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Alepk
Sarebbe una buona idea, ma bisogna fare le cose per bene: rischiamo che la manifestazione sia fortemente politicizzata dalla sinistra, invece è bene che presenzino anche forze moderate e liberali (tipo FLI) per far capire che la richiesta di liberalizzazioni è strutturale; inoltre c'è il rischio che gli italiani, non avendo capito bene le ragioni delle liberalizzazioni, si sentano dalla loro parte (si sa che in Italia si ragiona in maniera corporativa) quindi non so quante persone potrebbe attirare una simile manifestazione.
Perché vince la lobby dei taxi
Una corporazione agguerrita. Potente nelle città. Che affida a sette leader nazionali il compito di dialogare con i governi. Ecco come finora i tassisti sono riusciti a bloccare ogni liberalizzazione
per L'EspressoNove dicembre 2011. Per il popolo dei taxi è una giornata di allarme rosso. Il governo Monti ha appena inserito nella manovra salva-Italia un articoletto che promette di rilanciare la temuta liberalizzazione delle licenze. A Roma si presentano sette dirigenti delle più importanti organizzazioni di categoria. Parlano a nome di migliaia di colleghi, dalla Lombardia al Lazio, dalla Campania al Veneto. Nella capitale incontrano i parlamentari della commissione Bilancio. Discutono un emendamento, lo scrivono e riscrivono insieme. Prima di sera il testo è pronto: indietro tutta.
Il colpo da maestri è spiegare ai politici come sia la stessa direttiva europea sulle liberalizzazioni a dichiararsi inapplicabile ai taxi, in quanto servizi pubblici non di linea, "come le ambulanze". L'indomani i leader dei taxisti si vedono ricevere dal segretario generale di Palazzo Chigi, Manlio Strano. Che ufficializza il dietrofront: la riforma sparisce dalla manovra di fine anno.
Per i "magnifici sette" è la seconda missione compiuta in meno di sei mesi. La prima è dell'estate scorsa. Quando l'allora ministro Giulio Tremonti abbozza una liberalizzazione targata centrodestra, sono sempre loro a convergere su Roma e a spingere il governo Berlusconi a ritrattare. A tutt'oggi l'unico tentativo di riforma del mercato delle licenze è ancora la famosa legge Bersani del 2006, che però fu in gran parte svuotata dopo le massicce proteste delle auto bianche nelle grandi città.
Quella dei taxisti insomma sembra una lobby invincibile. E difficile anche da quantificare: se per la prima volta i dati ufficiali dell'Aci parlano di 25 mila vetture, le associazioni contano oltre 60 mila licenze. In un caos di cifre tutto italiano. Eppure i sette leader riconosciuti non formano una corrente di partito. "Dobbiamo trattare con tutti, da destra a sinistra, ma non ci fidiamo di nessuno", riassume Ciro Langella, taxista a Napoli dal 1986 e dirigente nazionale dell'Uti, che dichiara 9 mila associati. Alessandro Nordio, al volante a Mestre da 31 anni e presidente nazionale della Confartigianato Trasporti, definisce la sua categoria "trasversale": "Come molti italiani siamo delusi da tutta la classe politica. Io non mi sento neppure un sindacalista, sono un piccolo imprenditore e conosco i problemi delle nostre aziende: il lavoro che non c'è, il sovraccarico fiscale, le banche che ci strozzano, il traffico infernale. E la lottizzazione e gli sprechi dei trasporti pubblici locali".
Da Roma Loreno Bittarelli, numero uno di Uritaxi, conferma "i rapporti diretti con il sindaco Gianni Alemanno", ma gli altri parlano di "posizione personale" in una categoria "eterogenea". In missione nella capitale c'era anche Nicola Di Giacobbe di Unica, che fa capo alla Cgil, accanto a Pietro Marinelli dell'Ugl, il sindacato della governatrice laziale Renata Polverini.
E da Milano sono arrivati i capi del Satam, Nereo Villa e Raffaele Grassi, il quale si dichiara "di sinistra da sempre" ed è consigliere comunale dell'Italia dei Valori. A ben guardare, la macchina del consenso dei taxisti ha il suo motore proprio nei municipi. E' dal basso, dal livello locale, che nasce una rete di contatti utili anche alla politica nazionale. La legge affida ai Comuni il potere di regolare l'economia delle auto bianche: dalle tariffe al numero di licenze, dagli orari alle corsie privilegiate.
ROMA Ha la lobby più forte d'Italia, con leader che riescono a gestire perfino le cifre da cui dipende qualsiasi ipotesi di regolazione: l'Aci registra 6.576 taxi circolanti, mentre Bittarelli parla con sicurezza di "oltre 7.800 licenze" (che però comprendono i sostituti e i residenti fuori Roma). La categoria è schierata a destra almeno dal 2006, quando la giunta Veltroni varò la prima liberalizzazione assegnando 1.700 nuovi permessi con un concorso gratuito, molto chiacchierato.
Che fece crollare il prezzo delle licenze, che erano arrivate a valere 250 mila euro. Ora, con la crisi, le licenze sono scese a 120-150 mila euro. E i taxisti giurano di guadagnarne a fatica 100-120 lordi al giorno, che equivalgono a 2 mila netti al mese. In crisi anche la fede nel sindaco Alemanno, contestato per le promesse non mantenute su parcheggi e corsie privilegiate. Per riconquistare i delusi, il centrodestra studia un aumento delle tariffe.
Perché vince la lobby dei taxi - l’Espresso
più che altro sarei curioso di sapere, questi sette, che dicono al governo per convincerlo