Quei cattolici abbagliati dal mito di Castro
di Francesco Agnoli
Per gentile concessione di Sugarco edizioni pubblichiamo uno stralcio dal libro "Novecento. Il secolo senza croce" (pp. 158, euro 16) di Francesco Agnoli.
Per la verità il mito di Cuba è creato e mantenuto in vita, per anni, non solo da atei dichiarati, di fede comunista, ma anche da alcuni cattolici. E’ un caso unico, dal momento che tutti gli altri regimi comunisti sono sorti in un’epoca in cui la posizione della Chiesa verso il comunismo era chiaramente di condanna. Pochi anni dopo la rivoluzione cubana, invece, si ha nella Chiesa una grande rivoluzione, ben spiegata da autori come Roberto de Mattei, nel suo “Concilio Vaticano II, una storia mai scritta” (Lindau, 2011) e dal teologo cattolico Brunero Gherardini. Per dirla con Paolo VI, il “fumo di Satana” penetra nel tempio e si diffonde nella Chiesa un pensiero non più cristiano. E’ la famosa crisi dell’epoca conciliare e post conciliare. Ebbene, proprio questa crisi di fede provoca la nascita di una forte corrente “cristiana” a favore del comunismo, incapace di vedere l’intrinseca perversione e malvagità di tale dottrina.
Nel 1974, per capirci, esce in Italia un libro, A Cuba, di Ernesto Cardenal, che può essere molto utile per capire l’infatuazione per la rivoluzione cubana, anche tra “cattolici”, che attraversa l’Europa di quegli anni. Il libro è pubblicato dall’editore cattolico “Cittadella”, di Assisi, la città che diverrà simbolo dell’ecumenismo indifferentista, e porta la prefazione di mons. Ernesto Balducci, alfiere del rinnovamento cattolico post conciliare. In tale prefazione Cuba è vista come un miraggio concreto, come una utopia realizzata, in cui è sorto un nuovo “cristianesimo precristiano”, che ha portato a “maturazione i caratteri nativi della gente cubana come la generosità gratuita, l’estro creativo, la giocosità corale”. A Cuba, spiega Balducci, si vive in una “società liberata e consegnata ormai alla crescita autentica”, sebbene la Chiesa cattolica, cui Balducci dice di appartenere, ma con sdegno, come un Mancuso o un Martini di oggi, non capisca e sconti “la sua lunga solidarietà con il capitalismo imperialistico”. Gli uomini di Chiesa cubana, continua Balducci, non hanno abbracciato la rivoluzione, e questo colpevolmente: che poi scontino qualche persecuzione è in fondo colpa loro, perché si ostinano a non vedere il carattere evangelico del regime di un uomo eccezionale come Castro, finendo così in “esilio volontario, sulla scia dei miliardari”. La rivoluzione cubana, conclude il monsignore, integrando cristianesimo e comunismo, e nonostante attacchi la Chiesa, rappresenta “una delle prospettive (forse la prospettiva maestra) che si sono aperte alla Chiesa dopo il concilio”.
Alla prefazione di Balducci segue, appunto, il diario di Ernesto Cardenal, cioè di un celebre poeta latino-americano, divenuto sacerdote cattolico, che narra la sua permanenza a Cuba, 11 anni dopo la rivoluzione. Cardenal dichiara di voler di raccontare tutto ciò che ha visto e sentito, senza filtri, come farebbe un vero amico della rivoluzione: cioè narrando il negativo e il positivo. Ma le sue pagine appaiono quelle di un innamorato alle prime fasi, quando la violenza del sentimento offusca completamente lo sguardo. Così Cardenal riporta qua e là alcune critiche al regime, fattegli da persone cubane che ha conosciuto, ma minimizza sempre: a Cuba i cattolici non possono accedere alle università e ai “lavori buoni”; molti giovani credenti sono stati fucilati, al grido di “Viva Cristo Re”; il Natale, come in tutte le dittature, è stato spostato al 26 luglio, anniversario della rivoluzione; nell’isola non c’è alcuna libertà di stampa; ci sono state 800 o 1000 fucilazioni nei primi tre anni...
Soprattutto, a Cuba vi sono alcuni campi di lavoro forzato. Cardenal, infatti, racconta di aver incontrato, tra gli altri, un tale Eugenio, ex cattolico, che gli ha parlato anch’egli dei campi di concentramento (Umap: unità militare di aiuto alla produzione). Eugenio gli racconta di esserci finito in quanto cattolico: insieme a lui testimoni di Geova ed omosessuali. Gli omosessuali, aggiunge, “erano felici di essere mandati in campo di concentramento, che per loro era un paradiso”. Infatti vi incontrano altri omosessuali…
Poco importa che nei campi si lavori da 12 a 16 ore al giorno, e che qualcuno, per la disperazione, si suicidi. Io, ha concluso Eugenio, ero “controrivoluzionario”, “di famiglia piccolo borghese”, insieme ad altri 35000 prigionieri: ma nel campo ho capito la verità! Tanto che “in seguito ho avuto l’opportunità di andarmene ma non me ne sono andato. Nel campo di concentramento mi sono reso conto che non dovevo andarmene. Per lottare allo scopo di migliorare la rivoluzione bisogna essere rivoluzionario. Anche le cose negative e gli abusi nel campo di concentramento hanno contribuito a farmi rivoluzionario” . La colpa degli abusi, infatti, non è del regime, di Fidel Castro, ma di Raul e dei funzionari. Uscito dal campo, io come tanti, conclude Eugenio, siamo diventati “anticlericali”, ci siamo accorti che i campi di lavoro forzati sono necessari alla rivoluzione. Così abbiamo ripudiato il nostro vecchio mondo ottuso e controrivoluzionario: “trovavo la parrocchia sempre più incomprensibile. Liturgia, gesti, parole, pensieri, tutto sembrava vuoto e lontano dalla realtà”.
A parte queste notazioni sconcertanti per la leggerezza con cui vengono esposte, e che pure aprono squarci su verità inquietanti, il libro di Cardenal è tutto un peana, un inno, un canto senza freni alla rivoluzione, in cui l’autore vede il paradiso terrestre realizzato, né più né meno. Spiega infatti che a Cuba “una casta di paria non esiste più, tutto il popolo è stato alfabetizzato”; che l’Avana “è la città più allegra che ho visto. L’unica allegra”. “Non ci sono tassisti in agguato degli stranieri, né prostitute, né mendicanti… Migliaia di persone sono andate via: ma quelli che sono rimasti sono felici e sono padroni di tutto… Non ci sono differenze nel modo di vestire: nessuna invidia”. I gelati, continua Cardenal, sono “certamente i migliori del mondo”; la gente legge tantissimo; le scuole sono sempre di più e organizzano anche incontri sportivi, gite, feste di ballo, uscite al mare; il pane è sempre in abbondanza (mentre, non è chiaro il perché, scarseggia la carta igienica….); lo Stato dà i soldi per festeggiare, alla grande, anche i compleanni dei bambini; il telefono è gratis; ognuno ha una casa e nessuno è più “costretto a dormire in un portone, sotto un ponte o sotto un albero”; gli annunci pubblicitari “incitano sempre al sacrificio, all’eroismo, al lavoro per il bene della comunità”, non come nel capitalismo, che spingono “all’egoismo, all’interesse personale, al piacere individualista”.
E poi Cardenal butta giù cifre e dati, chiaramente di regime, senza affatto vagliarli, per dimostrare che un tempo si stava malissimo, oggi invece a Cuba si lavora, si gioisce, si vive nel benessere e fraternamente. Racconta di aver incontrato, in tutto, due mendicanti davanti ad una chiesa, non uno in più: erano “due vecchi coi capelli bianchi, pulitissimi”. “Ecco quello che si dà ai contadini, scrive, insieme alla casa, gratis: cucina elettrica o a cherosene; pentola a pressione, padelle stoviglie, lavello, frigorifero, televisore, radio, ferro da stiro…lozione per i capelli, profumo…”.
Quanto alla Chiesa, cui dice di appartenere, Cardenal stigmatizza coloro che si oppongono alla rivoluzione, poi afferma: “Da quello che vedo, Cuba è l’unico luogo al mondo dove non vi sia crisi di vocazioni”, salvo raccontare, nella stessa pagina, che dopo la rivoluzione sono fuggite 2000 religiose su 2300 (“la maggior parte per decisione propria, non perché espulse”), mentre “i sacerdoti erano circa 1000, ora sono circa 250”. Le chiese sono vuote: “volti seri, intristiti. Quasi tutti vecchi, o bambini. Pochi giovani. Nessun negro”. Sì è vero, qua e là c’è ancora qualche problema, ammette Cardenal, ma la colpa è dei funzionari del partito, che talvolta spadroneggiano, approfittano del loro potere: ma sempre contro il volere di Castro, che è invece sempre dedito a riparare i torti, ad intervenire perché tutti vivano come lui, senza egoismi, senza invidie, senza prevaricazioni. Tanto che si può dire che Castro è al governo, ma anche “all’opposizione”!
Ad un certo punto Cardenal scrive: “Un buon osservatorio per vedere la tenerezza della rivoluzione è l’ospedale psichiatrico dell’Avana. I ricoverati vivono in padiglioni luminosi ed eleganti come un albergo di lusso. Ogni camera decorata allegramente con il bagno privato (di marmo…)…nelle sale dove i ricoverati ricevono, divani e poltrone di lusso, quadri moderni d’autore, fiori freschi. Cinema, teatro, sale da ballo per i ricoverati, biblioteca, sala di musica, campi per tutti gli sport…Naturalmente l’ospedale è gratuito. In una stanza austera, che contrasta con il lusso dell’ospedale, l’ufficio del direttore”: il quale è un compagno di Castro, dall’ epoca della rivoluzione, e quindi lavora per il lusso del popolo, ma lui vive frugalmente!
Alla fine del libro Cardenal confessa che Cuba è stata per lui “la mia esperienza più importante, dopo la conversione religiosa. Era stata un'altra conversione. Avevo scoperto che attualmente, in America latina, praticare la religione significa fare la rivoluzione”, sopprimere le classi, vivere il Vangelo come si vive a Cuba, all’ “Avana luminosa”. Come lui la pensano tanti altri intellettuali, in America latina e nel mondo, in particolare personalità della sinistra e dei vari partiti comunisti del mondo. Molti di questi dovranno col tempo pentirsi della loro “ingenuità” e ritratteranno.
La Bussola Quotidiana quotidiano cattolico di opinione online: Quei cattolici abbagliati dal mito di Castro
Giovanni Paolo II ha fornito uno splendido esempio di santa ira, aggredendo pubblicamente Ernesto Cardenal, lo sciagurato prete-poeta, poi giustamente sospeso a divinis, che aveva demenzialmente scelto di diventare ministro nel governo marxista e sandinista del Nicaragua.
Il sacerdote indegno, in occasione della visita del papa in Nicaragua, decise di recarsi all'aeroporto per incontrarlo, e, furbescamente, credette di potere allisciare il Vicario di Cristo, inginocchiandosi esibizionisticamente di fronte a lui, e tentando di baciargli l'anello.
Il Papa non si fece né abbindolare, né impietosire, e non solo rifiutò il falso e insincero omaggio, sottraendo l'anello al bacio del Giuda marxista, ma, puntato l'indice ammonitore sopra la vituperevole canizie del prete infedele, gli intimò, gridando, di regolarizzare la sua posizione, come documenta questo filmato.
OSSERVATORE: STALIN HA EGUAGLIATO HITLER MA E' STATO RIMOSSO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 26 apr.
Il dramma della Shoah e le esecuzioni capitali di massa ordinate da Stalin sono confrontabili? Di fatto sembra che "per la maggior parte degli studenti le due forme di terrore, quello nazista e quello comunista, non siano da considerare comparabili".
Lo rileva oggi l'Osservatore Romano sottolineando che "il peggiore, naturalmente, e di gran lunga, e' considerato quello nazista, e non gia' per l'unicita' dell'Olocausto - che certamente il giornale della Santa Sede non intende mettere in discussione - ma per l'unicita' della documentazione visiva, fotografica, e qualche volta anche filmica".
Infatti alle foto scattate nei lager nazisti dagli Alleati, che hanno "per sempre fermato nella nostra memoria questa tragedia, o dai carnefici stessi, fieri di testimoniare magari a Hitler le sevizie a cui sottoponevano i prigionieri", non corrisponde una equivalente documentazione dei lager sovietici, "dove non sono entrati liberatori, e quindi l'occhio esterno non ha registrato il dramma nel momento in cui stava per finire".
Sui lager sovietici finora c'erano "in realta' importantissime testimonianze letterarie", ma la mancanza di immagini "in una cultura come la nostra cosi' centrata sull'immagine, ha contribuito a rendere la loro realta' meno presente nella memoria collettiva, e quindi a indebolirne la portata storica", continua il quotidiano vaticano che dopo aver denunciato questo fenomeno di "rimozione collettiva" plaude alla pubblicazione per Lindau del volume "La vita in uno sguardo. Le vittime del Grande Terrore staliniano", edito da Lindau, che riporta le foto segnaletiche dei condannati a morte negli anni della dittatura staliniana fatte poco prima della fucilazione, provenienti dagli archivi del presidente della Russia e da quelli della Lubjanka, il quartier generale del Kgb.
In merito l'editorialista dell'Osservatore, Lucetta Scaraffia, che firma anche la prefazione del volume ricorda che "un evento diventa reale perche' viene fotografato", come scrisse Susan Sontag. "Guardare i volti effigiati nelle pagine di questo libro - conclude la professoressa Scaraffia - vuol dire anche prendere atto, concretamente, delle stragi perpetrate da Stalin, e accettare di essere coinvolti emotivamente in questo massacro, cosi' come lo siamo per i campi nazisti".
ANNI DI PIOMBO E FACCE DI BRONZO - L’INFELICE USCITA DELLO SCRITTORE ERRI DE LUCA SUL TERRORISMO IN ITALIA: “GLI ANNI DI PIOMBO? SARANNO STATI DI PIOMBO PER GLI IDRAULICI, PERCHÉ ANCORA NON C’ERA IL PVC” - 34 INTERVENTI CHIRURGICI DOPO LA GAMBIZZAZIONE FIRMATA BR, L’EX DEMOCRISTIANO ANTONIO IOSA SPARA A ZERO SULL’INTELLETTUALE: “GLI ANNI DI PIOMBO UN’INVENZIONE? SOLO PERCHÉ NON LE HA PRESE LUI LE PALLOTTOLE”…
Il "Fatto quotidiano"
“Davvero Erri De Luca ha detto così? Gli anni di piombo un' invenzione? Certo, perché non le ha prese lui le pallottole". Antonio Iosa è nel suo lettino all'ospedale di Niguarda, a Milano. Non può alzarsi, immobilizzato com'è tra flebo e cannucce. "Mi sento un prigioniero politico", scherza amaro. Ernia, una nuova operazione d'ernia. Ha settantanove anni, Iosa, e ne aveva quarantasette quando i brigatisti della colonna Walter Alasia fecero irruzione nella sezione della Dc di Quarto Oggiaro. Era il 1 aprile del 1980. I capelli bianchi, radi tra le basette ancora folte, segnano il tempo passato. Il viso segna altro.
Racconta il calvario che lo aspettava dopo quel giorno. Misero al muro lui e altri tre militanti democristiani, poi mirarono alle gambe. Così andavano colpiti, gli urlarono in faccia, "i servi di Cossiga". In realtà Iosa tutto era fuorché uomo della repressione. I terroristi erano bravissimi, per giustificare i delitti, a diffamare le loro vittime. Iosa era stato il fondatore del circolo "Perini", una delle più importanti realtà associative milanesi di periferia. Integrazione sociale, cultura, lotta alla marginalità. Luogo di incontro di amministratori e di contestatori. Molti i giovani che poterono sentire dal vivo intellettuali, sindacalisti, sindaci, magistrati o cardinali. Da allora Iosa non ha mai smesso la sua lotta in difesa delle vittime del terrorismo, della memoria di chi non c'è più, dei diritti dei familiari o dei sopravvissuti. Convegni, pubblicazioni, mostre, dibattiti, lettere ai giornali.
Disposto a riconoscere agli ex terroristi il diritto al reinserimento, ma intransigente verso ogni rimozione; o verso ogni giustificazione o apologia mascherata della lotta armata.
Per questo sgrana gli occhi incredulo quando gli raccontano dell' intervista di Erri De Luca di due settimane fa a "8 e mezzo": "Gli anni di piombo? Saranno stati di piombo per gli idraulici, perché ancora non c'era il Pvc", ha chiosato beffardo lo scrittore, quasi a confermare la legge sciagurata che vuole i grandi intellettuali italiani particolarmente inclini a dir castronerie quando siano in ballo i drammi del paese. Non ne ha parlato nessuno, di quel passaggio cinico, perché anche il paese dorme più che mai il sonno della ragione.
"Si vergogni", riesce a dire Iosa a stento. Per poi distillare poche parole in più: "Certo, perché a lui non hanno sparato, e nemmeno hanno ammazzato suo fratello o suo figlio o un suo genitore. Queste persone non hanno rispetto. Lo vogliono per sé o per quei loro amici o compagni o conoscenti che fecero certe scelte. Ma lo negano a noi. Sento sempre dire che uccisero per nobili motivi, ma io non penso che ci siano motivi nobili per i quali si possono uccidere brave persone che non sono in guerra con nessuno".
Per me, sembra dire, sono stati anni di piombo sul serio; e non facevo l'idraulico. Non si è arresa certo da allora la sua attività sociale, perché il Perini ha continuato a macinare dibattiti e iniziative, compresa quella - una vera sfida - del cinema in periferia. Non si è fermato il suo impegno per una società solidale. Ma nel frattempo ha tenuto un conto molto particolare, chiamiamolo il conto dell'idraulico.
Si è segnato il numero degli interventi chirurgici che ha dovuto subire per aiutare la sua capacità di "deambulare" (ormai in queste cose parla come un medico...) dopo la gambizzazione. Sono trentaquattro, trentaquattro interventi, "alcuni più pesanti altri più leggeri". Spesso è stata colpa delle complicazioni, che fanno nascere patologie complesse.
"Anche adesso, per esempio, mi hanno operato d'ernia. Non mi sento di dire che sia per la ferita alla gamba, però ogni volta il medico che interviene nota delle anomalie e io allora devo spiegare «mi hanno sparato alla gamba tanti anni fa»...". Non è riuscito, invece, a tenere il conto esatto delle visite specialistiche. Quelle sono oltre quota centoventi, "ma più preciso non posso essere".
Ora, alla soglia degli ottanta, ha una preoccupazione quasi ossessiva: che la memoria di quegli anni non venga più difesa. Per questo da tempo ha quasi passato la staffetta a un giovane. A un trentenne. Si chiama Giorgio Bazzega. Suo padre venne ucciso proprio da Walter Alasia a Sesto San Giovanni nel 1976. Iosa se lo coltiva, lo presenta in pubblico come una specie di figlio-erede. E in questi giorni ha invitato, dal suo lettino di Niguarda, anche se "sono qui in croce", a partecipare all'intitolazione del parco Teramo a Milano alla memoria di Andrea Campagna. Poliziotto, ucciso il 19 aprile del ‘78 davanti al portone di casa della fidanzata. Tra gli assassini, secondo la legge italiana, Cesare Battisti. Perseguitato politico per la legge brasiliana.