Pippo Fava e il suo viaggio in Sicilia
l'inchiesta per la Rai mai trasmessa
La proiezione nell'anniversario della morte del giornalista
Pippo Fava
MILANO – «Io ho un concetto etico del giornalismo. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, accelera le opere pubbliche, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane». Pippo Fava scriveva cose del genere. Parole che a 28 anni dalla morte restano una grande lezione civile e professionale. Il mestiere del giornalista come argine per eccellenza alle degenerazioni della convivenza civile. Ma Fava era soprattutto un profondo conoscitore della mafia e della sua capacità di corrompere il tessuto sociale ed economico. Ecco perché conserva una straordinaria forza profetica anche la sua ultima intervista rilasciata ad Enzo Biagi. «Sul problema della mafia – sosteneva- c’è un’enorme confusione. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità che credo abiti in tutte le città italiane e europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante».
MAFIA IMPRENDITRICE - Una voce del genere misero per sempre a tacere i sicari armati dal boss Nitto Santapaola ma ispirati da «menti raffinatissime» che avevano il dominio su una città come Catania che, a differenza di Palermo, ha avuto pochissimi delitti eccellenti. Mai un attacco frontale allo Stato ma una «mafia imprenditrice» che ama il basso profilo, tende soprattutto a fare affari, corrompere ed infiltrarsi nelle istituzioni. Proprio quella politica dell’inabissamento che trenta anni dopo Bernardo Provenzano imporrà anche in Sicilia occidentale alla fine della terribile stagione stragista dei Corleonesi di Riina che, oltre a seminare il terrore, determinò la dura reazione dello Stato e forse il declino della stessa mafia siciliana che, secondo molti osservatori, oggi sarebbe meno forte rispetto alla Ndrangheta o alla stessa Camorra. Per questo e tanto altro (i libri, le produzioni per il teatro) a 28 anni dalla morte la lezione di Pippo Fava resta ancora di straordinaria attualità.
FILM INEDITO - E in occasione dell’anniversario tra le tante iniziative in programma per ricordare il direttore del Giornale del Sud e de I Siciliani ce n’è una che tende a completare quell’opera di recupero dell’eredità lasciata da Fava. Per iniziativa della Fondazione che porta il suo nome è stata recuperata una lunga inchiesta prodotta per la Rai e mai messa in onda. Si tratta di materiale in gran parte inedito che il regista Vittorio Sindoni ha successivamente raccolto in un film dal titolo «Un siciliano come noi». Un documento che per la prima volta giovedì sera verrà proiettato a Catania. «Alla fine degli anni settanta, dopo la pubblicazione del libro I Siciliani – spiega la figlia del giornalista Elena Fava - mio padre realizzò questa inchiesta in sei puntate dedicata alla condizione dell’isola. Ma tranne una puntata trasmessa dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa, il resto non è mai andato in onda. Il film di Sindona fu successivamente presentato fuori concorso al festival di Taormina dell’84 ma non è stato mai proposto al grande pubblico”. Un'occasione unica per rivedere la Sicilia di quegli anni con gli occhi di uno spirito libero che l'aveva capita troppo in fretta.
Alfio Sciacca
5 gennaio 2012 | 18:02
Pippo Fava e il suo viaggio in Sicilia l'inchiesta per la Rai mai trasmessa - Corriere della Sera