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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    ITALIA - Spara a figlio tossicodipendente
    Notizia 19 aprile 2011 16:27

    Ha sparato un colpo di fucile contro il figlio tossicodipendente al culmine di una lite e lo ha ferito. E' successo stamani a Reggio Calabria.
    Il tossicodipendente era agli arresti domiciliari per reati legati agli stupefacenti quando il genitore, probabilmente per una richiesta di soldi che non era intenzionato di accogliere, ha preso il fucile da caccia, detenuto legalmente, e gli ha sparato.
    Il giovane e' stato soccorso dal personale del 118 e portato negli Ospedali Riuniti dove, secondo quanto si e' appreso, non dovrebbe essere in pericolo di vita. Il padre, dopo avere fatto fuoco si e' dato alla fuga ma e' stato rintracciato dagli agenti della Squadra mobile. Indagini sono in corso per fare luce sull'episodio.



    ADUC - Droghe - Notizia - ITALIA - Spara a figlio tossicodipendente

  2. #12
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Dipartimento per le politiche antidroga - Il DPA replica alle dichiarazioni del PD sul problema droga


    Il DPA replica alle dichiarazioni del PD sul problema droga

    Le affermazione di Giuseppe Vaccari rilasciate alla stampa dimostrano semplicemente che non conosce minimamente l'attività del Dipartimento Antidroga ne la situazione del nostro Paese a tale proposito. Sono state infatti dichiarate cose inesistenti oltre che non corrispondenti al vero. Pertanto per dovere di chiarezza e procedendo per punti si comunica quanto segue:

    1) Mentre l'Unione Europea e le Nazioni Unite condividono formalmente la nuova strategia proposta dall'Italia in sede istituzionale per la prevenzione e il recupero della persona tossicodipendente, qualcuno propone di riesumare un vecchio piano di azione del precedente governo fuori addirittura dai moderni orientamenti Europei e delle Nazioni Unite espressi non più tardi di una settimana fa a Vienna.

    2) Le lamentazioni di "alcuni" operatori presenti all'incontro per fortuna non rappresentano la realtà che è stata invece ben evidenziata nella Quinta Conferenza Nazionale sulle droghe di Trieste, organizzata da questo dipartimento, dove ben altre erano le indicazioni emerse da una assise che ha visto la partecipazione di ben 1400 operatori dei servizi di comunità e di volontariato. Che gli operatori siano stati "abbandonati" non vi è dubbio, ma non certo dal DPA che ha da sempre portato avanti le loro istanze avendole ben presenti e soprattutto avendole vissute in prima persona.

    3) Vengono riproposti ancora vecchi concetti inaccettabili e scientificamente ormai accantonati da tempo, tra "droghe buone" e "droghe cattive", creando ancora una volta confusione e disorientamento soprattutto tra i giovanissimi con un approccio che questo dipartimento ritiene irresponsabile e tutt'altro che "innovativo", come si vorrebbe far credere. Con una proposta assolutamente fuori luogo, si richiede inoltre di abolire le pene per gli spacciatori al dettaglio (definiti "terminali dello spaccio") e agli immigrati illegali che si dedicano a tale attività.

    4) Nessun uso strumentale da parte del DPA è stato fatto sui dati relativi alla diminuzione dei consumi di droghe nel nostro paese ma al contrario è stato attuato un trasparente e sistematico confronto pubblico con tutti coloro che hanno partecipato sia alla raccolta ed elaborazioni dei dati, che alla loro interpretazione, avendo cura di analizzare tutte le varie concause e fattori che possono aver portato a tale diminuzione e senza mai arrogarsi la paternità univoca di tale riduzione, così come chiaramente espresso nei nostri documenti fin da Giugno dell'anno scorso.

    5) Rispetto alla trasparenza dell'uso dei fondi, i finanziamenti dei progetti del DPA sono da sempre pubblicati e consultabili all'interno dei nostri siti. 10 regioni italiane hanno progetti finanziati dal DPA ed esistono almeno tre tavoli di progetti istituzionali a cui partecipano la quasi totalità delle Regioni.

    6) Per alcuni fondi precedentemente destinati alle Regioni, ne è stata chiesta ed ottenuta la restituzione in quanto non ancora utilizzati, anche dopo la scadenza dei progetti, o per la presenza di spese non giustificabili. Il DPA ha attivato 79 progetti per un totale di circa 37 milioni di euro di investimento, realizzando 9 network nazionali, coinvolgendo 18 università e centri di ricerca, 50 comuni italiani, 19 regioni, 5 organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, ILO, WHO, NIDA, UNICRI e GRUPPO POMPIDOU)

    7) Per quanto riguarda l'integrazione dei servizi e le componenti del privato sociale, Vaccari dimentica che fu proprio il DPA a sottoscrivere e promuovere un documento in sede della V Conferenza con la CNCA, FICT e FEDERSERD sull'integrazione e sulla promozione del Dipartimento delle Dipendenze in forma strutturale e autonoma e non assorbito e annesso ai Dipartimenti di Salute Mentale, come in molte regioni del centrosinistra è stato fatto, svilendo e demotivando anche il lavoro degli operatori dei Sert oltre che delle comunità.

    Cool Nessuna demonizzazione è stata mai fatta dalla cosiddetta "riduzione del danno" ma si è invece ricollocata tale attività, più correttamente all'interno della prevenzione delle patologie correlate sulla tossicodipendenza, scrivendo e diffondendo precise Linee guida, inserite nel complesso delle attività di cura e riabilitazione delle persone tossicodipendenti. Vale la pena ricordare che proprio il governo precedente, su proposta di Vaccari stese farraginose Linee guida analoghe (che il Governo Prodi non riuscì neppure a stampare e a diffondere) dove si prevedeva l'apertura delle "camere del buco" e la distribuzione di eroina controllata. I dati relativi al numero di decessi e alle nuove infezioni nei tossicodipendenti, dimostrano per altro, salvo che per città o regioni dove proprio la riduzione del danno è stata esaltata, una fortissima diminuzione in questi anni, a testimonianza dell'irrazionalità e intempestività della proposta di Vaccari.

    9) Le ricerche e gli studi epidemiologici sono stati affidati, contrariamente a quanto affermato, ai centri ed organizzazioni di alto livello (Università di Tor Vergata, Istituto Mario Negri, CNR di Roma, Ilo- Nazioni Unite, Istituto Superiore di Sanità e altre università) rompendo un monopolio che durava da danni e che, (oltre che costosissimo) impediva di fatto la condivisione di dati e la partecipazione di più enti a questi studi.

    10) Per quanto riguarda l'attuale Piano Nazionale di Azione anche in questo caso sono stati riportate affermazioni non corrispondenti al vero. Tutte le Regioni sono state sempre invitate a partecipare ai lavori preparatori, all'analisi e alla stesura di tale piano, così come le organizzazioni del privato- sociale, il PAN è stato fortemente e largamente condiviso. 8 Regioni hanno anche partecipato alle discussioni e alcune Regioni lo hanno già recepito, nonostante l'ostruzionismo di alcune che, invece di collaborare per una politica antidroga unitaria, remano costantemente contro, distinguendosi per la loro assenza totale da due anni nei gruppi di discussione e confronto, nella Consulta degli Esperti e in tutte le iniziative proposte dal DPA per concertare la strategia e le azioni. Proprio questi grandi assenti agli appuntamenti istituzionali sono poi i più critici e meno collaborativi. Ci consola che anche al convegno del PD, organizzato da Vaccari, non fosse presente nessuna Regione ( neppure del centrosinistra) a conferma dello scarso interesse che tali obsolete proposte hanno suscitato.

    Questa la realtà dei fatti aldilà delle informazioni scorrette e non veritiere riportate soprattutto da Vaccari nell'incontro del PD sulle droghe.

  3. #13
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Droga e politica, una guida alle alternative riformiste - fuoriluogo.it


    Droga e politica, una guida alle alternative riformiste

    Patrizio Gonnella recensisce per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 20 aprile 2001 il volume "Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale" (Transform Drug Policy Foundation, Ediesse, Roma, 2011). Vai alla scheda del libro. Ordina sul sito dell'editore.
    Fonte: Il Manifesto, di Patrizio Gonnella 20/04/2011

    In Italia, la questione droghe è paradigmatica dell’asfissia del dibattito politico, dove di fronte a fallimenti epocali di talune scelte normative chi governa preferisce taroccare i dati piuttosto che ragionare pragmaticamente e laicamente intorno a ipotesi riformiste. Non a caso non si è mai sviluppato un dibattito politico intorno alle possibili alternative alla war on drugs. L’anti-proibizionismo viene considerato terreno di cultura radicale ed estremista mentre il moralismo entra a man bassa nel diritto e nella politica criminale. Il mondo anglosassone risulta essere molto meno manicheo rispetto all’Italia. Non è un caso che a Bristol, in Inghilterra, la Transform Drug Policy Foundation possa ragionare e costruire scientificamente una piano per la regolamentazione legale delle droghe. Si deve alla caparbietà di Forum Droghe e della Cgil la scelta di proporre ai lettori italiani la traduzione di quello che viene definita l’ipotesi di “il nuovo edificio legale” che usando “scienza e coscienza” possa aiutare a superare le tradizionali politiche sopranazionali e statali in materia di sostanze stupefacenti. Politiche perdenti dal punto di vista sociale, economico e criminale. Il volume si chiama non a caso “Dopo la guerra alla droga.” Nel volume si descrivono cinque possibili modelli per regolamentare la distribuzione delle droghe. Modello di prescrizione medica: rigidamente controllato, con un ruolo di prescrizione affidato a chi ha competenze mediche. È questo un modello costoso in quanto richiede una presenza territoriale diffusa di medici specializzati nel trattamento di assuntori di sostanze. Modello di vendita in farmacia: è meno restrittivo del precedente in quanto affida a farmacisti selezionati, formati e appositamente autorizzati un ruolo centrale nella distribuzione e nella informazione di base. Modello di vendita con licenza: la vendita sarebbe estesa ai luoghi dove viene distribuito alcool e tabacco con modalità analoghe di distribuzione. Modello del locale pubblico con licenza: si userebbero solamente pub e bar appositamente autorizzati per la vendita e il consumo di droghe, con restrizioni legate all’età, alla condizione di intossicazione del consumatore e all’orario di apertura. Modello di vendita senza licenza: vi sarebbe libera vendita delle sostanze meno tossiche al pari degli analgesici e dei farmaci da banco. Ognuno di questi modelli viene spiegato con indicazioni e contro-indicazioni, costi sociali ed economici. Mai una caduta ideologica. Sempre uno sguardo alle condizioni reali di vita delle persone, dei mercati e soprattutto alle differenti caratteristiche delle droghe, chimiche ma anche di accettazione sociale. Una corposa appendice è dedicata al superamento dell’apparato di norme internazionali in materia di droghe. Le Nazioni Unite hanno infatti sviluppato nel tempo una machinery convenzionale unidirezionale fortemente condizionata da scelte repressive e proibizioniste. Quell’apparato universale ha lasciato ben poco spazio a politiche nazionali diversamente connotate. La prima delle tre più importanti convenzioni Onu sulle droghe risale al 1961 (Single convention on narcotic drugs e successivo protocollo del 1972). Le successive sono del 1971 (Convention on psychotropic substances) e del 1988 (Convention against illicit traffic in narcotic drugs and psychotropic substances). E’ stato istituito un sistema di controllo universale sulla coltivazione, produzione, esportazione, importazione, distribuzione, commercio e possesso di sostanze narcotiche. Vi è una rigida previsione delle attività consentite agli Stati e un’altrettanto rigorosa catalogazione delle droghe in quattro tipologie, a seconda degli effetti di dipendenza prodotti. E al primo posto, per pericolosità e strategie di repressione, vi sono eroina, cocaina e cannabis, incredibilmente mescolate tutte insieme. Di fronte a questo rigido e ideologico apparato di norme vengono indicate nel testo due vie: riformarlo o muoversi nei silenzi convenzionali per sperimentare politiche alternative. La prima è la via maestra. La seconda è la via possibile. Questo significa per Transform, ma anche per noi, essere riformisti.

  4. #14
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    ITALIA - Cannabis e consumo. Ascia risponde a trasmissione Matrix Notizia 21 aprile 2011 20:06

    In risposta a quanto affermato dal prof. Serpelloni e dal sig. Muccioli nella trasmissione "Matrix" del 20 u.s.. ASCIA - Associazione per la Sensibilizzazione sulla Canapa Autoprodotta In Italia, ha diffuso il seguente comunicato:

    Con sgomento abbiamo assistito all'ultima pantomima del fronte proibizionista, che adotta come vangeli gli unici (pochi) testi contro l'uso di cannabis e con estrema superficialità minimizza i numerosi trattati e le innumerevoli testimonianze e ricerche di valenti scienziati come il prof. Gianluigi Gessa o il prof. Lester Grinspoon.
    Continuiamo a ribadire che oltre i testi scientifici, anche il semplice buon senso può smascherare la malafede del DPA e delle Comunità Terapeutiche, che dalla politica del DPA ottengono una vasta ed eterogenea clientela!
    L'on. Giovanardi, il prof. Serpelloni, Muccioli, Don Gelmini e molti altri proibizionisti ossessionati dalla cannabis, non fanno altro che ripetere due sole argomentazioni per avvalorare le loro discutibili tesi:
    la prima vede la cannabis come ! trampolino di lancio verso sostanze letali, la seconda insiste sulla pericolosità che si manifesta nel condurre una vettura avendo assunto cannabis.
    Per confutare tutte e due le argomentazioni possiamo rispondere che:
    la cannabis è trampolino di lancio verso sostanze letali solo se il venditore di sostanze illegali detiene il beneficio del monopolio e per quanto riguarda la pericolosità in determinate attività, nessuno ha mai pensato di giustificare atteggiamenti irresponsabili, siano dovuti questi all'alcol, alla cannabis o a qualsiasi altra sostanza alterante, quindi è d'obbligo una dovuta riflessione su alcuni punti che la legge in vigore non considera:
    - Le tracce di cannabis restano nel sangue anche dopo mesi dal momento in cui si è assunta, quindi anche fumando con parsimonia e senso di responsabilità, se si venisse coinvolti in un incidente, si sarebbe ritenuti comun! que colpevoli per aver fumato una spinello una settimana prima! , in qua nto si risulterebbe comunque positivi ...assurdo no?
    - Se la cannabis fosse tollerata (come in Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Danimarca, Germania del nord, Repubblica Ceca ecc... e in questi Paesi non si registrano né forme di criminalità, né un innalzamento degli incidenti a causa della cannabis) toglieremmo alla criminalità organizzata il monopolio delle sostanze illecite ed eviteremmo che i ragazzi, dallo stesso venditore illegale, possano acquistare a parità di prezzo anche eroina o cocaina o droghe chimiche, compresa la marijuana alterata!
    - Nel nostro Paese esiste la cultura del vino, ma se non siamo un popolo di alcolizzati è solo grazie alla conoscenza della sostanza e all'educazione all'uso, quindi solo attraverso la conoscenza, la tolleranza e l'informazione possono essere risolti i problemi legati all'abuso e non con una repressione che vede migliaia di persone, trattate alla stregua di crimi! nali pur essendo impeccabili da un punto di vista fiscale, sanitario, sociale, familiare ed eventualmente in possesso di 22 punti sulla patente!
    - In ultimo, vivendo in un Paese di Diritto, proibire una pianta non tossica con la stessa fobia con cui si vieta il vino nei Paesi arabi, conferisce alla vigente legge un carattere fondamentalista che non è congeniale con la nostra Costituzione e tanto meno con il rispetto della libertà individuale!



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  5. #15
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    TALIA - A 35 anni dalla legge sulla droga, gruppo Abele organizza convegno Notizia 22 aprile 2011 11:10

    Da 35 anni la tossicodipendenza nel nostro Paese è riconosciuta come un problema sociale e sanitario. Anche grazie all’impegno del Gruppo Abele, che nel 1975, quando la legge destinava le persone tossicodipendenti al carcere o al manicomio, contribuì con un’iniziativa che fece storia all’approvazione della 685, normativa che finalmente considerava il consumatore di droga una persona e non un delinquente.
    Da allora sono cambiate molte cose, a partire dalla legge stessa, che è stata radicalmente modificata nel 2006, con la Fini-Giovanardi. Oltre alla legge anche gli stili di consumo sono mutati, così come il volto delle dipendenze, che oggi richiedono una diversa attenzione, nuovi strumenti di prevenzione, educazione e cura.
    A partire dalla storia di questi 35 anni il Gruppo Abele organizza una due giorni di studio per fare un bilancio dei risultati conseguiti e dei problemi irrisolti, nell’intento di valutare le letture, le strategie e gli interventi possibili e di porre un freno al pericolo del ritorno di politiche più penali che sociali. Per questo il 28 e 29 aprile 2011 alla Fabbrica delle "e" di Torino, sede dell'associazione, si terrà un convegno nazionale, al quale parteciperanno psichiatri, sociologi, psicologi, giornalisti.
    Ci saranno tra gli altri Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, Salvatore Natoli, filosofo, Università di Milano Bicocca, Piero Badaloni, giornalista, Leopoldo Grosso, psicologo, vicepresidente del Gruppo Abele, Ambros Uchtenhagen, psichiatra di Zurigo.





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  6. #16
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    "La Repubblica", MARTEDÌ, 26 APRILE 2011
    Pagina 27 - Salute Per tanto tempo l´Italia è stato il Paese europeo dove se ne usavano di meno Ma da un anno la nuova legge sulle cure palliative ne ha reso più facile la prescrizione Oppioidi, "veri" analgesici: finalmente cresce l´utilizzo
    «Rivoluzionaria», termine con cui viene definita. A un anno dalla sua approvazione, trova d´accordo medici, associazioni dei pazienti e politici la legge 38/2010 che stabilisce finalmente il diritto a non soffrire, l´accesso uniforme alle cure palliative e alla terapia del dolore, e l´auspicata appropriatezza terapeutica.
    Per Guido Fanelli, coordinatore della Commissione per l´attuazione della legge 38, la vera novità è la creazione di due reti per le cure palliative e per la terapia del dolore. «La prima – spiega Fanelli – è operativa da anni sul territorio nazionale per l´impegno del volontariato e dei medici palliativisti; la seconda, parte adesso con il riconoscimento del dolore quale malattia, e si farà carico dei pazienti con dolore cronico». Ad oggi la rete delle cure palliative dispone di circa 163 hospice pubblici e privati (non ne hanno solo Val d´Aosta e Abbruzzo) che riescono ad assistere circa il 50% dei 151.000 malati oncologici dei quali un terzo (55.198) muore ancora in ospedale.
    L´indagine 2010 della Fondazione Maruzza Lefebvre D´Ovidio Onlus - GPF, rileva che la conoscenza delle cure palliative tra la gente è migliorata anche se è identificata spesso con la terapia antalgica. Tutta da organizzare la rete del dolore cronico, costruita secondo il modello "spoke and hub": medico di famiglia-centro territoriale di primo livello-ospedale di secondo livello. In dieci regioni l´80% delle Asl assicura almeno 1 ambulatorio dedicato. Poche le realtà dove l´intensità del dolore si registra in cartella clinica, d´ora in avanti sarà obbligatorio per tutti i medici (art.7). La normativa inciderà sulla qualità di vita di milioni di malati cronici. Il primo successo registrato in questi mesi è stato l´aumento, seppure lieve, del consumo di oppioidi in parte dovuto alla semplificazione prescrittiva di analgesici maggiori non iniettabili. I giorni di trattamento sono passati da 6,7 a 11,7 (dati IMS) con un tasso di crescita del 15%. La spesa pro capite è raddoppiata (da 0,50 a 1,02 euro) sebbene resti molto indietro rispetto ai 4,4 euro della media europea. «Un dato significativo considerato che l´Italia partiva da una situazione senza uguali in Europa, ovvero un trattamento basato sui FANS – dice Fanelli – adesso la battaglia da fare è sul dolore cronico benigno e sul territorio; Piemonte, Lombardia, Sicilia, Veneto e Lazio hanno deliberato; Emilia Romagna e Toscana sono in dirittura d´arrivo. Sarà creata la disciplina in palliazione e i medici che in questi anni si sono impegnati nella rete delle cure palliative saranno tutelati dalla legge. Alle regioni che presenteranno progetti ad hoc verranno erogati fondi, 100 milioni di euro annuali allocati su obiettivi di Piano, distribuiti per regione sul numero di abitanti».
    (mp. s.)

  7. #17
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    Una perizia boccia l'etilometro. E stavolta è seria

    Tanto tuonò che piovve. Da almeno due anni si parla dell'inaffidabilità degli alcol-test con etilometro e ora sembra probabile l'assoluzione per un automobilista che era stato trovato ubriaco alla guida. Per la verità, non sarebbe la prima sentenza di questo tipo. Ma sembra essere la più seria: invece che ispirarsi a teorie pur scientifiche ma basate su test a campione eseguiti in realtà distanti rispetto al caso concreto portato in giudizio, il Tribunale di Genova dovrà giudicare un imputato sottoposto a test specifici all'Università di Pavia. Qui è stato dimostrato che quella persona (non altri) ha effettivamente un tasso alcolemico che varia secondo che sia misurato con l'etilometro o con la più affidabile analisi del sangue. Su altre persone, infatti, i risultati dei test potrebbero essere coincidenti. Visto che le sentenze riguardano casi singoli, serietà vuole che la discrepanza venga dimostrata proprio volta per volta.

    Il punto fondamentale delle critiche all'etilometro sta nel fatto che l'apparecchio desuma la quantità di alcol nel sangue (che è quella che influenza le capacità di guida e quindi è il parametro utilizzato dal legislatore per far accertare la violazione e scattare le sanzioni) da quella che misura nel fiato e lo fa moltiplicando il risultato misurato nell'aria espirata per un numero costante (fattore di conversione). Quel numero, invece, non è uguale per tutti i soggetti: su qualcuno potrebbe essere appropriato o quasi, su qualcun altro potrebbe essere totalmente sballato. Inoltre, come ha dimostrato la perizia dell'Università di Pavia, lo scostamento varia secondo le condizioni (distanza di tempo dalla bevuta, stomaco pieno o digiuno) in cui viene effettuato il test. Ecco perché la cosa va dimostrata concretamente caso per caso. Ciò peraltro consente di non gettare del tutto a mare l'etilometro, cosa che creerebbe grossi problemi passati (come la mettiamo con chi è stato ingiustamente condannato? e scrivo "condannato" perché la guida in stato di ebbrezza è perlopiù un reato penale, ricordiamolo) e futuri (le analisi del sangue fanno perdere tempo, quindi si potrebbero fare meno controlli, proprio ora che si sta cercando di incrementarli il più possibile).

    Qui però si apre un grosso problema: non è possibile disporre perizie così dettagliate per ogni infrazione rilevata con etilometro. Basti pensare che ci si è dovuti spostare da Genova a Pavia e che l'interessato aveva una forte motivazione a dimostrare la propria innocenza, visto che altrimenti gli avrebbero confiscato un'Audi RS5 (prezzo di listino compreso tra i 62mila e gli 81mila euro).

    Difficile pensare a un iter analogo sempre, anche quando la posta in gioco è più bassa. A quel punto, diventerebbe più conveniente abolire i test con l'etilometro e far andare direttamente tutti in ospedale a fare il prelievo del sangue (cosa che oggi si fa soprattutto quando gli interessati vengono ricoverati a seguito di incidente).



    Strade sicure - Una perizia boccia l'etilometro. E stavolta è seria

  8. #18
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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    "La Stampa", 28/04/2011Washington suona l’allarme: “Americani, non andate in Messico” Undici Stati sconsigliati a turisti e uomini d’affari: troppo alto il rischio narcos GLAUCO MAGGI

    NEW YORK
    In azione. Una scena frequente a Ciudad Juarez: poliziotti in abiti civili rincorrono i sicari che hanno appena ucciso un loro collega


    Ormai è diventato l’Afghanistan nel cortile di casa. Gli americani non devono andare a Kabul per rischiare la vita, basta il Messico, e a volte persino la striscia delle contee Usa sul confine del Rio Grande, terra di scorribande violente dei cartelli della droga dagli Stati caldi di Sonora o Chihuahua. Nello scorso fine settimana il dipartimento di Stato di Washington ha diramato un allarme che «sconsiglia» ai turisti e agli uomini d’affari statunitensi di viaggiare in altri cinque Stati messicani, allungando la lista dei sei che erano già off limits da qualche tempo (Tamaulipas, Michoacan, Chihuahua, Coahuila, Durango e Sinaloa). L’ultimissima disposizione riguarda ora Jalisco, Nayarit, San Luis Potosi, Sonora e Zacatecas. E per i dipendenti del governo è tassativamente proibito recarsi nelle due maggiori città dello Stato costiero di Jalisco.

    La mappa del terrore copre ormai quasi i due terzi del territorio messicano, poco meno di 1,3 milioni di chilometri quadrati su un totale di 1,97 milioni. Agli undici Stati «vietati» dallo staff di Hillary Clinton vanno aggiunti la Baja California del Nord, sul Pacifico, il Neuvo Leon nel Nord-Est e lo Stato di Guerrero, a Sud, il più rinomato per il turismo grazie al paradiso delle spiagge di Acapulco. È il quotidiano messicano «El Universal» che, riportando la notizia delle restrizioni americane ufficiali, ha ulteriormente allungato l’elenco delle zone pericolose, ricordando che le autorità locali invitano costantemente i visitatori a usare «estrema cautela» negli spostamenti. La vita notturna di Acapulco, che dista 300 chilometri dalla capitale, Città del Messico, è particolarmente a rischio. Gli abitanti delle aree sulle quali è calata più vistosamente la cappa della criminalità organizzata, inducendo limitazioni alla circolazione degli stranieri a loro volta destinate a peggiorare la situazione dell’economia e della sicurezza messicane, sono ormai oltre 40 milioni, sui 112 dell’intera popolazione messicana.

    È stata la nuova offensiva dei cartelli della droga contro i bersagli americani a provocare il giro di vite. Da vari rapporti delle polizie si sa che i cartelli hanno dato istruzioni ai membri di sparare e uccidere gli agenti americani di confine usando Kalashnikov. L’allarme è stato pubblicizzato il 31 marzo, durante una audizione alla sottocommissione della Camera sulla Sicurezza interna, chiaro segnale di un salto di qualità nella guerra non dichiarata dalle bande agli Stati Uniti, che adesso hanno risposto con le restrizioni a viaggiare.

    «Gli spari contro i due agenti speciali americani Jaime Zapata, ucciso, e Victor Avila, ferito, mentre viaggiavano in auto nello Stato messicano di San Louis Potosi, è un cambio delle regole del gioco che modifica lo scenario del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra della droga ai cartelli messicani - ha detto il presidente della sottocommissione Michael McCaul, deputato repubblicano -. Per la prima volta in 25 anni, i cartelli hanno messo nel mirino i poliziotti americani». Ma L’aggressività non è limitata agli agenti Usa che lavorano legittimamente con le autorità locali, come era il caso di Zapata e Avila, impiegati dell’ente per l’immigrazione distaccati a Città del Messico. Ormai rapimenti e assassinii, opera delle bande, tracimano in Texas e in Arizona, elevando l’allarme antimessicano negli Usa. Anche se il numero assoluto delle vittime americane è ancora piccolo rispetto alla strage di messicani (le vittime locali di incidenti collegati alle attività di spaccio sono state 15.273 nel solo 2010, e sono 37 mila dal 2007), le autorità di Washington hanno deciso di intervenire per frenare un trend evidente: almeno 106 persone con passaporto americano sono state «uccise o giustiziate» l’anno passato in episodi connessi alle battaglie tra le bande, in crescita dai 79 del 2009 e dai 35 del 2007. Ma queste cifre ufficiali del Dipartimento di Stato sono sicuramente più basse di quelle reali, sostengono gli analisti di Stratfor, società di intelligence globale: «C’è un sacco di gente con la doppia nazionalità, che magari sono nati negli Usa ma vivono in Messico - dice Scott Stewart, vice presidente -. Molti lavorano di qua e di là del confine, e alcuni sono membri dei cartelli. Difficile sapere quando gente così muore, o sparisce dalla circolazione».

    Di recente, la polizia ha trovato 37 corpi in stato di decomposizione avanzata in una fossa comune nei pressi di Durango, nel Nord del Messico, dove sono avvenuti scontri feroci tra i due cartelli degli Zetas e dei Sinaloa. Il numero di cadaveri scoperti nelle fosse comuni è salito a 177.
    ACAPULCO A rischio la vita notturna Forti limitazioni alla circolazione degli stranieri BAJA CALIFORNIA Non è nell’elenco del Dipartimento di Stato ma è sconsigliata dai locali 37.000 morti dal 2007 Sono le vittime messicane di incidenti collegati alle attività di spaccio delle droghe 25 miliardi di dollari Tanto vale il mercato della droga negli Usa, all’origine della guerra dei narcos LA NUOVA OFFENSIVA Per la prima volta in 25 anni i cartelli della droga hanno messo nel mirino gli agenti Usa

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    "La Repubblica", VENERDÌ, 29 APRILE 2011
    Pagina XIX - Torino "Da 35 anni in lotta contro la droga Un dramma che è stato dimenticato" Don Ciotti al convegno che ricorda la legge sulla tossicodipendenza "Attenti anche al diffondersi del gioco d´azzardo e lotterie: rischiano i più poveri" SARA STRIPPOLI«Eros, 19 anni, Roma. Concetta 26, Torino. Piero 22, Milano. Nel 1975, in questa città, piazzammo un cartello con questi tre nomi, i primi tre morti di droga in Italia. Tre giorni in piazza Solferino sotto le tende: duecento torinesi decisero di digiunare con noi per chiedere una legge che non mandasse più in galera o in manicomio i tossicodipendenti. Michele Pellegrino inviò un telegramma al presidente della Repubblica Giovanni Leone». Don Luigi Ciotti ricorda quella Torino della metà degli anni 70 con commozione: «Nel 1973 avevamo aperto il Molo 53, in via Verdi, primo spazio in Italia aperto giorno e notte e gestito insieme con medici e farmacisti generosi, contrari ad una legge che prevedeva, fra l´altro, la denuncia delle persone tossicodipendenti. Sono passati oltre trent´anni da quella battaglia ed è ora di tornare ad accendere i riflettori sulle dipendenze, di capire cos´è cambiato, di fare nuove proposte», dice. È lui ad aprire il convegno che il Gruppo Abele ha voluto dedicare ad una riflessione a 35 anni dall´approvazione della legge che riconobbe la tossicodipendenza come problema sociale: due giorni di discussione dal titolo "Droga, è tempo di riparlarne" cui partecipano 400 iscritti da tutta Italia, 30 relatori e che si conclude oggi alla Fabbrica delle ‘E´ di corso Trapani. Ma Luigi Ciotti va oltre il ricordo di quella battaglia condotta in prima fila dalla sua associazione. La sua è anche una denuncia e un allarme: «Oggi, con i consumi, sono cambiate pure le condizioni sociali. Viviamo una situazione di impoverimento generale dovuta alla crisi, che ha accresciuto ansia e disperazione nelle persone. Impoverimento non solo economico, ma anche etico e culturale». La riduzione del fondo per il sociale nel nostro Paese che si ripercuote sui servizi di accoglienza e sostegno, dice ancora il fondatore del Gruppo Abele «parla chiaro sul disinvestimento in questo settore. I fondi destinati al sociale erano 2 miliardi e 500 milioni, oggi sono calati a 379 milioni».
    La lotta di trent´anni fa che portò finalmente il parlamento ad approvare una legge all´avanguardia torna anche nell´intervento di Leopoldo Grosso, psicologo e vicepresidente del Gruppo Abele: «Allora si trattava di far emergere un fenomeno, togliere il tabù che lo copriva. Già allora le comunità avevano dimostrato con la loro attività di pionieri che era possibile emanciparsi dalla dipendenza». Con il nuovo modello di società che stiamo vivendo negli ultimi anni «le persone vivono però in una condizione di perenne sovraccarico, e così cresce anche la richiesta di psicofarmaci e delle droghe che vengono chiamate "da prestazione", con un significativo aumento dell´uso di cocaina, diventata la droga di massa».
    Parlare oggi di droga significa parlare della solitudine e della fragilità di molti, osserva ancora don Ciotti: «Si nota una sorta di "tassa sulla povertà" con il diffondersi di gioco d´azzardo, scommesse e lotterie, visto che a giocare sono soprattutto i più poveri. Insieme con l´uso di psicofarmaci e antidepressivi, si registra un approccio sempre più precoce all´alcol come veicolo di stordimento. Si diffondono anoressia e bulimia, disturbi alimentari che nascondono disturbi di relazione».

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    Predefinito Rif: Storie di antiproibizionismo

    "La Stampa", 29/04/2011Droga, una piaga dimenticata Si muore di meno ma si consuma molto di più, e soprattutto l’Italia investe poco e male sui programmi di prevenzione. È la denuncia del Gruppo Abele. Che a Torino si interroga su futuro e si domanda: come invertire la rotta? MARIA TERESA MARTINENGO

    TORINO



    Viviamo in un clima culturale e politico preciso, segnato dal declino dell’idealeriabilitativo Don Luigi Ciotti fondatore del Gruppo Abele


    Trentacinque anni fa, nella centralissima piazza Solferino, in una città terra di immigrazione dal Sud, di sradicamenti, di grandi disagi sociali, il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti innalzò una tenda che fu uno scossone per le coscienze: 200 persone digiunarono per giorni, un gruppo proseguì a oltranza, il cardinale Michele Pellegrino portò la sua solidarietà. Si chiedeva una legge - mentre l’eroina si stava diffodendo - che considerasse i consumatori di droga persone da aiutare e non delinquenti da incarcerare, com’era stato fino a quel momento. Sei mesi dopo venne approvata la legge 685.

    Trentacinque anni dopo, e alcune leggi dopo, il Gruppo Abele, esperti di allora e di oggi, e don Ciotti si sono ritrovati per ragionare su droga, dipendenze e consumi nella ex fabbrica di corso Trapani trasformata in spazio di riflessione e di educazione, di ricerca e recupero. E nella prima giornata di una intensa due giorni, le parole di don Ciotti hanno denunciato la deriva culturale e il ritorno al passato.

    «Oggi aumenta il penale - ha detto il fondatore del Gruppo Abele - e diminuisce il sociale. Basti pensare che dal 2008 a oggi i fondi per le politiche sociali sono diminuiti di quasi l’80%, da 2,5 miliardi a 379 milioni: 2 miliardi in meno da destinare ai progetti e ai servizi per le fasce deboli». Sullo specifico della tossicodipendenza, don Ciotti ha spiegato: «Da tempo il numero di persone tossicodipendenti che transita ogni anno per le carceri italiane è assolutamente maggiore di quello di coloro che passano nelle comunità terapeutiche: 26 mila contro 16 mila. E si propongono nuove carceri. È il carcere la modalità con cui il nostro paese intende rispondere al problema?».

    Nei grandi istituti penitenziari - San Vittore, Vallette, Rebibbia, Marassi, Poggioreale - i tossicodipendenti sono anche oltre il 50%: persone marginali con cumuli di problemi, povertà, patologie, famiglie disgregate, bassa scolarizzazione. «Per loro ha proseguito Ciotti - più che una risposta carceraria sarebbero opportune politiche sociali. Ma queste risposte, antitesi dell’inclusione, si inquadrano in un clima culturale e politico preciso che segna il declino dell’ideale riabilitativo. Il declino si legge anche nella riduzione della spesa annuna per detenuto, passata dai 13.170 euro del 2007 ai 6.257 del 2010». Più povero il cibo, l’igiene, l’istruzione e così via.

    Leopoldo Grosso, vice presidente del Gruppo Abele, ha spiegato che sul fronte della tossicodipendenza oggi lo scenario è meno «preciso» di un tempo. Ha parlato di «dati di difficile lettura», di «consumo di polisostanze, di fidelizzazione alla cannabis ma con facili sforamenti nelle anfetamine, nella cocaina». Condizioni che rendono più arduo accedere alle misure alternative con la diagnosi di tossicodipendenza. In effetti, tossicodipendenza solo mascherata o a singhiozzo.

    Per Ciotti «bisogna allargare l’attenzione ai nuovi aspetti delle dipendenze: cocaina, “droghe da prestazione”, gioco - “tassa sulla povertà” perché tocca soprattutto i più poveri -, al web, al triplicarsi dell’uso di piscofarmaci e antidepressivi. Bisogna guardare al ritorno silenzioso dell’eroina». In Piemonte, dall’estate scorsa sono state oltre venti le morti per overdose.

    Davanti alla tenda, 35 anni fa, era stato affisso un cartello con i nomi dei primi morti per droga in Italia: Eros, Concetta, Piero... Serviva una legge più umana. Oggi di nuovo. «Dobbiamo dire basta a quel che succede nel sociale. A questa politica frega niente delle nostre storie, di quelle persone che noi guardiamo in faccia ogni giorno. Persone».
    L’EROSIONE Dal 2003 i fondi stanziati per le politiche sociali sono diminuiti dell’80%

 

 
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