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    Predefinito Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    De Mauro, l’oracolo che non fa autocritica


    Dalla riforma di Berlinguer a quella di De Mauro: se la scuola è un disastro ringraziamo la sinistra

    di Giorgio Israel


    Tullio De Mauro lancia un grido di allarme: sette italiani su dieci non conoscono l’italiano, soltanto due su dieci hanno le «competenze minime» per fare un uso appropriato della lingua, siamo in pieno analfabetismo di ritorno.
    C’è di che stropicciarsi gli occhi, perché non sta parlando uno che passa di qua per caso, bensì uno dei grandi guru della pedagogia scolastica italiana, che è stato anche ministro dell’Istruzione. Ci si attenderebbe una rigorosa analisi critica e autocritica di un trentennio in cui le ricette di De Mauro hanno dominato nel mondo dell’istruzione, mentre il silenzio evoca il comportamento di quei medici che, se l’antibiotico non fa effetto, aumentano le dosi fino al decesso del paziente.
    Nell’epoca in cui De Mauro era l’oracolo furono proclamate le «Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica», in cui si attaccava l’insegnamento dell'ortografia sostenendo che questa si apprende «non insegnando norme ortografiche direttamente ma insegnando a ballare, ad apparecchiare ordinatamente la tavola e ad allacciarsi le scarpe», e deridendo la tradizionale pedagogia linguistica che è «verbalistica» e non conosce i modi simbolici non verbali. Il risultato è che ora gli studenti della scuola plasmata da questa ideologia non solo ignorano l’ortografia e si esprimono a singulti disarticolati, ma non apparecchiano la tavola, né bene né male, in omaggio all’educazione antiautoritaria che insegna anche nelle antologie di letteratura a ribellarsi contro la repressione familiare.
    È celebre la grande battaglia di De Mauro contro il tema d’italiano. Come esito abbiamo libri scolastici in cui si chiede di rispondere in poche parole o a crocette a quiz demenziali, volti a ordinare su scala numerica le sfumature espressive. Oppure si propone lo studio della storia in pillole per poi proporre «verifiche» del tipo «Mettete le parole mancanti»: «Alla morte di Alessandro ... il suo ... si divise in ... sotto il dominio di ...». Era fin troppo facile fare demagogia contro il tema d’italiano. Invece il tema - proposto, corretto e discusso in modo intelligente e non burocratico - è di gran lunga il modo migliore per sviluppare le capacità ortografiche, grammaticali, sintattiche assieme alla capacità di organizzare ed esprimere idee e sentimenti in modo efficace e coerente. Quei ragazzi che sono stati «liberati» dal tema troppi dovranno farne in vita loro, anche in azienda, quando si chiederà loro di fare una relazione e non sapranno mettere in fila più di dieci parole.
    De Mauro è stato uno dei campioni del «successo formativo garantito» e della teoria - ribadita di recente - secondo cui uno studente non deve essere costretto a studiare tutte le materie, ma soltanto quelle in cui riesce meglio. A suo dire, la soglia di sufficienza dovrebbe essere la «media minima», una castroneria matematica e linguistica con cui si voleva dire di prendere come soglia la media delle materie in cui lo studente va meglio. Ma invece di dire questo è sgorgata dal cuore - tipico lapsus freudiano - la parola prediletta: «minimo», fare il «minimo», il minimo indispensabile a garantire la promozione a tutti.
    Il prodotto ideale della «media minima» di De Mauro è quel mio studente che fece una prova scritta corretta sul piano matematico ma redatta in un italiano indecente. Non capiva neppure perché mai dessi un voto migliore a chi, oltre ad aver ottenuto il risultato, aveva spiegato in modo chiaro e corretto il senso dei passaggi logici compiuti.
    Sbraitò che lui era uno studente di matematica e dell'’italiano non gliene importava niente (traduco in italiano). Si potrebbe continuare a lungo esemplificando gli esiti di un trentennio di dittatura della pedagogia sedicente «democratica». Nessuno ha voglia di imbastire processi. Ma allora sarebbe opportuno concedersi uno spazio di silenziosa riflessione.
    De Mauro, l’oracolo che non fa autocritica - Cronache - ilGiornale.it



    “Lotta Comunista”. Quelli che han sostituito i T.di Geova

    Margheriti Mastino

    Una volta alla porta ti bussavano i testimoni di Geova, con la loro “fine del mondo” (e te la auguravi quando arrivavano). Adesso ti bussano quelli che li hanno sostituiti con il loro “nuovo ordine mondiale”… i distributori automatici di “Lotta Comunista”. Si assomigliano pure, nel look, nell’aspetto, in una certa stolidità.
    Ore 7.15. Roma sotto il diluvio. Il condominio è quello in genere della borghesia reazionaria, il mio, oltretutto inserito nel contesto urbano del quartiere più nero e fascista di Roma.
    Il gatto è nervoso. E infatti suona il citofono esterno al condominio. Voce di donna affrancata: <Siamo quelli del giornale “Lotta Comunista”, ci apre così possiamo portare il giornale ai condomini?>. Siccome so de core, e anche un po’ superstizioso sicchè sono convinto che portino male questi qui, apro. Ma simulo la mia assenza da casa. E infatti puntuali come la morte arrivano.
    Bussano. Io zitto. Anche perchè può essere che sul risentimento e l’orticaria che mi suscita qualsiasi utopista della mazza, prevalga la pena per queste ragazze che non si fermano neppure sotto la pioggia nel diffondere (senza riuscirci) la loro fede e la loro orribile, grigia rivista, che sembra un bollettino ciclostilato delle BR, e non sai se perciò sono da ammirare o sprangare. Può succedere pure che se mi piace la ragazza io, clerico-fascista (ma no!), la finanzio pure: mi conosco!
    Niente da fare: il gatto corre alla porta e comincia a miagolare, a grattare sull’uscio, disperato, e pensare che si chiama pure Benito. Io sottovoce lo chiamo: “Benitooo, gatto malefico figlio di un cane, vieni qua, scciiiii zitto, muto… viè qua badogliano che non sei altro!! Mortacci tui!..”. Niente, anzi, peggio è, strilla de più. Alla fine sconfitto apro. E’ ‘na cessa: no, dico, non finanzio gli eversivi, sono cattolico. E lei, inviperita: “E gli scandali pedofili della Chiesa, quelli sono a favore del tuo ordine?”. Acido quanto mai, tanto manco me piace questa, dico: “Ma quelli sono in linea con il libero amore proclamato nel ’18 da Lenin in Russia… e ribadito da Vendola: in ogni caso è sempre meglio che mangnasseli i bambini”.
    Se ne va verso la porta accanto a parlar di corda in casa dell’impiccato: infatti ci abita una amica albanese, che si è sorbita il regime comunista nel suo paese. “Salve signora, siamo di Lotta Comunista, per diffondere il marxismo-leninismo”. La albanese, che è come se le avessero bestemmiato i morti, scatta come una iena: “Li grandi mortacci vostri, pure a qua mi volete rompere li cojoni? No, grazie, non mi serve un’altra tessera per il pane. Andate a lavorà!!”.
    ME SO CREPATO!

    “Lotta Comunista”. Quelli che han sostituito i T.di Geova | La cuccia del Mastino

    Ultima modifica di FalcoConservatore; 30-12-11 alle 10:20

  2. #2
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    GIOVANI PD: A SCUOLA DAI COMUNISTI...


    Indovinate un po' dove vanno i giovani quadri dirigenti del Partito democratico in viaggio di studio?
    In uno Stato autoritario: a Nanning, capitale del Guangxi, Cina meridionale, ospiti del Partito comunista cinese. Come si legge sul sito dell'International Department del Comitato centrale del Pcc, una delegazione capeggiata dalla professoressa Mariangela Matonte, in rappresentanza del Dipartimento formazione del Pd, ha visitato la Cina per un "tour di studio" dal 30 novembre al 10 dicembre. Dodici studenti di Officina Politica, corso di formazione dei futuri dirigenti Pd, sono stati ospiti presso un campus di partito dove tuttora si studia il marxismo.
    Secondo un resoconto stilato sul sito della scuola, durante il soggiorno i democratici hanno appreso "la filosofia e le modalità di formazione" del Partito comunista cinese. In Italia, del tour offerto dal Pcc sono giunte solo le fotografie, pubblicate su Facebook, dei partecipanti italiani con indosso colbacco e stella rossa o seduti accanto alla statua di Lenin. Si è trattato, fatto sorprendente, degli unici giovani di un partito riformista europeo a recarsi in Cina a questo scopo.

    Il Pd va a scuola dai comunisti cinesi

    Una dozzina di giovani emergenti spediti a studiare la politica marxista nel tempio dell’ortodossia rossa

    di Salvatore Tramontano

    Qualcuno ci va per nostalgia, qualcuno perché sente il richiamo della foresta, qualcuno perché ha ancora il manifesto di Mao in camera, qualcuno perché non ha mai smesso di credere nel partito, qualcuno perché semplicemente sognava da una vita di vedere quanto fosse grande la Grande Muraglia.
    E così sono partiti. Tutti in Cina a scuola di comunismo.
    La notizia non arriva da mestatori e neppure da twitter. La scrive l’Espresso, settimanale debenedettiano. I giovani quadri del Pd non vanno in viaggio di studio a Londra, a riscoprire il blairismo e neppure nella Washington di Obama, non inseguono vaghi sogni socialdemocratici e snobbano il welfare scandinavo. No, nulla di tutto questo. Vanno a studiare a Nanning, capitale del Guangxi, Cina meridionale, ospiti del Partito comunista cinese.
    «Come si legge sul sito dell’International Department del Comitato centrale del Pcc - rivela l’Espresso - una delegazione capeggiata dalla professoressa Mariangela Matonte, in rappresentanza del Dipartimento formazione del Pd, ha visitato la Cina per un «tour di studio» dal 30 novembre al 10 dicembre. Dodici studenti di Officina Politica, corso di formazione dei futuri dirigenti Pd, sono stati ospiti presso un campus di partito dove tuttora si studia il marxismo».
    Magari il Pd si è aggregato a una gita di partiti della sinistra europea alla scoperta di Mao? No, sono stati gli unici ad andare. È un’anomalia tutta italiana. È un viaggio alla ricerca delle proprie radici. È che la Cina di questi tempi è radical chic. È un residuo del ’68 che non è mai stato smaltito. È l’unico posto dove ormai si studia il marxismo ortodosso.
    Su Facebook i dodici neo maoisti hanno messo anche le foto. Come a dire: guardate è tutto vero. Il Pd manda i leader del futuro a prendere lezioni di marxismo e ci tiene a farlo sapere in giro. In fondo in questa crisi di identità, avranno pensato, offriamo ai nostri ragazzi un punto di riferimento preciso. La Cina è un colosso economico. È l’impero che sorge a Est. Sono quelli che hanno l’America al guinzaglio e ricordano a Obama che il debito degli Stati Uniti è nelle mani di Pechino. La Cina come esempio vincente da seguire. La Cina che in fondo non ha mai rinnegato il comunismo e, anche se è diventata ricca, continua a essere uno stato totalitario, dove gli operai non sono ancora andati in paradiso e la libertà individuale è un concetto che non esiste.
    La Cina in fondo è come Cuba: un sogno. L’unica differenza è che i padroni cinesi hanno imparato più in fretta a giocare in Borsa.
    Il timore è che il Pd si senta solo. Non sappia più bene cosa sia e a chi aggrapparsi. Non ci sono più ideologie. D’Alema sembra un banchiere svizzero, la Bindi una pasionaria del biancofiore, Veltroni uno sempre in rotta per l’Africa ma ogni volta perde il biglietto, perfino Bersani ha perduto quel sapore naïf da festa dell’Unità e bocciofila di paese. Senza più Berlusconi a Palazzo Chigi non sanno bene come lamentarsi e Monti li sta facendo morire di noia. L’unica via di fuga era la Cina.
    Il Pd va a scuola dai comunisti cinesi - Interni - ilGiornale.it






    Ultima modifica di FalcoConservatore; 30-12-11 alle 10:21

  3. #3
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    Nel presepe alternativo Gesù ha due papà
    di Rino Cammilleri
    Su segnalazione di una lettrice, vado a vedere il sito Giornalettismo.com del 27 dicembre 2011 e scopro che un centro sociale bergamasco, detto Paci’Paciana ha allestito un presepe «provocatorio» (e te pareva…) con due San Giuseppe attorno al bambino e niente Madonna.
    Spiegazione dei portavoce: la Sacra Famiglia è una «coppia di fatto» che ha «usufruito delle fecondazione eterologa». E poi, giù con le solite lagne sulla «discriminazione» dei gay che in Italia, poveretti, non godono di una legge che aggravi le pene a chi li molesta.
    I cosiddetti centri sociali, si sa, sposano tutte le cause dei deboli e degli oppressi, purché siano di sinistra e politicamente corrette. Che ci volete fare, anche il fascismo aveva le sue squadracce che mandava a dare lezioni “a mano” a chi non si conformava. Questo è il motivo per cui in Italia vengono tollerati e addirittura finanziati.
    Naturalmente, non possiamo aspettarci alcuno spessore culturale nei «ragazzi» ultraquarantenni che fanno l’antagonismo, la disobbedienza civile, la indignatión e lo spaccatutto di alto valore morale. Altrimenti saprebbero che Maria e Giuseppe erano regolarmente sposati in sinagoga, altro che coppia di fatto. Ma la Fantasia al Potere è sempre stata limitata, ottusa e di nessuna fantasia.
    Così, il presepe centrosocialista bergamasco è solo un papocchio con due gemelli (Giuseppe + Giuseppe) a farsi scaldare le terga da un asino e un bue (suggerisco l’aggiunta di un fumetto in cui l’asino dice cornuto al bue). Ovviamente, avendo levato di mezzo l’unica donna del presepe, i «ragazzi» di cui sopra cozzano contro un altro dei capisaldi del politicamente corretto, il femminismo. Ma si sa: nei centri sociali le femmine non hanno mai contato molto: ci avete fatto caso che i loro portavoce e dirigenti sono sempre maschi? Così, anche il loro presepe «alternativo» è maschilista: maschi sono i pastori, maschi i Magi, maschio il Pargolo.



    L’unica cosa di genere femminile è la mangiatoia, ma quella per i centri sociali è sempre stata sacra; anzi, è l’unica cosa sacra che abbiano...
    Pace & bene anche a loro, comunque, perché dimostrano che neanche loro possono togliersi dalla mente quel Bambino: o Lo si ama o Lo si odia.
    Per gli uomini di buona volontà è una rassicurante Presenza.
    Per tutti gli altri è un’Ossessione.
    Come Lui stesso aveva previsto.
    La Bussola Quotidiana quotidiano cattolico di opinione online: Nel presepe alternativo Gesù ha due papà



  4. #4
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    Gli stranieri rovinano la festa in Duomo? Si lamenta anche chi ha votato Pisapia
    di Giannino della Frattina –
    Milano
    Poca festa e tanta paura. Così con buona penna la lettrice Diletta Colombo descrive in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il primo Capodanno griffato Giuliano Pisapia. Più un incubo che un party, a leggere il resoconto di una testimone ben più attenta dei tanti cronisti che il giorno dopo si sono esibiti nei soliti articoli elogiativi.
    «Chi voleva festeggiare e ascoltare musica - racconta - era accerchiato da persone che lanciavano petardi e sparavano botti ad altezza d'uomo». C'è dell'altro. «La piazza era completamente divisa in zone off limits dove si sparava volutamente contro altre persone. Solo chi stava vicinissimo al palco si sentiva “al sicuro” e tutto intorno invece ci si guardava le spalle e ci si stringeva l'uno all'altro attoniti per non rischiare di prendere un petardo in testa». Brutta storia per chi era arrivato in piazza «sperando di rivivere lo stesso clima che si era respirato alla vittoria di Pisapia», trovarsi «circondato da giovani adulti, quasi esclusivamente uomini e di origine straniera che sparavano botti e prendevano di mira le persone con violenza». Come «se Capodanno rappresentasse l'occasione per queste persone che quotidianamente vivono ai margini di prendersi spazio e di far avvertire in maniera dirompente la loro presenza». Di qui la necessità di aprire «una riflessione importante sugli spazi pubblici a Milano e sulla gestione dell'ordine pubblico». Che detto da una sostenitrice di Pisapia comincia a far pensare che forse il vento stia già girando di nuovo. Che forse l'assegno in bianco e la fiducia affidati dagli elettori al nuovo sindaco siano vicini alla data di scadenza. E che davvero a poco sia servito affiancare con un pizzico di demagogia all'assessorato alla Sicurezza, la Coesione sociale.
    Gli stranieri rovinano la festa in Duomo? Si lamenta anche chi ha votato Pisapia - Milano - ilGiornale.it



    Quale sistema riesce a ridurre la povertà?
    In Corea si fronteggiano due sistemi sociali opposti: il comunismo e il liberal-capitalismo.
    Quale sistema ha ridotto la povertà? Dove la gente è meno povera? Dove chi è povero non muore di fame? Dove la gente è meno schiava?
    La risposta è facilissima, solo per chi non è acciecato dall'ideologia e dalla propaganda….



    Da notare che la Corea del Sud è un Paese asiatico, ma provvidenzialmente occidentalizzato (quindicesima economia nel mondo e settimo paese al mondo secondo l'Indice di Educazione di sviluppo umano) e cristianizzato (più del 30% dei coreani del Sud sono cristiani).


  5. #5
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    UNA VALANGA DI SOLDI PUBBLICI PER I FILM TRATTI DAI “GRANDI” LIBRI DI WALTERLOO - 2- LA COMMISSIONE MIBAC FA IL REGALO DI NATALE A “LA SCOPERTA DELL’ALBA” DI WALTER-EGO DELLA REGISTA NANNIMORETTIANA SUSANNA NICCHIARELLI: 550MILA EURO… - 3- NON È LA PRIMA VOLTA: NEL 2005 REGALATI 1.945.000 EURO PER “PIANO SOLO”, DAL VELTRONIANO “IL DISCO DEL MONDO”. NELLE SALE IL FILM HA INCASSATO SOLO 667MILA EURO - 4- PRIMA ANCORA 300MILA EURO PUBBLICI ERANO STATI REGALATI AL DOCUMENTARIO “FORSE DIO È MALATO”, DALL’OMONIMO SAGGIO DEL BRAVO, MITOLOGICO, UNICO WALTER - 5- DOMANDINA: QUANTI DI QUESTI FONDI PUBBLICI DEL MIBAC FINISCONO ALL’EX MINISTRO MIBAC VELTRONI COME DIRITTI D’AUTORE DEI LIBRI DA CUI VENGONO TRATTI I FILM? –
    Francesco Borgonovo e Martino Cervo per "Libero"
    Pensate come siamo fortunati: seppur in tempi di crisi e di dolorosa sobrietà, riusciamo a trovare il denaro necessario per finanziare le opere d'arte. E che opere: veri capolavori, invidiati in tutto il mondo. Per esempio il film tratto dal romanzo di Walter Veltroni, fondamentale prodotto dell'ingegno umano. Giovedì 22 dicembre si è riunita la Commissione per la cinematografia del ministero dei Beni culturali, la quale ha riconosciuto a nove film il prestigioso status di «interesse culturale».
    Una formula che, tradotta, significa soldi. Pubblici, se non fosse chiaro. Scorrendo il comunicato stampa ministeriale si scopre che tra le pellicole ritenute imprescindibili, tanto importanti da meritare l'obolo statale, c'è anche La scoperta dell'alba, perla regia di Susanna Nicchiarelli, a cui sono stati attribuiti la bellezza di 550mila euro.
    Del resto non si poteva fare altrimenti, stiamo parlando di un gioiello del nostro patrimonio culturale. Il film della Nicchiarelli, infatti, è tratto dall'omonimo libro di Veltroni, la sua prima opera narrativa di lungo respiro (in precedenza aveva vergato Senza Patricio, collezione di storielle stampata in carattere per ipovedenti onde occupare il maggior numero di pagine possibile).
    Un opus magnum accolto all'uscita, nel 2006, dal plauso incondizionato dell'intellighenzia di sinistra (non a caso a quei tempi Walter era segretario del Partito democratico). Concita De Gregorio, su Repubblica, si strappò i capelli per la gioia, spiegando che il torno veltroniano era un trionfo letterario, «un giallo, un noir, un thriller psicologico, un romanzo sugli anni di piombo, un racconto metafisico e forse onirico, una confessione autobiografica» tutto insieme.

    IL PLAUSO DEGLI AUTORI
    Il giallista Giancarlo De Cataldo, estasiato, sostenne che lo stile di Veltroni era paragonabile a Borges e che La scoperta dell'alba aveva una «fulminante conclusione». Sandro Veronesi avvicinò Walter al britannico Ian McEwan; Andrea Camilleri lo definì un narratore di «straordinaria qualità»; Dacia Maraini trovò affinità con Pirandello, Conrad e il regista Tarkovskij.
    Come si poteva, quindi, non trasformarlo in film? Significativa, poi, la scelta della Nicchiarelli dietro la macchina da presa. Costei è un'allieva di Nanni Moretti, dunque di provata fede progressista. Ed è anche abituata al sostegno statale. Il suo lungometraggio Cosmonauta, presentato un paio di anni fa alla Mostra del cinema di Venezia, ottenne 725mila euro di finanziamento.
    Meritati, ovviamente: la pellicola raccontava la vita di una comunista impegnata nel Pci. Vuoi non sganciarle nemmeno una lira? Aggiungiamo poi che la casa produttrice di La scoperta dell'alba è - in collaborazione con Rai Cinema - la Fandango di Domenico Procacci, nota perla sua militanza (ha sfornato, negli ultimi tempi, un documentario sul G8 di Genova intitolato Black Bloc, ferocemente schierato contro la polizia).
    Grazie a Repubblica, sempre attenta all'esigenze del prode Walter, apprendiamo poi che il capolavoro gentilmente foraggiato dagli italiani si avvale di un cast strabiliante. Cioè gli attori che si trovano in qualunque film de sinistra che si rispetti: Margherita Buy, Sergio Rubini, il fumettista di gran moda Gipi...
    Anche la trama pare all'altezza delle aspettative, ricca di problematiche sociali. Così recita il sito di Rai Cinema: «Barbara, quarantenne precaria all'Università, e sua sorella minore Caterina, manager di uno scalcagnato gruppo musicale, si portano dietro nelle loro vite sgangherate il peso della sparizione del padre professore universitario, avvenuta nel 1981 presumibilmente per mano delle Br...».
    Ah, la presenza della precaria quarantenne e dell'artista alternativa ci tranquillizza, ora sappiamo che il denaro è ben speso, poiché destinato a sacrosante battaglie di civiltà. Il film sarà ulteriormente impreziosito da una colonna sonora d'eccezione, realizzata dalla band torinese Subsonica, la quale ha sfornato un singolo direttamente ispirato al libro veltronesco.
    In sostanza, a fianco dell'ex segretario del Pd è scesa in campo l'élite culturale progressista, pertanto il denaro dei contribuenti non si poteva non versare. Le famiglie che patiscono la stangata montiana saranno ben felici di sacrificarsi ulteriormente conoscendo il modo in cui viene speso il loro denaro.

    ANTICA PASSIONE
    Per Veltroni, dopo tutto, il cinema è un'antica passione, coltivata fin dall'infanzia. E vari registi, negli anni passati, hanno pensato bene di assecondarla realizzando pellicole tratte delle sue pregiatissime opere letterarie. Nella relazione sull'utilizzazione del Fondo unico per lo spettacolo del 2005 leggiamo che Piano, solo di Riccardo Milani - tratto da Il disco del mondo. Vita breve di Luca Flores, musicista (libro veltroniano pubblicato da Rizzoli nel 2003) - ha ottenuto 1.945.000 euro di finanziamenti statali. Una marea di soldi.
    Peccato che nel primo weekend di programmazione nelle sale abbia incassato appena 202mila euro e dopo tre anni, nel 2008, aveva raggiunto la ragguardevole quota di 667mila euro. Nel medesimo documento del ministero si trova traccia di un altro finanziamento: 300mila euro a beneficio del documentario Forse Dio è malato, diretto da Franco Taviani e basato sull'omonimo saggio del bravo Walter.
    Facendo due conti, se ne deduce che i film tratti dai libri del politico democratico sono costati alle casse pubbliche 2 milioni e 795mila euro. Ecco perché Veltroni è sceso più volte in piazza per manifestare contro i tagli al Fondo unico per lo spettacolo: il suo era interesse culturale.


    INSUPERABILE
    «Molte volte in Ungheria si è combattuto per le libertà ignorati dal mondo. Oggi gli ungheresi dicono che la democrazia è fragile. Di nuovo». Lo ha scritto su Twitter l'ex segretario del Pd Walter Veltroni, commentando le manifestazioni di martedì a Budapest contro la nuova Costituzione varata dal governo di destra. Abbastanza evidente, anche se non espresso esplicitamente forse per pudore, un riferimento alla tragedia nazionale ungherese del 1956, quando in Occidente nessuno si mosse per impedire ai carri armati sovietici di schiacciare la rivolta popolare anticomunista.
    Il parallelo con le proteste attuali pare, esso sì, parecchio fragile, per non dire che dimostra idee poco chiare. Del resto, da un politico che dichiarò che negli anni Settanta in Italia erano gli anticomunisti a iscriversi al partito comunista ci si aspetta questo e altro.
    INSUPERABILE - Esteri - ilGiornale.it




    La bella addormentata? Svegliata da un bacio
    di Matteo Carnieletto
    Marco Bellocchio – regista italiano di fama e, secondo la cultura dominante, artista eccelso – sta per iniziare le riprese de La bella addormentata, in cui viene riproposta la storia di Eluana Englaro. Nulla di male se si volesse raccontare la verità: una donna, in stato vegetativo, è stata uccisa affinchè si potesse fare del suo caso un precedente per introdurre il suicidio assistito anche in Italia.
    Due parole su Marco Bellocchio. Regista di regime, si è schierato sempre con i poteri forti del momento: ha cantato la passione rivoluzionaria del ’68, ha firmato l’appello che avrebbe poi causato la morte di Calabresi, e – cosa da non sottovalutare – nel 2006 è stato candidato per la Camera dei Deputati per la Rosa nel pugno; guarda caso il mini partito che in Italia si batte per i falsi diritti più aberranti. Tutto questo per dire che, sicuramente, il film di Bellocchio non sarà di certo imparziale, ma sarà un manifesto pro-eutanasia.



    La regione Friuli Venezia Giulia, grazie a un ODG dell’UDC, ha deciso di non finanziare questo manifesto della morte e, apriti cielo, sono piovute critiche a destra e a manca: Riccardo Tozzi ha detto su Repubblica che «negare il finanziamento al film di Marco Bellocchio La bella addormentata significherebbe andare contro la legge e forse anche contro la costituzione». Il riferimento è, ovviamente, all’art. 21 della Costituzione, il cui incipit recita: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Letto l’articolo fino a qui, avrebbe ragione Tozzi. Tuttavia, la conclusione del medesimo articolo afferma che «sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». Se il canto della morte rientra nel buon costume, allora si finanzi La bella addormentata. Si deve però avere il coraggio di affermare che l’omicidio – questo è ciò che viene rappresentato in questo film, non la pietà di un padre – è qualcosa di buono, che deve essere un modello per la società.
    Senza dubbio, Bellocchio ha orecchio per le strategie di marketing e il suo titolo è geniale perché racchiude in sé l’oggettiva bontà e dolcezza delle favole. Mi pare, però, che Bellocchio non ricordi il finale di questa fiaba. Ho provato a rileggere La bella addormentata e, nella mia versione, il principe si ostina ancora a baciare la povera addormentata e non le stacca la spina. Proverò a controllare meglio, ma – nel frattempo – consiglio a Bellocchio di rileggere La bella addormentata.
    La bella addormentata? Svegliata da un bacio


  6. #6
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    Altro che Ungheria! In pericolo è la NOSTRA libertà !!!
    Antonio Socci
    Vedendo che Corriere della sera e Repubblica già lanciano la crociata contro il governo di Budapest, eletto da una maggioranza di due terzi, mi chiedo: siamo sicuri che noi italiani possiamo permetterci il lusso di dare lezioni all’Ungheria?
    COMPAGNO NAPOLITANO
    Temo che gli ungheresi possano dirci: cari signori italiani che volete insegnarci il liberalismo, voi avete eletto presidente della Repubblica, dunque simbolo morale di tutta la vostra nazione, e tutti i giorni incensate sui giornali (a cominciare da Corriere, Repubblica e Stampa), un uomo politico che fu dirigente del Partito comunista di Togliatti e di Stalin.
    L’on. Napolitano, nel 1956, quando i carri armati sovietici schiacciarono nel sangue il nostro popolo che chiedeva libertà, si pronunciò così: “L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo”.
    Quell’invasione (“per la pace”) massacrò 2700 ungheresi, oltre alla libertà e all’indipendenza di quel Paese. Congelando un’evoluzione che poteva iniziare allora e non nell’89.
    Noi replicheremo che Napolitano ha poi riconosciuto l’errore.
    Ci mancherebbe! Volete che quarant’anni dopo, a comunismo crollato – ci diranno gli ungheresi – esaltasse ancora l’invasione?
    Ma il passato conta e non può essere cancellato. Specie se uno non si ritira in pensione, ma diventa presidente della Repubblica. E specie se volete dar lezioni di libertà a noi.
    D’altra parte, bisogna ammettere che se si legge l’ “autobiografia politica” di Napolitano intitolata “Dal Pci al socialismo europeo” (Laterza), uscita nel 2005, alla vigilia della sua elezione al Quirinale, la “revisione” sui fatti ungheresi sembra ancora il dibattito interno al Pci: dà ragione ad Antonio Giolitti e a Di Vittorio, riconosce che avevano ragione i dirigenti comunisti ungheresi che si opposero ai carri armati e furono spazzati via, ma non dà ragione agli anticomunisti.
    Ed evita di fare i conti con tutta la verità storica…
    RIVELAZIONI SU TOGLIATTI
    Per esempio. Si era sempre scritto che il Pci avesse “solo” (sic!) applaudito sull’Unità i cingolati del tiranno e condannato gli operai che chiedevano pane e libertà come “controrivoluzionari”, “teppisti” e “spregevoli provocatori”.
    Ma Togliatti non fece solo questo. Lo si è scoperto alla fine del 1992, quando il presidente russo Eltsin consegnò al presidente ungherese i documenti riguardanti l’invasione dell’Ungheria che erano custoditi negli archivi segreti dell’ex Urss.
    Da quella documentazione si è scoperto che il 30 ottobre 1956 il presidium del comitato centrale sovietico – in linea con la destalinizzazione di Kruscev – aveva deciso all’unanimità di evitare l’intervento armato in Ungheria. Invece il giorno dopo capovolse tutto e decise di “restaurare l’ordine in Ungheria”.
    A cosa fu dovuta questa retromarcia?
    Si è ipotizzato che a modificare la prima decisione sovietica – scrivono Zaslavskj ed Aga-Rossi – “contribuirono le prese di posizione di alcuni rappresentanti del blocco comunista a favore di un intervento. A questo proposito rimane da approfondire il ruolo avuto dal telegramma di Togliatti” dove costui “definì gli avvenimenti ungheresi ‘la rivolta controrivoluzionaria’ e sollecitò il governo sovietico a prendere una posizione chiara, per evitare che assumessero una ‘direzione reazionaria’ ”.
    Questa è appunto la scoperta: una lettera (dura con gli ungheresi) di Togliatti spedita urgentemente, per telegramma, a Mosca proprio quel 30 ottobre tramite l’ambasciata sovietica.
    Togliatti – essendo stato così vicino a Stalin – aveva allora un grosso peso nel mondo comunista internazionale, infatti “all’interno dell’Unione Sovietica la sua lettera fu utilizzata dall’apparato di propaganda per giustificare l’intervento” (Zaslavskj).
    Dunque oggi si può dire che il ruolo del leader del Pci non fu solo quello di lodare i carri armati che invasero l’Ungheria per “sbarrare la strada al terrore bianco e schiacciare la controrivoluzione nell’uovo”.
    Di tutto questo Victor Zaslavskj ha scritto in due volumi del 1997 e del 2004, ma Napolitano nel suo libro del 2005 non ne fa alcuna menzione. E continua a sostenere che l’errore del Pci fu solo “la giustificazione del sanguinoso intervento”.
    E’ ANCORA COMUNISTA?
    Del resto tutta la revisione di Napolitano appare indulgente e “continuista”. Mai una vera rottura.
    Pur essendo approdato, come dice il titolo del libro, al “socialismo europeo”, da nessuna parte egli scrive che avevano ragione gli anticomunisti (come il cardinale Mindszenty o come Luigi Gedda e Pio XII).
    Non mi pare che scriva che fosse immorale e ingiustificabile sostenere le disumane tirannie comuniste e propagarne le stomachevoli menzogne.
    Anzi. Si legge talora una sorprendete apologia del Pci degli anni Quaranta, proprio il periodo di Stalin. Ci si aspettava che almeno nel 2005 Napolitano riconoscesse l’enorme merito storico della Dc, di avere letteralmente salvato la libertà e l’indipendenza dell’Italia dalla minaccia (anche militare) comunista.
    E invece scrive testualmente che “dopo le elezioni del 18 aprile 1948, la Democrazia cristiana (…) intraprese coi suoi alleati di governo una politica che risultò oscurantista e perfino liberticida rispetto ai valori della laicità dello Stato, ai diritti costituzionali dell’opposizione, alle espressioni culturali e artistiche non gradite”.
    Poi sottolinea quanto fosse “persuasiva la strategia di opposizione del Pci” elogiando “il successo di una vigorosa e ben motivata azione politica del Pci, che lo qualificò come partito difensore della Costituzione repubblicana e della libertà della cultura, e che fu certamente benefica per il paese, per la democrazia italiana” (pagg. 16-17).
    Dunque il Pci di Togliatti e di Stalin fu il salvatore della democrazia e della libertà, mentre la Dc di De Gasperi fu “liberticida” e “oscurantista”. Scritto nel 2005, alla vigilia dell’elezione al Colle.
    Vogliamo oggi dar lezioni all’Ungheria?



    NOI NON SIAMO PIU’ LIBERI
    Bisognerebbe essere stati sempre liberaldemocratici e anticomunisti, come pure antifascisti (teniamo conto che Orban fu un oppositore del regime comunista ungherese). Ma in Italia pochi lo sono stati.
    Fa bene il “Corriere” ad attaccare Orban perché “la nuova Carta rende retroattivamente ‘responsabili dei crimini comunisti’ commessi fino al 1989 i dirigenti dell’attuale partito socialista (ex comunista)”, ma noi siamo stati sempre netti nella condanna del comunismo, senza amnesie e reticenze?
    E’ giusto criticare le decisioni del governo ungherese se limitano la libertà di stampa o altre libertà o i diritti delle minoranze. Ma perché condannare il riferimento a Dio nella Costituzione (“Dio benedica gli ungheresi”), un motto uguale a quello delle istituzioni americane o inglesi?
    Il Corriere pone fra i capi di imputazione il fatto che la nuova Costituzione “stabilisce che l’embrione è un essere umano sin dall’inizio”.
    E’ forse un crimine? Li condanniamo dall’alto di milioni di aborti legalizzati in Europa? Magari mentre digeriamo senza proteste la legge sugli aborti forzati in Cina che fa milioni di vittime?
    Repubblica imputa a Orban di aver varato “una legge che toglie autonomia alla banca centrale, sfidando Bce e Fmi”. Ma la sovranità spetta ai popoli o a Bce e Fmi?
    Siamo più liberi e liberali noi italiani che abbiamo consegnato la nostra sovranità a un ente privato come la Bce o alla Bundesbank, facendoci dettare da loro il programma di governo e il nuovo governo?
    Siamo più liberi noi, ormai costretti a lavorare gratis per lo stato fino ad agosto e a consegnare alle banche i nostri stipendi, senza più neanche il diritto di prelevare liberamente i nostri soldi dovendo giustificare prima allo stato come intendiamo spenderli? Sarebbe questa la libertà che vogliamo insegnare all’Ungheria?
    Altro che Ungheria! In pericolo è la NOSTRA libertà !!! &ndash; lo Straniero

    BABINI: FAMIGLIA CRISTIANA? LA REGALO ALLA DOMESTICA. IL PAPA SI OFFENDEREBBE SE IL SETTIMANALE LO ELEGGESSE UOMO DELL'ANNO
    Bruno Volpe
    Con Monsignor Giacomo Babini, vescovo emerito di Grosseto, parliamo delle aspettative del nuovo anno 2012. Eccellenza, che cosa prevede? "Mi preoccupa molto il segnale che viene dalla gente". Ovvero? "si pensa poco al trascendente, si campa alla giornata, si respira poca cristianità in giro". Causa? "questa società, nella sua maggior parte, è malata di mondanità, che è poi l'opposto della cristianità. La gente sembra stanca e svuotata. Siamo diventati auto referenti, mettiamo l'uomo al centro ed escludiamo Dio, al quale si pensa poco. Ognuno sbatte la testa dove capita". Forse è l'effetto perverso della crisi economica: "Io sono allarmato. Ogni giorno vedo e tocco con mano, casi disperati. Quotidianamente giovani di venticinque o trenta anni, senza lavoro, chiedono l'elemosina. Ciascuno fa quello che può, ma davanti a queste realtà, bisogna pensare".
    Ci sta da essere ottimisti?
    "Ottimista è un vocabolo che non amo e che non rientra nel lessico cristiano. Il cristiano usa e sviluppa la categoria della speranza, cosa ben differente e legata alla fede. Senza fede non c'è speranza, ma senza speranza non esiste la fede e forse viene meno anche la carità".
    Intanto il settimanale dei Paolini, Famiglia Cristiana, nel suo ultimo numero in edicola, ha eletto, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, personaggio dell'anno, condivide?
    "Mi lasci perdere, poi mi dicono che sono vanesio".
    Giudizio giusto?
    "Sa, io Famiglia Cristiana la ricevo, ma la dono, come sta, alla donna che mi esegue le pulizie dentro casa".
    Napolitano personaggio dell'anno, e il Papa, allora?
    "Lasciamo stare il Papa, lui è una persona seria. Poi si offenderebbe, forse, ad essere eletto uomo dell'anno da Famiglia Cristiana".




  7. #7
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    decisamente interessante...

  8. #8
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    Vigile ucciso dal Suv, ricercati 2 nomadi slavi: "Agirono con freddezza"
    Si cercano due nomadi di orgine slava, professionisti della truffa che dopo l'omicidio hanno girato indisturbati nella zona. La procura indaga per omicidio volontario
    di Sergio Rame
    Il cerchio si stringe. I due ricercati per il brutale omicidio del vigile urbano Niccolò Savarino, travolto e ammazzato da un Suv giovedì sera, sarebbero nomadi di origine slava. Sarebbero professionisti della truffa: basta leggere il curriculum criminale dei due ricostruito compiutamente dagli investigatori. All’attivo di almeno uno ci sarebbero colpi anche ingenti. Dopo aver travolto Savarino, i due nomadi hanno agito con grande freddezza: senza mai abbandonare il Suv, sarebbero rimasti nella zona per almeno un paio d’ore nonostante il clamore dell’episodio e l’arrivo dei soccorsi.
    "Avrei dovuto svuotargli il caricatore addosso, alla macchina", ha raccontato al Corriere della Sera Gabriele Specchier, collega di Savarino. "Avrei dovuto sparare alla macchina - ha detto - e invece ho cercato di aggrapparmi alla bicicletta. Non me lo perdonerò mai". Proseguono, nel frattempo, le indagini per arrivare a rintracciare gli assassini. Gli investigatori e gli inquirenti stanno andando avanti nelle ricerche nel massimo riserbo, sebbene diverse fughe di notizie possono aver creato non pochi problemi per la risoluzione del caso. Gli investigatori della polizia locale e della polizia di Stato hanno ricostruito la dinamica del delitto: si profilerebbe la permanenza dei due nomadi nella zona, mentre sulle prime si era pensato a una precipitosa fuga. Dopo l’omicidio i due si sono fermati per togliere la bicicletta del vigile da sotto il Suv. Quando sono, poi, arrivati in via Lancetti (dove poi è stata trovato il mezzo) hanno "gentilmente" chiesto a una donna se poteva spostare la sua auto per parcheggiare.

    Vigile ucciso a Milano, Lega: colpa del buonismo di sinistra
    Boni e Salvini: "Con politica del sorriso di Pisapia i nomadi si sentono padroni della città".
    Milano, 13 gen. (TMNews) - Monta la polemica politica a Milano dopo l'uccisione del vigile urbano ieri travolto da un Suv. E continua senza tregua intanto la caccia ai responsabili dell'omicidio del 43enne Nicolò Savarino, investito volontariamente nel tardo pomeriggio di ieri a Milano.

    "C'è una sinistra che è al potere a Milano che continua a raccontarci che bisogna abbracciarli, i rom. Io sono stanco di questa gente che fa reati, che non vuol entrare in un sistema nel quale la gente civile non va in giro ad investire poliziotti". E' quanto dichiarato dal presidente del consiglio regionale lombardo, Davide Boni, ad Affaritaliani.it. Dello stesso tono il commento del leghista Matteo Salvini, secondo il quale la sinistra che governa la città dall'anno scorso ha "voluto seminare buonismo. Quello che raccogliamo sono solo delinquenti. Io non voglio criminalizzare un'intera comunità ma i campi non vengono sgomberati, e i nomadi si sono rimoltiplicati. Questa è la politica del sorriso di Pisapia".

    Sul fronte delle indagini, i sospetti degli investigatori si concentrano su alcuni cittadini di origine Sinti. "Stiamo effettuando diversi controlli su alcuni mezzi che abbiamo individuato" ha detto questa mattina il comandante della polizia locale di Milano, Tullio Mastrangelo. Su uno di questi, trovato regolarmente posteggiato in via Lancetti, sono stati compiuti diversi rilievi.

    Sulle dinamiche dell'incidente, secondo le ricostruzioni, ieri poco prima delle 18, due vigili urbani stavano effettuando un controllo a un camper di una famiglia Sinti fermo da giorni nel posteggio della stazione ferroviaria Bovisa, in piazza Emilio Alfieri a Milano. Mentre i vigili stavano parlando con i nomadi, un Suv Bmw X5 grigio metalizzato parcheggiato poco distante, e con a bordo probabilmente due persone, si è messo in moto ed è passato a fianco del camper schiacciando con una gomma il piede del proprietario del mezzo. I vigili sono intervenuti per chiedere spiegazioni e, mentre uno si rivolgeva attraverso il finestrino alle persone sul fuoristrada, l'altro agente si trovava con la sua bicicletta davanti alla Bmw.

    Improvvisamente la grossa auto è ripartita e ha travolto il vigile e la sua bicicletta, e li ha trascinati per due-trecento metri lungo via Giovanni Battista Varé fino a poco prima dell'incrocio con via Luigi Mercantini. Qui l'auto si è fermata e, secondo alcune versioni, nel tentativo di disincastrare l'agente rimasto intrappolato, ha fatto alcune manovre ed è passato con le ruote sull'uomo, rimasto poi a terra agonizzante, mentre il Suv è ripartito con ancora la bicicletta incastrata tra le ruote. Bicicletta che più tardi è stata recuperata in via Privata Catone, a circa un chilometro di distanza.

    Gli agenti della municipale aderenti al sindacato di base Usb, ricordando che nel 2011 ci sono stati circa 600 incidenti sul lavoro che hanno avuto come vittime i vigili, hanno chiesto un incontro urgente al sindaco Pisapia sul tema della sicurezza.
    TMNews - Vigile ucciso a Milano, Lega: colpa del buonismo di sinistra



    I sinistrati strepitano per certe prese di posizione della Corte Suprema USA….

    Xenofobia made in Usa
    di Michele Paris
    Con una mossa a sorpresa, alcuni giorni orsono la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di intervenire nella disputa legale relativa alla discussa legge sull’immigrazione approvata l’anno scorso dallo stato dell’Arizona. Il parere del supremo tribunale USA su questa legge profondamente anti-democratica influirà non solo sulla campagna elettorale per le presidenziali del 2012 ma anche e soprattutto sull’interpretazione dei rapporti tra gli stati e il governo federale, con conseguenze potenzialmente rovinose per tutti i cittadini americani.
    La famigerata legge adottata dall’assemblea statale dell’Arizona nell’aprile del 2010 (Arizona Senate Bill 1070) conteneva disposizioni gravemente lesive dei diritti civili ed era giunta nel pieno di un’ondata xenofoba alimentata da ambienti di estrema destra come i Tea Party, in quel momento al centro dell’attenzione di quasi tutti i principali media d’oltreoceano.
    Tra i punti più controversi della legge c’era la facoltà assegnata alle forze di polizia locali di fermare chiunque fosse sospettato di essere un immigrato illegale per verificare la regolarità dei documenti in suo possesso. L’attenzione delle autorità avrebbe potuto essere rivolta verso qualsiasi individuo che avesse sollevato un “ragionevole dubbio” sul proprio status di immigrato irregolare. Inoltre, la stessa legge trasformava in reato anche solo la ricerca d’impiego da parte di un immigrato senza documenti, così come la fornitura di assistenza e protezione agli irregolari.
    La legislazione approvata in Arizona ha successivamente ispirato una serie di iniziative simili in altri stati - tutti amministrati dai repubblicani, come Alabama, Carolina del Sud, Georgia, Indiana e Utah - con le quali si cerca in tutti i modi di discriminare gli immigrati, escludendoli dall’accesso alla casa, al lavoro e all’educazione.
    Contro la legge SB 1070 dell’Arizona, nel luglio dello scorso anno l’amministrazione Obama aveva intentato un’azione legale presso il circuito federale. La mossa della Casa Bianca non era dettata in realtà dalla natura anti-democratica del provvedimento, come dimostrano gli 1,2 milioni di lavoratori immigrati deportati in questi ultimi tre anni contro poco più di un milione e mezzo durante gli otto anni dell’amministrazione Bush. A motivare Obama è stato bensì il principio costituzionale per cui la facoltà di regolare le questioni relative all’immigrazione spetta esclusivamente all’autorità federale centrale, e non ai singoli stati.
    Su queste basi, ad aprile di quest’anno, la Corte d’Appello federale per il Nono Circuito, con sede a San Francisco e giurisdizione sull’Arizona, ha così cancellato alcune delle più odiose disposizioni della legge in questione. Su questa sentenza la Corte Suprema ha però deciso ora di dare la propria opinione che, alla luce della composizione del tribunale e dei precedenti più recenti, con ogni probabilità determinerà il ripristino della legge dell’Arizona nella sua sostanziale integrità.
    Significativamente, la decisione di rivedere il verdetto della Corte d’Appello federale è stata presa di propria iniziativa dalla Corte Suprema, contro il parere della stessa amministrazione Obama che chiedeva invece di lasciare inalterata la sentenza che ha bloccato la legge. La sola scelta di intervenire sulla questione sembra perciò prefigurare la posizione della maggioranza all’interno della Corte Suprema. Per questo, le reazioni della destra americana sono state a dir poco euforiche, a cominciare dalla governatrice dell’Arizona, Jan Brewer, che aveva firmato la legge nella primavera del 2010.
    A far prevedere un esito favorevole ai sostenitori della legge anti-immigrazione è stata anche la decisione di ricusare se stessa presa da Elena Kagan. Quest’ultima, scelta per far parte della Corte Suprema l’anno scorso da Obama e di orientamento moderatamente progressista, prima della sua nomina aveva infatti lavorato per la Casa Bianca, ora coinvolta nel procedimento legale. Il venir meno del suo voto rende ancora più confortevole il margine del blocco conservatore all’interno della Corte.
    Sulla questione dell’immigrazione, oltretutto, nel maggio scorso la Corte Suprema aveva già emesso un verdetto favorevole ad un’altra legge dello stato dell’Arizona, secondo la quale possono essere inflitte pesanti sanzioni a quelle aziende che danno impiego agli immigrati irregolari.
    La decisione di intervenire sulla legge SB 1070 dell’Arizona conferma ancora una volta il netto spostamento a destra del tribunale costituzionale americano in questi anni e una chiara volontà di condizionare il dibattito politico nel paese promuovendo un’agenda di stampo reazionario. A conferma di ciò, solo nel corso di questo anno giudiziario, sono attese altre importanti decisioni da parte della Corte Suprema, alcune delle quali giungeranno nel vivo della campagna elettorale 2012.
    I nove giudici si esprimeranno ad esempio su questioni che potrebbero avere conseguenze sul futuro del sistema sanitario e sull’assegnazione di una manciata di seggi al Congresso. Nel primo caso la Corte dovrà decidere la costituzionalità dell’obbligo di acquisto di una polizza assicurativa da parte di tutti gli americani, come previsto dalla riforma sanitaria di Obama. Nel secondo è da stabilire la legittimità di una mappa imposta da un tribunale federale del Texas che ha ridisegnato i confini di alcuni distretti elettorali in questo stato dopo che il Parlamento locale a maggioranza repubblicana aveva approvato un proprio piano sfavorevole ai candidati democratici.
    È la decisione sulla legge dell’Arizona, tuttavia, che sembra avere le implicazioni più profonde, tali addirittura da incidere sull’assetto istituzionale americano. Secondo la costituzione USA, è il Congresso federale ad avere la facoltà esclusiva di “stabilire una legge uniforme sulla naturalizzazione”.
    Un dettato questo che ha influito sui precedenti verdetti della Corte Suprema in materia d’immigrazione e che ha dunque tradizionalmente escluso per i singoli stati la possibilità di approvare proprie leggi in questo ambito. La decisione che si attende dalla Corte rischia invece di ribaltare completamente questo punto di vista, facendo sentire i propri effetti ben al di là della legge partorita dai repubblicani in Arizona.
    Come hanno fatto notare alcuni commentatori, la disputa fra gli stati e il governo/congresso federale riporta alla mente i tentativi delle assemblee statali di bloccare l’applicazione della legislazione sui diritti civili degli anni Sessanta. Proprio queste e altre leggi progressiste adottate negli USA - riguardanti non solo la discriminazione razziale, ma anche questioni come il lavoro minorile, il salario minimo o, appunto, il rispetto dei diritti degli immigrati - potrebbero essere a rischio se la Corte Suprema dovesse fissare un nuovo principio che assegna maggiore autonomia decisionale ai singoli stati in questi campi.


  9. #9
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    Negli eleganti palazzi del centro di Milano si aggira un nuovo tipo di Indignato. È l’immagine stessa del benessere: borghese, distinto, educato. Eppure negli ultimi tempi pare risentito, quasi rancoroso. Nella scorsa primavera aveva votato il sindaco Giuliano Pisapia al fine di spazzare via il centrodestra e far trionfare i buoni propositi. «Questa - spiegava convinto ai vicini berlusconiani - è la capitale morale del Paese. Dobbiamo riscoprire la nostra vocazione imprenditoriale, rilanciare la cultura, rinnovare la secolare tradizione d’accoglienza. E poi i bambini non riescono a respirare. Bisogna abbattere le polveri sottili. Ci vuole Pisapia. È tempo di passare dalla teoria alla pratica».
    Ed eccola, finalmente, la pratica. Oggi l’Indignato, dopo aver accompagnato (in macchina) i figli alla scuola privata, suona il citofono e si presenta alla porta con una cartelletta in mano. Contiene la petizione di condominio contro l’Area C introdotta dal sindaco, «una misura esosa e penalizzante - spiega - per chi tiene in vita i quartieri all’ombra della Madonnina». All’Indignato sembra inconcepibile che, con le nuove regole, anch’egli debba sborsare il pedaggio antismog, nonostante a tempo debito si fosse dotato di una automobile poco inquinante, e quindi esentata dal pagamento dell’Ecopass morattiano. Al che il berlusconiano di cui sopra, da sempre contrario perfino all’Ecopass, figuriamoci all’Area C, trasecola. La Giunta non ha fatto altro che tradurre in realtà i propositi buttati giù nero su bianco. Era tutto scritto nel programma del centrosinistra. Comunque la si pensi, si direbbe un caso di ammirabile coerenza, no? No, perché i principi sono belli, ma quando toccano il portafogli diventano meno belli anche per la borghesia progressista.
    Che rispondere all’Indignato? Verrebbe voglia di dirgli: hai voluto il sindaco comunista, tutto tasse e belle parole? Allora paga. Dalle tasse alle belle parole. Il veglione di Capodanno in piazza del Duomo, organizzato dal Comune, non era filato liscio. Un po’ squallido, si diceva, nonostante le finalità nobili (beneficenza) e l’impegno profuso dai protagonisti (Vinicio Capossela, tra gli altri). Un po’ pericoloso, si aggiungeva, visto che molti presenti, infischiandosene dell’ordinanza contro i botti, avevano scagliato petardi sul resto del pubblico. Sul Corriere della Sera del tre gennaio, la lettrice Diletta Colombo ha fornito un resoconto della nottata. Ecco alcuni passaggi della lettera pubblicata dal quotidiano. Premessa: «Siamo arrivati in piazza, giovani e famiglie, sperando di vivere lo stesso clima che si era respirato alla vittoria di Pisapia». Svolgimento: «Chi era venuto per vedere il concerto era circondato da giovani adulti, quasi esclusivamente uomini e di origine straniera, che sparavano botti e prendevano di mira le persone con violenza». Conclusione: «Il risultato è stato l’impossibilità di convivere in modo sereno nello stesso spazio, separati nettamente dai petardi e da nazionalità diverse».
    Inutile scomodare un sociologo per una serata finita male ma forse sarebbe utile riflettere su quanto fossero retoriche le uscite dei sostenitori di Pisapia sulla città laboratorio in cui etnie diverse convivono serenamente. La realtà è un’altra cosa. I milanesi se ne stanno accorgendo. Anche quelli che abitano in centro.
    Avete voluto il sindaco rosso? E ora pagate - Interni - ilGiornale.it



    Vincenzi: «Sono di destra e razzisti, di loro non me ne frega niente»
    di Redazione –
    Genova
    «Questi qui son di destra, non me ne frega niente, non hanno mica votato per me. Sono razzisti e teste di cavolo ... ma chi se ne importa», il fuori onda della sindaco Marta Vincenzi, captato dal consiglio comunale dell'altro giorno a Tursi e trasmesso dalla televisione, passa di mail in mai tra il popolo dell'opposizione. La Vincenzi si mostra vera... anche nell'accento nostrano quando, a chi le fa notare che «tanti insulti così non li hai mai presi», lei risponde che si tratta di gente della Lega, che non ha votato per lei, che non gliene «frega niente». Altro che sindaco di tutti, altro che considerazione per chi vive al Lagaccio e chiede di non dover avere come vicino di casa una grande moschea con annessi e connessi. E il consigliere leghista Edoardo Rixi inviata la sindaco a chiedere almeno scusa. Intanto dopo che la mozione per dire no alla moschea al Lagaccio è stata respinta Gianni Plinio e Matteo Rosso (Pdl) chiedono che qualunque riflessione in proposito «venga rinviata a dopo le elezioni amministrative». Loro sono pronti ad avviare le procedure per un referendum consultivo.
    Vincenzi: «Sono di destra e razzisti, di loro non me ne frega niente» - Genova - ilGiornale.it


    Non hai pianto Kim Jong-Il? Sei mesi di campo di lavoro
    I coreani poco inclini al lutto per la morte del Caro leader saranno processati e spediti ai campi di formazione o nelle aree agricole più remote del Paese
    di Andrea Cortellari -
    Emozionarsi? È un dovere di Stato, un atto dovuto, regolato da specifiche misurazioni della quantità di dolore provato o non provato e di conseguenti pene per chi non sia in grado di mostrare sufficiente attaccamento al lutto.
    Succede in Corea del Nord, a sentire il quotidiano Daily NK, dove il Paese ha appena smesso di piangere la morte del suo "caro leader" Kim Jong-Il e il suo successore ha aperto la caccia alle streghe nei confronti di quanti non si siano lasciati andare a quantità politicamente corrette di lacrime nei momenti dedicati all'ex capo di stato.
    Prima la pubblica critica e il processo, poi la decisione da parte delle autorità preposte di passare all'esecuzione delle pene nei confronti dei cittadini troppo poco convinti nel piangere la scomparsa del dittatore. Una commemorazione non adeguata della morte del tiranno coreano può costare molto cara.
    Quanto e cosa è presto detto. Sei mesi, da trascorrersi in campi di formazione-lavoro, un periodo in cui fare ammenda per non aver partecipato al lutto nazionale o per averlo fatto sì, ma sembrando davvero poco convinti. Nei campi di rieducazione, o nelle aree agricole più remote del Paese, finiranno non solo i cittadini poco propensi al pianto, ma anche chi ha osato criticare ampiamente il passaggio di poteri diretto da Kim Jong-Il a Kim Jong Un, che rappresenta la terza generazione della famiglia a guidare la Corea del Nord.
    Non hai pianto Kim Jong-Il? Sei mesi di campo di lavoro - Esteri - ilGiornale.it




    Viene in mente la famigerata “legge sui sospetti” che, durante la satanica rivoluzione francese, considerava praticamente come reato pure il non essere entusiasti per la rivoluzione ….

    http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_dei_sospetti

  10. #10
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    Predefinito Rif: Comunisti, progressisti, sinistrati & affini…

    Il Castello sotto assedio. Dei vu’ cumprà
    LA CITTÀ IN VETRINA Sforzesco trasformato in suk. Borse, cinture, elicotterini, aquiloni e gelatine. Turisti accerchiati e chi ci va con i figli è spacciato. I venditori sono decine e fanno un vero e proprio "mobbing commerciale". Neppure un vigile, ma come dice la giunta "non siamo in guerra..."
    di Antonio Ruzzo
    Milano
    Chissà cosa avranno pensato le migliaia di supporter leghisti che ieri, all’ora di pranzo, tornavano dal Duomo e attraversavano il Castello per raggiungere i bus che li avevano portati in città dalle valli. Ma non solo loro che con i vu cumprà hanno un po’ il nervo scoperto. Chissà ad esempio cosa avranno pensato le migliaia di turisti arrivati nei giorni scorsi per la coppa del mondo di sci di fondo e che per un week-end hanno invaso il Parco Sempione e la città.
    Il Castello Sforzesco è «sotto assedio» e se ne rende conto, anche chi dalle ideologie della Lega è lontano anni luce. É impossibile far finta di niente. Non ci sono armate e cavalieri da fronteggiare ma un esercito di vu cumprà a cui le giunte passate avevano dichiarato guerra e a cui ora nessuno dice più nulla. Si va spesso da un estremo all’altro, si ragiona e si agisce sempre per categorie politiche quando invece per dare una regola a certe situazioni basterebbe solo un po’ di buon senso. E così tra venditori di braccialetti, borse, cinture,sciarpe, guanti, cappellini, libri ed altre ammiccanti stupidaggini, la passeggiata tra le mura, i musei e i cortili sforzeschi diventa una vero e proprio tormento. In pratica si passa più tempo a dire «no grazie, non mi interessa...», a sforzarsi di non essere scortesi quando l’eccessiva insitenza diventa petulante, a dribblare le decine di venditori di turno che a guardarsi intorno o a cercare di leggere le indicazioni per le sale di esposizione. É un vero e proprio pressing, un «mobbing» commerciale fastidioso che sembra il reality di una televendita. Per gli adulti non è semplice sottrasi ma basta allungare il passo e si fila via. Chi invece si muove con due o tre figli piccoli al seguito è spacciato.
    La sala delle armi? Il museo egizio? Quello degli strumenti musicali? Magari... Per arrivarci bisogna prima trascinar via i piccoli che vengono avvistati, avvicinati e bloccati da chi gli vuol «regalare» l’elicotterino che vola davvero, la gelatina insitruttibile che si lancia contro i muri e vetri senza sporcare, i piccoli aquiloni luminescenti che vanno verso il cielo e poi tronano giù. «Dai papà, me lo ha regalato...».
    Regalato un bel niente, perchè dopo averlo messo in mano a tuo figlio il sorridente venditore viene da te o da tua moglie e giustamente batte cassa. E se non vuoi trattare e rendi il prodotto si secca anche un po’. Sono le leggi del marketing e del mercato applicate con estrema abilità alle vendite ambulanti. Non si scappa. E il tuo no, il tuor rendere il giochino a chi lo aveva con tanta benevolenza «donato», il tuo non voler dare un’offerta diventano l’atto di una papà o di una mamma cattivi e senza cuore. Vaglielo a spiegare ai tuoi figli in lacrime che nella Babele che è oggi il Castello una volta c’erano gli Sforza. Già, vaglielo a spiegare che basterebbe una pattuiglia di vigili a passeggio o una semplice divisa tra le mura perchè lo Sforzesco tornasse un po’ più Castello e un po’ meno Babele. Ma le divise oggi a Milano danno un po’ fastidio...non siamo mica in guerra.
    http://www.ilgiornale.it/milano/il_c...e=0-comments=1

    Affitti e lavoro, da Pisapia aiuti alle coppie omosessuali
    Nel fondo anti-crisi contributi anche alle unioni omosessuali.
    di Chiara Campo
    Milano
    Altre scintille nel Pd a Palazzo Marino. L’assessore alla Politiche sociali Pierfrancesco Majorino ha annunciato con nonchalance che da ieri i contributi fino a 5mila euro destinati alle famiglie in difficoltà lavorativa per la crisi economica e per le spese sull’acquisto della prima casa e l’affitto andranno anche alle coppie di fatto. Etero e gay.
    L’aiuto viene erogato «a chi ha un reddito Isee inferiore a 25mila euro ed è sposato o risulta coabitante nello stato di famiglia per sussistenza di vincolo affettivo al primo gennaio 2012». Il Fondo da 2 milioni istituito dall’ex sindaco Letizia Moratti assegnava 5mila euro per l’acquisto della casa solo a coppie sposate e residenti a Milano da almeno 5 anni. «Li hanno chiesti solo tre famiglie» riferisce Majorino.
    La giunta ieri ha creato un fondo unico flessibile: sostegno a chi perde il lavoro, acquisto e affitto di casa. Resta il tetto dell’età, 40 anni. Scompare quello dei 5 anni di residenza che aveva preteso in passato la Lega. «Non aiutiamo solo i milanesi doc» afferma Majorino, quindi gli stranieri arrivati da poco potranno avere i soldi del Comune, basta che siano iscritti all’Anagrafe dal primo gennaio.
    Ma la bomba è sulle coppie di fatto. «Per la prima volta inseriamo nel bando persone legate da vincolo affettivo, anche dello stesso sesso, possano iscriversi all’Anagrafe nello stato di famiglia». E avere quindi accesso alle agevolazioni e agli sconti del Comune. Chiaramente un provvedimento apripista.
    http://www.ilgiornale.it/milano/affi...e=0-comments=1

    Coppie gay, Pisapia «scomunicato»
    di Redazione –
    Il colpo di mano con cui la giunta Pisapia due giorni fa aperto per la prima volta il bando per accedere ai fondi anticrisi per la casa alle unioni civili, anche gay, ha provocato una frattura nel Pd e un durissimo attacco dalla stampa cattolica. Ieri il quotidiano «Avvenire» ha criticato il sindaco, «la peggiore ingiustizia, lo insegnava anche don Lorenzo Milani, è trattare in maniera uguale situazioni differenti. Sconcerta che Pisapia, avvocato e uomo di legge, scelga di ribaltare le fonti del diritto anteponendo una legge amministrativa addirittura alla Costituzione»».

 

 
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