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  1. #101
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo


  2. #102
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    VASCO ROSSI: NON ACCETTO PIU' RICATTO MORALE 'CULTURA VITA'
    'SONO UN PUSHER DI ADRENALINA, IO STESSO NE FACCIO ABUSO!' (ANSA) - BOLOGNA, 7 SET - 'Non accetto piu' il ricatto morale della 'cultura della vita'... quando parlo di vita! Io canto, decanto e spaccio la vita in ogni sua forma. Sono un pusher di adrenalina e io stesso ne faccio abuso! Voi, custodi della 'cultura della vita', spacciate adrenalina ai giovani nel modo peggiore... attraverso siringhe piene di paura per posti di blocco e perquisizioni! La repressione ha fallito e fa miseramente gli interessi della malavita'. Lo scrive Vasco Rossi in un post pubblicato nel primo pomeriggio su Facebook.
    'Chi ha una dipendenza - prosegue il Blasco - e' un uomo che ha fatto scivolare il centro di gravita' della propria esistenza da se stesso a una bottiglia, un 'gratta e vinci'...
    una droga! La mia idea e' tendere alla responsabilizzazione dell'uomo valorizzando la potenza della volonta '! L'individuo deve trovare in se' la forza di equilibrare vizi, piaceri, deviazioni. Se non dovesse riuscirci potrebbe forse essere considerato un debole, un malato. Certo non un criminale.
    Criminale e' la complicita' dello stato con gli affari della malavita!. 'Incontrera' molti demoni sul suo cammino/Ma se non li frusta lui/Non li puo' frustare nessuno!'. (ANSA).

    GIO 07-SET-11 154 NNNN

  3. #103
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    I costi dei test ai lavoratori

    Franco Corleone commenta per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 7 settembre i dati sui test ai lavoratori contenuti nella relazione sulle tossicodipendenze di quest'anno. Il Secondo Libro Bianco sulla Fini Giovanardi è on line su Droghe e Diritti - fuoriluogo.it.
    Fonte: Il Manifesto, di Franco Corleone 07/09/2011

    Siamo fra i pochi a prendere in considerazione la Relazione sull’uso di sostanze stupefacenti che il sottosegretario Giovanardi presenta annualmente al Parlamento. Potremmo anche noi archiviarla fra le produzioni inutili, ma analizzare i singoli capitoli dà la misura della deformazione strumentale dei dati. Sulla manipolazione delle cifre circa le conseguenze penali della legge antidroga ha già scritto Stefano Anastasia (Il Manifesto, 13/7/2011) e in più abbiamo offerto un’approfondita analisi sui cinque anni di applicazione della legge con il Secondo Libro Bianco.
    Stavolta esaminiamo il capitolo (pagg. 53/60) dei test ai lavoratori per valutare gli effetti dell’impostazione moralistico-repressiva che vuole colpire anche il semplice uso “sporadico e saltuario” di qualsiasi sostanza psicoattiva considerato sufficiente per stabilire l’inidoneità a mansioni a rischio.
    Nel 2010 sono stati sottoposti al test di primo livello 86.987 soggetti rispetto ai 54.138 del 2009. La positività riscontrata a questo esame è stata dello 0.63%, pari a 551persone (autoesclusi o obiettori, 10): per il 64,6% riguarda i cannabinoidi, per il 19,6% la cocaina, il 4,2% gli oppiacei, il 3,8% il metadone e il 4,5% la codeina.
    Si hanno anche i risultati di 177 soggetti sottoposti all’accertamento di secondo livello (ossia il test di conferma eseguito quando il primo risulta positivo): i cannabinoidi rimangono la prima sostanza con il 60,7%, seguita dalla cocaina con il 25,5% , seguite dagli oppiacei con il 6,2% e il metadone con il 2,1%.
    Quasi il 69% ha una diagnosi di consumo occasionale e al 13% del campione è stata riscontrata una diagnosi di tossicodipendenza, ovviamente in prevalenza per cannabinoidi. Vengono così confermate le ragioni dell’opposizione dei sindacati a una pratica di controllo che ha il sapore più della schedatura e della discriminazione attraverso la condanna dello stile di vita che di una reale preoccupazione di salute e di sicurezza.
    Questa operazione è costata alle aziende quasi cinque milioni di euro! In un tempo di tagli crudeli segnaliamo uno spreco assurdo che cozza contro il principio di costi e benefici. Infatti, la tariffa media degli esami di primo livello è di quasi 50 euro per persona e quella di secondo livello è di 85 euro. Una bella spesa per cambiare mansione a dieci fumatori di canne, stigmatizzati come tossici! Come scriveva Giuseppe Bortone (Il Manifesto, 21/7/2010), si tratta di una caccia agli untori. Ed è ancora più preoccupante che si parli di estenderla massicciamente a nuove categorie, come i medici e gli insegnanti, con la logica di “colpirne uno per educarne cento” (anzi, sarebbe meglio dire per “colpirne cento per educarne uno”).
    A Giovanardi piace usare il cannone per colpire un moscerino: come prevenzione non c’è male. D’altronde quale sia il suo vero obiettivo ideologico è espresso chiaramente nella presentazione del documento: “Quando il fronte è compatto ed esplicitamente contro l’uso di tutte le droghe, il consumo chiaramente diminuisce; quando, invece ..si invoca (sic!) la legalizzazione o l’apertura di “camere del buco” o si insiste su politiche di riduzione del danno, i livelli di consumo aumentano vertiginosamente..”. Ovviamente non vi è prova alcuna che le stanze del consumo e altri interventi di riduzione del danno facciano aumentare i consumi, mentre ci sono ampie evidenze della loro efficacia per tutelare la salute pubblica. Ma si sa, scienza e propaganda non vanno d’accordo.



    http://www.fuoriluogo.it/sito/home/m...a/rassegna_sta...

  4. #104
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Probizionismo droghe favorisce talebani. Radicali Fonte: Notiziario Aduc 13/09/2011

    "I soldi che armano i talebani, chiunque essi siano, sono frutto del commercio di oppio trasformata in eroina, un commercio altamente redditizio in virtù della proibizione che in mezzo secolo ha reso il papavero una pianta preziosissima da commerciare proprio perché produce sostanze potenzialmente tossiche al di fuori del controllo legale. L'importazione della coltura dell'oppio in Afghanistan apparve colla necessità di finanziare la jihad anti-sovietica senza far gravare la liberazione dell'Afghanistan interamente sulle tasche dei cittadini statunitensi. Oggi, a oltre 30 anni da quella trovata, a quasi dieci dall'attacco in risposta dell'11 di settembre, con migliaia di morti per la guerra alla droga e per overdose sulle spalle, la comunità internazionale insiste colla proibizione che oltre a essere criminogena continua a finanziare i "talebani".
    Se insistere colla proibizione vuol dire finanziare, scientemente, tutti coloro che dall'illegalità e lo spregio dello Stato di Diritto, traggono linfa vitale, insistere colle orazioni funebri a seguito dei violanti attentati è offensivo nei confronti di chi obbedisce agli ordini di una politica dogmatica e anti-scientifica.
    Sono anni che il Partito Radicale all'Onu, al Parlamento europeo e in quello italiano promuove la regolamentazione della produzione di analgesici proprio coll'oppio afgano, si tratta di avere il coraggio del buon senso e affrontare la questione a livello delle Nazioni unite, anche perché si andrebbe ad aiutare l'80% del mondo che non conosce cura del dolore". Così in una nota il Senatore Marco Perduca.

  5. #105
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Le “stanze” del contendere

    Grazia Zuffa torna sull'esperienza tedesca di safe injection room, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 14 settembre 2011.
    Fonte: Il Manifesto, di Grazia Zuffa 13/09/2011

    Mi è capitato di vedere in televisione una scena della recente campagna elettorale di Milano. Una sostenitrice di Letizia Moratti apostrofa una passante: “Ma lo sa lei che Pisapia è a favore delle “stanze del buco”? Al solito, il nome fa la cosa e le “stanze del buco” esprimono a un tempo l’esecrazione per la pratica, il disprezzo per i “drogati”, la condanna degli amministratori che vorrebbero “legittimare” chi “si buca” a scapito dei cittadini perbene. A giudicare da com’è andata a finire, l’argomento non è stato troppo convincente. Ma capita che le “stanze del buco” ricorrano con una certa frequenza sulla bocca di alcuni governanti, quale esempio del “politicamente inammissibile” nel campo della droga. Ai cattivi maestri della fuorviante retorica e della subdola disinformazia, proviamo a rispondere con la forza degli argomenti. Un’occasione in tal senso è stata offerta dalla presenza del responsabile delle politiche di riduzione del danno del comune di Francoforte, Juergen Weimer, alla summer school di Forum droghe e Cnca di inizio settembre (scarica la presentazione). Francoforte è stata una delle prime città ad aprire, nel lontano 1994, non le “stanze del buco”, ma le Safe Injecting Rooms (Sir), alla lettera “locali per l’iniezione sicura”. Weimer ha perciò potuto tracciare un bilancio di questi servizi, ad oltre quindici anni dall’apertura. Dalla fine degli anni novanta, all’eroina di strada si è affiancato il crack, anch’esso iniettato, e sono circa 4000 i consumatori che ogni anno utilizzano il servizio. La maggioranza degli utenti provengono dai dintorni di Francoforte: i consumatori che vivono in città in genere hanno una casa o stanno nei centri di accoglienza notturni, provvisti di propri locali per l’iniezione sicura. Il gruppo dei “pendolari” è più giovane e socialmente integrato rispetto a quello di Francoforte. In genere le persone hanno una casa e un lavoro, oppure studiano all’università: non consumano diverse volte al giorno come chi vive sulla strada, ma usano la droga per lo più settimanalmente, per le occasioni ricreazionali. Per questo vengono a Francoforte, attratti dalla migliore qualità della cocaina e dell’eroina. Le Safe Injecting Rooms servono per “provare” la sostanza, incontrollabile sul mercato illegale, in modo da prevenire il rischio maggiore dell’overdose.

    Qui sta il punto di forza delle Sir come presidio della salute dei consumatori: in 15 anni non si è mai verificato un caso di morte dentro il servizio, anche se i malori dovuti a overdose sono frequenti (circa 300 al mese). A questi incidenti fanno fronte gli operatori che sorvegliano continuamente il locale dove avviene il consumo, attraverso uno stretto rapporto con le ambulanze e coi dipartimenti di emergenza degli ospedali.

    Ma le “stanze” danno il “messaggio sbagliato” e rischiano di incrementare “il buco”, obiettano gli oppositori. E’ vero il contrario. La popolazione che frequenta le Sir sta invecchiando. L’età media è di 40 anni per gli uomini e 38 per le donne e non c’è quasi nessuno sotto i 25 che le frequenti (l’età d’ammissione è 18). Il modello d’uso intensivo “di strada” è meno diffuso che negli anni novanta: nella generazione intorno ai 20 anni iniettarsi la droga è considerato fuori tendenza, così come lo sono gli oppiacei in generale. Da qualche anno, anche il crack sta cominciando a declinare. I giovani prediligono gli stimolanti, spesso nei contesti di divertimento, insieme alla “normalizzata”cannabis. In una parola, si riduce l’area dell’uso più rischioso, un bene dal punto di vista della salute pubblica. Ammesso che il bene pubblico sia nella mente di chi fa politica.



    http://www.fuoriluogo.it/sito/home/m...a/rassegna_sta...

  6. #106
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Tre punti di vista sulle droghe

    Articolo pubblicato il 16/09/2011 nella sezione Associazioni





    La stampa italiana si è occupata questa settimana dei dati contenuti nel Rapporto della Agenzia ONU sulle droghe e sul crimine ( e già dal nome si capisce la linea ), un Rapporto che l’ UNODC ((United Nations Office on Drugs and Crime ) produce ogni anno, e che questo anno si è sovrapposto al Controrapporto della Commissione Globale; il fatto che quest’ ultima vedesse una forte partecipazione di ex funzionari ONU, primo tra tutti Kofi Annan, ha generato qualche equivoco, che non avrà fatto certo ridere l’ UNOCD; fra altri diretti messaggi critici, la Global Commission si esprime così: “Le istituzioni dell’ ONU per il controllo sulle droghe hanno lavorato in gran parte come difensori delle strategie tradizionali. Di fronte alla evidenza crescente del fallimento di tali politiche, sono necessarie delle riforme. C’è stato qualche incoraggiante riconoscimento da parte dell’ UNODC sulla necessità di bilanciare e modernizzare il sistema, c’è tuttavia ancora una forte resistenza istituzionale a queste idee”.

    Nel World Drug Report 2011, si evidenzia come il mercato di droghe sintetiche sia in costante crescita, particolarmente in Europa, risultando secondo solo alla cannabis. Si può facilmente immaginare, dal punto di vista di chi si arrichisce con le politiche poliziesche e proibitive, quanto sia più vantaggioso il mercato delle droghe sintetiche rispetto a quelle “tradizionali” (canapa, coca, oppio, principalmente); eliminato ogni rischio per le coltivazioni che, outdoor o indoor che siano, richiedono tempi lunghi, spesso le nuove sostanze sintetiche vivono per i primi due o tre anni in modo legale, fino a che la legge non va a colmare il vuoto e le inserisce nella tabella degli stupefacenti, che infatti cresce a vista d’occhio, specie sotto gli occhi di Giovanardi, che vieterebbe anche il bagnoschiuma alla canapa. Invece che piantagioni e fazendas estese bastano piccoli laboratori sparsi vicino ai luoghi di vendita, ed ecco eliminato anche il rischio e le spese del trasporto da altri continenti; i controlli sanitari sono pari a zero, così come quelli merceologici, di tossicità, della finanza, ecc. l’unico controllo da temere è quello, definitivo, delle forze dell’ ordine. Ma, evidentemente, se si hanno le amicizie giuste il controllo non passa, tanto che il commercio di gocce, pasticche, pillole, cartoni, prospera e cresce.

    Così il World Drug Report: “La cannabis è di gran lunga la droga illecita più largamente consumata … in termini di prevalenza annuale, la cannabis è seguita dagli stimolanti tipo anfetamina ( prevalentemente metanfetamina, anfetamina e ecstasy), gli oppiodi ( oppio, eroina e oppiodi farmacologici ) e la cocaina.” L’ UNODC azzarda anche un tentativo di spiegazione per questo aumento del consumo di droghe sintetiche: “Inoltre, molti nuovi composti di sintesi sono stati immessi sul mercato delle droghe illecite esistente. Molte di queste sostanze sono commercializzate come “droghe legali” … si è osservato un fenomeno simile per quel che riguarda la cannabis, vista la crescita della domanda di cannabinoidi di sintesi in alcuni paesi, venduti su Internet o nei negozi specializzati … Le misure di controllo applicate a questi composti variano considerevolmente da un paese all’ altro.”
    Il differenziale di rischio tra coltivare, lavorare, distribuire cannabis e sintetizzare inodori composti sintetici di sostituzione è chiaro anche ai più sprovveduti. Il rischio è gran parte del valore aggiunto che una merce, una volta resa illegale, acquista, è quello che fa lievitare i prezzi dal grosso trafficante fino al piccolo spacciatore di strada o di compagnia.

    Si è chiusa intanto ieri, 14 settembre, la “III Conferencia Latinoamericana sobre Políticas de Drogas”, a Citta’ del Messico. La location dell’ evento ha fatto sì che, più che delle droghe sintetiche, si discutesse della terribile violenza conseguente alla guerra alla droga, in questo caso, la guerra alla cocaina, una guerra a due facce, una più brutta dell’altra, da una parte il terrore e la miseria che tengono schiacciati milioni di cittadini latinoamericani, dall’ altra la crapula ipocrita dei vizi privati e delle pubbliche virtù imposte agli altri. I rappresentanti dell’ UNODC per l’ America latina hanno assicurato un cauto appoggio alla autonomia degli Stati, affinché possano utilizzare metodi alternativi di approccio, e facilitare il trattamento sanitario, e non detentivo, per i consumatori problematici. E’ stato ribadito come i programmi di scambio di siringhe diano prospettive di riduzione del 50% di infezioni di HIV entro il 2015, altro problema fortemente sentito in tutta l’America Latina.

    Poi c’è l’ Italia, e quel che succede in Italia sulle droghe non è un punto di vista, è un disastro. Le carceri sono piene di poveracci extracomunitari che spacciavano bustine per disperazione, assoldati dalle malavite organizzate; di poveracci tossicodipendenti che non hanno i soldi per andare a curarsi in convento o in Svizzera, ed hanno la fantastica prospettiva di farsi l’astinenza e la disintossicazione o in carcere o in una comunità di Don Gelmini; di consumatori scambiati per spacciatori da un sistema terroristico di polizia; di malati, o sani, che si erano coltivati una pianta di canapa in salotto, reato punito con una pena da due a sei anni, secondo Giovanardi, e meno male che qualche giudice c’è, che comincia a porre dei dubbi.
    Le carceri piene di disgraziati, e i palazzi pieni di politici corrotti e corruttibili, e ricattabili.
    Sul tema droghe, la classe dirigente italiana, e in particolare il DPA attuale, non è riuscita a esprimere niente di buono, non è riuscita a produrre risultati valutabili in altro modo che non con dei dati taroccati, non ha saputo in nessun modo aggiornarsi e ammodernarsi nell’ottica di un miglioramento sociale.
    Stupisce, anzi oggidì non ci si stupisce più di nulla, la tolleranza che lo stesso centrodestra nelle sue componenti liberali (ma come parlare di liberali riferendosi all’attuale Parlamento e, ancor più, all’ attuale Governo? fare i liberali tocca, anche questo, ai radicali) porta a questi due ridicoli Guardiani della Conservazione, Carlo Giovanardi e Giovanni Serpelloni, che nel 2011 vengono di nuovo a proporci argomenti di consistenza come l’ uguaglianza fra sostanze, la demonizzazione anche dello stesso dibattito pubblico e la logica inversa che predicano, che la decriminalizzaizone e la legalizzazione aumentino il consumo, falso dimostrato dalla storia, fino dalle guerre dell’ oppio, se non bastasse il più recente Al Capone.
    Dover ringraziare Vittoria Brambilla che si è opposta con chiarezza agli atteggiamenti omofobi di Giovanardi (perchè i proibizionisti sono spesso omofobi, chissa come mai), concedendo il patrocinio ministeriale alla Fiera del turismo LGBT che si terrà a Bergamo, è un segno dei tempi.

    Claudia Sterzi

    Fonte: TRE PUNTI DI VISTA SULLE DROGHE : @.r.a. Associazione Radicale Antiproibizionisti

  7. #107
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Il differente

    Articolo di Francesco Mirenzi pubblicato su Gli Altri, il 16/09/11





    Quella trascorsa è stata, mediaticamente, "l'estate di Vasco Rossi". Il 20 giugno Morgan dichiara: «Vasco Rossi artisticamente è morto a 27 anni». «Chi? Morgan degli U2!Quello che di concerti a San Siro se ne intende. Cosa non si fa per un barlume di popolarità!» è l'ironica replica di Vasco. L'ultima data a Milano inizia con un ritardo di un'ora e mezza a causa di un fortissimo male alla schiena che lo perseguita da giorni. Il 26 giugno Vasco annuncia a Mollica: «Dichiaro felicemente conclusa la mia straordinaria attività di rockstar, questa è la mia ultima tournée». Poi la frecciata a Ligabue: « È un bicchiere di talento in un mare di presunzione». Le illazioni di Luzzato Fegiz che allude ad un tumore: una macchia nera sopra un polmone. «L'unica macchia nera è dentro la sua coscienza», è la piccata riposta di Vasco che, per le sue cure sospende il tour precisando: «Io non ho nessun tumore, ho un'infezione provocata da un batterio».

    Un turbinio di notizie che hanno innescato un corto circuito esplosivo che, Facebook in testa, ha coinvolto tutti i media nessuno escluso, con chiarimenti, rettifiche e furibonde polemiche, davanti alle quali molti giornalisti sono rimasti un po' sorpresi, dimenticando che tutta la storia artistica di Vasco Rossi è sempre stata costellata da controversie.

    Già nel 1975 quando spopola nel modenese come dj, decide di fondare Punto Radio, la quarta radio libera italiana che, dopo una settimana viene chiusa dall'Escopost e Vasco subisce il suo primo processo: episodio ripreso nell'incipit di Ultimo domicilio conosciuto. Il giovane Rossi ottiene l'assoluzione e Punto Radio diventa l'emittente più popolare della regione.

    Nel '78 esordisce con "Che cosa vuoi che sia una canzone" e l'anno dopo pubblica "Non siamo mica gli americani" con gli evergreen Fegato fegato spappolato e Albachiara. Chiamato a prestare il servizio di leva, dopo soli quattro giorni viene ricoverato per depressione - non si sa se vera o fittizia - ottenendo la riforma per "inadattabilità al servizio militare" e, successivamente, un accertamento giudiziario per frode allo stato. Nell'80 sforna "Colpa d'Alfredo" con una scrittura gergale, l'utilizzo del parlato ed un suono più maturo venato di rock: oltre alla title track si distinguono Anima fragile e Sensazioni forti, che esegue con la Steve Roger Band il 14 dicembre 1980 dal Motorshow di Bologna per Domenica In. Lo scrittore Nantes Salvalaggio dal settimanale Oggi lo attacca violentemente: «Come una manciata di guano in faccia è apparso un complessino che io destinerei volentieri a tournée permanenti in Siberia, Alaska e Terra del Fuoco». Descrivendo Vasco come «un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell'alcolizzato, del drogato fatto». Vasco Rossi non replica. La sua popolarità cresce e si cala nel personaggio maledetto con "Siamo solo noi" («generazione di sconvolti che non han più santi né eroi»), più che un titolo uno slogan, in cui il musicista romagnolo eccelle: Vado al massimo, Vita spericolata, Portatemi Dio sono solo un esempio. Una stoccata a Salvalaggio arriva nell'82 da Sanremo con Vado al massimo: «Meglio rischiare che diventare come quel tale quel tale che scrive sul giornale».

    Al Festival dell'83 invece di eseguire le prove scompare con il suo camper, in compagnia della supermaggiorata del Drive in Tinì Cansino. Compare solo per cantare Vita spericolata, un inno generazionale che esprime il desiderio di vivere "da protagonisti e senza regole" dei ragazzi di provincia dove invece non succede mai nulla.

    Purtroppo arriva solo lo slogan che provoca forti polemiche e una denuncia di un impiegato romano. Salvalaggio lo bolla come «Il Baudelaire dei poveri, un furbo ragazzotto che si atteggia a poeta maledetto... Un individuo pericoloso che quando parla di viaggi non intende certo parlare di turismo». Nell'aprile '83 Vasco risponde duramente allo scrittore: «Dopo i cantautori la gente si è abituata a pensare che quando uno canta una canzone è sempre lui che parla. Per cui quando interpreto il personaggio del drogato in Sensazioni forti per la gente sono un drogato e invito i ragazzini a drogarsi. Invece no. E come un film in cui io faccio la parte del drogato, abbrutito più che mai. Faccio vedere in effetti cos'è la realtà della droga perché quello dell'eroina adesso è il pericolo più grosso. E Salvalaggio ci scherza sopra. Bisognerebbe metterlo in galera perché lui gioca, gioca sulla pelle della gente».

    E l'anno dell'apoteosi: "Bollicine" vende oltre un milione di copie, conquista per mesi la vetta delle classifiche, vince il Festivalbar e il tour registra il tutto esaurito. Nell'84 il live "Va bene, va bene così" è il disco più venduto dell'anno ma il 20 aprile Vasco Rossi viene arrestato per il possesso di 26 grammi di cocaina, rimanendo in carcere per 22 giorni di cui 5 in isolamento. E una batosta, fisica, morale e mediatica ma Vasco si rialza e organizza un tour di 35 serate con oltre 400mila spettatori. Nell'87 "C'è chi dice no" balza in cima alle classifiche e la tournée è un trionfo con un milione di spettatori. Ma alle tre del mattino del 1° luglio 1988, Vasco Rossi viene arrestato per il possesso di un grammo di cocaina, uno sfollagente e una pistola lanciagas. Resterà in carcere fino al 4 luglio e all'uscita ringrazia «per la solidarietà dimostratami in un momento così difficile» il Partito Radicale, con il quale instaura un forte rapporto.

    La disavventura non lo ferma, gli stadi registrano numeri da record: nel 1995 a Milano accorrono in 100mila; all'autodromo di Imola sono in 120mila nel 1998 e 150mila nel 2001; 240mila a San Siro per tre serate nel 2003; 1 milione per 16 concerti nel 2004 (con i biglietti esauriti in pochi giorni) tanto che il 24 settembre, Vasco si esibisce vicino Catanzaro, in un concerto gratuito che battezza "Vascstock", davanti a 400mila persone. Ai trionfi si alternano momenti tristi: nel 1994 l'amico e collaboratore Maurizio Lolli muore per un tumore ai polmoni. Lo ricorda ne Gli Angeli: «Vivi in bilico e fumi le tue Lucky Strike e ti rendi conto di quanto le maledirai», per il quale Roman Polanski gira un meraviglioso clip. Nel 1999 muore per overdose di eroina il fraterno chitarrista Massimo Riva, al quale dedica La fine del millennio. A poche ore dalla morte di Riva Ligabue dichiara: «Negli anni '70 il pensiero comune era che si potesse smettere quando si voleva. Per i musicisti rock c'è ancora oggi l'alibi dello scotto da pagare per fare musica. Perciò secondo il galateo della perfetta rockstar, io che non mi drogo sarei fuori target». Le dichiarazioni non piacciono a Rossi che replica: «È morto un amico e invece del silenzio c'è chi per accrescere la propria credibilità ha scelto di speculare lanciando anzitempo inutili messaggi moralizzatori. Che Dio benedica Ligabue».

    Un Vasco mai domo, trionfatore indiscusso per carisma, successi e numeri da record, un rocker verace che sfugge alla retorica e allo stereotipo del personaggio, conquistando i fan con la sua credibilità testata in 30 anni di onorata carriera. Vasco è differente da tutti gli altri suoi colleghi perché sfugge alle apparizioni televisive e in tutte le situazioni è sempre se stesso, una cifra che si percepisce fortemente, in periodi in cui anche gli sconosciuti si atteggiano a divi e pseudoartisti studiano le entrate, il look, le dichiarazioni politically correct che, inesorabilmente, suonano finte, come la loro musica.

    La differenza con gli altri Vasco l'ha scolpita in Come stai: «Ti distingui dall'uomo comune ti piace vivere come sei e rispondi solo a te!».

  8. #108
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    "La Repubblica", MARTEDÌ, 20 SETTEMBRE 2011
    Pagina 57 - Esteri



    Messico/Intimidazioni, rapimenti e massacri: così i narcos uccidono il Paese
    Nel mirino anche i giornalisti: negli ultimi mesi cinque cronisti sono stati eliminatiLa società civile è rassegnata E il presidente Caldéron finora è stato impotente DANIELE MASTROGIACOMO
    CITTA DEL MESSICOdal nostro inviato
    città del messico
    Nude, le mani e i piedi legati, il torace sfondato dai colpi. Sul collo i segni di uno strangolamento, la bocca aperta in una smorfia di dolore e di paura. Marcela Yarce e Rocìo Gonzales Trapaga, 48 anni, giornaliste da 20, sono morte così. I loro corpi sono stati trovati da due ragazzi nel parco di Iztapalapa, periferia popolare a est di Città del Messico. Era il primo settembre scorso. Due mesi fa, i corpi di tre reporter vengono scoperti in una discarica. Il 15 settembre scorso i corpi di un uomo e di una donna vengono appesi come manichini dal ponte di Nuevo Laredo, al confine con il Texas, con un cartello al collo: «Ecco cosa accade a chi scrive e indaga sul narcotraffico. Giornalisti e blogger siete avvertiti. Vi seguiamo e vi controlliamo». La coppia fa parte, assieme a Marcela e Rocìo, dei 74 colleghi assassinati in Messico dal 2000, gli ultimi 20 quest´anno. Non solo qui, in questa metropoli sconfinata del paese più pericoloso al mondo. Ma ad Acapulco, Monterrey, Tijuana, Taumapilas, Nuevo Leòn, alla stessa Ciudad Juarèz, tristemente nota come la culla del femminicidio. Muore chi indaga, muore chi fa parte delle bande nemiche. Muore chi combatte e chi tradisce; chi rifiuta le protezioni, chi si ribella alle estorsioni, chi non paga i riscatti per gli ostaggi sequestrati.
    Questo non è più il Messico della musica e dell´allegria, dei nachos e della tequila. È un inferno senza vita: il turismo è calato del 40 per cento. Non ci sono leggi e regole. Perché è un paese in guerra. La guerra dei Narcos. Una guerra che ha provocato una mattanza, oltre 50 mila morti in 4 anni e che tutti, rassegnati, sopportano. A occhi chiusi. Tenendo stretto quello che hanno conquistato, rinunciando a quello che hanno smarrito. Centoundici milioni di messicani resistono come possono. Hanno fatto di tutto: si sono appellati alla giustizia, hanno chiesto protezione, sono scesi disperati in strada sventolando lenzuoli bianchi, hanno occupato il centro della città. Si sono arresi alla realtà.
    L´ex presidente Vincente Fox ha promesso, chiesto tempo e fiducia. Il suo successore, Félipe Caldéron, ha fatto peggio: ha lanciato una sfida impossibile ai Cartelli che da dieci anni sconvolgono il paese. Ha scoperto una polizia mal pagata, corrotta e impreparata. Ha cambiato uomini e mezzi e ha schierato sul campo le Forze armate. Una scelta, criticata dagli stessi Usa, che ha solo peggiorato le cose. Il presidente Caldéron ha finito per schierarsi con i meno pericolosi, quelli che hanno tutto da guadagnare da una pace apparente e da un nuovo equilibrio: gli uomini e le donne del Cartello di Sinaloa.
    Ci sono in vista le elezioni del 2012. Il leader del Partido de Acciòn nacional (Pan) ha disperato bisogno di recuperare consensi. La tattica ha provocato molti arresti tra le fila dei vincenti; «Los Zetas» hanno reagito con rinnovata violenza. Dieci giorni fa i reparti scelti della Marina messicana sono riusciti a smantellare il loro apparato di comunicazione. Qualcosa di molto sofisticato, che rendeva difficile, se non impossibile, la lotta al narco terrorismo. Ma le cose sono cambiate poco. Chi è finito dentro è stato sostituito da altre leve, in un riciclo infinito. I sette Cartelli, tra alleanze e divisioni, si spartiscono uno dei tre commerci più floridi al mondo. Cocaina, soprattutto, ma anche marijuana, anfetamina, ketamina e da un paio d´anni eroina. In ballo c´è un tesoro di 280 miliardi di dollari da produrre, gestire e trasferire là dove viene richiesto e ben pagato: negli Stati Uniti. Da dieci anni i Cartelli si sono messi in proprio, hanno sostituito i colombiani. La droga non passa più per il Messico, viene prodotta in Messico.
    Non si sa chi abbia ucciso Marcela e Rocìo. Lavoravano per Contralìnea, settimanale, come recita il sottotitolo della testata, «de investigaciòn». Il direttore Miguel Badillo, chiuso nel suo ufficio al quarto piano di un palazzo anonimo del centro storico, cede ad un sorriso su un viso terreo: «Posso solo dirti che dopo aver indagato per anni sull´intreccio tra Narcos e alta finanza non solo messicana, Marcela aveva preso in mano l´ufficio delle relazioni pubbliche. Raccoglieva pubblicità. Era brava e rappresentava una delle colonne del giornale. Colpire lei significava colpire le entrate della rivista».
    Gli assassini hanno voluto lasciare la loro firma. Torture, violenze e un solo colpo di pistola alla nuca. Tutto porta ancora una volta a «Los Zetas», uno dei Cartelli più feroci e sanguinari dei sette che si spartiscono il bottino della coca. Loro non sprecano proiettili. Perché sono ex militari. Nati come sicari, «Los Zetas» sono sorti da un gruppo di 70 ex sottufficiali appartenenti alle Forze speciali messicane (Gafes). Oggi sono 700. La loro diserzione è stata facile: insidiato da quello di Sinaloa, regione del Pacifico, e dal loro capo Joaquìn Gùzman Loera, detto «el Chapo», l´ultimo narco della vecchia guardia ancora libero, il Cartello del Golfo li ha comprati con 50 mila dollari al mese, il salario di un anno nelle forze armate messicane. La cattura del loro fondatore, l´ex soldato di fanteria Arturo Gùzman Decena, ha cambiato gli equilibri. «Los Zetas» si sono messi in proprio. Sono loro gli autori dei peggiori massacri che hanno insanguinato il Messico negli ultimi sette anni. Compreso l´assalto al Casinò Royale di Monterrey con 52 morti di metà agosto per aver rifiutato la protezione: 10 per cento degli incassi mensili.
    Il nuovo capo de «Los Zetas», Heriberto Lazcàno «El Lazca», ha rivendicato l´azione. Nessuno ha mosso un dito. Ma la guerra è già persa. «Los Zetas» sono abili professionisti: conoscono le tecniche di guerriglia, hanno apparati di comunicazione criptati, sono stati addestrati (da agenti stranieri) ad agire contro gli uomini dei Cartelli come oggi agiscono nei confronti dei loro ex compagni. Usano pistole Hkp-7, mitragliatrici G-3 che montano lanciagranate anticarro, fucili da cecchino Remington. Armi che nessun esercito al mondo possiede e che, molto probabilmente, in quella operazione suicida «Fast and furious» orchestrata dalla Dea e dalla Cia per snidare chi guida le fila, hanno finito per ricevere, su un piatto d´argento, dagli stessi americani.
    «E´ una sfida persa in partenza», scuote la testa amareggiato lo scrittore messicano Carlos Fuentes. «I Cartelli sono sempre esistiti. Ma oggi è diverso. Troppi gli avvenimenti, le contraddizioni, l´entità della crisi. È impossibile classificare l´attualità». Marcela e Rocìo cercavano di raccontarla. La guerra tra i Narcos e Caldéron le ha sopraffatte.

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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    MESSICO - Narcoguerra. Presidente Calderon vuole legalizzare droga? Notizia 20 settembre 2011 10:13

    Il Messico potrebbe legalizzare la droga per indebolire le origanizzazioni criminali. Lo ha affermato il presidente messicano, Felipe Calderon, che da anni combatte una guerra contro i narcotrafficanti, sottolineando che l'origine del problema si trova negli Stati Uniti.
    "Viviamo nello stesso edificio. Ma il nostro vicino è il primo consumatore di droga al mondo. E tutti vogliono vendergli la droga passando attraverso le nostre finestre", ha detto Calderon durante un discorso davanti all'Americas Society di New York.
    "Dobbiamo fare il possibile per ridurre il consumo di droga. Ma se non può essere limitato, occorre trovare nuove soluzioni -comprese alternative di mercato- per ridurre i guadagni astronomici delle organizzazioni criminali", ha detto.
    Calderon, che ha mobilitato l'esercito contro i narcotrafficanti sin dal suo insediamento nel 2006, non ha fornito dettagli sulle "altre soluzioni".
    La guerra contro i cartelli della droga e le violenze legate ai traffici di stupefacenti hanno provocato oltre 42.000 morti in Messico.



    ADUC - Droghe - Notizia - MESSICO - Narcoguerra. Presidente Calderon vuole legalizzare droga?

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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Il 2010 negli Usa è l’anno degli arresti per Marijuana

    L’annuale rapporto UCR della Federal Bureau of Investigation rivela che più della metà degli arresti per droga negli Stati Uniti sono per marijuana.
    Fonte: Fuoriluogo.it, di Chiara Babetto 21/09/2011

    L’Uniform Crime Report uscito in questi giorni stima che circa il 46 per cento di tutti gli arresti per droga sono riconducibili a reati legati al possesso di marijuana, che nel 2010 hanno portato all’arresto di ben 853.838 persone.
    Secondo Paul Armando, vice direttore di NORML, tali cifre non fanno che riconfermare come la “lotta alla droga” da anni non faccia che alimentarsi degli arresti di delinquenti minorenni in possesso di marijuana, una percentuale sproporzionate dei quali risulta peraltro appartenere a minoranze etniche. Ha inoltre aggiunto come sia di fatto insensato perseverare a sperpero tempo nei processi e denaro dei contribuenti per perseguire cittadini americani che fanno uso di una sostanza i cui rischi sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli di alcool e tabacco.
    Ben 750.591 persone,infatti, pari all’88 per cento degli arrestati è stato accusato del solo possesso di marijuana, mentre i rimanenti 103.247 individui vengono accusati di “vendita e produzione”, un’imputazione che comprende praticamente tutti i reati legati alla coltivazione.
    Dal punto di vista geografico, il Report evidenzia come gli arresti risultino maggiori nel Midwest (63,5 per cento di tutti arresti per droga) e nelle regioni meridionali (57 per cento di tutti arresti per droga) degli Stati Uniti, mentre appaiano inferiori più a ovest, dove gli arresti per marijuana costituiscono solo il 39 per cento degli arresti per droga.
    Tale differenziazione geografica appare invece inversamente distribuita per quanto riguarda gli arresti per eroina e cocaina che si rivelano meno diffusi nel Midwest (14 per cento di tutti gli arresti) e maggiormente presenti nel nord-est (29 per cento di tutti gli arresti).
    Allarmanti sono i dati complessivi a livello nazionale che nel 2010 mostrano come gli arresti legati all’abuso di sostanze hanno superato di fatto quelli relativi a tutti gli altri reati, portando in carcere ben 1.638.846 persone; mentre 7,9 milioni sono gli arresti per le sole violazioni legate alle marijuana a partire dall’anno 2000.



    Il 2010 negli Usa è l

 

 
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