 54% francesi. Naturalmente, le risposte erano anonime. Di solito, quando ti inquadrano e ti mettono un microfono davanti alla bocca rispondi in modo più politicamente corretto.
    Rino Cammilleri – Antidoti contro i veleni della cultura contemporanea

    «La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono nella propria Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare.
    Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella loro terra d’origine»
    Papa Benedetto XVI


  4. #14
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    Predefinito Rif: Le delizie della società multietnica

    Video choc incastra i rapinatori violenti
    Marco Fagandini
    Genova - Non conosce tregua, l’emergenza sicurezza nel capoluogo ligure: alla tragica fine di Andrea Mazza , il pensionato di 82 anni morto dopo 17giornidi agonia in seguito alle ferite riportate in uno scippo il 26 agosto a Sestri Ponente, si aggiunge una nuova storia di violenza avvenuta nelle scorse settimane, ma di cui si è avuta notizia ieri: due uomini hanno spaccato le gambe a un pensionato di 69 anni per rapinarlo della collanina.
    È successo il 28 giugno scorso, in pieno giorno, nell’androne di un palazzo di piazza Portello, davvero a poche decine di metri dalla sede del Comune: «Sembravano animali, mi spaccavano le gambe per farmi stare a terra e prendersi quella maledetta catenina», ha racconto la vittima dell’aggressione. Per lui, quaranta giorni di prognosi dopo il ricovero in ospedale. E potrebbe riportare danni permanenti.
    Gli aggressori, due cittadini marocchini di 22 anni, Jawad El Amradui e Jabal El Kabbali, sono stati arrestati dalla squadra Mobile della polizia di Genova, che li ha identificati attraverso i filmati di alcune telecamere installate nella zona: sono accusati di rapina e lesioni gravi. Nel video si vede proprio tutto: chi tira calci, chi li prende, anche che è chi se ne accorge, ma aspetta comunque immobile che il semaforo di piazza Portello diventi verde per attraversare.
    Con l’arresto dei due marocchini è salito a sei il numero di persone finite in guai giudiziari dall’inizio di questa settimana. Ma è questo il vero dramma: la crescita esponenziale, tragica di scippi e rapine di strada in questa estate genovese non ha niente a che fare con criminali seriali da trenta e passa colpi. Ma con una miriade di mezze tacche e malviventi pronti a tutto per una dose.

    Il video con la violenta aggressione

    Arrestati dalla polizia - Video choc incastra i rapinatori violenti| Liguria | Genova| Il SecoloXIX


    Ritorna l’allarme sicurezza: «I militari di nuovo in strada»
    Milano
    «Desidero una seria risposta, non una frase di circostanza». Lo scrive Franco. Carlo invece sottolinea che «Goico Jovanovic, di origine slava, ha numerosi precedenti in Italia per reati contro il patrimonio e ufficialmente risulta residente a Busto Arsizio. Domandina: cosa ci faceva a piede libero?». Commenti sulla bacheca di Facebook del sindaco, dove a poche ore dall'arresto del nomade slavo accusato di aver investito e ucciso il vigile di quartiere Nicolò Savarino, Giuliano Pisapia ha scritto il suo grazie agli inquirenti, al questore e a tutti gli agenti che sono riusciti ad arrestare «in pochissimo tempo l'uomo accusato del terribile omicidio». Un delitto «così barbaro non doveva e non poteva restare impunito - sottolinea -, anche se questo non diminuisce il dolore e lo sgomento per la perdita di una persona che lavorava con noi e per tutti noi. Il lutto cittadino che sarà proclamato nel giorno del suo funerale sarà solo il primo omaggio che Milano gli dedicherà».
    Ma la gente chiede fatti.
    E di metà dicembre il sondaggio condotto dallo studio Ipso di Renato Mannheimer sui primi mesi del governo Pisapia. Al primo posto delle emergenze per i milanesi è tornata la sicurezza, con la Moratti e il centrodestra era precipitata al terzo posto, preceduta da traffico e smog. Le polemiche, casomai, era sull'eccesso di interventi: le ordinanze sul coprifuoco per far chiudere prima kebab e phone center nei quartieri a rischio, i blitz quasi giornalieri dei campi rom clandestini, la linea dura contro lavavetri, accattoni, gli sgomberi degli abusivi dalle case popolari. Riccardo De Corato, che per quelle misure prese da ex vicesindaco e assessore alla Sicurezza era stato battezzato «sceriffo», da consigliere del Pdl oggi sostiene che almeno l'arresto del presunto omicida «è un segnale importante, che rassicura i milanesi in un momento in cui l'emergenza sicurezza è tornata ad essere il primo problema della città. Colpa del buonismo di questa amministrazione. È necessario che nelle periferie non si mandino solo i vigili di quartiere ma si costituisca una rete di sicurezza, ripristinando le pattuglie di militari, polizia e carabinieri, insieme a Poliziotti in pensione e City Angels».
    Ma «Milano non è Beirut», lo avevano precisato i consiglieri di Sel (vicini ai centri sociali) e il sindaco dallo scorso novembre ha rifiutato i 350 soldati che il governo aveva mandato a Milano per presidiare i quartieri, liberando le altre forze dell'ordine per altri interventi.
    «Basta con le frasi di circostanza - afferma il capogruppo Pdl Carlo Masseroli -. Se la sicurezza non viene garantita da chi amministra c'è il pericolo che prenda il sopravvento un clima da tutti contro tutti. Oggi le regole non valgono per tutti, c'è lassismo nei confronti di chi occupa abusivamente le case. E le decisioni prese sui militari vanno riviste». Dello stesso parere l'assessore provinciale alla Sicurezza, il leghista Stefano Bolognini: «Deve prevalere la fermezza da parte dell'amministrazione, la giunta Pisapia è buonista e lancia messaggi sbagliati e pericolosi. Lo stop agli sgomberi nei campi rom, la tolleranza di comportamenti illegali come l'occupazione abusiva di case e anche il fatto che personaggi vicini ai centri sociali conducano le trattative in piazza alimenta un clima di arroganza e la sensazione che a Milano si può fare tutto».
    Ritorna l’allarme sicurezza: «I militari di nuovo in strada» - Milano - ilGiornale.it

    Commenda di Pre’, maxirissa
    tra latinos e maghrebini
    Genova. Ancora una rissa la notte scorsa nel centro storico di Genova. Nel cuore della notte due gruppi di stranieri, sudamericani e marocchini, si sono affrontati nella zona della Commenda armati di cocci di bottiglia. A dare l’allarme sono stati alcuni residenti della zona preoccupati dalle urla e dai rumori che provenivano dalla strada. All’arrivo delle forze dell’ ordine, però, i facinorosi si erano già allontanati dileguandosi per i vicoli.
    La situazione di degrado e di emergenza nella zona di via Prè viene segnalata quotidianamente dai report dell’assocazione di Pre’ e via Gramsci. Nelle ultime 48 ore doppio sgombero di abusivi e venditori vari, con due denunce e due rimpatri.
    Centro storico - Commenda di Pre’, maxirissa tra latinos e maghrebini| Liguria | Genova| Il SecoloXIX

    LE GRAVISSIME ACCUSE DEI PASSEGGERI: “QUELLI DELL'EQUIPAGGIO, LA MAGGIOR PARTE FORMATA DA INDIANI, CINGALESI, FILIPPINI, SE NE SONO FREGATI ALTAMENTE DI PENSARE PRIMA A SALVARE ANZIANI, BAMBINI E DISABILI E SONO CORSI PER PRIMI ALLE SCIALUPPE…” - “QUELLA NAVE ERA UNA BABELE DI LINGUE, GLI ADDETTI AL PERSONALE NON SI CAPIVANO MANCO TRA LORO, UNO DI NOI ADDIRITTURA S'È MESSO A GUIDARE UNA SCIALUPPA PERCHÉ IL MARINAIO INCARICATO NON ERA CAPACE DI FARLA PARTIRE”…
    «S'INCLINAVA SEMPRE DI PIÙ E NEL BUIO ERAVAMO SOLI»
    di Fabrizio Caccia per il Corriere della Sera
    Nel naufragio hanno perso tutto, vestiti, documenti, soldi. «Ero nella cabina 1387, qualcuno mi può aiutare?», domanda senza più speranza una signora di Cuneo, Cristina Bordino, con l'abito della festa della sera prima. Erano più di quattromila a bordo e il mattino dopo sono ancora tutti impauriti, bagnati, infreddoliti. Vagano avvolti in coperte di fortuna per le classi della scuola media «Mazzini» di Porto Santo Stefano, che funziona da centro di raccolta dei superstiti.
    Ai muri sono appese le carte geografiche destinate agli alunni, si vede bene che tra il Giglio e l'Argentario c'è appena uno sputo di mare: perché la Costa Concordia s'è voluta infilare per forza in quella cruna? I crocieristi scampati al disastro, riuniti in capannelli davanti a quelle carte, proprio non si capacitano. La notte è passata, la nave è lontana e sulla terraferma hanno trovato pane caldo e abbracci. Ma ora il terrore lascia il posto alla rabbia.
    «Quando la Costa s'è incagliata, alle nove e mezzo di sera, è stato il caos - denuncia Antonella Cipriani, una giovane signora bionda fiorentina -. Ci dicevano di tornare in cabina, che era tutto sotto controllo, che c'era stato solo un guasto al generatore, per quasi due ore così nessuno ci ha saputo guidare. Ma intanto era mancata la luce, la nave s'inclinava sempre di più e nei corridoi al buio è scoppiato il panico, genitori coi bambini in braccio che correvano disperati verso le scialuppe di salvataggio, che però invece di cadere a perpendicolo nel mare, data l'inclinazione, piombavano su di noi come meteoriti giganti».
    Le accuse dei passeggeri sono gravissime: «Quelli dell'equipaggio, la maggior parte formata da indiani, cingalesi, filippini, se ne sono fregati altamente di pensare prima a salvare anziani, bambini e disabili e sono corsi per primi alle scialuppe...», aggiunge scandalizzato Francesco Frontera di Crotone in viaggio con la fidanzata.
    «Ma dov'era il comandante?», protesta Pietro Bologna di Lampedusa in vacanza con sua figlia Tiziana. «Forse a bordo non c'è mai stato, pensate che il 12 sera quando ci siamo imbarcati noi da Palermo, il personale ci aveva avvisato che bisognava fare la foto del brindisi tutti insieme col comandante Schettino. Lui però non c'era mica. Quelli così ci hanno spiegato che l'avrebbero aggiunto loro con un fotomontaggio».
    Ancora racconti da brividi. Giulio Vango, da Asti: «Quella nave era una babele di lingue, gli addetti al personale non si capivano manco tra loro, uno di noi addirittura s'è messo a guidare una scialuppa perché il marinaio incaricato non era capace di farla partire». Elena Grisi, Crotone: «Poco prima dell'urto ci stavano facendo compilare un questionario coi nostri giudizi sulla navigazione e il consiglio da parte loro era quello di scrivere eccellente per poter vincere una crociera gratis...».


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    Predefinito Rif: Le delizie della società multietnica

    CINA PADRONCINA - IL CONTANTE CHE LE TRIADI FANNO CIRCOLARE IN ITALIA FUNZIONA MEGLIO DI OGNI ‘LENZUOLATA’: GRAZIE A UNA RETE DI MALAFFARE CHE VA DALLE SCUOLE DI FORMAZIONE FINO A COMMERCIALISTI E CONSULENTI, PIÙ DI MILLE BAR, RISTORANTI, NEGOZI E MINIMARKET GESTITI DA CINESI SONO STATI APERTI CON FALSI CERTIFICATI - PER OTTENERE IL REC, LA LICENZA COMUNALE, SERVE UN CORSO DI 120 ORE E FREQUENZA OBBLIGATORIA MA CON UNA MAZZETTA DI 1200 € MOLTI CINESI HANNO INCASSATO ATTESTATI E PERMESSI…
    1- GROSSA TRUFFA A CHINATOWN...
    Paolo Cagnan per "l'Espresso"
    Padova. Studio di un commercialista. La scenetta è ripresa da una videocamera nascosta. Un uomo e una donna, entrambi cinesi, ricevono una specie di pergamena. La donna apre la borsetta, guarda l'uomo, poi consegna un fascio di banconote. Sono 1.800 euro in contanti. E quei due cinesi, fra un paio di giorni, potranno aprire il loro minimarket a Porto Garibaldi, nella ricca provincia di Rovigo. Tutto avviene in un paio di minuti. I due cinesi attendono la conta del denaro. Il commercialista è concentrato, rigira le banconote fra le dita con destrezza da bancario. Ci sono tutti, avanti il prossimo. Niente convenevoli, sembra un copione già visto.
    Quella pergamena è identica, in tutto e per tutto, al cosiddetto Rec, il certificato che autorizza la somministrazione e la vendita dei prodotti alimentari. E quello scambio è ormai un rituale. Il malloppo se lo dividono il commercialista padovano e un ragioniere veneziano, Giuseppe Girardi, 63 anni, consulente del lavoro. È lui il motore dell'operazione. Lui che dovrebbe controllare norme igieniche e sicurezza, alla faccia dei cavilli e della 626, s'è inventato una scorciatoria tutta italiana per arricchirsi. Fa il falsario, ma non di opere d'arte, così difficili da smerciare in tempi di crisi. No, le sue patacche sono documenti, diplomi, attestati, certificati. Proprio come quello che appena venduto alla coppia di cinesi.
    Produce tutto quel che serve per fregare lo Stato e scansare la burocrazia italiana. E i clienti non mancano. Soprattutto cinesi. Vogliono aprire bar, ristoranti, panetterie, negozi. In fretta e furia. Senza troppe complicazioni.
    L'iter degli onesti è ben più complicato. Per ottenere il Rec, la licenza comunale, serve fare un corso: 120 ore, frequenza obbligatoria. Molto più facile affidarsi al buon Girardi, che nel tempo affina pure le tecniche da falsario. Parte con certificati piuttosto dozzinali, poi si perfeziona sui colori e sui caratteri, fino a produrre - grazie a scanner e e software avanzato - dei piccoli capolavori.
    Che non hanno nulla da invidiare agli agognati permessi originali. La produzione aumenta, come i guadagni. Finché, come una piccola zecca clandestina, i certificati sono prodotti in serie. Con numeri progressivi inventati e una piccola, invisibile, imperfezione che per mesi e mesi sfugge ai controlli. Su quelle pergamene manca un sigillo. È il timbro a secco della Regione, l'unico dettaglio irriproducibile, malgrado lui ci provi.
    È da questa minuscola falla nel piano dei due veneti che la Guardia di Finanza si insinua. Finché scopre una vera e propria miniera d'oro: tra casa e ufficio le Fiamme gialle scovano faldoni interi di certificati fasulli. Centinaia di documenti contraffatti, accatastati, pronti a essere consegnati in cambio di contanti. Documenti che indicano ai militari una seconda pista, che li porta dritti dentro il mondo dei corsi di formazione. I cinesi non hanno tempo per frequentare i corsi obbligatori, né spesso la conoscenza dell'italiano gli permetterebbe di seguire le lezioni. Quel che possono fare i cinesi è pagare, molto e subito. E così la Finanza si concentra su due scuole del Lazio.
    È qui che, periodicamente, i caporali della mafia cinese - che usano nomi italiani come Antonio e Giuseppe - scaricano interi pullman di connazionali. Tutta gente che non frequenterà una sola ora di corso, ma che è lì in fila per firmare, pagare e ritirare gli attestati. Con tanto di esame finale. Facile rispondere "sì" o "no" ai quiz, se mentre te li consegnano, qualcuno ti passa pure un secondo foglio con le risposte giuste.
    Il tutto per la modica cifra di 1.200 euro a persona, 600 alla scuola e 600 al caporale della mafia. E i cinesi tornano a casa con il loro attestato in tasca. Una truffa con tanti complici e molti livelli. Dai i titolari delle scuole, ai dirigenti, fino gli esaminatori finali. Tutti incaricati di pubblico servizio, tutti indagati con l'accusa di associazione a delinquere.
    In Molise e Campania l'avevano fatta ancora più facile. Perché perdere tempo con i finti corsi quando si può falsificare direttamente i certificati, senza nemmeno dover fingere di andarci a scuola? E dire che l'indagine, partita dal comando provinciale di Padova e coordinata dal pm Sergio Dini, era nata seguendo "solo" il filone dell'immigrazione clandestina.
    Con l'operazione "Testa di serpente", nel giugno del 2011, la Finanza aveva scoperchiato per la prima volta il fenomeno, arrestando tre persone e denunciandone dieci. Cinque mesi più tardi, "La grande serrata" aveva portato alla chiusura di 207 esercizi pubblici, tutti aperti con i falsi certificati. Ma la dimensione del fenomeno, secondo gli investigatori, è ancora più vasta. Gli 007 del colonnello Ivano Maccani, in questi mesi hanno continuato a lavorare: così, ecco spuntare più di mille bar, ristoranti, negozi e minimarket totalmente illegali.
    I falsi non riguardano solo i titolari delle licenze taroccate, ma anche i dipendenti: in 1.400 sono stati denunciati perché in possesso di libretti formativi fatti in casa, da Girardi o da altri studi di commercialisti amici. Se non vuoi fare il titolare, ma ti basta un posto da cameriere o barman, i falsari facevano lo sconto. Con miseri 50 euro stavi a posto.
    Ma che fine hanno fatto tutti quei quattrini? "Stiamo approfondendo possibili ipotesi di riciclaggio", spiega il colonnello Maccani: "Soprattutto in periodi di crisi come questo, il denaro cash è sinonimo di potere. Bar, ristoranti, minimarket ne generano parecchio e quello che preoccupa è la turbativa del mercato che si compie attraverso attività illecite". Come nel caso del videopoker. I finanzieri hanno scoperto e denunciato per abusiva attività finanziaria il titolare di un noleggio delle slot-machine, che prestava grosse somme ai cinesi per foraggiare l'apertura abusiva di nuovi esercizi. Anche 30 o 40 mila euro a persona, concessi in cambio di cambiali, ma soprattutto con la garanzia che nei locali dei cinesi sarebbero stati piazzati i suoi videopoker, visto che la statistica dice che i cinesi sperperano alle macchinette migliaia di euro.
    L'altro sistema è che i soldi per l'avvio delle attività arrivino direttamente dalla Cina, dove poi tornano attraverso i money transfer: come quei 16 mila euro di Zhou Zheng e della sua figlioletta Joy, uccisi a Roma per una rapina finita in tragedia. Una delle tante, tantissime rapine a carico di una comunità che gestisce un fiume di denaro.
    Ecco che dall'indagine sui certificati falsi sta emergendo un quadro inquietante. Quella che la Guardia di Finanza ha battezzato la "cabina di regia", una rete capillare che favorisce l'arrivo dei lavoratori cinesi e si prende cura di loro. Si parte dalle agenzie di viaggio che procurano i visti turistici. Una volta in Italia, è la volta delle agenzie immobiliari mobilitate per trovare una sistemazione provvisoria. Poi serve il permesso di soggiorno e, per ottenerlo, serve avere un lavoro.
    Qui entrano in ballo gli studi dei commercialisti, cinesi ma anche italiani: i nuovi arrivati vengono assunti da loro connazionali, già residenti, il tutto per finta. Una volta ottenuti i permessi, i cinesi si licenziano non appena riescono ad aprire un'attività in proprio e il ciclo ricomincia. Altre assunzioni fittizie, altri falsi. Ci sono bar di 20 metri quadrati con 11 dipendenti, che funzionano da copertura del lavoro da schiavi che i cinesi sono costretti a fare nei laboratori clandestini dove di notte si assemblano le tomaie, si cuciono i vestiti, si concia la pelle o si fabbricano le griffe del falso made in Italy.


    TE LO DO IO “ROMANZO CRIMINALE”! - DA 40 ANNI GLI ZINGARI INVINCIBILI CASAMONICA, BRACCIO ARMATO DEGLI USURAI ROMANI, SONO UNA BANDA CHE SEMBRA USCITA DA UNA FICTION MA CHE TIRA CEFFONI REALI - CASE LUSSUOSE, FERRARI, CORVETTE, PUROSANGUE: IL TUTTO GRAZIE A DROGA, RICATTI, ESTORSIONI - DI SOLITO SE LA CAVANO CON CONDANNE MINORI - LA FINANZA NE HA ARRESTATI 39, MA IL CLAN CONTA UN MIGLIAIO DI AFFILIATI...
    CASAMONICA, UN NUOVO COLPO AL CLAN
    IN TRAPPOLA UN ALTRO LATITANTE, SEQUESTRATI IMMOBILI E TERRENI
    M.L. per "la Repubblica - Edizione Roma"
    Un sequestro di beni ormai confermato in Cassazione, un nuovo colpo al clan dei Casamonica dopo l´inchiesta di polizia e carabinieri che, all´alba di lunedì, ha spedito in carcere ben 39 persone per un capillare traffico di cocaina nella zona della Romanina.
    Sono stati i finanzieri del comando provinciale a mettere i sigilli, ormai definitivi, a beni per circa mezzo milione di euro tra cui un appartamento a Roma, un terreno nella zona di Bracciano e più di cinquanta tra conti correnti e vari rapporti finanziari, tutti intestati a società fittizie o prestanome pagati.
    Il sequestro è l´ultimo atto di un lungo procedimento per l´applicazione delle misure preventive antimafia ed è arrivato alla conclusione dopo una sentenza della Cassazione. I veri proprietari risultavano nullatenenti o, al massimo, dichiaravano al fisco redditi da venditore di caldarroste.
    Secondo la guardia di finanza, i soldi investiti nei beni sequestrati erano il bottino di una serie di reati come usura, estorsione, rapina e truffa. L´appartamento e il terreno verranno utilizzati per servizi sociali. E durante la notte gli agenti di Vittorio Rizzi, il capo della mobile, hanno ammanettato uno degli affiliati al clan che, lunedì, era sfuggito per un soffio alla cattura. Si tratta di Consilio Casamonica, un giovane che porta lo stesso nome del personaggio più in vista del clan e che era riuscito a rifugiarsi a Marino, in casa di un conoscente, dove i poliziotti lo hanno ammanettato.
    Gli investigatori stanno ancora raccogliendo le deposizioni dei testimoni, un centinaio di persone che avevano comprato la cocaina dagli uomini (o molto più frequentemente dalle donne) della gang. Tra gli acquirenti, decine di transessuali che parlano di «prezzi ragionevoli e coca di buona qualità».
    COCAINA, AFFARI E MILIONI QUELLA BANDA DI STRADA DIVENTATA UNA HOLDING
    Massimo Lugli per "la Repubblica - Edizione Roma"
    Le donne dai capelli tinti di rosso, le gonne lunghe alla caviglia, le voci sguaiate e squillanti. Gli uomini massicci, corrucciati, aggressivi, carichi di gioielli e orologi più grossi del polso. Le ville pacchiane, sfarzose in stile texano, un tripudio di malachite, marmo di Carrara, placcature d´oro, tecnologia da Trony, ultimi arrivi, Jacuzzi modello piscina e caminetti sempre accesi per incenerire la droga nel caso di una perquisizione.
    I purosangue, le Ferrari, le Corvette, i mille imbrogli, le vessazioni, le ingiustizie, i pestaggi, gli assegni "cabriolet", i crediti recuperati a forza di schiaffi e minacce... Roba da fiction, così esasperata da diventare realtà, una fiction scellerata targata Casamonica che va avanti da oltre 40 anni e nessuno, nonostante gli arresti a catena, le irruzioni, le indagini e i sequestri di beni a sei zeri, riesce a eliminare dalla scena romana.
    Se c´è una banda, nella storia criminale capitolina, che ha mai meritato la definizione di "clan", sono loro, i Casamonica. Famiglie di Sinti, gli zingari abruzzesi, ormai stanziali, imparentati, da sempre, con la famiglia Di Silvio e, occasionalmente, con altre dinastie rom come i Cena e i De Rosa, unite da un viluppo indissolubile di matrimoni e interessi comuni. L´ultimo censimento di Vittorio Rizzi, il capo della mobile, parla di almeno un migliaio di affiliati (se così possono essere definiti) di cui almeno 400 sono stati passati al setaccio, uno ad uno, nell´ultima, gigantesca operazione che ha spedito dietro le sbarre ben 39 persone.
    «La novità importante è che stavolta siamo riusciti a fare formalizzare l´imputazione di associazione per delinquere - spiega Rizzi - per adesso, ogni volta che li abbiamo arrestati se la sono cavata con l´articolo 73 del codice, il semplice spaccio di droga: una notte in camera di sicurezza, processo per direttissima e scarcerazione».
    Valanghe di cocaina distribuite, a pioggia, nelle zone dell´Anagnina, Appio, Romanina e sulla Casilina, fino a Frascati dove, nel marzo del 2010, le ruspe buttarono giù tre fortilizi abusivi del clan per 350 metri quadrati costruiti senza alcuna autorizzazione. Un regime dispotico e feroce imposto su tutti i quartieri controllati dalla famiglia e una grandissima varietà di investimenti: i componenti della gang, oltre che del tradizionale giro di coca, si occupano anche di usura, scommesse clandestine e soprattutto recupero crediti.
    Da almeno 5 anni, secondo polizia e carabinieri, i Casamonica sono diventati il braccio armato dei più grossi usurai romani. Enrico Nicoletti, l´ex cassiere della Magliana arrestato qualche tempo fa, aveva inaugurato un innovativo sistema di scambio: due creditori recalcitranti ceduti agli uomini del clan in cambio di uno docile e pronto a pagare le rate dei prestiti. Perché quando arrivano loro, i Casamonica, non c´è scampo: si paga e basta, niente scuse e niente dilazioni.
    Una gestione manageriale, governata da Consiglio Casamonica, considerato il capo del clan, che lascia spazio ancora a mille forme di improvvisazione artigianale, a mille piccoli soprusi quotidiani. I curriculum degli affiliati elencano tante, piccole, storie di ordinaria ingiustizia: l´allevatore che vende due cavalli, viene pagato in assegni farlocchi e ritira la denuncia per truffa dopo una scarica di pugni. Il tipo che cede un´automobile Corvette, non vede un centesimo («è rotta, sei tu che mi dovresti dare i soldi») perde soldi e macchina ma decide, anche lui, di lasciar perdere. Il marmista incaricato di una serie di lavori e compensato a schiaffoni.
    La signora che vende un camper da 150mila euro e, quando si rende conto di aver ricevuto, in pagamento, solo carta straccia viene insultata e minacciata. Perfino la gloria della famiglia, l´ex campione dei superwelter Romolo Casamonica, è incappato in una storia di assegni scoperti e minacce quando è andato a comprare due cuccioli di chihuahua a Grottaferrata. Le grandi epopee criminali, come l´impero romano, spesso finiscono quando i boss, imbolsiti e fiacchi, abbandonano la strada. Non i Casamonica: loro, in strada ci stanno benissimo e sono intenzionati a restarci.


    Se Beppe Grillo è un razzista, allora lo sono anche io
    di LEONARDO FACCO
    Beppe Grillo, che sicuramente ha il pregio di dire ciò che pensa con un linguaggio immediato e diretto, ieri è stato preso a male parole per una dichiarazione riportata sul suo blog e che riportiamo integralmente: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite».
    Buona parte della stampa progressista ha definito la sua affermazione “razzista”. La stessa cosa han fatto alcuni aderenti al “Movimento5stelle”. il Partito Democratico – intimorito dall’avanzata elettorale dei grillini – ci ha marciato alla grande.
    Non intendo entrare nel merito della questione posta legittimamente dall’artista genovese – che comunque rimane argomento di dibattito, anche su questo giornale suppongo – voglio, invece, prendere le sue difese, considerato che ha avuto il coraggio (che non gli manca di certo) di rompere, ancora una volta, la barriera del politicamente corretto, tanto cara ai falsi moralisti italiani.
    Nella mia carriera da editore, ho avuto l’onore, ed il piacere, di pubblicare un libro di Giorgio Bianco intitolato “Vietato parlare”, ovvero il politically correct come minaccia per la libertà. Ripensando a quella pubblicazione, ecco che la buriana che s’è sollevata dopo le parole del comico ligure, sono l’ennesima conferma che gli officianti del culto del linguaggio perbenista, sempre così acribiosi nel coniare espressioni che non scalfiscano la sensibilità, la suscettibilità, la considerazione di sé delle categorie a cui si riferiscono, siano poi non meno attivi nell’utilizzo, anche a sproposito, di espressioni di disprezzo e di odio verso chi non è sufficientemente ligio agli interdetti e ai dettami da loro stessi sanciti. Non a caso per Grillo è subito scattato l’epiteto di razzista.
    Niente da fare! Finché Grillo parla di acqua pubblica, di stop al nucleare, di energie verdi, tutto va bene madama la marchesa. Dogmi e slogan del popolo “corretto” sono rispettati. Non appena esce dal seminato delle liturgie collettiviste ecco che anche uno come lui finisce per esser preso a sculacciate.
    Il vero problema – per parafrasare Giorgio Bianco – non sta tanto nella proposta in sé per sé di Grillo, che può essere legittimamente confrontata con altre nel mercato delle idee (per esperienza personale, potrei citarvi una sfilza di pidini, comunisti o altri sinistroidi che ne han piene le scatole dell’immigrazione selvaggia, nda), ma nel fatto che il comico ha violato il tabù che considera la correttezza politica e lo Stato un tutt’uno, da cui si desume che la correttezza politica assume tratti potenzialmente totalitari. Orwell andrebbe studiato e ristudiato.
    Per mettetemi di concludere con le parole dell’autore di “Vietato Parlare”: «Il politicamente corretto riflette la vittoria della Controcultura sessantottina, che da “movimento” si è fatta “regime” quando gli artefici di quella Rivoluzione Culturale degli anni Sessanta e Settanta hanno raggiunto i posti che contano nella società, nella politica, nei media, nelle università. Questi intellettuali “progressisti” hanno imposto così un nuovo linguaggio fatto di eufemismi per non offendere la sensibilità di determinati gruppi minoritari designati come “vittime” della società (neri, donne, omosessuali, e così via), hanno riscritto una nuova versione della storia dove la civiltà occidentale compare come responsabile di tutte le ingiustizie, hanno mitizzato le società preindustriali e precapitalistiche del Terzo Mondo, e hanno condotto una vera e proprio kulturkampf contro i segni e i valori della tradizione giudaico-cristiana, bollati di volta in volta come repressivi, maschilisti, omofobici, autoritari».
    Per questa ragione vi dico che se Beppe Grillo è un razzista, allora lo sono anche io.
    http://www.lindipendenza.com/se-bepp...sono-anche-io/

    Se è il “Corriere” a fare catechismo
    Giuliano Guzzo
    Per meritarsi una strigliata nientemeno che dal “Corriere della Sera”, viene da immaginare, uno deve aver commesso qualcosa di realmente riprovevole. Eppure, se valutata con attenzione, la condotta del parroco della Chiesa della Beata Vergine del Rosario, a Trieste, non sembra così iniqua. Partiamo dai fatti. Il sacerdote alla guida di una piccola parrocchia, messo come tutti alle strette dalla recessione economica, ha affisso sulla porta della chiesa un avviso: «A causa della scarsità di fondi siamo in grado di aiutare solamente i nostri parrocchiani».
    Non l’avesse mai fatto: scandalo. Anche perché il parroco non ha esitato a motivare la sua scelta affermando che «negli ultimi anni i fondi si sono ridotti mentre è cresciuta in maniera esponenziale la richiesta di aiuto da parte di cittadini stranieri». Ed ha aggiunto: «Nel dover fare una scelta ho deciso di privilegiare chi è residente in questa parrocchia. Chiunque prima dà da mangiare ai propri figli e poi, se ne ha la possibilità, apre le porte anche agli altri».
    Simili considerazioni sono forse etichettabili come discriminatorie o censurabili? Secondo il primo quotidiano d’Italia, sì. Infatti, a firma dello scrittore Mauro Covacich, sull’edizione di oggi a pagina 26, appare un articolo nel quale si sottolinea come anche se quella del sacerdote potrebbe apparire scelta «ragionevole», in realtà sarebbe iniqua giacché «i Vangeli non si sono mai ispirati alla ragionevolezza». E a seguire, naturalmente, una lezione di etica cristiana per dimostrare l’errore in cui sarebbe inciampato il sacerdote triestino. Ora, pur nel rispetto della divergenza di opinioni, si rileva come in realtà il parroco della Beata Vergine del Rosario non abbia commesso alcun tipo di omissione in termini di carità verso il prossimo. Per diverse ragioni.
    Anzitutto perché quando un parroco – al pari di chiunque altro – si trova a dover fronteggiare molteplici richieste di aiuto con risorse limitate, ha davanti a sé solo due possibilità: cercare di aiutare le persone che può permettersi di seguire concretamente oppure aprirsi al maggior numero possibile di richieste, con il prevedibile risultato di deludere le aspettative di tutti e, in sostanza, di non aiutare nessuno. Ma se l’unica possibilità praticabile è allora quella di soddisfare un numero purtroppo limitato di richieste di aiuto, sarebbe forse stato più evangelico se il parroco in parola avesse – diversamente da come ha fatto – deciso di mettere in secondo piano i suoi parrocchiani? Il “Corriere della Sera” e Covacich, ovviamente, non sondano neppure l’ipotesi.
    Molto più semplice criticare e predicare che indicare una soluzione. Una seconda ragione per cui il sacerdote in parola, a mio parere, ha agito correttamente è proprio di aver avvertito tramite il contestato avviso la sua “non possibilità” – che è cosa ben diversa, urge sottolinearlo, dalla “non disponibilità” – di poter corrispondere a tutte le richieste di aiuto. Quale modo più giusto, infatti, se non dichiarare subito e a tutti la propria temporanea impossibilità, «a causa della scarsità di fondi», di sostenere come meriterebbero tutte le richieste di sostegno? Sarebbe stato forse più evangelico se il sacerdote avesse taciuto i limiti economici della parrocchia salvo poi scegliere, e quindi discriminare nei fatti, coloro ai quali prestare aiuto?
    Una nota conclusiva merita infine d’essere dedicata alla presunta difformità tra la condotta del nostro sacerdote e quello che dicono i Vangeli. I quali, dispiace contraddire Covacich, non si saranno «mai ispirati alla ragionevolezza», ma neppure all’istintività di chi pensa di salvare il mondo. Semmai, sul versante pratico, l’insegnamento evangelico suggerisce quella prudenza – auriga virtutum, cocchiere delle virtù secondo S. Tommaso – «che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo» (CCC, 1806). Si ritiene forse che una parrocchia con meno di 400 anime – e per giunta penalizzata da «scarsità di fondi» – com’è quella in parola, avrebbe realizzato il «vero bene» decidendo, con risorse purtroppo limitate, di non scegliere a chi destinarle? Al lettore la risposta.
    http://www.libertaepersona.org/wordp...re-catechismo/

    Pio XII, Enciclica "Summi Pontificatus":
    "Né è da temere che la coscienza della fratellanza universale,
    fomentata dalla dottrina cristiana, e il sentimento che essa ispira,
    siano in contrasto con l'amore alle tradizioni e alle glorie della
    propria patria, o impediscano di promuoverne la prosperità
    e gli interessi legittimi, poiché la medesima dottrina insegna
    che nell'esercizio della carità esiste un ordine stabilito da Dio,
    secondo il quale bisogna amare più intensamente e beneficare
    di preferenza coloro che sono a noi uniti con vincoli speciali.
    Anche il divino Maestro diede esempio di questa preferenza
    verso la sua terra e la sua patria, piangendo sulle incombenti
    rovine della città santa."


  6. #16
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    Predefinito Re: Rif: Le delizie della società multietnica

    Sampierdarena, torna l’incubo baby gang
    di Diego Pistacchi
    Genova
    Vogliono decidere subito di chi è Sampierdarena. Visto che ormai è assodato che si tratti di «cosa loro», le bande di sudamericani hanno iniziato l'anno con l'intenzione di imporre la legge della violenza. E i primi interventi delle forze dell'ordine confermano che nella delegazione del ponente è di nuovo in atto una guerra tra bande rivali. Una guerra che preoccupa non poco la squadra mobile della questura genovese che sta indagando su un paio di episodi particolarmente gravi. Due aggressioni, una delle quali a scopo di rapina, che hanno visto protagonisti gruppi rivali di giovani immigrati.
    Uno dei due episodi è avvenuto nella notte su un autobus di linea. Vittima un diciannovenne, picchiato a sangue da alcuni giovani che si sono poi dati alla fuga. L'episodio è stato classificato come una tentata rapina. In effetti il giovane che viaggiava sul bus dell'«1» è stato costretto dai rivali a scendere ad una fermata di via Buranello.
    Con la scusa di volergli rubare il cellulare gli aggressori lo hanno picchiato fino a che il malcapitato non è riuscito a divincolarsi e a fuggire. In via Sampierdarena ha trovato una pattuglia della polizia e ha raccontato quanto gli era appena accaduto. A far scattare l'allarme baby gang è stato proprio il racconto della vittima, appartenente al gruppo dei «Latin King». Agli agenti ha infatti descritto i suoi aggressori, spiegando che si trattava di giovani dei «Vatos Locos», la banda rivale.
    Un episodio che si sarebbe potuto archiviare come tentata rapina se quasi contemporaneamente un altro esponente dei «Latin King» non avesse subito un'aggressione quasi analoga. L'ecuadoriano trentenne era in compagnia del fratello trentaseienne con il quale aveva trascorso la notte in una discoteca del ponente. Verso le 8 del mattino, entrambi si sono diretti verso casa ma si sono resi conto di essere seguiti da un gruppo di persone uscite dal locale subito dopo di loro. In breve tempo i due sono stati raggiunti e aggrediti. Anche in questo caso l'obiettivo sarebbe stato un orologio d'oro al polso della vittima. Soprattutto, anche in questo caso il tentativo è fallito grazie all'intervento di una pattuglia della polizia presente in zona. Gli agenti sono anche riusciti ad arrestare due degli ecuadoriani aggressori. Ora la squadra mobile sta cercando di scoprire, al di là dei tentativi di rapina, quali siano eventuali altri motivi più gravi legati all doppia aggressione in strada ai danni di esponenti dei «Latin King».
    Ma gli episodi di violenza legati all'immigrazione sudamericana a Sampierdarena non si limitano alle due aggressioni tra bande rivali. La squadra mobile ha infatti arrestato anche un altro ecuadoriano quarantenne che ha sfregiato l'ex fidanzata davanti a una discoteca. La «colpa» della ragazza era quella di aver festeggiato il 2012 insieme alle amiche. L'uomo, che si era lasciato con la vittima da qualche mese, l'ha «punita» con una lunga ferita da una parte all'altra del viso che i medici del Villa Scassi dovranno cercare di nascondere con una serie di delicati interventi di chirurgia plastica.
    Sempre a proposito dei problemi di criminalità a Sampierdarena, da registrare anche l'ennesimo atto di vandalismo ai danni della sede della Lega Nord.
    http://www.ilgiornale.it/genova/samp...e=0-comments=1



    Immigrazione e scenari inquietanti
    Questa storia della cittadinanza puzza tanto di "nostalgia canaglia" Questa cosa della cittadinanza immediata ai figli degli immigrati sa tanto di rigurgito nostalgico per i bei tempi in cui, con la copertura di legioni di pseudo intellettuali e di canzonettari seriali, con il favore di una piazza ignorante e conformista e, soprattutto, con le tasche piene di rubli il Partito Comunista Italiano si poteva permettere di violentare a piacere, in un vortice di provocazioni continue, le più elementari regole del buon senso, con l’obiettivo, neppure tanto celato, di gettare le basi per il ribaltamento della democrazia.
    Del resto, la cronica arrendevolezza della DC, da sempre più interessata all’estensione ed la mantenimento delle proprie clientele che alla salute del Paese, consentì al luna park comunista (la futura, gioiosa macchina da guerra) di girare per molto tempo a pieno regime. Sta di fatto che, per anni, la tenuta sociale della Nazione fu appesa ad un sottilissimo filo, attorno al quale danzarono a lungo feroci lame e affilatissime di scimitarre rivoluzionarie.
    Oggi, certo, la situazione è diversa. L'opinione pubblica è, almeno in parte, più informata, “destra” non equivale più ad un tabù (tranne che nelle sparate alcoliche di qualche reduce di oniriche stagioni partigiane) ed è ormai evidente a tutti (nonostante un recente ritorno editoriale di letteratura d'area) che il Capitale è meglio averlo in banca piuttosto che sul comodino.
    Questo ha complicato notevolmente le cose per i numerosi non morti ancora in circolazione, costretti, negli ultimi anni, a nascondersi dietro scialbe posizioni liberal ed ecologiste, per garantirsi la possibilità di frequentare il palcoscenico del discorso pubblico. Epperò, sotto ceneri bianchissime, l'elitaria aspirazione antidemocratica cova come brace vigorosa.
    L'idea è la stessa di quando la gioventù ancora sorrideva beata, cullandosi in proletarissime chimere: creare falsi obiettivi di grande presa sulle coscienze, per fornire all'opinione pubblica, che sempre le anela, ghiotte occasioni di spaccatura al proprio interno (soffiare sul fuoco, talora si dice), accreditandosi, poi, come unica alternativa al disastro civile, non appena le situazioni divengono incandescenti ed il bisogno di ristabilire nuovi (o vecchi) equilibri si fa impellente. Fantasie? Parecchio recenti, direi.
    Ecco, dunque, affacciarsi prepotente la necessità di dotare tutti i piccoli extracomunitari, più o meno casualmente nati in territorio patrio, di piena cittadinanza. Ovviamente, nessun principio di comune buon senso, ma solo qualche assurda astrazione, in grado di competere a pieno titolo con le peggiori seghe mentali di Zenone di Elea, potrebbe mai giustificare un simile provvedimento. Ma tant'è.
    Ma non sono aride questioni legali le leve giuste per fare della questione dei micro stranieri un martello pneumatico sociale. Meglio, molto meglio puntare sui sentimenti della gente, oltre che su banali raggiri dialettici, che raccontano di un'Italia in grave emergenza demografica, senza chiarirne seriamente le cause. Già, perché alla base di questa biblica carestia di italici bebè, ci sono sempre loro: i demagoghi dal diritto facile, che, nel giro di qualche decennio, hanno trasformato l'Italia (e l'Europa e l'intero Occidente) in un posto in cui non si crea più ricchezza, ma solamente tonnellate di suoi surrogati cartacei, buoni solo per finanziare politiche sociali demenziali e per sostenere il più sofisticato sistema di disincentivazione al lavoro che sia mai stato concepito.
    Epperò, se dovessimo continuare a discorrere della questione, finiremmo anche noi nel trappolone teso all'opinione pubblica. Non ci resta, quindi, che sperare in una decisa presa di posizione di coloro i quali avevamo scelto per governarci e che sono poi saltati come i tappi delle infinite bottiglie di spumante prosciugate nel corso dei recenti festeggiamenti per la nascita del governo della sobrietà.
    Ciò detto, e sempre con la cautela necessaria ad evitare il bolscevico raggiro, ci sembra giusto proporre il seguente, inquietantissimo e non remoto scenario. Fattrici islamiche (in attesa certa di maschietti) opportunamente spedite allo sgravio tra le lenzuola dei nosocomi patri, mettono al mondo piccoli cittadini italiani del nuovo tipo, velocemente spediti, dopo aver passato il periodo dello svezzamento a spese dell’ignaro contribuente, verso il reale paese di appartenenza, dove, per i successivi 18 anni, verranno addestrati nelle più rinomate e malfrequentate madrasse, con l’obiettivo di farne altrettanti maomettani modello.
    Al compimento della maggiore età, i velenosi pacchi regalo saranno pronti per tornare in Italia, giusto in tempo per l’apertura delle urne della prima tornata elettorale utile: magari proprio in occasione del referendum, preteso a furor di piazze dementi (non c’è mai limite al peggio), per la introduzione, nelle sempre più numerose moschee italiane, della sharia. Direi che basta questo esempietto per consentire di classificare la recente, presidenziale proposta come una genuina stupidaggine.
    http://www.loccidentale.it/node/111654

  7. #17
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    Predefinito Re: Rif: Le delizie della società multietnica

    Abusivi al lavoro sotto gli occhi dei vigili
    di Fabrizio Graffione
    Genova
    Ore 10.30 di giovedì. Mercato di piazza Palermo. Un'auto e un furgone bianco dei vigili dell'Annona. In via Montesuello una mezza dozzina di extracomunitari. Mettono in vendita decine di borse griffate contraffatte. Da Gucci a Prada a Louis Vuitton. In piazza Tommaseo, fra taxi e Carige, ricettazione e abusivismo è ancora peggio perchè il numero dei vu cumprà di lusso raddoppia. Arrivano i vigili: è un fuggi fuggi generale. Passa un altro quarto d'ora e quelli tornano lì.
    E il solito tran-tran continua.
    «Non ne possiamo più - spiegano i commercianti di piazza Tommaseo - tutti i lunedì e giovedì assistiamo a palesi violazioni di legge, ma a differenza di altre città non ci sono interventi continuativi per eliminare la piaga di ricettazione, evasione fiscale e insicurezza. Alcuni extracomunitari addirittura si ribellano. Abbiamo paura. Le persone anziane non possono attraversare i marciapiedi con evidente pericolo per la propria incolumità. Le retate occasionali non servono a niente. A Venezia, Brescia, Treviso, Belluno e in altre città del nord non si vede quello che ormai si vede chiaramente a Genova, città veramente degradata anche per colpa dell'amministrazione di Marta Vincenzi».



    Dai commercianti che rilasciano lo scontrino e pagano mazzate e mazzate di tasse, agli ambulanti che da generazioni sono al banco di piazza Palermo e pagano altrettante tasse, senza che il Comune abbia mai mosso un dito a loro favore.
    «Siamo stati colpiti dall'alluvione e lo scorso novembre eravamo in ginocchio - spiega Christian Pibiri - abbiamo ricevuto solidarietà da tanti cittadini, giornalisti e colleghi, ma il Comune non ci ha mai dato niente. Anzi, ci ha chiesto pure di pagare la tassa di occupazione di suolo pubblico, anche per quei giorni dell'alluvione e quando vendevamo la merce alluvionata. Invece, la giunta Vincenzi consente a ricettatori ed abusivi di vendere merce contraffatta alla luce del sole. È una vergogna. Non è soltanto nelle altre città del nord che i vu cumprà vengono allontanati. Basta andare a Chiavari, dove non li fanno neanche scendere dal treno e gli sequestrano tutta la merce griffata. Durante il mercato, di extracomunitari non se ne vede neanche l'ombra. È chiaro che si tratta di scelte politiche».
    L'una a favore dell'illegalità e del buonismo, tipico dei compagni. L'altra a favore dei cittadini onesti che lavorano e pagano le tasse. Tuttavia, in piazza Tommaseo c'è anche chi non la pensa così ed è favore dell'illegalità.
    «Gli extracomunitari non danno fastidio più di tanto e vogliono soltanto vendere la loro merce - spiegano gli impiegati della Banca Carige - mettono le loro borse contraffatte davanti al bancomat e all'ingresso della filiale, ma non hanno mai aggredito nessuno».
    «A differenza degli extracomunitari, chi fa il commerciante o l'ambulante - replicano sarcastici al comitato di piazza Tommaseo - magari è pure cliente di Carige. In ogni caso, c'è chi, se non lavora, non arriva a fine mese o è costretto a chiudere l'attività. Invece, c'è chi ha lo stipendio fisso da dipendente, arriva a fine mese e si può permettere di non essere solidale con gli altri».
    Abusivi al lavoro sotto gli occhi dei vigili - Genova - ilGiornale.it

    Immigrati: Presidente corte appello Milano, meglio espulsioni di pene pecuniarie
    Cronaca
    Milano, 28 gen. (Adnkronos) - In tema di cittadini extracomunitari irregolari e' meglio ampliare le ipotesi di espulsione che minacciare una pena pecuniaria. E' quanto scrive nella sua relazione alla cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario il Presidente della Corte d'Appello di Milano, Giovanni Canzio.
    "Il nuovo sistema di incriminazioni - scrive il magistrato- interessa tutti i passaggi della procedura di espulsione, ma prevede fattispecie punite solo con pena pecuniaria". Ma "la minaccia della sanzione pecuniaria difficilmente costituira' un deterrente per i cittadini extracomunitari, solitamente privi di risorse economiche, ma l'ampliamento delle ipotesi di espulsione, disposta dal giudice con accompagnamento coatto, anche ad alcune fattispecie punite con pena pecuniaria, pure prevista nella nuova normativa, potrebbe garantire meglio l'effetticita' del precetto penale".
    Immigrati: Presidente corte appello Milano, meglio espulsioni di pene pecuniarie - - liberoquotidiano.it

    LERNER, BEPPE GRILLO E LO “IUS SOLI”
    TONTOLO
    Gad Lerner dice che Beppe Grillo è ”cialtrone” per via dei suoi commenti sulla proposta di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia: “jus soli” invece che “jus sanguinis”. Io sono tontolo e capisco poco di latino. Ma questo Lerner non è figlio di cittadini italiani e quindi ne fa una questione personale. Però lui è lo stesso cittadino italiano anche senza “sanguinis” e io comincio a capirne poco…
    Poi mi dicono che è addirittura nato in Libano? E allora perché non è cittadino libanese? Che fine ha fatto il “solis”? Ho solo capito che c’è troppa gente che vuol fare i comodi propri e cambiare passaporto come si fa con le canottiere. Altro che “soli” e “sanguinis”, questi vogliono lo “jus lerneris”. E poi cos’è stò “jus”. Mio cugino che ha studiato mi dice che è una parola francese e vuol dire succo.
    Per me che invece sono di campagna il “jus” si pronuncia “giüs”, e allora capisco che il “jus soli” è il succo che si spande nei campi. Quello che puzza come il letame.
    LERNER, BEPPE GRILLO E LO “IUS SOLI” | L'Indipendenza


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    Predefinito Re: Le delizie della società multietnica

    Milano, guerra tra baby-gang a colpi di machete: 25 arresti
    La polizia ha arrestato 25 sudamericani, tra i 16 e i 28 anni, ritenuti responsabili di tentati omicidi, rapine e risse tra bande giovanili.
    di Domenico Ferrara
    Giovani, sudamericani, armati. Non hanno un movente, se non futili motivi dettati dalla difesa del proprio territorio e dalle vendette nei confronti della banda rivale. Da anni sono presenti in Lombardia e a Milano. Gli investigatori lo hanno considerato un fenomeno da tenere d'occhio. Ma fino a qualche anno fa, delle baby gang non si parlava in termini di emergenza. Adesso però i recenti fatti di cronaca parlano di un fenomeno che comincia ad allargarsi e a mettere paura.
    Infatti, gli agenti del Commissariato Mecenate di Milano hanno eseguito le ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 25 sudamericani, di età compresa tra i 16 e i 28 anni, ritenuti responsabili di tentati omicidi, rapine e risse tra le bande giovanili. L’operazione ha visto coinvolte le province di Milano, Bergamo, Piacenza, Vercelli, Varese e Monza Brianza. L’attività di indagine è iniziata dopo il tentato omicidio di un 16enne, all’esterno della discoteca Secreto di via Boncompagni, avvenuto il primo ottobre scorso. Si trattava di una vendetta per l’aggressione subita, il giorno prima, alla fermata metropolitana Cimiano, da un affiliato alla “pandilla” dei Neta.
    Una vendetta che ha scatenato la guerra tra gang con aggressioni e tentati omicidi quali, ad esempio, quello avvenuto il 21 novembre scorso in via Torino, dove un appartenente alla banda Ms13 è stato aggredito con una mannaia da un rivale dei Neta. A Natale, alla discoteca The Loft, un appartenente ai Trebol è stato assalito con un machete e gravemente ferito (80 punti di sutura). Il 29 gennaio scorso, invece, alla stazione metropolitana Missori, c’è stata una violenta rapina ai danni di un ragazzo, compiuta da alcuni affiliati alla Ms13 e alla New York.
    Tra gli indagati, 16 sono originari dell’Ecuador, sei del Perù, tre di El Salvador e uno è un 17enne argentino. Si tratta di figli di famiglie di lavoratori residenti a Milano o nel suo hinterland (come Nova, Corsico, Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo), ma anche a Piacenza, Bergamo, Varese e Vercelli, anche se gravitano tutte sul territorio di Milano.
    “Gli indagati hanno partecipato attivamente (e spesso anche armati) a violente e ingiustificate aggressioni che si iscrivono nel preoccupante contesto di una aspra contrapposizione tra bande di giovani latinoamericani ormai tristemente nota e ampiamente degenerata”, ha commentato il gip Fabrizio D’Arcangelo, aggiungendo che “l’affiliazione dei prevenuti a gang giovanili (ovvero a sodalizi adusi a contrapporsi violentemente ai gruppi antagonisti e a porre in essere spedizioni punitive in danno dei rivali) ulteriormente dimostra l’indole violenta degli indagati e il carattere abituale e sistematico delle condotte criminose accertate”.
    Il gip ha inoltre sottolineato “la particolare violenza e brutalità delle aggressioni e la loro sistematica reiterazione in base a una logica aberrante di continue ritorsioni e vendette, nonché l’inconsistenza del movente”.
    La preoccupazione che sempre più giovani entrino a far parte di queste gang è stata espressa anche dal dirigente del Commissariato Mecenate, Paola Morsiani. "Sono bande che raccolgono qualche centinaio di giovani, circa un terzo dei quali minorenni, anche se l’età anagrafica si sta abbassando", ha spiegato Morsiani, sottolineando "che presidiano e si contendono i rispettivi territori, commettendo episodi di violenza che hanno una cadenza sempre più ravvicinata, in un controllo del territorio finalizzato alle rapine, con le quali si autofinanziano e chi le commette si mette in luce accrescendo la propria credibilità all’interno della banda".
    Milano, guerra tra baby-gang a colpi di machete: 25 arresti VIDEO: ecco come operano - Cronache - ilGiornale.it



    NEGOZI ETNICI: LOMBARDIA, 'GIRO DI VITE' E ITALIANO OBBLIGATORIO
    (AGI) - Milano, 6 feb. - E' stata approvata in Commissione Attivita' Produttive la 'legge Harlem', che regolamentera' il commercio etnico in Lombardia. Il provvedimento sul settore del commercio, ha subito diverse modifiche dalla sua prima versione di sei mesi fa e mira a dare un 'giro di vite' alle attivita' gestite da stranieri, con il proposito di evitare la formazione di quartieri 'ghetto' e la concentrazione di negozi etnici, delegando la programmazione ai comuni. Previsto inoltre per gli operatori, l'obbligo di saper parlare l'italiano. Il provvedimento, fortemente voluto dalla Lega Nord, e' rimasto fermo mesi per contrasti interni alla maggioranza. Alla fine, dopo aver limato alcune parti del testo, anche il Pdl lo ha votato. "E' tornata ora d'attualita' solo perche' e' una delle condizioni che il Carroccio ha posto al Pdl in questa fase di scontro, per poter far passare nella stessa seduta di Aula la legge sul Fattore Famiglia", ha detto la consigliera del Pd Arianna Cavicchioli.

    UE: BORGHEZIO (LNP), NON RICATTI GRECIA SU IMMIGRAZIONE
    AGENPARL - Roma, 07 feb - "La decisione annunciata dalla Commissaria UE Cecilia Malmström di non accordare alla Grecia il co-finanziamento relativo alla costruzione di un muro alla frontiera con la Turchia fa pensare a chiunque una sola cosa: Eurolandia, con l'arma di ricatto del salvataggio finanziario, vuole imporre alla Grecia di rinunciare alla sua ferma politica di contrasto all'immigrazione clandestina". Lo dichiara in una nota l'eurodeputato leghista Mario Borghezio."E' molto grave che la responsabile europea degli affari interni, che dovrebbe assicurare il blocco dell'immigrazione clandestina, in realtà impedisca ad uno Stato sovrano di attuare, come meglio ritiene opportuno, una politica di concreto contenimento del flusso degli immigrati clandestini che, attraverso la frontiera greco-turca, affluiscono in Grecia e di lì invadono tutto il territorio dell'UE". "Questo incredibile intervento - conclude Borghezio - può essere di insegnamento a tutti i Paesi, come il nostro, che si trovano sotto schiaffo dell'Europa. Provvederanno i camerieri dei poteri forti dell'UE, tipo Monti, ad imporre anche all'Italia politiche iperbuoniste in tema di immigrazione?"


  9. #19
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    Predefinito Re: Le delizie della società multietnica

    Quanto ci costa mantenere gli "zingari d’oro" in albergo
    L’ex ministro Brunetta ha voluto rendere pubblici i dati: Tursi spende 30mila euro all’anno per l’alloggio e le spese di una famiglia slava. La Lega: "Una beffa per i veri bisognosi"
    di Fabrizio Graffione
    Genova
    Meglio l’hotel della roulotte. Soprattutto se a spese di Tursi, cioè dei genovesi. «L'albo dei beneficiari è un elenco di tutti i soggetti, persone fisiche e giuridiche, che nel corso dell'anno hanno ricevuto, da parte del Comune, contributi, sovvenzioni, sussidi e benefici di natura economica».
    Saladin Sejdic nel 2010 ci è costato 21618 euro. Natasa Sejdic ne ha presi 8000. In pratica 2500 euro al mese. Esentasse.
    A Genova evitare di lavorare e organizzarsi per far la vita da «zingari d'oro» non è così difficile. Secondo i dati pubblicati online grazie alla «trasparenza» voluta dal'ex ministro Brunetta, dal sito di Palazzo Tursi risulta che Jadranka Sejdic ci è costata altri 1255 euro, Sadika Sejdic 1000, Nehved Sejdic 255, Hakima Sejdic 250, Enver Sejdic 200, Mathias Sejdic 150 e Medisa Sejdic solo 50 euro.
    Il vecchio, saggio e indubbiamente furbo Saladin non soltanto risulta lo straniero più «aiutato economicamente» dalla giunta cattocomunista e radical chic di Marta Vincenzi, ma è al top assoluto della «classifica» generale della Città Solidale perchè è di gran lunga davanti a italiani e genovesi. Tra gli altri «immigrati» svettano ai primi posti Egidio Rimondot con 17355 euro e Mohamed El Ghazali che è costato alle casse di Tursi 17070 euro. Quasi 1500 euro al mese. E che dire dei Hrustic, una famigliola slava che ha beneficiato di 12851 euro o della coppietta Jovanovic che ne ha presi 8390.
    Per ottenere la residenza o il permesso di soggiorno, qualunque straniero, extracomunitario e comunitario, dovrebbe avere un lavoro oppure dimostrare di avere mezzi di sostentamento pari alla pensione minima mensile, che è di circa 470 euro. Chi ha tali mezzi di sostentamento, non dovrebbe quindi ricevere un sussidio da parte di un ente pubblico. Invece, a Genova gli stranieri «beneficiari di provvedimenti di natura economica» nel 2010 sono stati oltre mille per un costo complessivo di oltre un milione e 130mila euro.
    «Credo che ci siano molte famiglie italiane che non hanno un reddito di 2500 euro al mese, anche se lavorano otto ore al giorno e tirano avanti senza chiedere assistenza a nessuno - dichiara il candidato sindaco della Lega Nord, Edoardo Rixi - Non si può pensare di erogare 30mila euro all'anno per pagare le spese alberghiere a una famiglia di nomadi slavi. Più che un affronto, è una beffa alle famiglie di operai e di lavoratori precari, ma anche a quelli della classe media, che faticano a pagare l'affitto di un alloggio in periferia, ma hanno sempre pagato le tasse anche al Comune. Inoltre, la lista con i nomi dei mille beneficiari stranieri dovrebbe essere trasmessa immediatamente alla questura per verificare eventuali furbetti, che hanno ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ma hanno percepito pure i sussidi economici dalla giunta rossa di Tursi».
    Quanto ci costa mantenere gli "zingari d’oro" in albergo - Genova - ilGiornale.it

    Stop ai negozi solo per stranieri
    di Maria Sorbi
    Devono parlare l'italiano e sono obbligati ad esporre in vetrina i prezzi dei prodotti e dei servizi che offrono. Ecco i nuovi paletti imposti ai negozianti stranieri a Milano e in Lombardia. L'obbiettivo è evitare il far west di aperture spot e non sempre regolari di kebab, parrucchieri cinesi che tengono aperto sette giorni su sette per 12 ore al giorno, agglomerati di mercerie tutte uguali. A fissarli è stato il Consiglio regionale per mettere ordine nella mappa dei negozi in città e per regolare attività che spesso, troppo spesso, rappresentano una concorrenza sleale nei confronti dei commercianti italiani. E anche per dare garanzie di qualità e igiene ai consumatori.
    È stato approvato a maggioranza il progetto di legge, ribattezzato «Harlem», che ricalca il modello lanciato dall'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani per risollevare le sorti di uno dei quartieri più degradati della città. Favorevole il centrodestra, voto contrario invece dei gruppi di minoranza, che a colpi di 180 emendamenti e 27 ordini del giorno ne hanno ritardato il più possibile l'approvazione.
    Artigiani, commercianti, estetisti e parrucchieri si devono adeguare alle nuove regole e non potranno aprire più senza insegna o uno a fianco dell'altro nella stessa via. Verranno quindi dimenticate situazioni come quella di corso Lodi dove i parrucchieri cinesi hanno aperto in massa ammazzando gli acconciatori italiani.
    «Le nuove norme - spiega il relatore del progetto di legge Massimiliano Orsatti (Lega Nord) - si pongono gli obiettivi di regolamentare settori ad oggi privi di normative adeguate, risolvendo quindi criticità evidenti anche legate all'immigrazione, e fornire ai sindaci strumenti idonei per tutelare i cittadini e il proprio territorio. Nell'elaborare questo provvedimento ci siamo ispirati all'azione messa in atto in un quartiere problematico come quello di Harlem. La nostra legge infatti si propone di gestire l'immigrazione in maniera responsabile, evitando la formazione di ghetti e le implicazioni che ne derivano a livello di sicurezza e concorrenza sleale. I sindaci potranno intervenire per limitare il proliferare di attività della stessa tipologia, quali venditori di kebab, minimarket etnici, parrucchieri cinesi o centri massaggi orientali la cui concentrazione crea degrado e problemi di ordine pubblico. Inoltre si chiederà un'adeguata conoscenza della lingua italiana a coloro che decideranno di aprire un bar o un ristorante. La legge consentirà poi ai sindaci lombardi un maggior controllo del territorio, con particolare riferimento alla salvaguardia dei centri storici».
    Stop ai negozi solo per stranieri - Milano - ilGiornale.it

    La Padania: scandalo, stranieri al liceo senza esame terza media
    Potranno accedervi in base all'età anagrafica. Polemica del quotidiano: discriminazione verso i cittadini italiani
    In base a una circolare ministeriale del 27 gennaio di quest'anno, gli immigrati potranno accedere alla scuola media superiore in base all'età anagrafica e senza dover superare l'esame di terza media, come previsto per i cittadini italiani. La novità ha suscitato una polemica del quotidiano "La Padania" che parla di discriminazione dei cittadini italiani.
    La circolare ministeriale - riferisce La Padania - stabilisce che la normativa sinora vigente non può essere invocata "per sostenere che gli studenti in oggetto debbano superare l'esame di Stato conclusivo del primo ciclo per poter essere ammessi a quello conclusivo del secondo ciclo di istruzione". Sinora, infatti, nella maggior parte delle regioni, valeva la prassi di far sostenere agli alunni stranieri, iscritti d'ufficio alla rispettiva classe anagrafica, gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione (terza media) presso i Centri territoriali permanenti o presso i Centro provinciali per adulti.
    TMNews - La Padania: scandalo, stranieri al liceo senza esame terza media


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    Predefinito Re: Le delizie della società multietnica

    "Il nostro dovere è aiutare questa gente a tornare in patria e a costruire lì una vita degna. Questa dev'essere la prospettiva. Ma oggi, in attesa di questo rientro, bisogna offrire loro accoglienza".

    Joseph Ratzinger, 30 marzo 1997
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

 

 
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