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    Predefinito 31 gennaio 2012: San Giovanni Bosco, confessore

    Catechismo Maggiore di San Pio X - Della Circoncisione del Signore
    Partire

    D. Che festa è la Circoncisione del Signore?
    R. La Circoncisione del Signore è la festa istituita per celebrare la memoria del sangue sparso da Gesù Cristo nei primi giorni della sua vita.

    D. Che cosa era la circoncisione nella legge antica?
    R. La circoncisione nella legge antica era un rito istituito dal Signore, per contrassegnare coloro che appartenevano al popolo di Dio, e per distinguerli dalle genti infedeli.

    D. Gesù Cristo era anch'Egli soggetto alla legge della circoncisione?
    R. Gesù Cristo certamente non era soggetto alla legge della circoncisione, perché era fatta per i servi e per i peccatori; e Gesù Cristo era vero Figliuolo di Dio e autore della legge, ed era la medesima santità.

    D. Perché Gesù Cristo ha voluto essere circonciso senza esservi obbligato?
    R. Gesù Cristo ha voluto essere circonciso senza esservi obbligato, perché essendosi per amore addossato i nostri peccati, volle portarne le pene e cominciare a lavarli col sangue fino dai primi giorni della sua vita.

    D. Che altro avvenne quando Gesù Cristo fu circonciso?
    R. Quando Gesù Cristo fu circonciso gli venne imposto il nome di Gesù, come già l'Angelo aveva ordinato per parte di Dio alla santissima Vergine e a san Giuseppe.

    D. Che cosa significa il nome di Gesù?
    R. Il nome di Gesù significa Salvatore; e si diede al Figliuolo di Dio, perché veniva a salvarci e a liberarci dai nostri peccati. 18 D. Si deve avere grande rispetto pel nome di Gesù? R. Pel nome di Gesù si deve avere grandissimo rispetto, perché questo rappresenta il nostro divin Redentore che ci ha riconciliati con Dio, e ci ha meritato alla vita eterna.

    D. Che cosa dobbiamo fare per celebrare la festa della Circoncisione secondo la mente della Chiesa?
    R. Per celebrare la festa della Circoncisione secondo la mente della Chiesa dobbiamo fare quattro cose:
    adorare Gesù Cristo, ringraziarlo ed amarlo; invocare con viva fede e con rispetto il suo santissimo Nome, e porre in esso tutta la nostra confidenza; praticare la circoncisione spirituale, che consiste nel togliere dal cuore il peccato e ogni affetto disordinato;consacrare a Dio tutto l'anno che incomincia, e pregarlo a darci grazia di passarlo nel suo divino servizio.

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    Predefinito Rif: 1 gennaio 2012: Circoncisione del Signore - Ottava della Natività

    1° GENNAIO 2012

    CIRCONCISIONE DI NOSTRO SIGNORE
    E OTTAVA DI NATALE



    Il mistero di questo giorno.

    L'ottavo giorno dalla Nascita del Salvatore è giunto; i Magi si avvicinano a Betlemme; ancora cinque giorni, e la stella a fermerà sui luogo dove riposa il Bambino divino. Oggi, il Figlio dell'Uomo deve essere circonciso, e segnare, con questo primo sacrificio della sua carne innocente, l'ottavo giorno della sua vita mortale. Oggi, gli sarà imposto un nome; e questo nome sarà quello di Gesù che vuoi dire Salvatore. I misteri riempiono questo grande giorno; accogliamoli, e onoriamoli con tutta la religione e con tutta la tenerezza dei nostri cuori.

    Ma questo giorno non è soltanto consacrato a onorare, la Circoncisione di Gesù; il mistero della Circoncisione fa parte di un altro ancora maggiore, quello dell'Incarnazione e dell'Infanzia del Salvatore; mistero che non cessa di occupare la Chiesa non solo durante questa Ottava, ma anche nei quaranta giorni del Tempo di Natale. D'altra parte, l'imposizione del nome di Gesù deve essere glorificata con una solennità speciale, che presto celebreremo. Questo grande giorno fa posto ancora a un altro oggetto degno di commuovere la pietà dei fedeli. Tale oggetto è Maria, Madre di Dio. Oggi, la Chiesa celebra in modo speciale l'augusta prerogativa della divina Maternità, e conferita a una semplice creatura, cooperatrice della grande opera della salvezza degli uomini.

    Un tempo la santa Romana Chiesa celebrava due messe il primo gennaio: una per l'Ottava di Natale, l'altra in onore di Maria. In seguito, le ha riunite in una sola, come pure ha unito nel resto dell'Ufficio di questo giorno le testimonianze dell'ammirazione per il Figlio alle espressioni dell'ammirazione e della sua tenera fiducia per la Madre.

    Per pagare il tributo di omaggi a colei che ci ha dato l'Emmanuele, la Chiesa Greca non aspetta l'ottavo giorno dalla Nascita del Verbo fatto carne. Nella sua impazienza, consacra a Maria il giorno stesso che segue al Natale, il 26 dicembre, sotto il titolo di Sinassi della Madre di Dio, riunendo queste due solennità in una sola, di modo che onora santo Stefano solo il 27 dicembre.



    La Maternità divina.

    Noi figli maggiori della santa Romana Chiesa, effondiamo oggi tutto l'amore dei nostri cuori verso la Vergine Madre, e uniamoci alla felicità che essa prova per aver dato alla luce il Signore suo e nostro. Durante il sacro Tempo dell'Avvento, l'abbiamo considerata incinta della salvezza del mondo; abbiamo proclamato la suprema dignità del suo casto seno come un altro cielo offerto alla Maestà del Re dei secoli. Ora essa ha dato alla luce il Dio bambino; lo adora, ma è la Madre sua. Ha il diritto di chiamarlo suo Figlio; e lui, per quanto Dio, la chiamerà con tutta verità sua Madre.

    Non stupiamo dunque che la Chiesa esalti con tanto entusiasmo Maria e le sue grandezze. Comprendiamo al contrario che tutti gli elogi che essa può farle, tutti gli omaggi che può tributarle nel suo culto, rimangono sempre molto al di sotto di ciò che è dovuto alla Madre del Dio incarnato. Nessuno sulla terra arriverà mai a descrivere e nemmeno a comprendere quanta gloria racchiuda tale sublime prerogativa. Infatti, derivando la dignità di Maria dal fatto che è Madre di Dio, sarebbe necessario, per misurarla in tutta la sua estensione, comprendere prima la Divinità stessa. È a un Dio che Maria ha dato la natura umana; è un Dio che essa ha per Figlio; è un Dio che si è onorato, di esserle sottomesso, secondo l'umanità. Il valore di così alta dignità in una semplice creatura non può dunque essere stimato se non riavvicinandolo alla suprema perfezione del grande Dio che si degna così di mettersi sotto la sua dipendenza. Prostriamoci dunque davanti alla Maestà del Signore; e umiliamoci davanti alla suprema dignità di colei che Egli si è scelta per Madre.

    Se consideriamo ora i sentimenti che tale situazione ispirava a Maria riguardo al suo divin Figlio, rimarremo ancora confusi dalla sublimità del mistero. Quel Figlio che essa allatta, che tiene fra le braccia, che stringe al cuore, lo ama perché è il frutto del suo seno; lo ama, perché è madre, e la madre ama il figlio come se stessa e più di se stessa; ma se passa a considerare la maestà infinita di Colui che si affida così al suo amore e alle sue carezze, trema e si sente quasi venir meno, fino a che il suo cuore di Madre la rassicura, al ricordo dei nove mesi che quel Bambino ha passato nel suo seno, e del sorriso filiale con il quale le sorrise nel momento in cui lo diede alla luce. Questi due grandi sentimenti, della religione e della maternità, si confondono in quel cuore su quell'unico e divino oggetto. Si può immaginare qualcosa di più sublime di questo stato di Maria Madre di Dio? e non avevamo ragione di dire che, per comprenderlo in tutta la sua realtà, bisognerebbe comprendere Dio stesso, il solo che poteva concepirlo nella sua infinita sapienza, e realizzarlo nella sua infinita potenza?

    Madre di Dio! Ecco il mistero per la cui realizzazione il mondo era nell'attesa da tanti secoli; l'opera che, agli occhi di Dio, sorpassava infinitamente, come importanza, la creazione di un milione di mondi. Una creazione non è nulla per la sua potenza; egli dice, e tutte le cose sono fatte. Al contrario, perché una creatura diventasse Madre di Dio, egli ha dovuto non soltanto invertire tutte le leggi della natura col rendere feconda la verginità, ma porsi divinamente egli stesso in apporti di dipendenza, in rapporti di figliolanza riguardo alla fortunata creatura che ha scelta. Ha dovuto conferirle diritti su se stesso, accettare doveri verso di lei; in una parola, farne la Madre sua ed essere suo Figlio.

    Da ciò deriva che i benefici di quella Incarnazione che dobbiamo all'amore del Verbo divino, potremo e dovremo, con giustizia, riferirli nel loro significato vero, benché inferiore, a Maria stessa. Se essa è Madre di Dio, è perché ha consentito ad esserlo. Dio si è degnato non solo di aspettare quel consenso, ma di farne dipendere la venuta del suo figlio nella carne. Come il Verbo eterno pronunciò il FIAT sul caos, e la creazione usci dal nulla per rispondergli; cosi, mettendosi Dio in ascolto, Maria pronunciò anch'essa il suo FIAT: sia fatto di me secondo la tua parola; e lo stesso Figlio di Dio ascese nel suo casto seno. Dobbiamo dunque il nostro Emmanuele dopo Dio, a Maria, la sua gloriosa Madre.

    Questa necessità indispensabile d'una Madre di Dio, nel piano sublime della salvezza del mondo, doveva sconcertare gli artefici di quell'eresia che voleva distruggere la gloria del Figlio di Dio. Secondo Nestorio, Gesù non sarebbe stato che un uomo; la Madre sua non era dunque se non la madre d'un uomo: il mistero dell'Incarnazione era annullato. Di qui, l'antipatia della società cristiana contro un così odioso sistema. All'unisono, l'Oriente e l'Occidente proclamarono il Verbo fatto carne, nell'unità della persona, e Maria veramente Madre di Dio, Deipara, Theotocos, poiché ha dato alla luce Gesù Cristo. Era dunque giusto che a ricordo della grande vittoria riportata nel concilio di Efeso, e per testimoniare la tenera venerazione dei cristiani verso la Madre di Dio, si elevassero solenni monumenti che avrebbero attestato nei secoli futuri quella suprema manifestazione. Fu allora che cominciò nella Chiesa greca e latina, la pia usanza di congiungere, nella solennità di Natale, la memoria della Madre al culto del Figlio. I giorni assegnati a tale commemorazione furono differenti, ma il pensiero di religione era lo stesso.

    A Roma, il santo Papa Sisto III fece decorare l'arco trionfale della Chiesa di S. Maria ad Praesepe, la meravigliosa basilica di S. Maria Maggiore, con un immenso mosaico a gloria della Madre di Dio. Quella preziosa testimonianza della fede del V secolo è giunta fino a noi; e in mezzo a tutto l'insieme sul quale figurano, nella loro misteriosa ingenuità, gli avvenimenti narrati dalle sacre Scritture e i simboli più venerabili, si può leggere ancora la nobile iscrizione con la quale il santo Pontefice dedicava quel segno della sua venerazione verso Maria, Madre di Dio, al popolo fedele: XISTUS EPISCOPUS PLEBI DEI.

    Canti speciali furono composti anche a Roma per celebrare il grande mistero del Verbo fattosi uomo da Maria. Magnifici Responsori e Antifone vennero a servire d'espressione alla pietà della Chiesa e dei popoli, e hanno portato quell'espressione attraverso i secoli. Fra questi brani liturgici, vi sono delle Antifone che la Chiesa Greca canta con noi, nella sua lingua, in questi stessi giorni, e che attestano l'unità della fede come la comunità dei sentimenti, davanti al grande mistero del Verbo incarnato.



    MESSA

    La Stazione è a S. Maria in Trastevere. Era giusto che si glorificasse questa Basilica che fu sempre venerabile fra quelle che la pietà cattolica ha consacrate a Maria. È la più antica fra le Chiese di Roma dedicate alla santa Vergine, e fu consacrata da san Callisto, fin dal secolo III, nell'antica Taberna Meritoria, luogo celebre presso gli stessi autori pagani per la fontana d'olio che ne scaturì, sotto il regno d'Augusto, e scorse fino al Tevere. La pietà dei popoli ha voluto vedere in quell'avvenimento un simbolo del Cristo (unctus) che doveva presto nascere; e la Basilica porta ancora oggi il titolo di Fons olei [1].



    EPISTOLA (Tt 2,11-15). - Carissimo: Apparve la grazia di Dio nostro Salvatore a tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinunziare all'empietà ed ai mondani desideri, per vivere con temperanza, giustizia e pietà in questo mondo, attendendo la beata speranza, la manifestazione gloriosa del gran Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo: il quale diede se stesso per noi, affine di riscattarci da ogni iniquità e purificarci un popolo tutto suo, zelatore di opere buone. Così insegna ed esorta: in Gesù Cristo Signor nostro.



    In questo giorno, nel quale noi facciamo cominciare l'anno civile, i consigli del grande Apostolo vengono a proposito per avvertire i fedeli dell'obbligo che hanno di santificare il tempo che è loro dato. Rinunciamo ai desideri del secolo; viviamo con sobrietà con giustizia e con pietà; e nulla ci distragga dall'attesa della beatitudine che tutti speriamo. Il grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, che appare in questi giorni nella sua misericordia per ammaestrarci, ritornerà nella sua gloria per ricompensarci. Il progredire del tempo ci avverte che il giorno si avvicina; purifichiamoci e diventiamo un popolo accetto agli occhi del Redentore, un popolo intento alle opere buone.



    VANGELO (Lc 2,21). - In quel tempo: Come passarono gli otto giorni per la circoncisione del fanciullo, gli fu posto nome Gesù, com'era stato chiamato dall'Angelo prima che nel seno materno fosse concepito.



    Il Bambino è circonciso; non appartiene più soltanto alla natura umana, ma diventa, per tale simbolo, membro del popolo eletto e consacrato al divino servizio. Egli si sottomette a quella cerimonia penosa, a quel segno di servitù, per compiere ogni giustizia. Riceve in cambio il nome di Gesù, nome che vuoi dire Salvatore; egli ci salverà dunque, ma ci salverà con il suo sangue. Ecco la volontà divina accettata da lui. La presenza del Verbo incarnato sulla terra ha per fine un sacrificio, e questo sacrificio comincia già. Potrebbe essere pieno e perfetto con quella sola effusione del sangue d'un Dio-Uomo; ma l'insensibilità del peccatore, del quale l'Emmanuele è venuto a conquistare l'anima, è così profonda che i suoi occhi contempleranno troppo spesso, senza che egli si commuova, l'abbondanza del sangue divino che è scorso sulla croce. Le poche gocce del sangue della circoncisione sarebbero bastate alla giustizia del Padre, ma non bastano alla miseria dell'uomo; e il cuore del divino Bambino vuole soprattutto guarire questa miseria. Per questo appunto egli viene; e amerà gli uomini fino all'eccesso, perché non vuole portare invano il nome di Gesù.



    * * *

    1 gennaio 2011: Ottava della Natività

    Consideriamo, in questo ottavo giorno dalla Nascita del divino Bambino, il grande mistero della Circoncisione che si opera nella sua carne. Oggi la terra vede scorrere le primizie del sangue che deve riscattarla; oggi il celeste Agnello, che deve espiare i nostri peccati, comincia a soffrire per noi. Compatiamo l'Emmanuele, che si offre con tanta dolcezza allo strumento che deve imprimergli un segno di servitù.

    Maria, che ha vegliato su di lui con tanta sollecitudine, ha visto venire l'ora delle prime sofferenze del suo Figlio con una dolorosa stretta al suo cuore materno. Sente che la giustizia di Dio potrebbe fare a meno di esigere quel primo sacrificio, oppure accontentarsi del prezzo infinito che esso racchiude per la salvezza del mondo, e tuttavia, bisogna che la carne innocente del suo Figlio sia già lacerata, e che il suo sangue scorra sulle delicate membra.

    Essa vede, desolata, i preparativi di quella rozza cerimonia; non può ne fuggire ne considerare il suo Figlio nelle angosce di quel primo dolore. Bisogna che oda i suoi sospiri, il suo gemito di pianto, e veda scendere le lacrime sulle sue tenere gote. "Ma mentre egli piange - dice san Bonaventura - credi tu che la Madre sua possa contenere le lacrime? Essa stessa dunque pianse. E vedendola così piangere, il Figlio suo, che stava ritto sul suo grembo, portava la manina sulla bocca e sul viso della Madre, come per farle segno di non piangere, perché Colei che egli amava teneramente, la voleva vedere cessare di piangere. Similmente da parte sua la dolce Madre, le cui viscere erano fortemente commosse dal dolore e dalle lacrime del suo Figliuolo, lo consolava con i gesti e con le parole. Infatti, siccome era molto prudente, essa intendeva bene la sua volontà, per quanto ancora non parlasse. E diceva: Figlio mio, se vuoi che io smetta di piangere, smetti anche tu, perché non posso fare a meno di piangere anch'io se piangi tu. E allora, per compassione verso la Madre, il Figlioletto cessava di singhiozzare. La Madre gli asciugava quindi gli occhi, metteva il suo viso a contatto con quello di lui, lo allattava e lo consolava in tutti i modi che poteva" [2].

    Ora, che cosa renderemo noi al Salvatore delle anime nostre, per la Circoncisione che si è degnato di soffrire onde mostrarci il suo amore? Dovremo seguire il consiglio dell'Apostolo (Col 2,2) e circoncidere il nostro cuore da tutti i suoi affetti cattivi, sradicarne il peccato con tutte le sue cupidigie, vivere infine di quella vita nuova di cui Gesù Bambino ci reca dal ciclo il semplice e sublime modello. Cerchiamo di consolarlo di questo primo dolore, e rendiamoci sempre più disposti agli esempi che egli ci dà.



    PREGHIAMO

    O Dio, che per la feconda verginità della beata Vergine Maria hai procurato al genere umano il prezzo dell'eterna salvezza; concedici, te ne preghiamo, di sentire l'intercessione di Colei che ci offrì in dono l'autore della vita, nostro Signor Gesù Cristo.



    [1] Fino all'VIII secolo, il primo giorno dell'anno si celebrava con una festa pagana. La Chiesa la sostituì, fra il 600 e il 657, con una festa cristiana, l'Octava Domini; era una nuova festa di Natale con uno speciale ricordo dedicato a Marla, Madre di Gesù, e la Stazione si faceva a S. Marla ad Martyres, il Pantheon d'Agrippa. Questa festa sarebbe, a giudizio di alcuni, la prima festa mariana della liturgia romana (Ephem. Liturg. t. 47, p. 430). I calendari bizantini dell'VIII e del IX secolo, e prima ancora il canone 17 del Concilio di Tours tenutosi nel 567 e il Martirologio gerominiano (fine del VI secolo) indicano, per il 1° gennaio, la festa della Circoncisione. Inoltre, nel paesi ielle Gallie si digiunava in quel giorno per distogliere i fedeli dalle feste pagane del 1° gennaio. Solo nel IX secolo la Chiesa Romana accetta la festa della Circoncisione: si ebbe allora doppio Ufficio e doppia Stazione, una delle quali a San Pietro.

    [2] Meditazioni sulla Vita di Gesù Cristo, Vol. I.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 177-183
    Ultima modifica di Luca; 31-12-11 alle 19:58

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    2 gennaio 2012
    FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI GESÙ



    Per celebrare questa festa, fu dapprima scelta la seconda domenica dopo l'Epifania, che ricorda il banchetto delle nozze di Cana. È nel giorno nuziale che la Sposa assume il nome dello Sposo, e questo nome d'ora in poi testimonierà che essa appartiene a lui. La Chiesa, volendo onorare con un culto speciale un nome per essa così prezioso, ne univa dunque il ricordo a quello delle Nozze divine. Oggi, essa riallaccia all'anniversario stesso del giorno in cui fu imposto, otto giorni dopo la nascita, la celebrazione di quell'augusto Nome.

    L'antica alleanza aveva circondato il Nome di Dio di un profondo terrore: quel nome era per essa tanto formidabile quanto santo, e l'onore di proferirlo non spettava a tutti i figli d'Israele. Dio non era ancora stato visto sulla terra a conversare con gli uomini, non si era ancora fatto uomo lui stesso per unirsi alla nostra debole natura: non potevano dunque dargli quel Nome d'amore e di tenerezza che la Sposa dà allo Sposo.

    Ma quando è giunta la pienezza dei tempi, quando il mistero d'amore è sul punto di apparire, scende innanzitutto dal cielo il Nome di Gesù, come un anticipo della presenza del Signore che deve portarlo. L'Arcangelo dice a Maria: "Gli imporrai il nome di Gesù"; ora Gesù vuoi dire Salvatore. Quanto sarà dolce a pronunziarsi, questo nome, per l'uomo che era perduto! Questo solo Nome quanto riavvicina già il cielo alla terra! Ve n'è forse uno più amabile o più potente? Se a questo divin Nome ogni ginocchio deve piegarsi in cielo, in terra e nell'inferno, vi è forse un cuore che non si commuova d'amore al sentirlo pronunciare? Ma lasciamo descrivere a san Bernardo la potenza e la dolcezza di questo Nome benedetto. Ecco come egli si esprime in proposito nel suo xv Sermone sul Cantico dei Cantici:

    "Il Nome dello Sposo è luce, cibo, medicina. Esso illumina, quando lo si rende noto; nutre, quando vi si pensa in segreto; e quando lo si invoca nella tribolazione, procura la dolcezza e l'unzione. Percorriamo, di grazia, ognuna di tali qualità. Donde pensate che si sia potuto diffondere nell'universo intero la grande e improvvisa luce della Fede, se non dalla predicazione del Nome di Gesù? Non è forse per la luce di quel Nome benedetto che Dio ci ha chiamati alla sua stessa mirabile luce? Illuminati da essa, e vedendo in quella luce un'altra luce, sentiamo san Paolo che ci dice giustamente: Voi eravate una volta tenebre; ma ora siete luce nel Signore.

    Ma il Nome di Gesù non è soltanto luce, è anche cibo. Non vi sentite dunque riconfortati ogni qual volta richiamate al vostro cuore quel dolce Nome? Che altro c'è al mondo che nutra tanto la mente di colui che Lo pensa? Che cos'è che, allo stesso modo, ristori i sensi indeboliti, dia energia alle virtù, faccia fiorire i buoni costumi e mantenga gli onesti e casti affetti? Ogni cibo dell'anima è arido se non è imbevuto di quest'olio, è insipido se non è condito con questo sale.

    Quando voi mi scrivete, il vostro dire non ha per me alcun sapore, se non vi leggo il Nome di Gesù. Quando discutete o parlate con me, tutto il vostro discorso non ha per me alcun interesse se non vi sento risonare il Nome di Gesù. Gesù è miele alla mia bocca, melodia al mio orecchio, giubilo al mio cuore; ed oltre a questo, una medicina benefica. Qualcuno di voi è triste? Che Gesù venga nel suo cuore, passi di qui nella sua bocca, e subito, alla venuta del Nome divino che è vera luce, scompare ogni nube, e torna il sereno. Qualcuno cade nel peccato oppure incorre, disperando, nei lacci della morte? Se invoca il Nome di Gesù, non comincerà subito a respirare e a vivere nuovamente? Chi mai restò nell'indurimento del cuore come fanno tanti altri; o nel torpore delle gozzoviglie, nel rancore o nel languore del tedio? Chi mai, avendo in sé esaurito la sorgente delle lacrime, non l'ha sentita d'improvviso scorrere più abbondante e più soave, appena è stato invocato Gesù? Qual è quell'uomo che, timoroso e preoccupato in mezzo ai pericoli, invocando quel Nome di forza non abbia sentito subito nascere in sé la fiducia e svanire la paura? Chi è colui, vi chiedo, che sbattuto e vacillante in balia dei dubbi, non ha all'istante - lo dico senza esitare - visto risplendere la certezza all'invocazione di un Nome così luminoso? Chi, nell'avversità, mentre era in preda alla sfiducia, non ha ripreso coraggio al suono di quel Nome di valido aiuto? Sono queste infatti le malattie e i languori dell'anima ed esso ne è il rimedio.

    Certamente, e posso provarvelo con quelle parole: Invocami, dice il Signore, nel giorno della tribolazione, e io ti libererò, e tu mi onorerai. Nulla al mondo arresta così decisamente l'impetuosità dell'ira e riduce ugualmente la gonfiezza della superbia. Nulla guarisce così perfettamente le piaghe della tristezza, comprime le irruenze della dissolutezza, spegne la fiamma della cupidigia, estingue la sete dell'avarizia, e distrugge tutti gli stimoli delle passioni disoneste. In verità, quando io nomino Gesù, ho davanti un uomo dolce e umile di cuore, benigno, sobrio, casto, misericordioso, in una parola splendente di ogni purezza e santità. È lo stesso Dio onnipotente che mi guarisce con il suo esempio, e mi rinforza con la sua assistenza. Tutte queste cose echeggiano nel mio cuore quando sento risuonare il Nome di Gesù. Così, in quanto è uomo, io ne ricavo degli esempi per imitarli, e in quanto è l'Onnipotente, ne ricavo un sicuro aiuto. Mi servo di quegli esempi come di erbe medicinali, e dell'aiuto come d'uno strumento per tritarle, e ne faccio così una mistura tale che nessun medico potrebbe farne una simile.

    O anima mia, tu hai un antidoto eccellente, nascosto come in un vaso, nel Nome di Gesù! Gesù, infatti è un nome salutare e un rimedio che non risulterà mai inefficace per nessuna malattia. Che esso sia sempre nel tuo cuore, e nella tua mano: di modo che tutti i tuoi sentimenti e tutti i tuoi atti siano diretti verso Gesù".

    Questa è dunque la forza e la soavità del santissimo Nome di Gesù, che fu imposto all'Emmanuele il giorno della sua Circoncisione; ma, siccome il giorno dell'Ottava di Natale è già consacra a celebrare la divina Maternità, e il mistero del Nome dell'Agnello richiedeva solo per sé una propria solennità, è stata, istituita la festa di oggi. Il suo primo promotore fu nel XV secolo, san Bernardino da Siena, che stabilì e propagò l'usanza di rappresentare, circondato di raggi, il santo Nome di Gesù ridotto alle sue prime tre lettere JHS, riunite in monogramma. Questa devozione si diffuse rapidamente in Italia, e fu incoraggiata dall'illustre san Giovanni da Capistrano, dell'Ordine dei Frati Minori al pari di san Bernardino da Siena. La Santa Sede approvò solennemente tale omaggio al Nome del Salvatore degli uomini, e nei primi anni del XVI secolo Clemente VII, dopo lunghe istanze, accordò a tutto l'Ordine di san Francesco il privilegio di celebrare una festa speciale in onore del santissimo Nome di Gesù.

    Roma estese successivamente questo favore a diverse Chiese ma doveva venire il momento in cui ne sarebbe stato arricchito lo stesso Ciclo universale. Fu nel 1721, dietro richiesta di Carlo VI imperatore di Germania, che il Papa Innocenzo XIII decretò che la festa del santissimo Nome di Gesù fosse celebrata in tutta la chiesa, e la fissò allora alla seconda Domenica dopo l'Epifania.



    EPISTOLA (At 4,8-12). - In quei giorni; Pietro ripieno di Spirito Santo, disse: Capi del popolo, ed anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul beneficio fatto ad un malato, affin di sapere in qual modo questo sia guarito, sia noto a voi tutti, e a tutto il popolo d'Israele, come in nome del Signor nostro Gesù Cristo Nazareno che voi crocifiggeste e Dio risuscitò da morte, in virtù di questo nome costui è salvo dinanzi a voi. Questa è la pietra riprovata da voi, costruttori, la quale è divenuta la pietra angolare. Ne c'è in altro salvezza. E non v'è altro nome Sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.



    Lo sappiamo, o Gesù: nessun altro nome fuorché il tuo poteva darci la salvezza. Quel nome infatti significa Salvatore. Sii benedetto per esserti degnato di accettarlo; sii benedetto per averci salvati! Tu appartieni al cielo, e assumi un nome della terra, un nome che può pronunciare una bocca mortale: unisci dunque per sempre la natura divina e quella umana. Rendiamoci degni di tale alleanza, e facciamo in modo che non ci avvenga mai di romperla.



    VANGELO (Lc 2, 2-1). - In quel tempo: Come passarono gli otto giorni per la circoncisione del fanciullo, gli fu posto nome Gesù, com'era stato chiamato dall'Angelo prima che nel seno materno fosse concepito.



    È nel momento della prima effusione del tuo sangue nella Circoncisione, o Gesù, che hai ricevuto il tuo Nome; e doveva essere così, poiché quel nome significa Salvatore, e noi non potevamo essere salvati che dal tuo sangue. Quella felice alleanza che tu vieni a stringere con noi ti costerà un giorno la vita, l'anello nuziale che imporrai alla nostra mano mortale sarà immerso nel tuo sangue, e la nostra vita immortale sarà il prezzo della tua morte crudele. Il tuo Nome santo ci dice tutte queste cose, o Gesù, o Salvatore! Tu sei la Vite, e c'inviti a bere il tuo Vino generoso, ma il celeste grappolo sarà duramente spremuto nel frantoio della giustizia del Padre celeste, e potremo inebriarci del suo divino liquore solo dopo che sarà stato violentemente staccato dal ceppo e frantumato. Che il tuo nome santo, o Emmanuele, ci richiami sempre alla mente questo sublime mistero, il suo ricordo ci preservi dal peccato e ci renda sempre fedeli!

    PREGHIAMO

    O Dio, che hai costituito il tuo Figlio Unigenito Salvatore del genere umano, ed hai voluto che fosse chiamato Gesù, concedici propizio di godere nel cielo la vista di Colui, del quale in terra veneriamo il santo Nome.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 183-187


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    Predefinito Rif: 1 gennaio 2012: Circoncisione del Signore - Ottava della Natività

    2 GENNAIO 2012

    Ottava di Santo Stefano



    Abbiamo terminato ieri l'Ottava della Nascita del Salvatore; termineremo oggi quella di santo Stefano; ma non perderemo di vista nemmeno per un istante il divino Bambino di cui Stefano, Giovanni il Prediletto, e gl'Innocenti formano la coorte. Presto vedremo i Magi arrivare alla culla del neonato Re. In queste ore d'attesa, glorifichiamo l'Emmanuele, proclamando le grandezze di coloro che egli ha scelti come i suoi più cari favoriti, e ammiriamo ancora una volta Stefano in quest'ultimo giorno dell'Ottava che la Chiesa gli ha dedicata. In un'altra parte dell'anno, lo ritroveremo con gioia; il 2 agosto infatti, egli apparirà ad allietare la Chiesa con la miracolosa Invenzione delle sue Reliquie, e riverserà su di noi nuovi favori.

    Un antico Sermone attribuito per lungo tempo a sant'Agostino ci riferisce che santo Stefano era nel fior d'una brillante giovinezza quando fu chiamato dagli Apostoli a ricevere, con l'imposizione delle mani, il carattere sacro del Diaconato. Gli furono dati sei compagni; Stefano era il capo della santa compagnia; e il titolo di Arcidiacono gli viene attribuito da sant'Ireneo fin dal secondo secolo.



    La Fedeltà.

    Ora, la virtù del Diacono è la fedeltà, e per questa ragione gli vengono affidati i tesori della Chiesa, tesori che non consistono soltanto nei denari destinati al sollievo dei poveri, ma in ciò che vi è di più prezioso in cielo e in terra: il Corpo stesso del Redentore, di cui il Diacono, per l'Ordine che ha ricevuto, è il dispensatore. Anche l'Apostolo, nella sua prima Epistola a Timoteo, raccomanda ai Diaconi di custodire il mistero della Fede con coscienza pura.

    Essendo dunque il Diaconato un ministero di fedeltà, era giusto che il primo Martire appartenesse all'ordine dei Diaconi, poiché il martirio è una prova di fedeltà; e questo è proclamato in tutta la Chiesa dalla gloriosa Passione dei tre magnifici atleti di Cristo che, coperti della dalmatica trionfale, compaiono alla testa dell'armata dei Martiri: Stefano, la gloria di Gerusalemme; Lorenzo, la delizia di Roma e Vincenzo, l'onore della cattolica Spagna.

    Per onorare il Diaconato nel suo primo rappresentante, vi è in molte Chiese l'usanza di far compiere ai Diaconi, nella festa di Santo Stefano, tutti gli uffici che non sono incompatibili con il loro carattere. Così, in parecchie cattedrali, il Cantore cede a un Diacono il suo bastone canterale, altri Diaconi assistono come coristi con le dalmatiche, e la stessa Epistola della Messa è cantata da un Diacono, perché contiene il racconto del martirio di santo Stefano.



    Antichità della festa.

    L'istituzione della festa del primo tra i Martiri, e la sua assegnazione al giorno che segue la Nascita del Salvatore, si perde nella più sacra e remota antichità. Le Costituzioni Apostoliche, raccolta siriaca compilata nel IV secolo, ce la mostrano già istituita, e fissata appunto al giorno che segue il Natale. San Gregorio Nisseno e sant'Astero di Amasea, entrambi anteriori all'epoca (415) in cui furono rivelate in mezzo a tanti prodigi le reliquie del grande Diacono, celebrano la sua solennità con speciali Omelie e la distinguono fra le altre per il fatto che ad essa spetta l'onore di essere celebrata nel giorno stesso che segue la Nascita di Cristo. Quanto alla sua Ottava, è meno antica; tuttavia, non si è in grado di stabilire la data dell'istituzione. Amalario, nel IX secolo, ne parla come se fosse già istituita, e il Martirologio di Notkero, nel X secolo, la porta espressamente.

    Non si deve stupire che la festa d'un semplice Diacono abbia ricevuto tanti onori, mentre la maggior parte di quelle degli Apostoli restano prive d'un'Ottava. La regola della Chiesa, nella Liturgia, è quella di graduare le distinzioni del suo culto in proporzione dei servigi che ha ricevuto dai Santi. Così onora san Girolamo, semplice sacerdote, d'un culto superiore a quello che attribuisce a molti santi Pontefici. Il posto e il grado di elevazione che concede sul Ciclo, sono in rapporto con la sua gratitudine verso gli amici di Dio che vi riunisce; è così che essa dirige la devozione del popolo fedele verso i celesti benefattori che dovrà venerare nei ranghi della Chiesa trionfante. Stefano, aprendo la via ai Martiri, ha dato il segnale di quella sublime testimonianza del sangue che costituisce la forza della Chiesa, e ratifica le verità di cui essa è depositarla e le eterne speranze che poggiano su tali verità. A Stefano dunque gloria e onore fino alla consumazione dei secoli, sulla terra fecondata dal sangue che egli ha unito a quello di Cristo!



    Santo Stefano e san Paolo.

    Abbiamo messo in risalto il carattere del Protomartire, che perdona ai suoi carnefici sull'esempio di Cristo, e abbiamo visto la santa Chiesa attingere in questo avvenimento la materia del suo più alto elogio verso santo Stefano. Ci fermeremo oggi a considerare una circostanza particolare del dramma così commovente che si svolse sotto le mura di Gerusalemme. Fra i complici della sanguinosa morte di Stefano, c'era un giovane chiamato Saulo. Focoso e minaccioso, custodiva gli abiti di coloro che lapidavano il Diacono e, come dicono i Padri, lo lapidava con le mani di tutti. Poco dopo, lo stesso Saulo veniva rovesciato da una forza divina sulla via di Damasco, e si rialzava discepolo di quel Gesù che la voce risonante di Stefano aveva proclamato Figlio del Padre celeste, fin sotto i colpi dei carnefici. La preghiera di Stefano non era stata inutile e tale conquista preannunciava quella della gentilità, della quale il sangue di Stefano diede alla luce l'Apostolo. "Sublime quadro! - esclama sant'Agostino. - Potete vedervi Stefano che viene lapidato e Saulo che custodisce gli abiti di coloro che lo lapidano. Ora, ecco che Saulo diventa Apostolo di Gesù Cristo, mentre Stefano è servo di Gesù Cristo. Tu sei stato rovesciato, o Saulo, e ti sei rialzato predicatore di Colui che perseguitavi. In ogni luogo si leggono le tue Epistole; in ogni luogo, converti a Cristo i cuori ribelli; in ogni luogo, diventato buon Pastore, formi numerosi greggi. Tu regni con Cristo, insieme a Colui che hai lapidato. Entrambi ci vedete, sentite entrambi quello che noi diciamo e pregate entrambi per noi. E vi esaudirà Colui che vi ha incoronati entrambi. Prima, uno era agnello e l'altro lupo; ora ambedue agnelli. Ci proteggano essi dunque con il loro sguardo, ci raccomandino nelle loro preghiere, e ottengano una vita pacifica e tranquilla alla Chiesa del loro Maestro!". Il tempo di Natale non terminerà, inoltre, senza che abbiamo riunito nel nostro culto Stefano e Paolo. Il 25 gennaio celebreremo la Conversione dell'Apostolo delle Genti: tocca alla sua gloriosa vittima presentarlo alla culla del comune Salvatore.

    Infine, la pietà cattolica, commossa dalla morte del primo fra i Martiri, da quella morte che lo scrittore sacro chiama un sonno, e che è in così forte contrasto con il rigore del supplizio che la provoca, la pietà cattolica, dicevamo, ha designato santo Stefano come uno dei nostri intercessori per la grazia di una buona morte. Imploriamo dunque l'aiuto del santo Diacono per l'ora in cui dovremo rendere al nostro Creatore quell'anima che egli ci ha affidata, e disponiamo fin d'ora il nostro cuore a offrire, quando il Signore lo richiederà, tutto il sacrificio di questa fragile vita che ci è data come un deposito, e che dobbiamo essere pronti a restituire quando ci sarà richiesta.
    Ti siano rese grazie, o glorioso Stefano, per l'aiuto che ci hai arrecato nella celebrazione della Nascita del nostro Salvatore. Spettava a te iniziarci al sublime e meraviglioso mistero d'un Uomo-Dio. Il celeste Bambino ci appariva in tua compagnia, e la Chiesa ti incaricava di rivelarlo ai fedeli, come lo rivelasti un tempo ai Giudei. La tua missione è compiuta: noi lo adoriamo, quel Bambino, come il Verbo di Dio; lo salutiamo come il nostro Re; ci offriamo a lui per servirlo come te, e riconosciamo che questo impegno va fino a dare il nostro sangue per lui, se lo vuole, o santo Diacono; che gli consacriamo fin da oggi il nostro cuore, che facciamo in modo di piacergli sempre, e di mettere tutta la nostra vita e tutti i nostri affetti in armonia con i suoi voleri. Meriteremo così di combattere la sua battaglia, se non nell'arena sanguinosa, almeno nella lotta contro le nostre passioni. Noi siamo i figli dei Martiri, e i Martiri hanno vinto il mondo, come il Bambino di Betlemme. Che il mondo non riporti più la vittoria nemmeno su di noi. Ottieni per il nostro cuore quella carità fraterna che tutto perdona, che prega per i nemici, che produce la conversione delle anime più ribelli. Veglia su di noi o Martire di Dio, nell'ora del nostro trapasso; assistici quando la nostra vita sarà sul punto di spegnersi; mostraci allora quel Gesù che ci hai fatto vedere Bambino; mostracelo glorioso, trionfante, e soprattutto misericordioso, mentre reca fra le mani divine la corona a noi destinata. E che le nostre ultime parole, in quell'ora estrema, siano come le tue: Signore Gesù, ricevi il mio spirito.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 187-191


  8. #8
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    Predefinito Rif: 2 gennaio 2012: Santissimo Nome di Gesù - Ottava di Santo Stefano Protomartire

    3 GENNAIO 2012
    Ottava di San Giovanni Evangelista


    Termina oggi l'Ottava di san Giovanni: ma dobbiamo ancor rendere un ultimo tributo di omaggi al Discepolo prediletto. Il Ciclo sacro ci riporterà nuovamente la sua gloriosa memoria il 6 maggio, quando, fra i gaudi della Risurrezione del suo Maestro, celebreremo la sua coraggiosa Confessione a Roma, in mezzo ai fuochi della Porta Latina. Oggi, cerchiamo di soddisfare la nostra riconoscenza verso di lui per le grazie che ci ha ottenute dalla misericordia del divino Bambino, considerando alcuni dei favori che ha ricevuti dall'Emmanuele.



    L'Apostolo.

    L'Apostolato di Giovanni fu fecondo di opere salutari per i popoli verso i quali fu inviato. Il paese dei Parti ricevette da lui il Vangelo, e fu lui a fondare la maggior parte delle Chiese dell'Asia Minore, fra le quali sette sono state scelte con i loro Angeli da Cristo stesso nella divina Apocalisse, per rappresentare le diverse classi di pastori e forse anche, come hanno pensato alcuni, le sette età della stessa Chiesa. Non dobbiamo dimenticare che le Chiese dell'Asia Minore, ancora ripiene della dottrina di san Giovanni, inviarono Apostoli nelle Gallie, e che l'insigne Chiesa di Lione è una delle conquiste di quella pacifica spedizione. Presto, proprio in questo santo Tempo di Natale, onoreremo l'eroico Policarpo, Vescovo di Smirne, discepolo di san Giovanni, e di cui fu a sua volta discepolo san Potino, che fu il primo vescovo di Lione.



    Il figlio di Maria.

    Ma le fatiche apostoliche di san Giovanni non lo distolsero dalle cure che la sua tenerezza filiale e la fiducia del Salvatore gli imponevano riguardo alla purissima Maria. Fino a quando Cristo la ritenne necessaria al consolidamento della sua Chiesa, Giovanni ebbe l'insigne privilegio di vivere con lei, di poterla circondare dei segni della sua tenerezza, finché, dopo aver soggiornato in Efeso con lui, essa tornò sempre con lui a Gerusalemme, donde si elevò dal deserto di questo mondo fino al cielo, come canta la Chiesa, simile a una leggera nube di mirra e d'incenso. Giovanni sopravvisse a questa seconda separazione, e attese, nelle fatiche dell'apostolato, il giorno in cui sarebbe stato concesso anche a lui di salire verso la beata regione in cui il suo divino Amico e la sua incomparabile Madre l'aspettavano.



    Il Dottore.

    Gli Apostoli, splendidi lumi posti sul candelabro dalla mano di Cristo stesso, si spegnevano man mano nella morte del martirio; rimaneva in piedi solo Giovanni nella Chiesa di Dio. Le Chiese raccoglievano le parole della sua bocca ispirata come la regola della loro fede, e la sua profezia di Patmos mostrava che i segreti dell'avvenire della Chiesa erano svelati ai suoi occhi. In mezzo a tanta gloria, Giovanni era umile e semplice come il Bambino di Betlemme, e ci si sente commossi dagli antichi racconti che ce lo mostrano mentre stringe fra le sue sante mani un uccelletto, colmandolo di tenere carezze.

    Quel vegliardo che, nei suoi anni giovanili, aveva posato il capo sul petto di Colui che trova la sua delizia nello stare con i figli degli uomini; l'unico fra gli Apostoli che lo aveva seguito fino alla Croce e che aveva visto squarciare dalla lancia il Cuore che ha tanto amato il mondo, provava gusto soprattutto a parlare della carità fraterna. La sua misericordia per i peccatori era degna dell'amico del Redentore, ed è noto l'insegnamento evangelico che intraprese con un giovane la cui anima egli aveva amato con amore di padre, e che si era abbandonato, nell'assenza del santo Apostolo, a tutti i disordini. Malgrado l'età avanzata Giovanni lo raggiunse sulle montagne, e lo ricondusse pentito all'ovile.

    Ma quest'uomo così meraviglioso nella carità, era inflessibile contro l'eresia che distrugge la carità nella sua stessa sorgente, guastando la fede. Da lui la Chiesa ha ricevuto l'insegnamento di fuggire l'eresia come la peste: Non rivolgetegli nemmeno il saluto, dice l'amico di Cristo nella sua seconda Epistola, perché colui che lo saluta partecipa alle sue opere di malizia. Un giorno, entrato in un bagno pubblico, seppe che vi si trovava anche l'eresiarca Cerinto, e ne uscì all'istante come da un luogo maledetto. I discepoli di Cerinto tentarono di avvelenarlo con un bicchiere del quale si serviva, ma avendo il santo Apostolo fatto il segno della croce sulla bevanda, ne venne fuori un serpente che dimostrò la malizia dei settari e la santità del discepolo di Cristo. Questa fermezza apostolica nella custodia del deposito della fede fece di lui il terrore degli eretici dell'Asia, e giustificò in tal modo il profetico nome di Figlio del Tuono che gli aveva dato il Salvatore, come l'aveva dato anche al fratello Giacomo il Maggiore, l'Apostolo della Spagna.

    A ricordo del miracolo che abbiamo riferito, la tradizione delle arti cattoliche ha dato come emblema a san Giovanni un calice dal quale esce un serpente, e in parecchie province della cristianità, particolarmente in Germania, nel giorno della festa dell'Apostolo si benedice solennemente del vino con una preghiera che ricorda quell'avvenimento. Vi è anche, in quelle regioni, l'usanza di bere, alla fine del pasto, un ultimo bicchiere chiamato il bicchiere di san Giovanni, come per porre sotto la sua protezione il pasto che si è fatto.

    Ci manca lo spazio per narrare in particolare varie tradizioni sull'Apostolo: si possono vedere nei leggendarii e noi ci limiteremo a dire qui qualche cosa riguardo alla sua morte.

    Il brano del Vangelo che si legge alla Messa di san Giovanni è stato spesso interpretato nel senso che il Discepolo prediletto non dovesse morire; tuttavia bisogna riconoscere che il testo si spiega anche senza ricorrere a tale interpretazione. La Chiesa Greca professa la credenza nel privilegio dell'esenzione dalla morte concesso a san Giovanni; e questo sentimento di parecchi Padri antichi è riprodotto in alcune Sequenze o Inni delle Chiese d'Occidente. La Chiesa Romana sembrerebbe propendervi nella scelta delle parole che compongono un'Antifona delle Laudi della Festa; bisogna tuttavia riconoscere che essa non ha mai favorito tale sentimento, benché non abbia ritenuto opportuno riprovarlo. D'altra parte, il sepolcro del santo Apostolo è esistito in Efeso, i monumenti della tradizione ne fanno menzione, come fanno menzione dei prodigi d'una manna miracolosa che vi si è raccolta per parecchi secoli.

    È sorprendente tuttavia il fatto che il corpo di san Giovanni non sia stato oggetto di alcuna traslazione; nessuna Chiesa si è mai gloriata di possederlo, e quanto alle reliquie particolari di questo Apostolo, sono in numero limitatissimo nella Chiesa, e la loro natura è rimasta sempre abbastanza vaga. A Roma, quando si chiedono delle reliquie di san Giovanni, se ne ottengono solo del suo sepolcro. È impossibile, dopo tutti questi fatti, non riconoscere qualche cosa di misterioso nella sparizione totale del corpo d'un personaggio cosi caro a tutta la Chiesa, mentre i corpi di tutti gli altri suoi colleghi nell'Apostolato hanno una storia più o meno continua e tante Chiese se li disputano, tutti o in parte. Ha voluto il Salvatore glorificare, prima del giorno del giudizio, il corpo del suo amico? Lo ha sottratto a tutti gli sguardi, come quello di Mosè, negli imperscrutabili disegni della sua sapienza? Queste domande non avranno probabilmente mai una risposta sulla terra, ma non si può fare a meno di riconoscere, con molti santi dottori, nel mistero di cui il Signore ha voluto circondare il virgineo corpo di san Giovanni, come un nuovo segno della mirabile castità di questo grande Apostolo.



    * * *



    Noi ti salutiamo oggi con il cuore pieno di riconoscenza, o beato Giovanni, che ci hai assistiti con sì tenera carità nella celebrazione dei misteri della Natività del tuo divino Re. Mettendo in risalto le tue ineffabili prerogative, rendiamo gloria a Colui che te ne ha onorato. Sii dunque benedetto, tu che sei l'amico di Gesù, il Figlio della Vergine! Ma prima di lasciarci, ricevi ancora le nostre preghiere.

    Apostolo della carità fraterna, fa' che i nostri cuori si fondano tutti in una santa unione; che cessino le divisioni e rinasca nel cuore dei cristiani di oggi la semplicità della colomba di cui tu sei stato un mirabile esempio. Si conservi pura nelle nostre Chiese la fede, senza la quale non può esservi carità; sia schiacciato il serpente dell'eresia, e le sue velenose bevande non siano più offerte alle labbra d'un popolo complice o indifferente; sia fermo ed energico nei cuori dei cattolici l'attaccamento alla dottrina della Chiesa; le contaminazioni profane, la vile tolleranza degli errori non vengano più a corrompere i religiosi costumi dei nostri padri, e i figli della luce si allontanino dai figli delle tenebre.

    Ricorda, o santo Profeta, la sublime visione nella quale ti fu rivelato lo stato delle Chiese dell'Asia Minore: ottieni per gli Angeli che custodiscono le nostre, quella fedeltà inviolabile che è l'unica a meritare la corona e la vittoria. Prega anche per le regioni che tu stesso hai evangelizzate e che meritarono il terribile castigo di perdere la fede. Hanno sofferto per troppo tempo la schiavitù e la degradazione: è tempo che siano rigenerate in Gesù Cristo e nella sua Chiesa. Dall'alto del cielo, manda la pace alla tua Chiesa di Efeso, e alle sue sorelle di Smirne, di Pergamo, di Tiatira, di Sardi, di Filadelfia e di Laodicea; fa' che si ridestino dal loro sonno, che escano dai loro sepolcri, che l'Islamismo si avvii presto al suo malaugurato destino, si spengano lo scisma e l'eresia che degradano l'Oriente, e tutto il gregge si riunisca in un unico ovile. Proteggi la santa Romana Chiesa che fu testimone della tua gloriosa Confessione e l'ha registrata fra i suoi più splendidi titoli di gloria insieme a quella di Pietro e di Paolo. Fa' ch'essa riceva in questi giorni in cui la messe biancheggia da ogni parte, una nuova effusione di luce e di carità. E infine, o Discepolo prediletto del Salvatore degli uomini, fa' che siamo ammessi un giorno a contemplare la gloria del tuo virgineo corpo; e dopo averci presentati su questa terra a Gesù e a Maria in Betlemme, presentaci allora a Gesù e a Maria negli splendori dell'eternità.


    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 191-195

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    Predefinito Rif: 3 gennaio 2012: Ottava di San Giovanni apostolo ed evangelista


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    Predefinito Rif: 3 gennaio 2012: Ottava di San Giovanni apostolo ed evangelista

    4 GENNAIO 2012

    Ottava dei Santi Innocenti



    Terminiamo oggi gli otto giorni consacrati a onorare la memoria dei beati fanciulli di Betlemme. Siano rese grazie a Dio che ce li ha dati quali intercessori e modelli! Il loro nome non comparirà più nel Ciclo, fino al ritorno delle solennità della Nascita dell'Emmanuele: tributiamo dunque ad essi oggi un ultimo omaggio.

    La santa Chiesa che, nel giorno della loro festa, ha rivestito nei suoi paramenti sacri un colore di lutto, in considerazione dei dolori di Rachele, riprende, in questo giorno dell'Ottava, la porpora dei Martiri, con la quale vuole onorare coloro che hanno il vanto di esserne quasi le primizie. Ma la Chiesa non cessa per questo di commuoversi sulla desolazione delle madri che hanno visto uccidere fra le loro braccia i bimbi che allattavano. A Mattutino, essa legge il seguente drammatico brano d'un antico Sermone attribuito un tempo a sant'Agostino.

    "Il Signore è appena nato, che comincia un gran duolo, non in cielo ma sulla terra. Le madri si lamentano, gli Angeli trionfano, i bambini sono portati via. È nato un Dio: occorrono vittime innocenti a Colui che viene a condannare la malizia del mondo. Bisogna immolare degli agnelli, poiché è venuto l'Agnello che toglie il peccato e che deve essere crocifisso. Ma le pecore, le loro madri, mandano grandi grida, perché perdono i loro agnelli prima ancora che essi possano far sentire il proprio belato. Crudele martirio! La spada è usata senza motivo; solo la gelosia è infuriata, e Colui che è nato non usa violenza a nessuno.

    Ma consideriamo le madri che si lamentano sui loro agnelli. In Rama è risonata una voce, con pianti e lamenti perché si toglie loro un deposito che non hanno soltanto ricevuto, ma generato. La natura, che era contraria al loro martirio, di fronte al tiranno testimoniava abbastanza la sua potenza. La madre si tirava e si strappava i capelli dal capo perché ne aveva perduto l'ornamento nei propri figli. Quanti sforzi per nascondere quel bambino! E il bambino stesso si tradiva. Non avendo ancora imparato a temere, non sapeva trattenere la voce. La madre e il carnefice lottavano insieme: questi strappava il bambino, quella lo tratteneva. La madre gridava al carnefice: 'Perché separi da me quello che da me è nato? Il mio seno l'ha generato: avrà dunque succhiato invano il mio latte? Io portavo con tante attenzioni quello che la tua mano crudele strappa con tanta violenza! Appena le mie viscere l'hanno prodotto tu lo schiacci contro la terra'.

    Un'altra madre gridava perché il soldato si rifiutava di immolarla insieme con il figlio: 'Perché mi lasci priva del mio bambino? Se un delitto è stato commesso, io ne sono colpevole: fa' morire anche me, libera una povera mamma'. Un'altra diceva: 'Che cercate? Voi ce l'avete con uno solo, e ne uccidete tanti, senza poter con questo raggiungere l'unico che cercate'. Un'altra ancora: 'Vieni, o Salvatore del mondo: fino a quando ti lascerai cercare? Tu non temi alcuno: che il soldato ti veda, e lasci la vita ai nostri figli'. Cosi si fondevano i lamenti delle madri; e il sacrificio dei piccoli innocenti saliva fino al cielo".

    Tra i bambini cosi crudelmente immolati dall'età di due anni in giù, alcuni dovettero appartenere ai pastori di Betlemme che erano venuti, chiamati dall'Angelo, per riconoscere e adorare il Neonato nella mangiatoia. I primi adoratori del Verbo incarnato dopo Maria e Giuseppe, offrirono così il sacrificio di ciò che avevano di più caro al Signore che li aveva scelti. Sapevano a quale Bambino i loro bambini stessi erano sacrificati, ed erano santamente fieri della nuova distinzione che veniva a raggiungerli in mezzo al loro popolo.

    Tuttavia Erode, come tutti i politici che fanno la guerra a Cristo e alla sua Chiesa, fu deluso nei suoi progetti. Il suo editto di carneficina abbracciava Betlemme e tutti i dintorni; coinvolgeva tutti i bambini di quella contrada, dalla nascita fino all'età di due anni; e malgrado questa feroce precauzione, il Bambino tanto ricercato sfuggiva alla spada e fuggiva in Egitto. Il colpo era dunque fallito come sempre; e inoltre, a dispetto del tiranno, la Chiesa del cielo non avrebbe tardato a ricevere nell'esultanza nuovi protettori per quella della terra.

    Il neonato Re dei Giudei che la gelosia di Erode perseguitava, non era dunque che un Bambino, senza armate e senza soldati; e tuttavia Erode tremava davanti a lui. Un segreto istinto gli rivelava, come a tutti i tiranni della Chiesa, che quella apparente debolezza nascondeva una invincibile forza; ma si ingannava, come tutti i suoi successori, cercando di lottare con la spada contro la potenza dello Spirito. Il Bambino di Betlemme non è ancor giunto al termine della sua apparente debolezza: fugge davanti al tiranno; più tardi, quando sarà un uomo, resterà sotto i colpi dei suoi nemici: lo si affiggerà alla croce infame, fra i due ladroni; ma proprio in quel giorno un governatore romano proclamerà in un'iscrizione stilata di suo pugno: Questi è il Re dei Giudei. Pilato darà a Cristo, in maniera ufficiale, il titolo che fa impallidire Erode; e malgrado le istanze dei nemici del Salvatore, esclamerà: Quello che ho scritto ho scritto. Gesù sul legno della croce, unirà al proprio trionfo uno dei compagni del suo supplizio: oggi, nelle sua culla, chiama dei bambini a condividere la sua gloria.

    Noi vi lasciamo oggi, o fiori dei Martiri, ma la vostra protezione resta su di noi. In tutto il corso di quest'anno della sacra Liturgia, voi veglierete su di noi, parlerete per noi all'Agnello di cui siete i fedeli amici. Noi poniamo sotto la vostra custodia i frutti che le anime nostre hanno prodotti in questi giorni di grazia. Siamo diventati bambini con Gesù; ricominceremo con lui la nostra vita: pregate, affinché cresciamo come lui in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini. Con la vostra intercessione assicurateci la perseveranza; e conservate quindi in noi la semplicità cristiana che è la virtù dei figli di Cristo. Voi siete innocenti, e noi siamo colpevoli; amateci tuttavia di un amore fraterno. Voi foste sacrificati all'alba della Legge di Grazia; noi siamo i figli di questi ultimi tempi nei quali il mondo indurito ha lasciato raffreddare la Carità. Tendete verso di noi le vostre palme vittoriose, sorridete alle nostre battaglie, fate che presto il nostro pentimento ottenga la corona che vi fu concessa con divina munificenza.
    Fanciulli Martiri, ricordate le giovani generazioni che sorgono ora sulla terra. Nella gloria alla quale siete giunti prima dell'età matura, non dimenticherete i bambini. Questi teneri rampolli della razza umana dormono anch'essi nella loro innocenza. La grazia del Battesimo è intatta in essi, e le loro anime pure riflettono come uno specchio la santità del Dio che abita in essi con la sua grazia. Purtroppo tanti pericoli attendono questi neonati; molti fra essi saranno contaminati; le loro sacre vesti senza macchia perderanno forse subito quel candore di cui risplendono. La corruzione del cuore e della mente li infetterà; e chi potrà sottrarli a tanti spaventosi influssi? La voce delle madri risuona ancora in Rama; Rachele cristiana piange i suoi figli immolati, e nulla può consolarla per la perdita delle loro anime. Innocenti vittime di Cristo, pregate per i bambini. Fate che abbiano tempi migliori, e che possano un giorno entrare nella vita senza dover temere di incontrarvi la morte fin dai loro primi passi.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 198-201

 

 
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