Se i compagni fanno le ronde son "passeggiate di sicurezza"
Intellettuali, comici e stampa di sinistra avevano messo in croce i "barbari" padani. Ora a Chiaravalle fanno lo stesso. Ma è una "esigenza di sicurezza partecipata"
di Giannino della Frattina
La ricordate quanto erano brutte le «ronde» proposte dalla Lega per mandare gli abitanti di quartieri difficili a spasso nei medesimi quartieri per scoraggiare i malintenzionati? Magari armati, ma di macchina fotografica per documentare degrado e situazioni imbarazzanti? Cose da barbari padani affetti da machismo acuto e assolutamente incapaci di adeguarsi alle norme del comune vivere civile di cui si ciba quotidianamente solo la sinistra al caviale dei salotti buoni. Roba che scatenò le proteste dei sinceri democratici e la riprovazione mista a ironia di giornali e comici autodefiniti progressisti e sempre pronti a fustigare le ronde altrui. Perché oggi si scopre che con un semplice tocco della bacchetta arancione, nel meraviglioso mondo di Pisapie le ronde si son trasformate come per incanto in «passeggiate per la sicurezza».
Son partite da Chiaravalle per decisione del consiglio di Zona 5 presieduto da Aldo Ugliano (Pd) e su Repubblica quello che prima era un obbrobrio degno solo di quei trogloditi dei leghisti, ora si trasforma in una giusta esigenza di cittadini spaventati dal crescere della delinquenza intorno a casa. Neppure la fatica di camuffare un po’ l’iniziativa dato che si tratta di semplici cittadini, associazioni di quartiere, vigili urbani e consiglieri di zona. Per di più armati di macchina fotografica per segnalare alle istituzioni i problemi del quartiere e «garantire la sicurezza partecipata, prevenendo il degrado urbano».
Sicurezza partecipata? Ma non era lo slogan di Letizia Moratti e del suo vicesindaco Riccardo De Corato sempre dipinto come un irriducibile sceriffo? Potere della parola, ora basta un cambio di nome. Un’iniziativa estemporanea? Macché, perché le «passeggiate per la sicurezza» si terranno una volta al mese con uscite prima pomeridiane e poi «serali e notturne». E poco importa se gli abitanti di via Padova abbiano già chiesto il ritorno dei militari di pattuglia cacciati da Pisapia. Così come hanno fatto pendolari, residenti e negozianti intorno alla Stazione Centrale, disgustati e preoccupati dal ritorno della microcriminalità. Difficile riconoscere che spesso il banale appiattirsi sul presunto politicamente corretto, cozza contro esigenze spicciole, ma fondamentali. Come poter andare a far la spesa senza la paura di essere scippati sotto casa. Ché anche la percezione della sicurezza aiuta a viver meglio. Come aiuterebbe a viver meglio il cominciare a chiamar le cose con il proprio nome. E le ronde son sempre ronde e quelli di sinistra che impediscono al presidente della Provincia di parlare all’anniversario di piazza Fontana per ricordare una strage ancora senza colpevoli, sono dei violenti. Semplicemente dei violenti che non meritano di essere protetti dietro un comunicato a dir poco reticente. Come quello diramato a notte fatta dal sindaco Pisapia.
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Vigili sulle barricate: «Pisapia ha sbagliato a cacciare i militari»
di Chiara Campo
Ce l'hanno con quella «metà della giunta che vorrebbe riportarci indietro nel tempo, agli anni Settanta». I vigili incassano i complimenti dell'assessore comunale alla Sicurezza Marco Granelli, che ieri dopo l'inseguimento e la sparatoria sui Navigli ha ringraziato i due agenti, «sono stati professionali - ha ammesso -, non hanno creato danni per i cittadini e chi ha sparato lo ha fatto nel modo corretto». Ma i sindacati dei ghisa denunciano - come avevano fatto dopo la tragica morte del vigile di quartiere Nicolò Savarino, investito da un suv il 12 gennaio - che «il ruolo della polizia locale è diventato pericoloso. Non vogliamo tornare, come vorrebbe qualcuno della giunta, ad occuparci solo di viabilità o ambiente. Difendiamo i nostri reparti operativi e investigativi, ma ci servono strumenti e addestramento. E vogliamo uno status giuridico adeguato al nuovo ruolo per questo manifesteremo in piazza a Roma». Per il portavoce del Sulpm Daniele Vincini cancellare alcuni reparti «sarebbe una mossa ideologica, la sicurezza è un diritto dei cittadini e noi vogliamo fare la nostra parte, senza che venga riportata indietro la lancetta del tempo per metterci solo agli incroci. Nello stesso tempo «vogliamo garantire anche la nostra sicurezza». E frutto di quell'ideologia di sinistra, lascia intendere, un'altra scelta «che per noi è stata profondamente sbagliata». Rinunciare ai militari che presidiavano il territorio in pattuglie miste con polizia e carabinieri. Il sindaco Giuliano Pisapia tra i primi atti dell'amministrazione ha rifiutato il presidio dei soldati inviati dal governo, mentre i Comuni dell'hinterland si mettevano in fila per accaparrarsi il contingente scartato dalla sinistra perchè «Milano non è Beirut». «I militari dovevano rimanere - sostiene il rappresentante dei vigili -, liberavano risorse utili sul territorio, le forze dell'ordine potevano dedicarsi ad altre attività di controllo». Dopo la morte di Savarino il sindaco aveva incontrato le sigle della polizia locale, «ora chiediamo che apra i tavoli che ha promesso sulla sicurezza del personale». Insiste, «più corsi di addestramento», e «non eliminare i nuclei operativi». A rischio l'Nttp (che opera a tutela dei trasporti pubblici), Problemi del territorio (soprattutto nei campi rom), il nucleo Cinofili, Fotosegnalamento, Polizia scientifica.
Il consigliere Pdl Riccardo De Corato ricorda che dopo il vigile travolto e ucciso e la manager rapinata in bici e ancora ricoverata al Policlinico in coma farmacologico «è il terzo grave fatto di criminalità predatoria in poche settimane. Ma il sindaco non vuol parlare di emergenza sicurezza, spieghi perchè ha mandato via l'esercito e i presidi volontari».
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I rivoluzionari adesso cadono sulla pensione
Guzzanti: "Che imbecille, ci ho rimesso la pensione". Riondino: "Quei soldi servivano per farmi la casa". I comici anti capitalisti comprano ciò che disprezzano
di Cristiano Gatti -
Lo stragista della finanza facile, quell’istrionico Madoff dei Parioli che promise guadagni da favola e assicurò un fallimento epocale da duecento milioni, vanta sul suo personalissimo curriculum vittime molto illustri. Vip (Very ingenuous people), nobili, professionisti, attoroni e attorucoli: chi più chi meno, ci hanno lasciato la zampa fior di personaggi del bel mondo romano. In questi giorni, i depredati sfilano in malinconico pellegrinaggio davanti al tribunale, raccontando il sanguinoso raggiro subìto dal finanziere bidone.
Nonostante l’Italia sia ormai un Paese di Robespierre, che sogna solo forca e vendetta per ricchi e privilegiati, non è un bell’ascolto. Non è bello sentire di tanti euro finiti in cenere nel breve giro di pochi mesi. Non è bello godere dei rovesci altrui. Nemmeno dei rovesci di chi gode dei rovesci altrui. Nell’ultima udienza tocca a Sabina Guzzanti, comica di sinistra cattivista, alternativa e disobbediente.
In dieci anni, a partire dal ’99, l’artista affida oltre 500mila euro al guru delle palanche. Dal 2008, con l'arrivo della grande crisi, il rapporto fiduciario frana nella rovina: 150mila la perdita secca. E adesso è qui, chiamata a testimoniare, con la forte sensazione «di sentirsi pure un’imbecille».
Prima di lei sfila David Riondino, anch’egli attore comico di sinistra, 450mila la sua seccante perdita.
Dal loro racconto, oltre alla rabbia per il danno subito dagli stregoni della finanza creativa, emerge un grande rimpianto: è finita in fumo, confessano, la loro idea regina da bravo figlio, farsi una pensioncina per la vecchiaia. Viste da qui, dal limbo dell’italiano medio, dove tutto è mediocre, scontato, insignificante, dove i valori di casetta e pensione restano prioritari, benché grigi e alienanti, come i comici aggressivi e scapigliati hanno sempre denunciato e caricaturato, svergognato e demolito, viste da qui queste amare testimonianze suonano quasi più comiche dei loro monologhi.
Confessiamolo senza tanti sensi di colpa, anche se magari non è proprio politicamente corretto: già l’idea che un certo genere di antagonisti dello spettacolo, così corrosivi e spietati contro i nostri poveri stili di vita e di pensiero, non avessero esitato a consegnare le proprie fortune a finanzieri spregiudicati - altro bersaglio molto caro nei monologhi rivoluzionari - , tra l’altro con la dichiarata intenzione di farle fruttare all’estero (e quindi scudate), esattamente come tanti cumenda e tanti squali dell’imprenditoria italiana con due piedi nei paradisi fiscali, ecco, già questo suonava abbastanza imbarazzante, fuori posto e fuori ruolo.
Sentendoli in televisione e a teatro, al cinema e nelle piazze, noi della borghesia piccina e banalotta li immaginavamo impegnatissimi nel sociale, o comunque nel ruolo coerente di investitori etici, mezzo patrimonio in Bot patriottici e mezzo a finanziare gli impianti di desalinazione nella sventurata area sahariana.
Adesso apprendiamo che non solo le sostanze erano investite negli stessi canali della borghesia negletta, ma pure i sogni e le aspirazioni, quella pensioncina per una vecchiaia tranquilla, tanto ridicolizzata negli sketch che smontano il pensiero debole dell’uomo comune. Magari, un giorno, chissà, si sarebbero concessi anche lo sfizio della Ferrari. Come i calciatori e come i piccoli cumenda brianzoli. Se solo quel fetentissimo Madoff de noantri non avesse buttato tutto a mare... Il bilancio è disastroso: i feroci grilli parlanti della satira ci hanno rimesso molti soldi, ma più che altro anche la faccia.
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Dario Fo quando diceva che “in Cina ognuno dice quel che pensa”
Antonio Margheriti Mastino
Che Dario Fo fosse un pupazzo, credo nessuna persona ragionevole ne abbia mai dubitato. Una volta andai a vedere un suo spettacolo teatrale a Roma. “L’Anomalo Bicefalo”, naturalmente contro Berlusconi: l’unica sceneggiata scritta da lui, e, va da sè, fu una porcata. Penoso quello “spettacolo” per lo squallore intellettuale, artistico e morale. Un comiziaccio di Di Pietro, al confronto, sarebbe stato uno squarcio di eloquenza. Un premio nobel a lui, che in vita sua non ha scritto neppure una riga, davvero equivale alla margarita ante porcum (ma del resto, dopo che lo hanno dato a prescindere a Obama, è lecito rifilarlo a tutti) . Un furto.
Tanto mi fece schifo lui e quella zingara che si portava appresso, che qualcuno trovò pure il coraggio di violentare al Circeo
che gli augurai morte subitanea sul palco.
Non morì, ma in cambio mentre si era mascherato da Berlusconi precipitò in un buco del palco massacrandosi una gamba. Purtroppo la lingua si muoveva ancora.
Ma è di altro che vorrei dirvi. Ho letto il bel libro di Enzo Biagi sulla Cina, che dà i brividi per come dipinge, con distacco, la ferocia del regime maoista. E badate bene: Biagi era un socialista e il libro risale agli anni ’70. Quando ancora non si “sapeva” (non si voleva). Dunque la fonte è attendibile. Ebbene, in questo libro ritrovo questo emblematiche dichiarazioni (siamo nel 1976) di Dario Fo a favore della “democrazia” cinese maoista.
<Ho una visione della Cina entusiastica, e ha la mia totale approvazione. Ognuno dice veramente quello che pensa. C’è uno spazio grandissimo per il dissenso. Dai dibattiti, se sei un po’ sveglio, lo capisci benissimo. Così salta fuori il burocrate e il vero rivoluzionario. Tutto è scoperto, e alla luce del sole. Certamente ci saranno gli scontenti, I SOLITI INTELLETTUALI BORGHESI COL MUGUGNO. Ma in Cina c’è l’uomo nuovo, perchè c’è una nuova filosofia>
…”Ognuno dice veramente quello che pensa”: evidentemente gli studenti di Piazza Tinen an Men, dicevano quel che NON pensavano. Così i 60 milioni di morti programmati a tavolino, per pianificazione politico-economica, da Mao e dai comunisti filistei.
http://www.apostolidellareginadellap...pensa%E2%80%9D