Tecnodipendenze, nuova frontiera dell’omologazione
L’obiettivo finale della globalizzazione è rendere l’uomo una marionetta, priva di legami con la propria terra e le proprie tradizioni, priva di una dimensione spirituale, di un’identità antropologica, sessuale, intellettiva. Un prodotto da omologare, un numero. Uno schiavo da indottrinare, manipolare, orientare a piacimento. In tal senso, la dipendenza dalle nuove tecnologie riveste un ruolo importante, accanto, ad esempio, alla diffusione del genderismo. Le nuove tecnologie sono certamente, se sapientemente usate, uno strumento in grado di aiutare l’uomo in molteplici attività; ma in un’epoca come questa, dove il centro dell’uomo è posto nell’elemento corporeo a sé stante o tutt’al più nei livelli più bassi della psiche, quelli irrazionali e subpersonali, con molta facilità un’abitudine o un input esterno di qualunque natura (soprattutto se sapientemente e continuamente indotto) scatena un’ossessione, un bisogno compulsivo, una dipendenza. L’uso massiccio delle tecnologie più sofisticate produce oggi, volutamente, proprio questi effetti. Il bisogno psicofisico di avere sempre con sé lo smartphone ed il terrore di non essere connessi (la cosiddetta nomofobia) ne sono chiari esempi.
(it.blastingnews.com) - The Impact of iPhone Separation on Cognition, Emotion and Physiology“: questo è il titolo di uno studio realizzato da Russel Clayton, docente presso l’Università del Missouri, e pubblicato lo scorso 8 Gennaio su Science Daily. Russel decide di analizzare e approfondire una tematica oggi come oggi molto scottante e attuale, quella che riguarda il legame, sempre più forte e inappropriato, tra gli uomini e il proprio cellulare. Perchè il professor Clayton ha deciso di trattare tale argomento? Parlando con un ospite è rimasto sorpreso nel vederlo allontanarsi nel bel mezzo della conversazione per aver dimenticato da qualche parte lo smartphone. Fortemente perplesso Russel si pone un interrogativo: il cellulare è davvero diventato una protesi tanto fisica quanto psicologica? Questa è la domanda che si pone e per rispondervi porta avanti un esperimento.
Seleziona un ampio numero di studenti. Dice loro che sono utili per provare un nuovo rilevatore di pressione sanguigna e che devono separarsi per un po’ dai loro smartphone poiché la vicinanza di essi potrebbe falsare i risultati dell’esame. Gli alunni non sapevano che l’esperimento, in realtà, fosse proprio quello. Misurando i battiti cardiaci e la pressione dei presenti, Clayton si accorge che questi sono aumentati nel momento in cui i ragazzi hanno temporaneamente “abbandonato” gli apparati elettronici. L’ansia degli studenti sale. Alcuni pur di non lasciare il cellulare si inventano di essere in attesa di un’importante telefonata. Russel Clayton è dunque giunto alla conclusione che il cellulare è realmente diventato una protesi fisica e psicologica. Gli uomini credono di stare male senza di esso quando, invece, è una delle primarie fonti di stress e angoscia.
Tra gli adolescenti, e non solo, sempre più diffusa è la cosiddetta nomofobia ovvero la paura di essere sconnessi. Questo timore ha preoccupanti e seri risvolti a livello fisico e mentale come ad esempio accelerazione del battito cardiaco, difficoltà nella respirazione, crisi di nervi. Sembra proprio che la tecnologia abbia conquistato l’uomo.
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Allarme in Gran Bretagna: centinaia di bambini sotto i 12 anni in cura per dipendenza da droga e alcol
Benedetta Frigerio
Lo ha rivelato un’indagine dell’agenzia di stampa inglese Press Association, che ha avuto accesso ai dati di 140 centri di assistenza sociale di Inghilterra, Galles e Scozia
Cresce il numero di persone con problemi di droga e alcol in Gran Bretagna. Fin qui nulla di nuovo, se non fosse che l’allarme questa volta riguarda i bambini. Quelli presi in carico dal Sistema sanitario nazionale tra il 2012 e il 2013 sono 366, di età compresa fra i 4 e i 12 anni. Di questi si è interessata l’agenzia di stampa inglese Press Association, che ha avuto accesso ai dati di 140 centri di assistenza sociale di Inghilterra, Galles e Scozia.
L’agenzia ha scoperto che il 59 per cento di questi minori – compresi bambini di 4, 5, 6 e 7 anni – hanno ricevuto cure per abuso di cannabis, mentre un terzo è dipendente da alcolici.
IL RIMEDIO È LA SCUOLA? È difficile individuare le cause di questo fenomeno, rintracciabili in certi casi nell’imitazione del comportamento di madri o padri che si drogano o bevono in casa. Ma in alcuni casi i genitori sembrano non c’entrare nulla. Il presidente della commissione Affari interni della Camera dei Comuni Keith Vaz, commentando la notizia, ha affermato che «i genitori devono assumersi per primi la responsabilità [di questa situazione] e devono ricevere più aiuti per prevenire l’accesso dei bambini a droga e alcol».
Per Vaz è determinante la scuola, che deve spiegare «gli effetti che la droga, le diete e gli esercizi hanno sulla vita e sul corpo». Steve McCabe, ministro ombra della Famiglia, ha dichiarato di essere sconvolto. «La strategia del governo contro la droga non funziona», ha affermato, aggiungendo che la scuola è il luogo giusto per un’opera di prevenzione legandola a «problemi come sesso, educazione affettiva e pornografia».
LIBERALIZZAZIONE DEL 2004. Da quando il consumo e la produzione di cannabis sono parzialmente tollerati in Gran Bretagna, dove nel 2004 è stato abolito l’arresto per chi coltiva la droga “leggera” in casa, i numeri di persone malate sono cresciuti. Secondo l’indagine resa nota a febbraio dell’emittente indipendente Itv, vengono sequestrate in media 656 coltivazioni al mese (il 39 per cento in più in soli 5 anni). Nel 2008 la media era 252.
I danni provocati dalla marijuana nel Regno Unito, che oggi riguardano anche i bambini, avevano fatto pentire nel 2007 persino il quotidiano liberale The Independent, che dieci anni prima aveva promosso una campagna a favore della liberalizzazione della cannabis.
Gran Bretagna: centinaia di under 12 dipendenti dalla droga | Tempi.it
Investire nell'adulterio? Sito specializzato punta alla City
Punta a Europa in quanto "l'idea di un sito di tradimenti potrebbe essere più socialmente accettabile".
NEW YORK (WSI) – Volete investire in un sito di dating online per uomini e donne a caccia di relazioni extraconiugali? A quanto pare, presto sarà possibile.
Secondo il sito Bloomberg, Avid Life Media, azienda a capo di AshleyMadison.com, un sito di incontri per persone annoiate dal matrimonio e desiderose di avventure fuori dalle mura domestiche, sarebbe pronta a sbarcare sul mercato londinese quest’anno.
L’obiettivo è raccogliere un capitale fino a 200 milioni di dollari. Questa non è la prima volta che la società, con sede a Toronto, tenta di quotarsi. Un precedente tentativo, non andato a buon fine, è avvenuto qualche anno fa e prevedeva lo sbarco sul mercato azionario canadese.
Sebbene gli Stati Uniti rappresentino circa la metà della sua attività, la società sta cercando di sbarcare in Europa, dove – dice Christoph Kraemer, responsabile della divisione relazioni internazionali – "l'idea di un sito di adulterio potrebbe essere più socialmente accettabile".
Investire nell'adulterio? Sito specializzato punta alla City
Da peccato grave a business, l’adulterio è on line (anche Lgbt)
By Redazione
Incredibile, l’adulterio non è più solo immorale e – per chi crede –peccato grave: ora è sinonimo anche di business. Lo dimostra un sito canadese, specializzato proprio nell’organizzare incontri per infedeli. Gli affari vanno purtroppo tanto bene da decidere addirittura di compiere il grande passo e di farsi quotare alla Borsa di Londra, ciò da cui spera di ricavare 200 milioni di dollari (pari a circa 187 milioni di euro): l’annuncio ufficiale è stato dato mercoledì scorso da Noel Biderman, amministratore delegato della società che gestisce il sito, la Avid Life Media, peraltro titolare anche di altri due siti “specializzati”: «Abbiamo sviluppato il lato oscuro degli appuntamenti galeotti – gongola trionfante – e questo si è rivelato essere un affare incredibile, di gran lunga più vasto del mercato dei celibatari». Sulla pelle altrui, tanto in termini di perdizione delle anime quanto in termini di famiglie sfasciate.
Il meccanismo è volutamente molto semplice: basta abbonarsi, per accedere agli squallidi “servizi” ed entrare in contatto con altri individui coniugati disposti a tradire ed a lasciar così che l’istinto distrugga la gioia e la bellezza dell’amore per sempre. In realtà, si tratta di coniugati e non, perché il sito si è già totalmente allineato all’ideologia gender imperante, accogliendo anche single, gay o lesbiche in cerca, per così dire, della propria “compagnia” a pagamento, in ossequio al diktat delle lobby Lgbt.
Oggi il sito, che si finanzia con abbonamenti e raccolta pubblicitaria, è presente in 46 Paesi e proposto in 28 lingue diverse, compresi l’ebraico, il turco, il cinese, il suomi e molte altre ancora. Tanto da potersi definire come il «leader mondiale per incontri discreti tra persone sposate». E non.
Val la pena a questo punto ricordare cosa preveda il Catechismo della Chiesa Cattolica, ai numeri 2380-2381, in fatto di adulterio: spiega senza mezzi termini che si tratta di un peccato grave, condannato da Cristo e dalla Sacra Scrittura, «anche se consumato con il semplice desiderio»: «L’adulterio è un’ingiustizia – si legge - Chi lo commette viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell’Alleanza, che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell’altro coniuge e attenta all’istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell’unione stabile dei genitori».
Sul sito trasgressivo, ammiccante, uno slogan recita: «La vita è breve, abbiate una relazione». Non spiega però ai propri turbolenti iscritti il seguito ovvero che la dannazione poi, per le anime, è eterna.
Da peccato grave a business, l?adulterio è on line (anche Lgbt) | Riscossa Cristiana
La svolta del governo Usa: via la statua del missionario, in arrivo quella della lesbica
Con un nuovo provvedimento, il governo americano sostituirà, all'interno della Natonal Statuary Hall, la statua del missionario Junipero Serra con quella dell'astronauta lesbica Sally Ride
Andrea Riva
Una nuova svolta progressista per il congresso americano. La statua del sacerdote del XVIII secolo, Junipero Serra, conservata nella National Statuary Hall, rischia di essere sostituita da quella della dottoressa Sally Ride, icona gay.
Nonostante si fosse sposata con l'astronauta della Nasa Steven Hawley, la Ride avrebbe infatti avuto per oltre 27 anni una compagna, l'ex collega Tam O'Shaughnessi.
Come scrive il New York Times, citando il senatore della California Ricardo Lara, che ha proposto la risoluzione per far installare la statua dell'astronauta, "Sally Ride sarà la prima donna a rappresentare la California e la prima persona a rappresentare la comunità Lgbt in Campidoglio". E il senatore, cattolico e gay, è andato anche oltre: "Si tratta di modernizzare i nostri eroi. I simboli sono importanti, soprattutto per quelli come noi, che non hanno tradizionalmente conosciuto l'accettazione pubblica di figure omosessuali d'influenza o di potere".
La svolta del governo Usa: via la statua del missionario, in arrivo quella della lesbica - IlGiornale.it
L'Omoeresia nella Chiesa attuale
Due anni fa la rivista polacca “Fronda” pubblicò un lungo articolo, ripreso successivamente dalla rivista teologica tedesca “Tehologisches” su quella che era definita "Omoeresia", e "Homomafia". Cioè della presenza a tutti i livelli nella gerarchia della Chiesa, compresa la Curia romana, di una rete di sacerdoti omosessuali impegnati nel proteggersi a vicenda. L'autore, oggi: "Mi pare che stia maturando sempre di più la consapevolezza dei problemi affrontati nel mio studio".
MARCO TOSATTI
Due anni fa la rivista polacca “Fronda” pubblicò un lungo articolo, ripreso successivamente dalla rivista teologica tedesca “Tehologisches” su quella che era definita "Omoeresia", e "Homomafia". Cioè della presenza a tutti i livelli nella gerarchia della Chiesa, compresa la Curia romana, di una rete di sacerdoti omosessuali impegnati nel proteggersi a vicenda.
L’autore era un sacerdote, il prof. Dariusz Oko, docente di Teologia alla Pontificia Accademia di Cracovia, all’Università Giovanni Paolo II. Nel suo articolo Oko ricordava che l’80% dei casi di cosiddetta pedofilia negli Stati Uniti erano in realtà casi di efebofilia, cioè relativi a maschi adolescenti (le cifre della Congregazione della Fede sono analoghe, si parla del 90%). “Questo fatto è stato accuratamente nascosto e ignorato”.
Nel suo studio Oko sottolineava la difficoltà vissuta da sacerdoti e seminaristi che tentano di mettersi contro questo tipo di potere e i colleghi che fanno parte della lobby. “Quando il vicecancelliere o un altro superiore cerca di rimuoverli, può andare a finire che si trovino rimossi proprio loro, invece degli omoseminaristi. O quando un vicario cerca di proteggere i giovani da un prete che li molesta, può accadere che sia il vicario a essere punito”, grazie al fatto che le istanze superiori a cui si rivolge fanno parte della lobby. Che se sono fondate alcune indiscrezioni trapelate dai Palazzi vaticani, avrebbe un estensione sovranazionale e coinvolgerebbe centinaia di chierici, a ogni livello.
Abbiamo rivolto al prof. Dariusz Oko alcune domande sul problema, che da allora sembra essere passato nel dimenticatoio.
– Due anni fa Lei ha fotografato con il suo studio approfondito una situazione esistente nella Chiesa. È cambiato qualche cosa da allora?
– Sicuramente il mio studio ha toccato un problema molto diffuso ed esistente quasi dappertutto. Solo così si spiega il fatto che in poche settimane il testo ha fatto il giro del mondo. In molti paesi sono state preparate diverse traduzioni: dall’inglese al tedesco, dall’italiano alla lingua ceca, dal slovacco alla lingua estone... Mi pare che stia maturando sempre di più la consapevolezza dei problemi affrontati nel mio studio.
– Nel sul lavoro Lei parla di omoeresia. Quali sono le caratteristiche?
– L'omoeresia è un rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull'omosessualità. I sostenitori dell'omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell'omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L'omoeresia è una versione ecclesiastica dell'omosessualismo.
– Nel 2005 è stato pubblicato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica un importante documento, approvato dal Santo Padre Benedetto XVI, che proibisce di ordinare preti omosessuali. Perché questo documento?
– A partire dagli anni Settanta e Ottanta del XX secolo si è infiltrato in tanti seminari e monasteri nel mondo un modo nuovo di considerare la sessualità umana, contrario al Magistero tradizionale della Chiesa cattolica sull'omosessualità. In conseguenza, in molti seminari diocesani e abbazie di tutti i continenti hanno cominciato a sostenere l'idea che esistono due orientamenti sessuali equivalenti: eterosessuale ed omosessuale. Così si chiedeva ai chierici esclusivamente la castità, considerata come l'astinenza da atti impuri, e la capacità di vivere il celibato, senza entrare nel merito del loro orientamento o tendenze sessuali. In questo modo l'omosessualità come tendenza e tipo di personalità ha finito di essere un ostacolo all'ordinazione sacerdotale.
– Questa normativa del 2005 che vieta il sacerdozio per i gay, a Sua conoscenza, viene applicata?
– Non sono responsabile per la formazione nei seminari. Allora non lo so, come viene trattato questo divieto in diversi paesi del mondo. Si dovrebbe rivolgere questa domanda alle persone direttamente responsabili per la formazione dei futuri preti.
– Da quando Lei ha scritto il suo studio è cambiato il Papa. Percepisce qualche differenza di atteggiamento fra i due pontificati, in relazione al problema?
– È difficile parlare di qualche differenza. La cosa fondamentale è il Magistero della Chiesa cattolica che non cambia e che per oggi vieta l’ordinazione dei preti gay. Il Magistero attuale, invece della divisione che funzionava prima tra l'omosessualità attiva e quella passiva, introduce una distinzione tra tendenze omosessuali transitorie, che accadono nel periodo dell'adolescenza, e quelle profondamente radicate. Tutte e due le forme di omosessualità, e non più soltanto l'omosessualità attiva, costituiscono un impedimento all'ordinazione sacerdotale. L'omosessualità non è conciliabile con la vocazione sacerdotale. Di conseguenza, non è solo rigorosamente vietata l'ordinazione di uomini con qualsiasi tipo di tendenza omosessuale (anche se transitoria), ma anche la loro ammissione in seminario.
L'Omoeresia nella Chiesa attuale
L’ideologia gender non esiste, ma accidenti a me che ho messo la tutina rosa alla mia bambina
Fabio Sabatini, economista e blogger di MicroMega e del Fatto quotidiano, è un uomo assolutamente impegnato per la causa cosiddetta progressista. Ha fatto sue molte delle attuali battaglie per i “nuovi diritti”, «matrimonio gay e omogenitorialità anzitutto», scrive. A maggior ragione, perciò, l’allucinante vicenda in cui si è ritrovato personalmente coinvolto, raccontata in un lunghissimo post da lui firmato per Micromega che vale la pena di leggere, è emblematica dell’estremismo raggiunto da un certo mondo militante. Sabatini stesso ci tiene a precisare che in questa storia «si parla di gender, ma se ne parla solo incidentalmente». I lettori non devono «trarre lezioni generali» dal suo caso, ammonisce. «Tutti noi che abbiamo a cuore l’uguaglianza dei diritti civili ci sgoliamo dalla mattina alla sera per spiegare che la “teoria (o ideologia) del gender” non esiste», e secondo Sabatini occorre continuare a farlo. Tuttavia è difficile che la sua vicenda, «una delle più grottesche cui ho assistito negli ultimi tempi», «così caricaturale che sembra confezionata dalla propaganda contro l’eguaglianza dei diritti civili», non costringa a riflettere un po’ più a fondo sul senso di tante campagne arcobaleno.
Veniamo ai fatti. Succede che Sabatini, oltre che ricercatore universitario, è anche amante della fotografia e dei social network, e un bel giorno pubblica su Facebook una foto di sua figlia, tre mesi, che indossa una tutina rosa. Completamente rosa. Non l’avesse mai fatto. «Il misfatto – racconta – non è passato inosservato, e una rappresentante della famosa categoria “esperti di Facebook” mi ha chiesto conto della scelta del colore». Il bello è che «l’esperta in questione», è una specie di “collega” di Sabatini. Lui non la nomina mai nel suo post, ma dalle informazioni riportate è facile riconoscere Barbara Befani, che, ironia della sorte, «tra le altre cose, scrive su MicroMega un blog su questioni di genere». Ebbene, «fin dalla prima battuta», continua Sabatini, era chiaro che la Befani «avesse già in mente la sua risposta. Questo padre è maschilista e sessista, perciò veste la figlia di rosa». Quando si finisce le mirino dell’esperto di genere, osserva il malcapitato blogger progressista, è inutile stare a spiegare che non avete scelto quella tutina per sessismo, che «il rosa vi piace» e che però «vi piacciono anche altri colori», che «il guardaroba di vostra figlia è vario» e contiene anche abitini azzurri. Inutile perché, qualunque essa sia, «la risposta non va bene». L’esperto ha già capito tutto, «si pianta in salotto e ci sottopone una raffica di osservazioni e di domande». Il punto, intuisce sconsolato Sabatini, «è che dobbiamo dimostrare di non essere sessisti: avreste vestito vostro figlio di rosa anche se fosse stato un maschio? Siamo increduli e infastiditi. Dobbiamo davvero dimostrare alla prima persona che passa di non essere qualcosa?». Ammirevolmente, comunque, Sabatini inghiotte lo sfogo che gli monta dentro e prova a rispondere nuovamente. «Rifiuto però di dire tutte ma proprio tutte le cose che avrei voluto. Perché sono ovvie. Perché la blogger le sa già, dato che mi segue da tempo. Perché non sono tenuto a spiegare alla prima persona che mi piomba in casa affermando che sono qualcosa che invece no, non sono quel qualcosa». Purtroppo però non basta ancora, «l’ospite non è contento, la nostra gender neutrality non è dimostrata, se ne deduce che mia moglie e io non siamo capaci di farci le domande giuste».
«È finita? No. Qualche giorno dopo – continua Sabatini – compare sull’home page di MicroMega un pezzo in cui si parla proprio di quel genitore sessista che fa indossare alla figlia anche delle tutine rosa». È firmato dalla “collega” Befani e presenta la piccola disputa «in modo diverso dalla realtà dei fatti». L’articolo secondo Sabatini contiene «un giudizio. Dopo aver osservato una foto di nostra figlia e studiato le nostre reazioni, la blogger ha stabilito che mia moglie e io siamo maschilisti. Che le sue domande intelligenti non ce le eravamo poste mai, e che la sua irruzione in salotto ci ha disorientati a tal punto da lasciarci senza parole (che per certi versi è vero)». L’uomo non può credere ai suoi occhi, e lo spaesamento ben presto «lascia spazio all’arrabbiatura, una gran brutta arrabbiatura», perché «sulla home page di una testata del gruppo l’Espresso-La Repubblica si parla della tutina rosa di mia figlia di tre mesi e del nostro essere genitori, con delle basi semplicemente ridicole». Sabatini e sua moglie si sentono «invasi». «Qualcuno è piombato a casa mia a dirmi: dimostrami che non sei quello che ho estemporaneamente teorizzato che tu sia». Una sensazione opprimente amplificata dai commenti dei lettori all’articolo della Befani. Scrive Sabatini: «Non riesco a credere che degli estranei stiano pontificando sul sito di una testata nazionale del presente e futuro della bambina che, proprio mentre sto leggendo, mi dorme in braccio. Dei maltrattamenti e delle frustrazioni che subirà. Del fatto che io le metterò le mani addosso. Sono davvero sconvolto. Come è potuto accadere tutto questo? La tutina rosa, già». Ormai «la tutina rosa – conclude ironicamente lo sventurato padre – non è la tutina rosa. È un problema sistemico». Non se ne esce. «La verità è costruita ormai, e con essa il nemico, la realtà non conta più un fico secco».
Sabatini di certo non si ricrederà sulle campagne “di genere”, ma una cosa l’ha capita: il suo «non è un caso particolare», l’ostinata ramanzina di cui è stato fatto oggetto è un piccolo ma perfetto emblema dell’«integralismo, la sensazione di avere in tasca le verità del mondo. Una roba che succede a tutti i fanatici, sempre uguale. Sarebbe soltanto noioso, se non riguardasse la tutina di mia figlia».
L?ideologia gender non esiste, ma accidenti a me che ho messo la tutina rosa alla mia bambina | il blog di Costanza Miriano
Via il santo dal nome. La Francia sbattezza 5mila comuni
di Luigi Santambrogio
La laicissima Francia, quella del Je suis Charlie, della tolleranza e del “vivre ensemble” multiculturale, vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”. Dovranno essere sbattezzati perché con il loro toponimo insultano «tutta una categoria di popolazione». Non è chiaro se la ghigliottina della censura anticristiana si estenderà anche ai nomi della vie cittadine, dei quartieri, dei ponti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie. A chiedere lo “sbattezzo” è il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” e curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo “La Gauche forte”, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito “Pari(s) du Vivre-Ensemble”. Insieme hanno firmato un rapporto e lo hanno inviato al premier socialista Valls.
A dare l’incredibile notizia è il settimanale Minute (Minute- Accueil) giornale di riferimento della destra religiosa, diretto per anni da Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy nel 2012. Il rapporto si intitola in maniera deliberatamente ambigua «Rivedere la toponimia della Francia alla luce del vivre-ensemble», e nelle intenzioni dei curatori dovrebbe rappresentare il primo atto della «lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico», evocata dallo stesso Valls nel gennaio scorso. I curatori parlano inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni Comuni. Quale? L’enigma viene svelato poco più avanti: «Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponimiche che rappresentano un'epoca arcaica dove l'identità della Francia, tutt'altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria». Da qui l’imperativo politico e civile: «rilaicizzare profondamente la République», tramite la soppressione di questi «appellativi discriminanti». Una fraseologia, commenta ironico il settimanale, che lascia pensare che i redattori del rapporto «abbiano studiato dagli anticlericali più che dai curati».
Tutto chiaro, no? Per non urtare la comunità musulmana francese e in nome del sacro “vivre-ensemble”, i neogiacobini del governo mirano insomma a curare i paeselli della Francia profonda da quella che a quanto pare considerano come una malattia mortale: la cristianità e la sua cultura millenaria. “Rilaicizzare” fa rima con rieducare: le menti e le coscienze certo, ma anche i ricordi e i segni materiali di una storia millenaria, cambiando nomi alle città e ai luoghi, come fecero con Leningrado, Stalingrado, Hô-Chi-Minh-Ville e altri esempi delle più feroci dittature.
A quanto ammonta il costo dell’operazione “sbattezzo”? È sempre il settimanale Minute a svelarlo: 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”.
Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. E oggi sono quasi 5.000 le città che perderebbero le loro radici cristiane. 3 927 cominciano per “Saint“ (10,7 % dei comuni francesi. Il santo più diffuso è Saint-Martin (222 comuni), poi Saint-Jean (170) e Saint-Pierre (155). Altri 471 comuni hanno il termine “Saint“ all’interno del loro nome, 334 cominciano per “Sainte“ (0,9 %), e Saintes. La santa più diffusa è Sainte-Marie (40), seguita da Sainte-Colombe (27) e Sainte-Croix (25).
Quando in Vandea vennero proibiti i presepi, i cattolici si mobilitarono al grido di “Touche pas à ma crèche” (non toccatemi il presepe), adesso forse lo faranno con un non meno nobile: “Giù le mani dai santissimi”. E non solo da quelli, verrebbe da aggiungere. Infatti, mentre i nuovi giacobini si preparano a tagliare di nuovo la testa ai santi cristiani, come ai tempi del Terrore, c’è da registrare anche il Rapporto 2014 dell'Observatoire de la cristianophobie, struttura che recensisce ogni anno attacchi cristianofobi: atti di vandalismo contro i luoghi di culto cristiani, delle profanazioni, degli incendi e degli attacchi informatici. Testimonianze dirette ed episodi raccontati dalla stampa dicono che sull'intero territorio nazionale ne sono stati registrati 186 atti, numero che fa dei cristiani la comunità più perseguitata di Francia. Ma di questo, la laicissima République non si cura, tanto questi cristiani mica andranno per ritorsione ad assaltare moschee o giornali satirici. La ghigliottina cade sempre sulle solite teste.
Via il santo dal nome. La Francia sbattezza 5mila comuni