Giovanni Boccaccio: tutto il Decameron, e in particolare le sue quattro prime novelle, sono squille di laicità. Nella terza Melchisedec giudeo dice di Roma: "Quivi niuna santità, niuna divozione, niuna buona opera o esemplo di vita o d’altro, in alcuno che chierico fosse, veder mi parve; ma lussuria, avarizia e gulosità e simili cose e piggiori (se piggiori esser possono in alcuno) mi vi parve in tanta grazia di tutti vedere, che io ho piuttosto quella per una fucina di diaboliche operazioni che di divine"
Per questo si converte al cristianesimo, pensando che solo lo Spirito Santo può sostenerlo, essendo tali i preti in Roma.
Francesco Petrarca: il più mite dei poeti così riferisce della corte papale:
"Fiamma dal ciel su le tue trecce piova
nido di tradimenti, in cui si cova
quanto mal per lo mondo oggi si spande;
in cui lussuria fa l’ultima prova.
Per le camere tue fanciulle e vecchi
vanno danzando, e Belzebub in mezzo
co’ mantici, col foco e cogli specchi"
Leonardo da Vinci: nelle sue "Profezie" deride le "bugiarde scienze mentali", come la teologia, e le confessioni e le indulgenze, e stigmatizza ironicamente il lusso della chiesa: "Assai saranno che lascieranno gli esercizi e le fatiche e povertà di vita e di roba, e andranno abitare, nelle ricchezze e trionfanti edifizi, mostrando essere questo il modo di farsi amico a Dio".
Niccolò Machiavelli: noto il suo spirito laico:
"Quelli popoli che sono più propinqui alla Chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno religione"
Vale la pena ricordare a chi risale la sentenza che "il fine giustifica i mezzi", per la quale è stato tanto vituperato dai preti. Nel 1503 egli scriveva alla signoria di Firenze che il cardinal Riario, nipote di Sisto IV, gli aveva detto che "di tutte le cose gli uomini guardavano più al fine che ai mezzi". E più tardi, nella Mandragola, lo fa ripetere al cinico fra Timoteo: "Oltre di questo, il fine si ha a riguardare in tutte le cose". Date a Machiavelli ciò che è di Machiavelli, e ai cardinali ciò che è dei cardinali.
Francesco Guicciardini: Nei Ricordi dichiara:
"Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e’ barbari, e liberato il mondo dalla tirannide di questi scelerati preti".
Michelangelo Buonarroti: riprende l’invettiva dantesca contro il Vaticano:
"Qua si fa elmi di calici, e spade
E ’l sangue di cristo si vende a giumelle,
E croce e spine son lance e rotelle:
E pur da Cristo pazienza cade".
Torquato Tasso: ossessionato dai timori religiosi e accusato davanti alla santa Inquisizione, si lamenta:
"Che con sottili artifici gli erano stati fatti tenere, fuor d’ogni sua intenzione, alcuni libri proibiti: oltre che era consapevole a se stesso di aver detto con alcuni...alcune parole assai scandalose, le quali potevano porre alcun dubbio di sua fede". E aggiunge: "Il supplicante è stato fatto restringere come peccante di umor melanconico, e fatto purgare contro sua voglia".
Fra Paolo Sarpi: nella sua Storia del Concilio di Trento, per la quale fu perseguitato dai gesuiti, annota:
"Se mai vi fu causa di permettere ai chierici il matrimonio, era ... che di cinquecento sacerdoti cattolici appena se ne trova uno che non sia fornicario ..., e che par grande assurdità non admettere chierici ammogliati e tolerar li fornicari: e il voler rimanere ambidui, essere un voler restare senza ministri".
Giuseppe Parini: abate, come membro di una commissione per la riforma degli studi, denuncia:
"La mediocrità, la bassezza e la corruttela in tutti i generi di scuole formalmente poste o tacitamente ridotte sotto la direzione dei frati (gesuiti) ... e l’estremo decadimento delle Università (dove) l’esser cadute quasi sempre in mano dei frati ha introdotto il medesimo spirito corrotto, falso e fazionario, che si rivede nelle loro istituzioni, nei loro collegi e nelle scuole in qualsivoglia modo pervenute sotto la loro cura".
Galileo Galilei: nota la storia della sua forzata abiura, meno noto il suo spirito caustico nel parlare di preti e frati, nel suo capitolo in biasimo della toga:
"E se tu vuoi conoscere i sciaurati
uomacci tristi e, senza discrizione,
basta che tu conosca i preti e i frati,
che son tutti bontà e divozione".
Tommaso Campanella: altro grande perseguitato, scampò al rogo, ma passò la vita in prigione. Così si rivolge a Cristo:
"I tuoi seguaci, a chi ti crocifisse,
più che a te crocifisso, simiglianti,
son oggi, o buon Giesù, del tutto erranti
da’ costumi, che ’l tuo senno prescrisse.
Lussurie, ingiurie, tradimenti e risse...".
Vittorio Alfieri: così inveisce contro lo Stato di Roma, territori senza Stato e chiese senza religione:
"Vuota insalubre region che Stato
ti vai nomando: aridi
campi incolti...
ricchi patrizi, e più che ricchi stolti:
prence, cui fa sciocchezza altrui beato:
Città, non cittadini: augusti tempj,
religion non già: leggi, che ingiuste
ogni lustro cangiar vede, ma in peggio;
Chiavi, che compre un dì schiudeano agli empj
del ciel le porte, or per età vetuste:
Oh, se’ tu Roma, o d’ogni vizio il seggio?"
Ugo Foscolo: il primo a interpretare la storia della letteratura fuori dagli schemi frateschi, deplorando che il clero "abbia l’educazione dei giovani interamente nelle proprie mani", annota:
"L’educazione può essere così congegnata da produrre soltanto abilità mediocri, e i collegi dei Gesuiti affollarono l’Italia di versificatori, di declamatori e di autorucci, pieni di affettazione e di mal gusto. E se quell’epoca produsse alcun uomo meritevole per i posteri di ammirazione e di riconoscenza, si troverà esser uomo e avere scritto sempre in stato continuo e pericoloso di guerra coi Gesuiti"
Alessandro Manzoni: difensore della morale cattolica e della chiesa, avendo votato, come senatore del Regno, per la proclamazione di Roma a capitale d’Italia, incorse nella scomunica e fu perciò sepolto nel cimitero degli a-cattolici, ove tuttora il suo corpo riposa.
Luigi Settembrini: spirito religioso e liberale, patì il carcere borbonico, e sapeva perché:
"Tra i preti più indegni il governo sceglie i più stupidi e malvagi, li nomina vescovi e loro affida la cura delle anime, l’istruzione, la polizia della diocesi, e la vigilanza della coscienza di tutti. Onde i vescovi sono potenti spie degli intendenti di polizia".
Giuseppe Mazzini: spirito religiosissimo e campione di democrazia:
"Libertà e Papa stanno in contraddizione. Ora, nella questione che s’agita fra il Papa e la libertà, a chi spetta vittoria? ... In quale delle due teoriche, rappresentate dal Papa e dalla libertà, vi è speranza? Parliamo ai preti in buona fede. Deponiamo ogni stimolo di passione, ogni vanità di difesa, e guardiamo attorno...".
Giuseppe Garibaldi: "La nostra bella patria sarà grande quando sarà sanata dalla nera scrofolosa genia dei gesuiti e dei gesuitanti ... Io mi figuravo con ragione essere giunto il tempo di dare il crollo alla baracca pontificia ed acquistare all’Italia l’illustre sua capitale... Tutto prometteva infine la caduta del prete, nemico del genere umano".
Francesco De Sanctis: "Vogliamo insegnare la verità per mezzo della menzogna, e inculchiamo negli altri certe idee, di cui ci beffiamo nel secreto della coscienza, e gridiamo contro i preti, e ci mettiamo sul capo il berretto del prete". E ammonisce "Né i concordati rinvigorirono la fede, né le costituzioni rinvigorirono le libertà".
Benedetto Croce: "Tutto questo fermento ... generò nel 1846 un papa liberale, Pio IX. Un impossibile, nella logica e nella realtà".
Antonio Gramsci: "...il sofisma pseudostoricistico per cui pedagogisti a-religiosi (aconfessionali) e in realtà atei, concedono l’insegnamento della religione cattolica perché la religione è la filosofia dell’infanzia dell’umanità che si rinnova in ogni infanzia non metaforica".
Forse occorrerebbe indagare meglio attraverso quali sofismi pseudostoricistici si è giunti oggi a estendere quell’insegnamento dai tre ai diciannove anni.