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    Predefinito Bisogna affamare la bestia!

    Da “La Bussola” del 29.11.11, Danilo Quinto: in Italia, “1milione e 300mila persone vivono – direttamente o indirettamente – di politica. 145 mila tra Parlamentari, Ministri, Amministratori Locali di cui 1.032 Parlamentari nazionali ed europei, Ministri e Sottosegretari; 1.366 Presidenti, Assessori e Consiglieri regionali; 4.258 Presidenti, Assessori e Consiglieri provinciali; 138.619 Sindaci, Assessori e Consiglieri comunali; 12 mila consiglieri circoscrizionali; 24 mila persone nei Consigli di Amministrazione delle 7 mila società, Enti, Consorzi, Autorità di Ambito partecipati dalle Pubbliche Amministrazioni; quasi 318 mila persone che hanno un incarico o una consulenza elargita dalla Pubblica Amministrazione; la massa del personale di supporto politico addetto agli uffici di gabinetto dei Ministri, Sottosegretari, Presidenti di Regione, Provincia, Sindaci, Assessori Regionali, Provinciali e Comunali; i Direttori Generali, Amministrativi e Sanitari delle ASL; la massa dei componenti dei consigli di amministrazione degli ATER e degli Enti Pubblici”. Ah, le “auto blu” sono 72mila.
    Rino Cammilleri – Antidoti contro i veleni della cultura contemporanea

    “Il governo è il problema, non la soluzione”.

    “Bisogna affamare la bestia!".

    Ronald Reagan



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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    Casta, schiaffo ai tecnici: salvati gli stipendi d'oro

    Bechis: dopo sei mesi la Commissione che doveva alleggerire la busta paga dei parlamentari si arrende, troppo delicato

    di Franco Bechis

    Gli stipendi della Casta sono salvi. La commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, che entro il 31 dicembre 2011 avrebbe dovuto stabilire se e come tagliare i trattamenti economici di deputati, senatori, politici degli enti locali, giudici, dirigenti e boiardi di Stato, ha gettato la spugna. Tutto messo nero su bianco in un documento pubblicato ieri: «Tenendo conto della estrema delicatezza del compito, nonché delle attese dell’opinione pubblica sui suoi risultati, la Commissione non è in condizione di effettuare il calcolo di nessuno delle medie di riferimento con l’accuratezza richiesta». Tradotto in pratica: mentre tutti gli italiani stanno versando sangue per la Patria bersagliati da nuove tasse, i Dracula che glielo stanno portando via hanno salvato vene e portafogli.
    La commissione Giovannini doveva confrontare gli stipendi dei politici italiani con quelli dei sei principali paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria), e segnalare - tenendo conto della grandezza del Pil di ciascuno - se e di quanto indennità e benefit dovevano essere sforbiciati. Il compito era stato dato a luglio da Giulio Tremonti, e alla fine di quel mese la commissione si è insediata. I magnifici sei avevano un compito principale banale: confrontare le indennità dei parlamentari italiani, i benefit a loro disposizione, il trattamento di fine rapporto e quello previdenziale con quello degli altri sei parlamenti europei. Libero lo ha fatto impiegando fra ricerca e composizione delle tabelle sei ore: i dati sono pubblicati on line in tutti i paesi. I professori in sei mesi hanno fatto un buco nell’acqua. E adesso chiedono altri tre mesi di tempo per vedere di mettere a posto i dati che confusamente sono appiccicati qua e là nelle 38 pagine di documento rilasciato ieri con la data del 31 dicembre. Invece di consultare Internet i commissari hanno scelto vie complicatissime. Hanno coinvolto gli esperti della presidenza del Consiglio dei ministri, e poi scaricato sulla rete di ambasciate italiane dei sei paesi l’onere della raccolta informazioni. A quattro mesi dall’inizio dei lavori hanno provato subito a gettare la spugna, comunicando al nuovo premier Mario Monti che non sarebbero riusciti a compiere il lavoro entro la data prevista del 31 dicembre. Monti non ha voluto sentire scuse, e, anzi, ha ribadito quella data nel decreto salva-Italia, facendo arrabbiare deputati e senatori e prendendosi pure una tirata di orecchie dal presidente della Camera, Gianfranco Fini.
    Il premier ha abbozzato, ma la norma è restata in decreto, chiedendo di avere quel confronto entro il 31 dicembre almeno per deputati e senatori (la cosa più semplice) con la possibilità di limare i dati per tutte le categorie entro il 31 marzo 2012. I professoroni, riluttanti, si sono messi a ideare complicate formule matematiche e piccole equazioni per ponderare emolumenti, pil e potere di acquisto dei parlamentari di ciascun paese. Alla fine un minimo di tabella è venuto fuori, intimando alla stampa di non pubblicarla se non integrata delle paginate di avvertenze del documento. Cosa impossibile. Ma si può andare al sodo: l’indennità lorda dei deputati italiani (11.283,3 euro al mese) è la più alta dei sette paesi Ue. Le altre vanno da un minimo di 2.813,9 euro in Spagna a un massimo di 8.503,9 euro nei Paesi Bassi. La diaria di 3.503,1 euro di cui godono gli italiani è concessa solo in Germania (dove ammonta a 3.984,4 euro, ma lì il Pil è molto più alto). Le spese per i collaboratori solo in Italia finiscono nelle tasche del parlamentare (3.690 euro al mese), negli altri paesi provvedono i parlamenti entro certi tetti di spesa. Anche sui benefit sono gli italiani ad avere quelli più alti e generosi. La vera differenza che salta all’occhio è nella cifra che finisce direttamente in tasca (stipendio lordo più benefit esentasse) ai parlamentari. Gli italiani ricevono 20.108 euro lordi mensili; i francesi 13.930,23 euro; i tedeschi 12.652,4 euro; i belgi 9.266 euro; gli olandesi 8.735,2 euro; gli austriaci 8.649,1 euro e gli spagnoli 4.637,2 euro.
    Bastano questi dati per sapere cosa fare: fine dei rimborsi a forfait, taglio alle indennità base, tetti di spesa dietro presentazione di ricevuta compatibili con quelli medi degli altri paesi. Quanto ai vitalizi, l’Italia è il paese di Bengodi: nessun altro li ha paragonabili né per struttura né per importo economico. In tre paesi non esistono. In Spagna è solo una pensione integrativa che scatta dopo 11 anni di mandato. In Germania copre giustamente i periodi di mancato versamento avendo interrotto la vita professionale (non esistono contributi figurativi come in Italia). In Francia esiste, ma è uin quarto di quello italiano. Ma con il gran pasticcio della commissione-verità che ha gettato la spugna, semplicemente non si farà nulla: la Casta ancora una volta ha salvato la pelle.
    Casta, schiaffo ai tecnici: salvati gli stipendi d'oro - casta. mario monti, stipendi, parlamentari, busta paga - liberoquotidiano.it

    IL DOPPIO LAVORO DEGLI STATALI: CONSULENZE E INCARICHI PRIVATI
    IL RAPPORTO DELLA G.D.F. METTE IN LUCE 3.300 CASI… CON O SENZA PARTITA IVA ALCUNI DIRIGENTI E FUNZIONARI SVOLGONO ALTRE ATTIVITA’


    Fiorenza Sarzanini
    (da “Il Corriere della Sera“)

    C’è chi timbra il cartellino ed esce subito dopo, chi sbriga in ufficio le pratiche dei suoi clienti privati.
    Addirittura chi accetta consulenze su progetti che poi dovrà valutare per conto dell’Amministrazione.
    Sono i dipendenti pubblici che svolgono il doppio lavoro senza aver ottenuto l’autorizzazione. E in questo modo causano un grave danno all’erario.
    Sono i numeri a dimostrarlo.
    Negli ultimi tre anni sono circa 3.300 gli impiegati e i funzionari, anche di livello alto, scoperti dalla Guardia di Finanza e dagli ispettori della Funzione pubblica a svolgere attività esterne.
    Hanno guadagnato illecitamente oltre 20 milioni di euro, causando un danno alle casse dello Stato che sfiora i 55 milioni di euro.
    Il settore degli sprechi nella spesa pubblica si conferma, dunque, quello dove maggiormente bisogna intensificare controlli e verifiche per recuperare denaro e soprattutto evitare ulteriori perdite.
    La dimostrazione è nella relazione annuale delle Fiamme gialle sul fenomeno dei «doppi stipendi» che evidenzia i dati relativi al periodo che va dal 2009 al 2011 e soprattutto fa emergere i casi più eclatanti.
    E nella quale viene sottolineata «l’importanza di intervenire nel settore degli sprechi della spesa pubblica che da un punto di vista ragionieristico pesa quanto e forse più di quello delle entrate fiscali.
    Un’importanza che oggi traspare in maniera ancor più evidente in ragione del perdurante momento di crisi e degli impegni politici assunti dall’Italia nei confronti della comunità internazionale, i quali impongono che le risorse disponibili siano spese sino all’ultimo euro per sostenere l’economia e le classi più deboli, eliminando sprechi, inefficienze e - nei casi più gravi - distrazioni di fondi pubblici che rappresentano un ostacolo alla crescita del Paese».
    Nel dossier gli analisti della Finanza sottolineano come «non sia possibile stereotipare il profilo del dipendente pubblico che viola queste norme, perché si va dai lavoratori con bassa qualifica fino a dirigenti con posizioni apicali», ma chiariscono che «i doppi lavori esercitati sono dei più eterogenei, spaziando dai lavori più umili alle alte consulenze professionali e tecniche prestate in cambio di laute retribuzioni. In sostanza si va da chi tenta di arrotondare magri stipendi a chi invece con il doppio lavoro incrementa redditi già invidiabili».
    Tra le denunce del 2011 spicca quella di un geometra in servizio in un’amministrazione provinciale che ha percepito consulenze per 885 mila euro senza aver mai chiesto alcun nulla osta.
    Ma la circostanza più grave è che i pareri riguardavano nella maggior parte dei casi le pratiche che doveva poi esaminare nello svolgimento del proprio incarico presso l’Ente locale.
    Poco meno ha guadagnato un ingegnere che è riuscito a ottenere compensi extra per poco più di 514 mila euro grazie al rapporto che aveva con alcuni studi specializzati.
    L’esperto di Fisco dell’Agenzia
    Sembra incredibile, ma persino alcuni dirigenti dell’Agenzia delle entrate hanno accettato di svolgere mansioni per cittadini e società private in materia fiscale.
    Il record spetta a un alto funzionario che senza chiedere alcuna autorizzazione ha svolto incarichi per 850 mila euro.
    Introiti di tutto rispetto anche per un professore universitario che oltre alle lezioni presso l’ateneo, ha percepito 266 mila euro di compensi aggiuntivi.
    Nel suo caso - come spesso accade - è stato l’organo di vigilanza interno ad attivare l’Ispettorato, ma molto più spesso i controlli vengono effettuati su segnalazioni di cittadini - talvolta colleghi di chi risulta al lavoro e invece non si presenta - oppure grazie a indagini autonome attivate dalla Guardia di Finanza.
    Nel 2009 le Fiamme gialle hanno effettuato 738 interventi.
    Risultato: «Sono stati 738 soggetti verbalizzati, 15 milioni e mezzo di euro le sanzioni contestate a fronte di 1 milione e 161 mila euro di compensi percepiti senza autorizzazione».
    L’anno del boom è stato certamente il 2010, quando l’allora ministro Renato Brunetta chiese un’intensificazione delle verifiche proprio in questo settore. Il dato registra «983 interventi effettuati, 1.324 denunce e ben 28 milioni 296 mila euro in sanzioni, a fronte di introiti illegittimi che superano i 13 milioni di euro». Buoni risultati anche nei primi 10 mesi di quest’anno (il dato contenuto nella relazione arriva fino agli inizi di novembre).
    Pur essendo calato il numero dei controlli a 722, le persone scoperte sono state 1.029 e 10 milioni e mezzo di euro l’ammontare complessivo delle contestazioni a fronte di cinque milioni e mezzo di euro guadagnati dai dipendenti pubblici senza autorizzazione».
    Il record di 62 consulenze
    È proprio nella relazione pubblicata a fine ottobre scorso dagli ispettori del ministero allora guidato da Brunetta che viene citato il caso di «dodici tra funzionari e dirigenti in rapporto di lavoro con Aziende sanitarie che hanno ricevuto compensi superiori a 100 mila euro ciascuno» per attività extra.
    Ma il vero record l’ha raggiunto un dipendente statale citato in giudizio dalla magistratura contabile.
    Si legge nella relazione della Funzione pubblica: «Anche il procuratore capo della Corte dei conti della Regione Lazio ha citato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 la “vicenda paradossale” di un dipendente sottoposto a giudizio per un’ipotesi di danno erariale di 2 milioni e mezzo di euro.
    Il dipendente è risultato titolare contemporaneamente di più rapporti di pubblico impiego, espletando altresì in un arco temporale di qualche anno ben 62 incarichi e consulenze professionali, figurando come avvocato e fatturando con la partita Iva della quale era titolare in quanto intestatario - tra l’altro - di un’attività commerciale di ristorazione».
    La direttiva d’intervento del comandante generale della Guardia di Finanza per il prossimo anno impone che l’attività dei vari reparti debba essere intensificata - oltre che nella lotta all’evasione fiscale - proprio sugli sprechi della spesa pubblica, così come del resto è stato più volte sollecitato dal governo.
    E quello dei doppi stipendi è certamente uno dei settori in cima alle liste di priorità per incrementare i «fondi di produttività» dei dipendenti pubblici (che servono tra l’altro a pagare gli straordinari); la legge prevede infatti che vengano incamerate non soltanto le somme ingiustamente percepite dai lavoratori, ma anche «gli introiti delle sanzioni comminate ai soggetti committenti, per lo più privati, che si avvalgono irregolarmente delle prestazioni dei pubblici dipendenti».

    destra di popolo
    Ultima modifica di FalcoConservatore; 06-01-12 alle 19:38

  3. #3
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    VENDOLA TOUR OPERATOR - IL GOVERNATORE DELLA PUGLIA NON SE NE PERDE UNA “MISSIONE NEL MONDO”, DA SIDNEY A NEW YORK, A SPESE DEL CONTRIBUENTE: OLTRE 780 MILA EURO PREVISTI NEL BILANCIO REGIONALE - L’ULTIMO VIAGGETTO DUE MESI FA IN CINA, A FARE COSA? IN UNA SETTIMANA DA QUASI MILLE EURO AL GIORNO HA RAGGIUNTO UN IMPORTANTE ACCORDO CON LA PROVINCIA CINESE DEL GUANGDONG PER ISTITUIRE A BARI UNA SEDE DELL’ISTITUTO CONFUCIO…

    Francesca Gallacci per "il Giornale"

    Bisogna ammetterlo: da quando c'è Nichi Vendola, la regione Puglia viaggia. Soprattutto il suo presidente: macina migliaia di chilometri, al prezzo di decine di migliaia di euro. Ecco perché andrebbe completata la frase con cui il governatore ha varato il bilancio 2012: «Con la crisi quest'anno abbiamo avuto tutti l'idea di essere malati e privati di qualcosa». Tutti privati, tranne lui. La crisi non ha impedito a Nichi di impegnarsi febbrilmente nelle missioni all'estero, quei viaggi fatti in nome (e a spese) del contribuente all'insegna di una diplomazia estera che manco l'Onu.
    In un anno sono state firmate 67 delibere per autorizzare un'ottantina di missioni fatte dal presidente della Regione, dagli assessori della giunta, e dai funzionari dell'ente. A sfogliare le delibere del 2011 si riceve un'impressione netta: la Regione Puglia è più animata di un porto di mare, ogni cinque giorni in media qualcuno ha fatto le valigie ed è partito.
    Tra gli ultimi viaggi che hanno trovato una copertura finanziaria c'è quello che Vendola ha fatto in Cina dal 7 al 14 novembre. Obiettivo della missione: rafforzare la cooperazione tra la provincia del Guangdong e le organizzazioni pugliesi del settore green economy. Vendola, come un novello-Marco Polo si è incamminato lungo la via della seta in compagnia di Francesco Manna, suo capo di Gabinetto per un viaggio che è costato in tutto 24mila euro.
    «È importante essere qui in Cina, - ha commentato il governatore pugliese- perché è terra di innovazione e di prodigi». E in effetti prodigiosa è anche la cifra che Nichi e il suo accompagnatore sono riusciti a spendere per soggiornare negli alberghi del Guangdong e di Hangzhou, la seconda meta del pellegrinaggio cinese: 6.690 euro in tutto. Vale a dire in media 477 euro a testa per ogni notte passata nel Paese del dragone. E se le spese per il pernottamento fanno pensare a un trattamento da nababbo, quelle aeree non sono da meno: Vendola e Manna hanno speso infatti 6.371 euro.
    Per capire i prodigiosi sviluppi dell'intesa tra Vendola e il Guangdong bisognerà aspettare, ma il leader Sel oltre a essere un navigatore è anche un sognatore. In Cina infatti ha avuto una visione e ha fatto una promessa: «Sogno un mondo in cui è possibile che migliaia di studenti pugliesi possano laurearsi qua e migliaia di studenti cinesi vengano a studiare in Puglia». Per questo ha raggiunto un accordo con la provincia cinese per istituire a Bari una sede dell'Istituto Confucio. Proprio quello che ci voleva.
    La Regione Puglia è un faro di alacrità nel pianificare le missioni, un tour operator dalle innumerevoli risorse organizzative. E soprattutto economiche: a maggio è stata firmata la delibera per approvare la spesa di 784mila euro da destinare alle missioni. Magari Vendola dirà che è sempre meno del Milione di Marco Polo, chissà se i suoi elettori saranno d'accordo. L'ente spende in media più di duemila euro al giorno per far viaggiare il proprio presidente, gli assessori e i funzionari.
    Di queste risorse, 675mila euro sono destinate proprio alle missioni all'estero: dalla sede della Regione Puglia non c'è angolo di mondo che non si possa raggiungere, New York, Sidney, Londra, Parigi, Siviglia sono solo alcune delle moltissime mete dei globe*trotter pugliesi. E poi ci sono i viaggi tra Bruxelles e Bari, perché i funzionari devono raggiungere la città pugliese dall'ambasciata regionale in Belgio: 500 metri quadri in Rue de Throne che la Regione ha pagato 2milioni di euro. «Sarà un polo di accoglienza per tutta la comunità pugliese con pavimenti in pietra di Trani e decori di marmo della Murgia» aveva assicurato Vendola. Di certo, sui pavimenti destinati alle suole della comunità scorrono via veloci anche i trolley dei dirigenti in partenza per Bari.







    L'ora di raccogliere le firme anti-canone Rai, appello al movimento dei tea party

    Disservizio pubblico. Visto che i partiti si tirano indietro, solo il movimento anti tasse può mobilitarsi per abolire il balzello

    di Maria Giovanna Maglie

    Nel 2012 che comincia passiamo dalla proposta e dalla protesta all’azione, e non aspettiamo i partiti, imbambolati e confusi, passiamogli davanti se non vogliamo morire di tecnici e di tasse. Il tempo è veramente poco perché la burocrazia mette lacci e laccioli pur lasciando basso il numero delle firme necessarie per chiedere un referendum. Scommettete che questo in poche settimane ne avrebbe a milioni?
    La proposta di Libero è semplice: non un referendum per abolire il canone Rai, che è una tassa di Stato, dunque intoccabile da consultazioni popolari, ma un referendum per abrogare gli articoli della legge del 1975 nei quali si affidava alla Rai il servizio pubblico che oggi non svolge più. La proposta ha avuto una risposta entusiasta, forte; lettori, organizzazioni, iscritti di Facebook e di Twitter hanno realizzato uno straordinario passaparola. L’organizzazione del Tea Party Italia ci ha appoggiato con moltissime adesioni e una motivazione semplice e limpida: «Nessun servizio è utile se non è scelto liberamente dal cittadino. Ogni azione concreta contro lo stato attuale dell’informazione targata Rai e dello spreco di soldi pubblici che comporta, avrà il nostro sostegno».
    Il Tea party rappresenta una novità assoluta per l’Italia, io ci credo, e mi auguro che parta proprio da loro la costituzione di un comitato referendario al quale si possono unire i libertari di buona volontà, quella che una volta con brutto termine si chiamava società civile e che ora è davvero chiamata a riempire lo spazio lasciato tristemente vuoto dalla classe politica che ci ha affittato ai tecnici, e che sulla Rai tace come ha sempre taciuto.
    Avete sentito in questi giorni un solo argomento da parte di un qualsiasi esponente politico sul problema che Libero ha sollevato, anche solo per confutare i nostri argomenti, per criticarci? Qualcuno di loro ha forse fatto notare che gli spazi di informazione si restringono, che si parla poco e male della crisi economica, che la televisione pubblica non ha ritenuto di organizzare programmi speciali sulla situazione dell’euro, sulla crisi mondiale, che anzi si taglia mentre si aumenta il canone proprio sull’informazione riducendo indiscriminatamente il numero dei corrispondenti e degli inviati? Lorenza Lei, direttore generale della Rai, ha detto ai giornalisti del Tg1 che non bisogna dare alcuna notizia sulla campagna di Libero, e che che non si può fare a meno del «tributo» costituito dal canone. Non attribuiamo al direttore generale attuale responsabilità che sono storiche e incancrenite, ma nessuno dovrebbe sentirsi il padrone delle ferriere, e decidere di tagliare senza preoccuparsi della perdita definitiva della funzione pubblica: i tributi li pagavano i vassalli, non i cittadini delle democrazie moderne. O no?
    Ci vuole un movimento. I Tea party sono nati da poco, il 20 maggio, in Italia. Hanno già un un marchio riconosciuto, un portale, una rete regionale che si va strutturando, e un evento nazionale, a Milano. Si definiscono una sorta di «sindacato dei contribuenti» che è un termine ambiguo ma è anche il più adatto al contesto politico e culturale italiano. Negli Stati Uniti, dove sono nati e diventati il fenomeno degli ultimi anni, l’obiettivo è quello di cambiare profondamente il partito repubblicano. Da noi possono, e io dico che devono, far loro la bandiera del «fiscal conservatism», che è un’esigenza schiacciata e repressa ma profondamente sentita e popolare, non a caso fu il terreno da cui iniziarono i nuovi partiti, Forza Italia e la Lega. Un movimento contro l’iniquità delle tasse, che sarebbe ben più ampio dei confini ristretti del canone Rai, può però scegliere di partire proprio da quello che le statistiche dimostrano essere considerato il balzello più odioso dagli italiani, un prelievo forzoso e forzato, attraverso un’imposizione ai limiti dei principi di libertà di scelta. Aspetto risposte nel 2012.

    Maglie L'ora di raccogliere le firme anti-canone Rai, appello al movimento dei tea party - rai, canone, tea party, maria giovanna maglie - liberoquotidiano.it
    Ultima modifica di FalcoConservatore; 06-01-12 alle 19:39

  4. #4
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    Bisogna affamare la bestia prima che la "maggioranza silenziosa", tradizionalmente moderata e paziente, si stufi di essere presa per i fondelli e abbracci le istanze più estremiste e violente. Siamo sull'orlo del baratro e non possiamo più permetterci sprechi e tasse odiose. C'è chi scherza col fuoco.

  5. #5
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    La pressione fiscale è insostenibile

    di Robi Ronza

    I paradisi fiscali non ci sarebbero se non ci fossero gli inferni fiscali: e l’Italia è uno di questi. I cittadini hanno il dovere di pagare le imposte, ma le istituzioni (nel caso italiano lo Stato, che continua a detenere ogni competenza in materia) hanno il corrispondente dovere di non depredare i cittadini, la società civile. E nel caso del nostro Paese senza dubbio di depredazione si deve parlare non soltanto per il prelievo fiscale che ormai si sta avvicinando al 50 per cento della produzione interna lorda, Pil, ma anche per le forme di usura che in vario modo lo caratterizzano: in primo luogo i cosiddetti acconti che, essendo vicini al 100 per cento del dovuto, si configurano come imposte sul reddito futuro, e poi penali spropositate per minimi ritardi sulle scadenze dei pagamenti (dei piccoli; quando invece a evadere o a ritardare pure di anni i pagamenti sono grandi ricchi allora si arriva non di rado a concordati con enormi sconti).

    Quando dunque si richiama al dovere morale di pagare le imposte che incombe sui cittadini, sarebbe equo, opportuno e importante richiamare contemporaneamente lo Stato, e quindi il governo e il parlamento, al dovere morale di non porre sulle loro spalle un onere fiscale soffocante. Altrimenti si finisce, anche senza volerlo, di assegnare al potere politico una patente di innocenza a priori che non fa bene né a chi lo esercita né al Paese. L’attentato dello scorso 9 novembre al direttore generale di Equitalia e le lettere minatorie spedite a sedi di tale società in tutta Italia in questi ultimi giorni sono un campanello d’allarme da non trascurare. Si tratta ovviamente di un crimine e di intimidazioni assolutamente esecrabili. Ciò fermo restando, tali episodi sono però anche il sintomo, seppur estremo e patologico, di un disagio generale dell’intera società civile italiana: un disagio che sarebbe saggio non sottovalutare. In altre epoche e circostanze sarebbero stati presi altri settori della pubblica amministrazione o anche realtà private. Questa volta invece è stato spedito un pacco bomba al gran capo dei dazieri. Sarebbe il caso di tenerne conto.

    Anche in questa materia il governo Monti si sta dimostrando di una convenzionalità sconfortante. Se è vero come è vero che oggi soltanto una ripresa dell’economia ci può salvare da guai sempre maggiori, allora l’itinerario da percorrere passa attraverso le tappe seguenti: taglio rapido e consistente della spesa dello Stato e riforma generale organica della sua macchina amministrativa, riduzione della pressione fiscale, abrogazione di leggi e norme amministrative che intralciano e rallentano le attività produttive. Viceversa di riforma dell’amministrazione statale nemmeno si parla; si ventilano tagli lineari che con l’amministrazione statale che abbiamo provocheranno tagli dei servizi senza affatto incidere sugli sprechi e le inefficienze dell’apparato; si aumentano le imposte fino a livelli che faranno dilagare sempre di più l’evasione fiscale.

    L’esperienza dimostra che a un livello di pressione fiscale come quello che abbiamo in Italia l’evasione fiscale non scende comunque a livelli “fisiologici” mentre ogni ulteriore meccanismo di controllo non solo provoca ulteriori costi ma anche intralcia ulteriormente le attività produttive. In tale quadro i “blitz” di squadre di ispettori fiscali come quello dei giorni scorsi a Cortina d’Ampezzo sono in sostanza pura demagogia.

    Le imposte non sono una norma, né tanto meno uno strumento di riforma sociale. Le imposte sono il prezzo dei servizi della pubblica amministrazione. Nelle circostanze attuali un governo che voglia davvero tirarci fuori dai guai deve innanzitutto impegnarsi a ridurre il costo e quindi il prezzo di tali servizi. In tempi brevi un governo così ampiamente sostenuto come quello attualmente in carica potrebbe e dovrebbe chiudere o accorpare ministeri, mettere sul mercato la Rai e tagliare una quantità di ingenti spese inutili, come ad esempio la massima parte delle missioni militari all’estero.
    Siccome poi la storia ha ormai dimostrato in modo inoppugnabile che i prezzi scendono e restano al minimo solo all’interno di un regime di concorrenza, diventa urgente introdurre anche nel pubblico il principio di concorrenza ovunque possibile. Invece di imboccare la strada di un ulteriore accentramento, come invece questo governo sta facendo, si tratterebbe dunque al contrario di spingere l’acceleratore sul federalismo attribuendo ad ogni livello di governo sub-statuale, competenze esclusive e adeguata piena responsabilità sul lato sia della spesa e sia (al di sotto di una soglia massima uguale per tutti) sul lato del prelievo, compreso il diritto di abbassare la pressione fiscale sul proprio territorio in concorrenza con altri per attirare su di esso investimenti. Non sono cose che stanno solo sulla luna. Se ne possono trovare ampi esempi in molti altri Paesi europei.
    La Bussola Quotidiana quotidiano cattolico di opinione online: La pressione fiscale è insostenibile

    Confidustria: «Licenziare gli statali? Bisognerà porsi anche questa prospettiva»
    La Confindustria torna a chiedere al governo tagli alla spesa perché non sono più accettabili aumenti della pressione fiscale. Tra i tagli alla spesa - secondo quanto affermato dal direttore generale, Giampaolo Galli nel corso della trasmissione Omnibus su La7 rispondendo a una domanda sulla possibilità di licenziare i dipendenti pubblici - dovrebbe essere possibile ragionare anche su questa materia. «A un certo punto - ha detto - dovremmo porci anche questa prospettiva qui».
    «La situazione è pesante - dice Galli - lo è stata già nel 2011. Sarà negativo anche il quarto trimestre 2011 e nel 2012 abbiamo previsto una decrescita del Pil dell'1,6%». Ad affermarlo è stato il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, che, nel corso della trasmissione Omnibus su La7, sottolineando che «ancora adesso siamo sull'orlo» del burrone.
    Confidustria: «Licenziare gli statali? Bisognerà porsi anche questa prospettiva»*-*Il Messaggero


    Ultima modifica di FalcoConservatore; 08-01-12 alle 11:24

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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    La Lega fa la guerra al sistema che spia i conti correnti
    In vigore il cervellone "Serpico" collegato alla Finanza. Maroni: faremo ricorso all'Ue
    di Paolo Bracalini
    Ispettore Bobo, il caso Serpico è suo. L’input politico è partito da lui, l’ex ministro-poliziotto Maroni, quello tecnico dai funzionari legislativi del gruppo leghista alla Camera. Studiando il decreto Salva-Italia, nelle misure anti evasione e in particolare sul sistema informatico (chiamato «Serpico», appunto) che spia tutti i movimenti del nostro conto corrente incrociandoli con i dati patrimoniali (peccato solo che gli evasori veri usino per lo più il cash), gli uomini di Bossi hanno trovato il «bug», il baco, un varco per attaccare questo Grande fratello che fa esultare Befera, il capo dell’Agenzia delle Entrate (ma molto meno Pizzetti, il Garante della privacy).
    I leghisti stanno studiando un ricorso per impugnare, in sede europea, la costituzionalità di Serpico, un cervellone-spione che introdurrebbe «un’indiscriminata schedatura di tutti i contribuenti - scrivono i deputati della Lega in un’interrogazione a Monti come ministro delle Finanze - anche quelli pienamente in regola con il versamento delle imposte, raccogliendo informazioni riguardanti anche la loro vita privata».
    Ma perché la Lega pensa a un’azione a Bruxelles e non qui in Italia? Perché gli uffici legislativi della Lega a Montecitorio hanno segnalato una pronuncia del Garante europeo della privacy che definisce i sistemi di controllo fiscale in stile Serpico «non praticabili», contrari agli obblighi europei perché «si intromettono in modo sproporzionato nella sfera personale degli individui». Per questo, sottolinea il Carroccio, «tali misure non esistono negli altri Paesi europei e facilmente si potrebbe contestarne, nelle sedi giurisdizionali, la contrarietà alla normativa comunitaria o attivare l'impugnativa di costituzionalità». Di qui l’idea di portare la questione davanti alla Ue (incompatibilità comunitaria), come hanno consigliato di fare tributaristi consultati dalla Lega. «Non ci dicono sempre che dobbiamo fare quel che vuole l’Europa? E allora questo Grande fratello non è in linea col diritto comunitario» riassumono gli uomini di Bossi e Maroni.
    Sarà anche una trovata leghista per fare «casino», ma nessun altro partito (nemmeno i liberali del Pdl) finora ha aperto bocca su una misura che invade pesantemente la sfera privata dei cittadini.
    Ricordiamo: il sistema già da adesso conosce i nostri redditi, gli immobili, i contratti elettrici e li incrocia con tutte le «movimentazioni finanziarie», che poi sono le spese anche minime col bancomat, il pranzo fuori o il regalo alla nipotina. Tutto. Se sarà utile per recuperare un po’ dei 120 miliardi evasi, è da vedere. Di certo restano i dubbi, anche quelli - un po’ timidi - del nostro Garante della privacy, che ha segnalato i rischi nella trasmissione di una mole enorme di «informazioni difficili da gestire e facilissime da rubare».
    La Lega cavalcherà anche questo cavallo nella sua nuova veste di unica opposizione. Mentre i colonnelli finiscono le vacanze, si consultano per il raduno del 22 a Milano. Pronto il manifesto: «Governo ladro. Giù le mani da casa e pensioni». E via gli occhi dal mio conto corrente.
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    MACCHINA STATALE, L’ELEFANTE CHE CI SOFFOCA
    di GIANLUCA MARCHI
    Povera Italia sempre sull’orlo del default, anche se in molti preferiscono non sentirselo dire. Si preferisce restare con la testa nelle nuvole, cullandoci nella convinzione di essere un grande Paese, facendo finta di dimenticare che ciò è avvenuto accumulando un debito pubblico spaventoso, che ormai è vicino ai 2 mila di miliardi. Insomma, come Paese abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità, con pochi che pagavano e tanti che spendevano, e adesso ci viene inesorabilmente presentato il conto. Ma in molti, a cominciare da gran parte della classe politica, non vogliono tornare coi piedi sulla terra. E sperano di continuare a fare i “prenditori”, cioè la maggioranza del Paese, perché ormai gli “imprenditori” sono sempre meno, vista la moria delle aziende.
    Facciamo finta di non vedere cosa accade in Grecia, dove i dipendenti pubblici perdono il posto o si trovano con gli stipendi decurtati, gli ospedali non hanno soldi per funzionare e le scuole chiudono i battenti, per allontanare il fantasma che presto rischia di perseguitarci. E in questi i media ci mettono del loro e preferiscono non raccontarci ciò che accade a poche centinaia di chilometri. Tutti stanno appresso ai costi, per altro scandalosi, della casta politica, che merita un drastico dimagrimento perché 1,8 miliardi di costo all’anno degli organi costituzionali nazionali è una follia, ma pochi mettono il dito nella piaga vera: se l’Italia ha ancora qualche speranza di salvarsi – a meno di non considerare un salvataggio accettabile il probabile commissariamento da parte del Fondo monetario internazionale quando saremo costretti a implorare il suo intervento – deve tagliare con l’accetta il suo elefantiaco apparato statale, un mostro che è diventato enorme e sempre più esoso, con stipendi che, almeno nella parte dirigenziale della piramide, non hanno pari in altre parti del mondo. Incidere in questo corpaccione vorrebbe dire liberare risorse per le imprese e le famiglie attraverso una cospicua diminuzione della pressione fiscale. Ma vorrebbe dire, è inutile che ce lo nascondiamo, anche decine e decine di migliaia di dipendenti pubblici mandati a casa e che dovrebbero riconvertirsi e probabilmente trovare lavoro in una economia produttiva, e non parassitaria, messa finalmente nelle condizioni di tornare a camminare se non correre. E soprattutto vorrebbe dire abbattere drasticamente gli stipendi delle fasce alte della pubblica amministrazione.
    Questa operazione dovrebbe però essere accompagnata da un sostanziale disboscamento di tutte le leggi, le norme e i cavilli burocratici che hanno fatto dell’Italia una sorta di stato poliziesco, dove si sono ribaltate tutte le regole e chi intende fare profitto e creare lavoro ormai è visto non come un potenziale ma un quasi certo malfattore. Insomma, siamo via via diventati uno dei pochi Stati socialisti rimasti sulla terra, alla faccia della rivoluzione liberale promessa da Berlusconi e dai suoi fedeli alleati. Ancora molti si ricordano quando Umberto Bossi tuonava contro lo Stato che pretendeva di ficcare il naso persino nella camera da letto dei cittadini. Ebbene, a quindici anni di distanza, lo Stato praticamente entra mani e piedi nella nostra camera da letto e non è che la lunga presenza della Lega nella stanza dei bottoni abbia cambiato la deriva, anzi. Al riguardo vale la pena ricordare quanto raccontato di recente da Piero Ostellino sul Corriere della Sera parlando di una signora che, chiamata a giustificare il prelevamento dalla banca di una certa somma in contati, ha scritto: “Questi soldi servono per pagare le puttane a mio marito, e a me il mio amante”. Grandiosa.
    Ma quanto pesa la pubblica amministrazione sulle nostre spalle? Ebbene, in base a un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, possiamo quantificare quest’inefficienza in almeno 50 miliardi di euro all’anno. Il risultato è frutto di una comparazione tra i livelli di efficienza degli uffici pubblici di diversi stati europei, quali Italia, Spagna, Austria e Germania. In particolare se la pubblica amministrazione fosse efficiente al pari dei colleghi tedeschi, che sono i più virtuosi nel contesto europeo, potremmo avere un risparmio intorno ai 75 miliardi. Capite di cosa parliamo: di una somma che più o meno equivale agli interessi che ogni anno dobbiamo pagare sul nostro debito pubblico.
    In particolare ciò che grava molto non è solo il numero dei dipendenti (oggi un po’ al di sotto dei 3,5 milioni) ma i relativi stipendi, soprattutto delle fasce alte dei funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil. In Spagna, con un valore assoluto pari a 162 mld, si è attestata al 15,9% del Pil, mentre in Austria al 13,8% del Pil con un valore assoluto di 37 mld; in Germania la medesima spesa si è mantenuta all’11,5% del Pil, per un totale di 273 mld. Escludiamo pure il caso tedesco, ma se solo l’Italia si collocasse fra la Spagna e l’Austria potrebbe ricavare risorse per circa 30 miliardi di euro l’anno. Questo consentirebbe di dare del bel fiato all’economia vera che ormai è strangolata: come ricorda sempre il prof. Luca Ricolfi la pressione fiscale sull’economia regolare è la più alta del mondo sviluppato (intorno al 60%), e così il livello di tassazione sulle imprese, il cosiddetto Total Tax Rate (68.6%). Se non si invertono questi valori, non si va da nessuna parte.
    Nel frattempo attendiamo ancora di vedere i risultati dell’operato del ministro Brunetta, che aveva promesso di ridurre i costi della Pa del 25%, di contrastare i fannulloni e garantire trasparenza e produttività nel settore, anche se il suo unico cruccio è sembrato essere solo quello di bloccare nuove assunzioni, senza però attuare una vera razionalizzazione del personale, che eviti di lasciare vuoti burocratici e si concentri maggiormente dove l’attività dello Stato dovrebbe veramente essere d’aiuto alle imprese ed ai lavoratori.
    Insomma, l’attività sociale della pubblica amministrazione, che dovrebbe caratterizzarsi per istituire compiti di propulsione economica e benessere sociale alla collettività, sul territorio italiano continua a pesare come un macigno sulle tasche dei contribuenti.
    Infine un dato da non trascurare: il nord, pur essendo più popoloso del Centro e del Sud Italia, con quasi la metà dei cittadini, in proporzione ha molti meno dipendenti pubblici: il 34,83%, contro il 31,89% del Centro e il 33,3 di Sud e Isole.
    Concludendo: non abbiamo più tempo, o dimagriamo e smembriamo questo Stato mostruoso, dando vera autonomia alle sue comunità, oppure finiremo per essere un Paese a sovranità molto limitata.
    MACCHINA STATALE, L’ELEFANTE CHE CI SOFFOCA | L'Indipendenza

    La riforma del catasto, patrimoniale perenne
    Il governo ha in mente la riforma del catasto, per trasformarlo - sostanzialmente e formalmente - da catasto di redditi in catasto prevalentemente patrimoniale. L'idea viene giustificata coll'esigenza di eliminare le sperequazioni catastali. Ma a questo scopo basterebbe applicare l'attuale legge, non c'è bisogno di introdurre nel catasto il principio di tassare permanentemente le unità immobiliari per quel che valgono, invece che per quel che rendono. Piuttosto, è invece il caso di ricordare che ad un catasto patrimoniale pensò anni fa l'ex ministro Visco e che, allora, la gran parte delle forze politiche che appoggiano l'attuale governo si oppose, tant'è che il progetto naufragò. Ora si ritenta, ancora una volta capovolgendo i principii ispiratori dell'attuale legge catastale, che prevede un catasto reddituale in funzione di una tassazione che rispetti il principio costituzionale della capacità contributiva.
    La scelta fondamentale è sempre una, e una sola: va tassato il reddito o il valore?
    Il governo attuale è evidentemente su quest’ultima strada, pur in una situazione di mercato nella quale non vi è coerenza tra reddito e valore delle singole case. Il rischio (per non dire la certezza) è che con questa riforma si pongano surrettiziamente le basi per una patrimoniale permanente delle famiglie (per così dire), col risultato - già denunziato dalla nostra Corte costituzionale e reso praticamente certo dall'ipotizzato uso di funzioni statistiche invece che di rilevazioni sul territorio, come sempre avvenuto - di avallare l'incivile principio che un immobile possa essere colpito anche oltre il reddito che produce, e quindi a prescindere dalla capacità contributiva del suo proprietario. È ciò che la Corte costituzionale tedesca - ad evitare, altresì, l'espropriazione progressiva dei beni - ha invece impedito che avvenga in Germania.
    La riforma del catasto, patrimoniale perenne - Economia - ilGiornale.it

    CHI EVADE METTE LE MANI NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI
    di LEONARDO FACCO
    Non abbiamo neppure avuto il tempo di dimenticare frasi sconnesse tipo “Le tasse sono una cosa bellissima” – dell’allora ministro Padoa Schioppa – che un suo compagno di scuderia bocconiana, oggi assurto alla presidenza del Consiglio, ce ne rifila un’altra a dir poco memorabile: “Chi evade mette le mani nelle tasche degli italiani”.
    Non è cosa di poco conto che a fare affermazioni così strampalate (degne del romanzo “1984” di George Orwell) seppur in linea con la demagogica campagna del “dagli all’evasore”, sia un personaggio pubblico, professore della Università più prestigiosa d’Italia, elevato al rango di “salvatore della patria” dai poteri forti a cui appartiene.
    Già, perché quando le sue parole giungono all’orecchio dell’italico “homo medio” quest’ultimo penserà che se ad affermare cotanto principio è il “gran-prof-rettor-president” Monti allora è vero: “Chi evade mette le mani nelle tasche degli italiani”.
    Io vi dico che non è così. E non ve lo dirò con parole mie, modesto tapino sempre contro-corrente, ma con quelle di chi ha qualche gallone in più, persino di Mario Monti.
    Intanto, essendo il premier italiano un neo-membro della casta, chiedo aiuto a Sergio Ricossa, che mi ha insegnato: “Ma che lotta alla ricchezza, tutti la cercano solo che i politici hanno la possibilità di rubarla agli altri, le persone comuni no. I politici hanno inventato una strana filosofia per la quale si può sottrarre la ricchezza a chi la produce senza neanche esserne incolpati”.
    Milton Friedman



    in visita in Italia nel 2001, dichiarò “che se il nostro paese si regge ancora è grazie al mercato nero ed all’evasione fiscale che sono in grado di sottrarre ricchezze alla macchina parassitaria ed improduttiva dello Stato per indirizzarle invece verso attività produttive”. In qualche modo, sostiene Friedman, “l’evasore in Italia è un patriota”. Ci aveva visto giusto, ma la sua lezione manco fu presa in considerazione. Oggi, dieci anni dopo, l’Italia sta fallendo e nulla, dico nulla, è stato fatto per diminuire la pressione fiscale e il peso della burocrazia statalista.
    Pedro de Navarra sosteneva che “le tasse possono essere tiranniche, non solo nel caso in cui chi le impone non ha la facoltà legale di farlo, ma anche se una persona viene tassata più di altre o se i fondi delle tasse vengono usati per un motivo personale o nell’interesse del principe invece che per il bene comune. In casi di necessità, il popolo non è, in coscienza, obbligato a pagare”. Era un cattolico, Scuola di Salamanca.
    Infine, visto che la vulgata pubblicistica fa apparire il signor Monti come un liberale cristallino, mi appello al padre del liberalismo, John Locke, che ammoniva: “Esula dai doveri dell’uomo sottomettersi ai governanti sino al punto da accordar loro licenza di distruggerlo, poiché i cittadini hanno il sacrosanto diritto di ‘appellarsi al cielo’ ogni qualvolta non c’è altro rimedio contro i soprusi del governo”. Infine, ma pur sempre con Locke, “Laddove la potestà tributaria è usata come strumento per depredare alcuni cittadini a favore di altri ed ha come suo unico limite quello della voracità delle conventicole sul cui consenso il governo fonda il suo potere, lì la democrazia si riduce a farsa della democrazia e lì esploderà la rivolta”
    Oggigiorno infliggiamo severe punizioni ai trasgressori fiscali, inserendoli spesso nella categoria dei criminali. Eppure i grandi saggi della nostra civiltà – da Adam Smith, a Montesquieu fino a William Blackstone – hanno tutti condannato “la trasformazione delle violazioni fiscali in crimini, biasimando il governo per una tassazione eccessiva che, inevitabilmente, conduce alla ribellione, alla fuga e alla frode”. Del resto, se “non c’è crimine senza vittima”, non è chiaro che razza di crimine sia l’evasione fiscale (dato che il furto è la violazione della proprietà di un individuo, non di un’entità astratta come “lo Stato” o “la società”) ed è molto dubbio che l’evasore rubi qualcosa a qualcuno, se non parte del bottino che lo Stato estorce a tutti, compreso lui. Traduco: l’evasore è come Robin Hood, che rubava ai ladri (lo sceriffo di Nottingham, un antesignano del primo ministro) per ridare il bottino ai legittimi proprietari (i poveri contribuenti).



    Forse, secondo il presidente del Consiglio “evadere le tasse è ingiusto” perché mette in dubbio un qualche improbabile dovere di obbedienza del suddito (nelle democrazie definito cittadino) rispetto al sovrano (nelle democrazie definito lo Stato).
    Edmund Burke scriveva: “Le più grandi battaglie per la libertà si sono combattute intorno a questioni di tassazione”. Do un consiglio al “mister” Monti: visto il 2012 che ci aspetta, meglio che cominci ad indossare l’elmetto.
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    SANT’EVASORE ORA PRO NOBIS
    di LUIGI FRESSOIA
    Gli agrari, i possidenti, i nobili e gli altri padroni delle terre, pur vivendo di pura rendita sul lavoro altrui, senza alcun investimento sulla terra stessa, quasi tutti disprezzavano, diffidavano e talora odiavano i contadini che pur li mantenevano; dicevano che erano ladri e infidi, perché non resistevano a prendere di nascosto un grappolo d’uva non ancora spartita, una gallina, una coppia d’uova (e lo credo bene con quella fame….).
    Lo scenario è rimasto la stesso, cambiano un poco solo i protagonisti della commedia, i cosiddetti evasori fiscali al posto dei contadini (si scrive evasori fiscali ma si intende tutti quelli che non mangiano il pane del governo), e al posto degli agrari l’immensa schiera dei mantenuti di Stato, a partire dai professori, i boiardi, gli impiegati statali, i giornalisti (non solo rai, quasi tutti i quotidiani vivono grazie a sonore elargizioni statali), i magistrati, certi bonzi confindustriali adusi a intercettare denaro pubblico, e sopra tutti la compatta schiera dei politici di professione.
    Con la stessa falsa coscienza del parassita di ogni epoca, addossano tutte le colpe dell’universo a chi li beneficia ogni giorno e li mantiene, rassicurati dal coro unisono delle (loro stesse) istituzioni, se la cantano e se la suonano: guai all’evasore! Vergogna all’evasore! Scandalo dell’evasore, condanna senza appello!
    Come un tempo il povero finiva in galera per due mele, ora la cosiddetta Equitalia (già il nome è una vetta sopraffina di mafiosità lessicale) ti pignora una casa per pochi spiccioli di debito. Poi si stracciano le vesti se qualche contadino si ribella…
    Fingono di non doversi chiedere mai a quanto ammonta la pressione fiscale e soprattutto che uso si fa (essi stessi fanno) dell’oceano di denaro pubblico che estorcono al popolo lavoratore, ai dipendenti del settore privato, ai lavoratori in proprio, agli imprenditori non ammanicati con la politica. Proclamano per il tramite di mille voci che tutti i mali sparirebbero, tutti i “servizi” sarebbero perfetti se sparisse l’evasione. Balla a mille carati: se stanotte sparisse l’evasione domattina ci sarebbe semplicemente un’impennata paurosa di ulteriore spesa pubblica (tanto per cominciare sparirebbero tutti i “tagli”), naturalmente spesa per lo più improduttiva come succede esponenzialmente da quarant’anni. E nel giro di sei mesi saremmo daccapo a quindici, nuove tasse, nuove strilla contro l’evasione, tutto un popolo con l’elmetto contro l’inafferrabile linea d’orizzonte… Anche i sassi capiscono che più aumenta la pressione e più non può che aumentare anche l’evasione.
    Un solo uomo politico nell’intero cinquantennio ha mostrato di comprendere la natura di legittima difesa dell’evasione fiscale, conscio che quando la pressione supera una soglia naturale (il 30% ed è già troppo), l’evasione non solo è legittima ma soprattutto benefica, perché senza di essa ogni intrapresa morirebbe e lo Stato allora sì che tracollerebbe. E l’ha detto più volte apertamente, al limite dell’incitamento.
    Non a caso l’uomo politico più odiato del cinquantennio, visceralmente, da tutto il coro istituzionale, professori, magistrati, giornalisti, burocrati, politici, mors tua vita mea, esattamente come gli agrari coi contadini. E proprio come gli agrari -muoia sansone con tutti i filistei- crolli pure il sistema e la prosperità italiana piuttosto di mollare un centimetro: come infatti dovette crollare il vecchio mondo rurale piuttosto che riconoscere ai contadini i loro diritti elementari. Compatti come un carrarmato i parassiti di Stato avanzano e pontificano ad ogni tg con la condanna morale e civile, penale, estetica e fianco religiosa dell’evasore, il reietto, il male assoluto.
    Neanche tollerano l’idea di dover limitare il loro scialo, non per nulla sono i padroni di tutto, e soprattutto dei mass media, guai ricordare che il problema sono loro, che il problema è lì, nel colabrodo di Stato, non sia mai!
    E io allora qui dichiaro la mia simpatia, sintonia, vicinanza morale e storica all’evasore fiscale, lo riconosco frutto naturale di un delirio di Stato, come il giorno che segue la notte, come la piena quando piove molto, e lo eleggo salvatore della patria, resistente, lume del futuro, santo, risorsa che non può morire e che prima o poi -baionetta alla mano- dovrà riuscire a far piazza pulita di tutti i mafiosi di Stato insieme alle loro nere polizie delle anime televisive, mediatiche, “culturali”, berciatori quotidiani contro il fantasma dell’evasione fiscale.
    SANT’EVASORE ORA PRO NOBIS | L'Indipendenza




    Il deputato cremasco Torazzi (Lega):
    “Monti ci ha confessato
    la futura bancarotta del Paese”
    “Oggi Monti ci ha confessato il suo fallimento e la futura bancarotta del nostro Paese”. Ad affermarlo è il deputato cremasco Alberto Torazzi, capogruppo della Lega Nord in Commissione Attività Produttive. Torazzi commenta in questo modo l’informativa prodotta alla Camera dal Presidente Monti: “Dicendo che il rientro del rapporto debito/Pil al 60% in 20 anni non è argomento di discussione, ma già oggi legge dell’Unione, significando con questo che dovremo ridurre il debito del 3% del Pil all’anno, ha certificato l’insostenibilità della sua politica. L’azzeramento del deficit – spiega Torazzi – costa 80 miliardi di euro di avanzo primario, per ottemperare alla riduzione del 3% del debito ci vogliono altri 48 miliardi di euro/anno per un totale di 128 miliardi di euro di avanzo primario, su di un bilancio totale di 750 miliardi di euro, continuando intanto a pagare tutti gli sprechi del sud: la sanità di Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Lazio, i rifiuti di Napoli, i forestali calabresi”. Secondo il deputato cremasco Monti ha lanciato il si salvi chi può e imprese e capitali fuggiranno dall’Italia.
    Il deputato cremasco Torazzi (Lega): “Monti ci ha confessato la futura bancarotta del Paese” | CremaOggi.it

    “L’ITALIA FARA’ BANCAROTTA”. ED E’ SEMPRE MENO LIBERA
    di LUIGI CORTINOVIS
    L’Italia? Un paese in via di sottosviluppo!
    Non si tratta di una battuta, ma di una constatazione fondata, che prende spunto dall’Indice delle Libertà Economiche (L’Index of Economic Freedom) che, ogni anno, viene pubblicato in Italia dall’Istituto Bruno Leoni di Milano e che, in anteprima, esce in America grazie alla “Heritage Foundation” e al “Wall Street Jornal”.
    Ebbene, nel 2012 l’Italia fa un salto all’indietro, passando dall’87° posto dell’anno scorso al 92° di quest’anno.
    Volete sapere qual è l’unico paese dell’Unione europea che sta peggio di noi? Esatto, la fallitissima Grecia.
    Come riporta l’IBL “si tratta del terzo anno consecutivo nel quale si registra una riduzione della libertà economica italiana. Questa volta, a incidere negativamente sono soprattutto l’aumentare della corruzione percepita e l’incapacità, nonostante le diverse manovre, di mantenere sotto controllo le finanze pubbliche, incidendo sullo stock del debito. Più in generale, i punti strutturalmente deboli per la libertà economica nel nostro paese stanno nella spesa pubblica e la libertà del lavoro, oltre alla più ampia incertezza del quadro normativo e all’insostenibile pressione fiscale”.
    Chi guida la classifica? La Corea del Nord che tanto piace a Marco Rizzo? No è ultima! Cuba, che fa emozionare Ferrero? Niente da fare, è terzultima. Oppure ancora il Venezuela della “revoluciòn bolivariana” di Chavez? Macché, è sestultima.
    La classifica è ancora una volta guidata da Hong Kong, Singapore e Australia, mentre gli Stati Uniti occupano la decima posizione. Quarta la Nuova Zelanda e quinta la nostra vicina di casa, la Svizzera. All’interno dell’Unione Europea, l’Irlanda è la più libera.
    In fondo alla graduatoria stazionano Zimbabwe, Eritrea e Libia.
    Considerata la sua 92° posizione sui 179 nazioni prese in considerazione, l’Italia staziona nella seconda metà dell’elenco.
    L’Indice della libertà economica è costruito attraverso dieci indicatori sintetici che, sulla base dei dati forniti dalle maggiori organizzazioni internazionali, consentono di “schematizzare” la libertà economica, attraverso una serie di variabili che misurano l’invadenza dello Stato nella vita dei cittadini.
    “L’ITALIA FARA’ BANCAROTTA”. ED E’ SEMPRE MENO LIBERA | L'Indipendenza

    150: Far cassa
    La situazione finanziaria dello Stato è spaventosa. Il deficit è un abisso incolmabile. Il popolo è esasperato dalle nuove tasse, la crisi economica fa il gioco delle opposizioni. La folla assalta l’abitazione del Presidente del Consiglio. Colpiti sono soprattutto i poveri. Cosa fare allora?
    Semplice: abolire gli ordini religiosi, incamerarne le proprietà, tassare il resto dei beni ecclesiastici e smettere di pagare le congrue al clero.
    Come forse avrete capito non siamo ai giorni nostri: è il 1853, in quello che è ancora il Regno sabaudo.
    Non è un caso che il Piemonte sia in fortissimo deficit. Più di metà del suo bilancio va a coprire le spese di un esercito enorme e sproporzionato. I debiti contratti e che contrarrà per l’avventura della Crimea strozzeranno gli italiani per molti decenni a venire.
    Per coprire almeno in parte l’immenso buco il Presidente del Consiglio – Cavour, sì, proprio lui – decide di rivalersi appunto sulla Chiesa.
    La famiglia del conte deve in gran parte la sua prosperità proprio dall’avere acquistato a prezzo stracciato le proprietà ecclesiastiche che Napoleone a suo tempo aveva requisito e svenduto per far cassa.



    Il colpo si può ripetere con quanto ancora rimane: cancellando quella congrua che lo stato si era accollato per sfamare il clero a cui erano state sottratte le fonti di sostentamento dai francesi e sopprimendo le congregazioni incamerandone i beni.
    Parte la campagna di stampa; vengono fatte, con gran risonanza, “petizioni pubbliche”; il Governo, prima ancora di esaminare il caso, dà già per cancellate le congrue dal bilancio. L’opinione pubblica viene convinta che sia doveroso, legittimo, atto dovuto espropriare la Chiesa di quanto possiede.
    Boncompagni, il guardasigilli che ha già sforbiciato in precedenza le congrue, così giustifica il suo operato: “La Chiesa è un grande istituto di beneficienza (…) concetto che meglio corrisponde all’idea del suo fondatore.” La Chiesa “ha sui beni stabili quei diritti che lo Stato trova conveniente concederle“, e quando lo Stato decidesse di assumere su di sé il provvedere ai poveri…i beni ecclesiastici non dovrebbero forse passare anch’essi al Governo?
    In Commissione si delibera che una comunità religiosa è un ente morale che non esiste in natura e quindi non si può arrogare la pretesa di possedere dei diritti naturali. Se non esiste in natura, allora è lo Stato che gli permette di esistere: “Lo Stato crea, lo Stato può distruggere quello che ha creato”. Peccato che lo Stato, storicamente, sia l’ultimo arrivato, che scambia per concessioni sue le creazioni e le libere donazioni del popolo cristiano. Che lo scopo sia appunto quello di schiacciare la Chiesa rendendole molto più difficile proseguire la sua opera, più che di fare cassa, risulta evidente quando viene rifiutata la proposta dei vescovi di provvedere loro stessi alla congrua.
    E’ interessante leggere quello che dice Solaro della Margherita sugli analoghi provvedimenti fatti in passato dai governi che Cavour plaude come “illuminati”: “Il ministro (…) doveva dirci che i tesori immensi da Arrigo VIII derubati alla Chiesa in una somma uguale a 46 milioni di nostre lire di rendita furono poi dissipati in pochi anni, e sul finir del suo regno l’erario era nella più estrema penuria. Doveva dirci che sotto il regno di Elisabetta d’Inghilterra undici leggi dovè promulgare il parlamento per sollevare le migliaia di poveri, resi miseri dello spoglio dei beni della Chiesa. Doveva dirci che la Francia ebbe in mercede la dilapidazione delle finanze, la guerra civile, l’universale miseria; avremmo allora meglio apprezzati i rari benefizi che questa legge prepara al paese.“
    Parole profetiche: la soppressione degli ordini religiosi nel 1855 e la susseguente tassazione dei beni ecclesiastici contribuiranno a creare quella situazione di arretratezza ed estrema povertà che causerà l’emigrazione di milioni di nostri concittadini negli anni seguenti.
    Una cosa del genere non potrebbe accadere ai giorni nostri. Ormai è chiaro a tutti il principio che il non profit debba essere aiutato e non ostacolato, perchè fornisce un servizio inestimabile alla società, servizio che sarebbe ben più costoso e inefficace se fosse fornito direttamente dal governo. Il principio di sussidiarietà: non è lo Stato a provvedere, e male, a tutto, ma lo Stato stesso sostiene coloro che fanno, senza sostituirsi ad essi.
    Con bene chiari i disastri dello statalismo, nessuno sarebbe tanto folle da…..non è vero?
    150: Far cassa


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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    Evasori fiscali e vampiri anemici
    di Emiliano Fumaneri
    Intervenendo a Reggio Emilia, dove lo scorso sabato 7 gennaio ha celebrato il 215° anniversario del Tricolore, Mario Monti ha confessato di non essere mai stato persuaso dall'impiego dell'espressione «mettere le mani nelle tasche degli italiani» come «sinonimo di tassazione» perché «alcuni italiani mettono loro, le loro mani, nelle tasche di altri italiani. Sono gli evasori rispetto ai contribuenti onesti».
    Le parole del premier hanno suscitato la reazione di quanti nel rigetto di questa formula linguistica hanno intravisto la velata critica di una delle idee-forza del progetto politico berlusconiano. Pochi forse ricordano però come, con significativa continuità, alla stessa immagine degli evasori con le mani in altrui tasche avesse fatto ricorso qualche anno prima Tommaso Padoa-Schioppa, il ministro dell’Economia del secondo governo Prodi recentemente scomparso. L’invettiva anti-evasione pronunciata da Padoa-Schioppa nel 2006, coerente con la propria funzione di ministro-liturgo di uno Stato-Provvidenza, in verità aveva assunto allora anche toni più vibranti, trasformandosi in un vero imperativo etico: «Gli evasori non solo hanno messo le mani nelle tasche dello Stato e in quelle degli altri cittadini che pagano le tasse, ma violano anche il settimo comandamento».
    In altre circostanze l’evocazione della morale dei comandamenti da parte di un ministro della Repubblica sarebbe stata considerata un grave attentato alla “laicità dello Stato”. Ma l’oppressione fiscale in nome della “Volontà generale”, si sa, val bene una messa, e le vestali del laicismo in quel frangente osservarono, è il caso di dirlo, un religioso silenzio.
    Resta da chiedersi perché mai si invochi proprio questo termine, «evasione». L’uso linguistico come spesso accade è sintomatico. In un articolo comparso nel giugno 1973 sul periodico Itinéraires il filosofo-contadino Gustave Thibon





    notava come l’evoluzione linguistica, in questo campo come in altri, fosse foriera di preziosi insegnamenti: «L’espressione frode fiscale – osserva Thibon –, che designa il delitto col quale il cittadino tenta di sfuggire alle maglie del fisco, è sostituita in misura sempre più crescente dal termine evasione fiscale». Vi è una sostanziale differenza tra le due espressioni. Mentre frodare equivale a mancare a un dovere, abusando della fiducia o dell’incompetenza altrui, l’atto di evadere è proprio del prigioniero che furtivamente si allontana dal luogo di detenzione. E questo significa, prosegue Thibon, «che il rapporto tra il contribuente e il fisco tende a somigliare a quello di un detenuto col proprio carceriere». Una disamina acuta, quella del philosophe-paysan, che a poco meno di quarant'anni di distanza si dimostra quanto mai attuale. Già allora la voracità e l'iniquità del sistema fiscale ponevano il contribuente nelle condizioni di sentirsi in «stato di legittima difesa».
    Ingiusta, secondo Thibon, è anzitutto l’imposta attualmente richiesta, che colpisce in maniera particolare la sana imprenditorialità e la massa dei salariati, vale a dire il capitale e il lavoro produttivo. E d’altro canto l’inverosimile, astrusa complessità dei meccanismi della legislazione fiscale offre innumerevoli scappatoie agli elementi marginali e parassitari dell’economia (trafficanti, speculatori, imprese deficitarie, ecc.), ma scaltri a sufficienza da riuscire a insinuarsi tra le pieghe del Leviatano fiscale, quando non sono addirittura in grado di trarne profitto. Tanto che si può arrivare al caso limite di vedere penalizzate onestà civica e competenza e ricompensate disonestà e incapacità.
    L’imposta non solo è eccessiva: è anche mal ripartita e tende a divenire inefficace, perfino controproducente. Non solo perché in questo modo la riscossione e la redistribuzione dei tributi comportano costi enormi e un vertiginoso dispendio di energie, ma anche perché «ogni offensiva del fisco suscita presso le sue vittime nuovi riflessi di autodifesa, l'ingiustizia richiamando la frode in una catena senza fine».
    Si assiste così a uno dei più tristi spettacoli della nostra epoca, quello di «vedere i singoli e lo Stato rivaleggiare in immoralità». Tutto questo accade perché «lo Stato si vuole provvidenza universale e non può divenirlo se non trasformandosi in vampiro». Diventa normale, in queste condizioni, che «ciascuno cerchi di evitare le ventose del vampiro per abbeverarsi scaltramente alle mammelle della provvidenza. Ciò dà luogo a un incrociarsi di interessi contrastanti che falsa il gioco naturale dell'economia...». L’unico rimedio utile a estinguere la sete dello Stato-vampiro consiste allora nel ridurre l’imposta iniqua per riconsegnarlo così al suo originario ruolo di legislatore, giudice e arbitro. Liberato il mercato dal gravame dell'esorbitante fiscalità pubblica, la sana prosperità che ne deriverebbe comporterà un rilancio del principio di sussidiarietà: permetterà cioè agli individui o agli organismi privati di assumere in prima persona i compiti oggi usurpati dallo Stato, in primo luogo la funzione di «imprenditore»: una esperienza ormai fin troppo lunga lascia ben poche illusioni sul cattivo funzionamento dei monopoli di Stato. Per non parlare del ruolo di «assicuratore», chiosa Thibon: «Il deficit cronico della Previdenza sociale, la lenta e cattiva qualità dei servizi, gli abusi incoraggiati dal clima di irresponsabilità e anonimato che regna al suo interno costituiscono uno scandalo permanente».
    Così, «tanto per la propria voracità nei confronti degli uni quanto per gli interventi disordinati o infondati in favore degli altri – individui o gruppi di pressione – lo Stato moderno disorganizza tutto quel che tocca. E i suoi servizi all'apparenza più gratuiti sono in realtà i più onerosi, poiché non può dare da un lato se non prendendo dall'altro e, visto il disordine e lo spreco che regnano all'interno del proprio circuito, se non prendendo più di quanto non dia. Come vampiro, assorbe troppo; come provvidenza, distribuisce male».
    Infine, assurdo paradosso, questo organismo ipertrofico si indebolisce nelle misura in cui diventa sempre più ampio: «Questo vampiro è un vampiro anemico giacché le spese aumentano sempre più velocemente delle proprie risorse. Come certi bulimici, sta tanto più male quanto più divora».



    Occorre dunque che lo Stato sia ricondotto alle proprie normali dimensioni. Dall'innalzamento di un argine all'abnorme invasività del fisco trarrà giovamento non solo la società, ma lo Stato stesso che, finalmente «liberato dalle funzioni estranee alla propria sfera di competenza, potrà efficacemente consacrarsi al suo compito: assicurare l'ordine nella libertà».
    La Bussola Quotidiana quotidiano cattolico di opinione online: Evasori fiscali e vampiri anemici



    VOGLIONO FARCI ANNEGARE ATTACCATI ALLA BANDIERA
    di GILBERTO ONETO
    Monti tartassa i poveri cittadini e spreme i soliti noti come lo sceriffo di Nottingham. Adesso manda le sue squadracce gialle a terrorizzare residenti e villeggianti di Cortina e Portofino. È quasi diventato uno status symbol per le mete più care ed esclusive. Viareggio e Jesolo si sentono tagliate fuori. Di andare molto più a sud non se ne parla proprio ma da quelle parti va bene così.
    É vero che l’evasione è una delle voci più consistenti da recuperare ma non è con il porta a porta che si fa la lotta, non è mettendo gabellieri col bavero alzato a spiare dal buco nel giornale chi esce dai negozi di bigiotteria che si raddrizza la baracca. I 150 miliardi stimati di evasione si trovano lavorando di computer, incrociando dati e pescando dove ci sono tanti e grossi evasori: non serve la rete a strascico per acchiappare qualche pesciolino e disastrare il fondo. Ci sono aree sociali e geografiche dove gli evasori totali scorazzano liberi: ci sono mestieri e regioni dove il vecchio 740 era conosciuto solo come un modello di Mercedes o un calibro di rivoltella. E il modello Unico andrebbe chiamato Raro se non Inesistente. Invece di chiedere il permesso di soggiorno agli stranieri (e “patenteelibretto” a tanti italiani veraci) converrebbe chiedere la dichiarazione dei redditi, come si fa in America non solo alla dogana. Ci sono i 90 e passa miliardi di evasione delle Slot machines: scoperti e quantificati ma mai pretesi. Si sa dove andarli a prendere, oltre a tutto si possono tenere gli evasori per le palle portando via le macchinette. Perché non li si prende? Hanno amici potenti?
    E la malavita. Si parla di un fatturato di 135 miliardi l’anno, tutto esentasse. Certo non è fine tassare lo spaccio o i proventi delle rapine, ma almeno si sequestrino per davvero tutti i beni dei mascalzoni e dei loro parenti.
    Non fa fine neppure tassare la prostituzione che legalmente non esiste ma che ha un giro di affari di una decina di miliardi l’anno. Si può salvare la privacy garantendo l’anonimato della marchetta.
    E poi ci sono i grandi sprechi.
    Cominciamo dagli stipendi ai dipendenti pubblici: circa 90 miliardi l’anno. É gente che fa lavori che potrebbero essere lasciati ai privati, che fa lavori che sono solo degli ammortizzatori sociali, che fa collettivamente lavori che potrebbero essere fatti da uno solo, che fa lavori inutili, che spesso fa poco o addirittura un accidente di niente. Ce n’è una parte che fa addirittura lavori dannosi o vessatori per i cittadini. Se ne possono mettere in mobilità tanti (dolce eufemismo per dire che si devono finalmente trovare un lavoro vero) e si può mettere un tetto alle retribuzioni: magistrati, generali, direttori e prefetti prendono troppo. Se il taglio sembra ingiusto per le loro capacità, provino a cercare un posto in fabbrica o sul mercato. Abbiamo il numero più alto nel mondo occidentale di insegnanti, forestali e soprintendenti. Ma cosa può andare a fare tutta questa brava gente se la si allontana dai comodi uffici pubblici e dalle macchinette del caffè? Può sostituire gli immigrati stranieri che – ci raccontano – fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare perché fanno i pubblici dipendenti.
    Si spendono ogni anno 24 miliardi nella difesa; adesso se ne buttano 15 solo per acquistare dei nuovi cacciabombardieri. Cosa ce ne facciamo di decine di migliaia di soldati (per larga parte generali) se per dovere costituzionale l’Italia non può aggredire nessuno (tranne Serbia e Libia)? La casta costa. Si calcolano 9 miliardi l’anno: solo il virtuoso e sobrio Quirinale se ne prende 230 milioni, il doppio dell’Eliseo, cinque volte più di Buckingham Palace e 25 volte più che la Corte del re di Spagna.
    In troppi vivono di politica e la cosa costa 24-25 miliardi l’anno: quasi tutti da risparmiare.
    Si calcola che in corruzione se ne vadano altri 50 o 60 miliardi.
    Gli stranieri ci costano complessivamente ogni anno dai 35 ai 50 miliardi.
    Infine – si fa per dire – c’è la storica voragine del Mezzogiorno che negli ultimi anni succhia 50-56 miliardi secondo le stime più prudenti e quasi il doppio secondo quelle meno patriottiche.
    Il ministro Monti avrebbe di che lavorare di forbici se solo lo volesse o se il toccare queste spese non fosse pericolosamente destabilizzante per il sistema politico, e potenzialmente deflagrante per l’unità della cara Patria.
    La sola alternativa che trova è quella che generosamente già percorre: aumentare le tasse, tagliare le pensioni e strangolare lentamente l’economia. Il suo progetto è una lunghissima agonia, una sorta di coma controllato che consenta alla Repubblica di sopravvivere in qualche modo sia pur in stato vegetativo. Ha infatti dichiarato di augurarsi che nel 2061 si festeggeranno ancora unità e tricolore. Ha omesso di descrivere la necessaria dotazione di tubi, tubicini, respiratori artificiali, manette e camicie di forza.
    Sono così patriottici da volerci fare tutti annegare aggrappati alla bandiera.
    Eppure la soluzione, facile, rapida e indolore, ci sarebbe: un federalismo vero in cui ogni comunità organica davvero gestisse soldi, tasse e libertà politiche, e controllasse tutto da vicino. Sprechi, evasione, corruzione e miseria si ridurrebbero dappertutto e quasi sparirebbero sopra il Fosso del Chiarone.
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    SCONTRINI, SUGHERO E IL COMMERCIALISTA AMERICANO
    di TONTOLO
    L’altra sera, in osteria, guardavo un programma tv in cui il “tronista” era Attilio Befera – gran capo di Equitalia – coprotagonisti Oscar Giannino e l’onnipresente Giuseppe Bortolussi, gran ciambellano della CGIA di Mestre. A dirigere la baracca Alessio Vinci. Sì, stavo guardando Matrix quando ad un certo punto è spuntata anche una comparsa, era in collegamento da non so dove, ma di lui ricordo solo il nome e una frase.
    Il nome è Alessandro Rimassa, pare sia uno che vive con mille euro al mese, usa giacche con bottoni di sughero e s’inalbera se non gli fanno lo scontrino. La frase – che è forse la più gettonata in quest’Italia declassata - è questa: “Se tutti pagassero le tasse, tutti pagherebbero meno”. Applausi urbi et orbi ovviamente.
    Io, invece, ho tirato una “sgombettata” al Bepi, che si stava appisolando davanti al video, e gli ho detto: ma hai sentito? Ancora la solita solfa. Bepi ha annuito, ma ha continuato imperterrito il suo pisolo. Stava, anche lui, sognando il sughero, quello dei tappi del Cabernet.
    Tornando a bomba alle parole del giovincello in carriera, voglio dirvi che è un’assurdità comunemente sostenuta dal fisco, e dai suoi amici (che son tanti perbacco), che l’evasore obbliga il contribuente onesto a pagare di più. Non è così. Gli oneri fiscali che vengono evasi o elusi non vengono assunti da altre persone. Se il mio vicino lavora “in nero” e non paga le imposte, le mie aliquote fiscali non aumentano. Questo poteva valere nell’antico Egitto, dove ogni abitante era responsabile per il pagamento delle imposte dell’intero villaggio, ma oggi una regola simile non esiste. Oggi, meno imposte vengono pagate, meno lo Stato può spendere, e molta gente ritiene che lo Stato abbia comunque troppo denaro da spendere.
    Più di vent’anni fa un inglese di nome Parkinson formulò un paio di aforismi sulle tasse e sulla burocrazia: “Le spese aumentano fino a raggiungere le entrate”, cosa che significa che un governo spenderà tutto quello che riceverà; e “Il lavoro si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile”. In altre parole, gli Stati (e i loro impiegati) sprecheranno, se verrà loro data l’opportunità di farlo, sia tempo che denaro. Viceversa, se i loro portafogli saranno piccoli, i governi faranno economia, quindi l’evasione potrebbe, alla lunga, avere un effetto benefico sulla spesa pubblica”.
    Sembro colto vero? Invece no, ho solo letto un libro: “For Good and Evil” di Charles Adams, una specie di “commercialista” americano che da una vita studia la storia del fisco e delle sue conseguenze rispetto alla libertà. Quasi quasi, ne mando una copia a Rimassa e… senza rimessa diretta!
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    Predefinito Rif: Bisogna affamare la bestia!

    QUESTO E’ IL PAESE DEI LADRI DI STATO
    ARTURO DOILO
    Uomini dello Stato, al servizio dello Stato, perché lo Stato siamo noi, perché senza lo Stato come faremmo. Quante volte vi hanno raccontato queste favolette, giusto perché a qualcuno fa comodo far credere che le tasse non sono un furto, ma un obolo necessario ad avere servizi?
    Fanfaronate, perché – come sempre – sono i fatti a smentire la retorica. Ammontano, infatti, a 14.327 i dipendenti pubblici che tra il 2009 e il 2011 (un banale triennio, capito) sono stati accusati di danno erariale, dopo essere finiti sotto inchiesta per reati che vanno dalla corruzione alla truffa, dall’omissione in atti d’ufficio all’abuso.
    Il loro mirabile lavoro è servito a creare un buco di sei miliardi di euro nel bilancio dello Stato, quel bilancio che Monti pretende di ripianare derubandoci dei risparmi.
    Sono state le ispezioni della Guardia di Finanza a sollevare la questione e solo nell’ultimo anno sono state 883 quelle effettuate, 4.148 le segnalazioni alla Corte dei Conti per una perdita quantificata in un miliardo e 841 milioni di euro.
    La lista degli sprechi è capeggiata dal settore sanitario. Soltanto in Calabria (ma va?) “i finanzieri hanno denunciato alla Corte dei Conti 115 medici e 25 impiegati della Asp di Catanzaro contestando loro un danno complessivo di 12 milioni di euro. Senza contare quegli specialisti che utilizzavano Tac e risonanze magnetiche delle strutture pubbliche per i propri pazienti privati”. Un piede in due scarpe, insomma.
    Non parliamo delle “case popolari” poi. Stiamo parlando di enti amministrati spesso da politici trombati o amici degli amici con l’obiettivo di favorire parenti, amici e potenti. Finanche i ministri, vista la vicenda di Patroni Griffi. Stiamo parlando di milionate di euro finiti nella pattumiera degli sprechi di Stato. A Catania (e ti pareva?) – riporta la stampa – “il direttore dell’Ente Case Popolari aveva assegnato un negozio a suo figlio, che non ne aveva diritto, tant’è che non ha nemmeno allegato la richiesta, né tantomeno ha riscosso il canone. Non sono da meno i 21 amministratori comunali responsabili di un altro Istituto case popolari che ha consentito a numerosi inquilini di prendere possesso degli immobili, senza mai stipulare un contratto di locazione, facendo in modo di non poter pretendere più neanche un euro. Rasenta l’inverosimile poi il caso di un ente con 83 milioni di affitti non riscossi che nel tentativo, inutile, di recuperarli è stato autorizzato a stipulare un contratto di consulenza legale che ha portato ad un ulteriore esborso di tre milioni di euro”.
    Calcolatrice alla mano si tratta di ammanchi di circa 170 milioni di euro e tra le 70 e le 80 persone denunziate alla Corte dei Conti. Questi son fatti, che dimostrano semplicemente che laddove c’è lo Stato, quando non c’è furto c’è spreco.
    Stiamo parlando di un minuscolo spaccato d’Italia, dove le ruberie sono la regola, la corruzione il mantra, la spintarella un dovere morale. Stiamo parlando di 14.000 dipendenti statali, una goccia nel mare magnum dell’impiego pubblico, che andrebbe drasticamente ridimensionato, ma che per Monti non rappresenta un problema. Insomma, questa è una radiografia parziale, minimale di un sistema che non funziona, che depaupera i cittadini, che li costringe a pagare tasse pari ai sette decimi di ciò che producono.
    Ha ragione da vendere Carlo Zucchi quando scrive che “l’unica mano che ti dà lo Stato è quella che mette nelle tue tasche”.
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    EVASIONE, MA LO STATO NON E’ LEALE COI CITTADINI
    di CARLO MONTAGNA
    Probabilmente l’applausometro nazionale ha fatto registrare il suo picco quando in pieno clima vacanziero gli uomini della Guardia di Finanza hanno sconvolto la pace cortinese. All’ombra del Faloria una nutrita squadra di uomini dal basco grigio-verde ha eseguito controlli all’interno degli esercizi commerciali di Cortina d’Ampezzo ed ha effettuato controlli incrociati sbirciando marca e modello delle autovetture dei villeggianti, di quest’ultime si è cercato di capire se vi era compatibilità tra il livello del lusso delle quattro ruote e quanto dai proprietari precedentemente donato al fisco. Quale migliore vetrina d’ostentazione per i nuovi e i vecchi (e i falsi) ricchi se non il famoso Corso ampezzano con obbligatorio “struscio” e fermata al Lovat per gustare una cioccolata calda con panna? Intendiamoci, l’evasione va combattuta severamente. Verrebbe da aggiungere severamente e seriamente. Il messaggio è chiaro: ora lo Stato deve far sentire la sua pesante mano, sono finiti i tempi del velluto, si è passati alla corazza.
    Ma se i cittadini pretendessero lo stesso modus operandi dallo Stato? Una sorta di reciprocità. Io cittadino sono fedele allo Stato quanto lo stesso Stato lo è con me. Tempi certi per la giustizia, per i pagamenti provenienti dalle casse pubbliche, puntualità dei pagamenti dei rimborsi riconosciuti, semplificazione burocratica, sanità funzionante e chissà quant’altro ancora. Populismo, idealismo? Può darsi, però sarebbe ora d’incominciare a meglio chiarire quali soni i rapporti tra cittadini e Stato. Quali sono i fondamenti di uno Stato Moderno o post-Moderno? Stiamo tornando ad un’epoca ante Thomas Hobbes, autore de Il Leviatano dove è la natura (e quindi il più forte) ad avere la meglio? E se un cittadino si rivolgesse allo Stato con un evangelico: “non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te”? Per ora il blitz degli uomini della Guardia di Finanza ha sortito un immediato risultato: la massa ridente ha festeggiato il nuovo anno con lo stesso entusiasmo con cui il popolo parigino vedeva rotolare le teste ghigliottinate dei nobili. Speranzosi di vedere presto un altro capo sanguinolento finire nella cesta di vimini. Più che senso di giustizia, mi sembra siano prevalsi l’invidia e l’astio.
    Ricordo un simpatico dibattito nato poco dopo l’uscita del libro di Roberto Saviano, Gomorra. Quando l’autore descriveva la poco ridente cittadina di Casal di Principe (Caserta) narrava come la cittadina fosse nota per avere la più alta percentuale di concentrazione di auto Mercedes d’Italia. Ma da quelle parti nessuno va a verificare la compatibilità tra quanto versato al fisco e quanto posseduto? E il popolo che applaude al blitz cortinese si è già dimenticato che Massimo D’Alema (sia pure tramite leasing o altre diavolerie e in comproprietà), comunque aveva (recentemente lo ha messa in vendita) la disponibilità di una lussuosa barca a vela. Si chiamava Ikarus, uno sloop di sessanta piedi con quattro cabine e tre bagni. Ma anche questo è populismo. Naturalmente.
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    «Il modello per la scuola? La sanità lombarda»
    di Sabrina Cottone
    Milano
    Albi regionali per i professori, stop alle graduatorie, docenti
    reclutati direttamente dagli istituti, parità tra pubblico e privato.
    Roberto Formigoni punta molto sulla scuola.
    È in arrivo una rivoluzione nell'organizzazione del sistema scolastico?
    «Certamente sì, esattamente come abbiamo fatto la rivoluzione
    della sanità dodici anni fa quando avevamo tutti contro.
    Oggi sono tutti zitti perché, come avevo detto allora, abbiamo
    trasformato la sanità da un vecchio baraccone che non funzionava
    a un sistema ultramoderno al vero servizio del cittadino,
    consegnandogli la possibilità di scegliere ed elevando
    a dismisura la qualità dei servizi, per di più a pareggio di bilancio».
    Ci può spiegare meglio in che senso intende trasformare
    la scuola sul modello della sanità?
    «La scuola italiana è conciata come lo era la sanità lombarda
    nel 1995: costosissima e agli ultimi posti in classifica per la qualità,
    con insegnanti avviliti, mortificati e non valorizzati.
    Il mio impegno è fare della scuola, non italiana perché
    non compete, ma lombarda, una scuola di qualità
    che rimonti in classifica velocissimamente
    e che valorizzi il merito degli insegnanti».
    Lei parla di albi regionali, scuola lombarda.
    Prove di federalismo leghista?
    «No, è un'idea targata Roberto Formigoni che la mia maggioranza
    approva, tanto che l'abbiamo messa nel programma.
    L'obiettivo è la qualità, non il federalismo.
    Non è una scuola federalista. Il federalismo è uno strumento,
    l'albo regionale è uno strumento, il fine è dare più libertà
    e maggior riconoscimento al merito.
    Voglio dare ai nostri giovani un'istruzione pari o migliore
    di quella dei loro coetanei americani o tedeschi.
    Voglio esaltare il merito degli studenti e degli insegnanti».
    Che significa nel concreto esaltare il merito degli insegnanti?
    «Nessuno riconosce il loro impegno, sono tutti uguali a tutti.
    L'insegnante che esalto è moderno, si aggiorna, inventa
    nuovi metodi, appassiona gli studenti, li porta in giro
    a conoscere novità. Il mio obiettivo è passare dall'insegnante
    burocrate all'insegnante dirigente, che si faccia carico
    della scuola e la trasformi».
    Gli insegnanti lamentano spesso di avere stipendi inadeguati.
    Come pensa di superare questo problema?
    «La rivoluzione della scuola avrà conseguenze sugli stipendi,
    sarà riconosciuto il merito. Basta con l'appiattimento stipendiale,
    la paga uguale che mortifica. I miei dirigenti della Regione
    Lombardia hanno un premio che arriva al 33 per cento
    della busta paga. Anche gli insegnanti possono avere un terzo
    dello stipendio in più se si impegnano».
    In un momento di difficoltà economica, gli aumenti
    di stipendio sono realistici?
    «Ho l'esempio della sanità che vale: si risolve il problema
    aprendo ai privati e al terzo settore. Dodici anni fa ho aperto
    alla sanità privata e alcuni modernissimi ospedali sono stati
    inseriti nel sistema pubblico. Adesso inserisco gli imprenditori
    del territorio, gli artigiani, la piccola e media impresa.
    È la scuola che dovrà assumere gli insegnanti, una scuola
    che deve diventare di comunità con gli imprenditori e il territorio,
    con tutto ciò che la circonda».
    Ha allo studio un sistema di accreditamento delle scuole
    simile a quello che esiste per gli ospedali?
    «Il sistema scolastico lombardo vedrà accreditare le scuole private,
    come abbiamo già fatto con il buono scuola.
    L'80 per cento delle scuole libere nel resto delle Regioni
    muoiono per asfissia, noi le abbiamo salvate».
    Che cosa risponde a chi teme che destinare tanta attenzione
    alle scuole private possa far peggiorare il livello della scuola pubblica?
    «Gli interlocutori più attenti in Lombardia, anche sul versante
    sindacale, sono perfettamente d'accordo con noi.
    È la riforma di cui l'Italia ha bisogno.
    Non mi stupisce che conservatori e burocrati siano contrari,
    ma li spazzeremo via come è avvenuto con la sanità.
    È l'innovazione che i nostri cittadini vogliono e mi hanno chiesto,
    è l'innovazione che introdurremo, rispettando tutti i diritti acquisiti
    ma travolgendo le resistenze corporative passatiste ed egoiste
    di chi non guarda al futuro».
    «Il modello per la scuola? La sanità lombarda» - Interni - ilGiornale.it


 

 
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