Troppi antidepressivi, all’uomo secolarizzato manca il senso del vivere
Il 18 dicembre scorso facevamo notare come sempre più frequentemente il termine “secolarizzazione” faccia rima con “depressione”, nel senso che nei Paesi più secolarizzati si verifica puntualmente un aumento di cure antidepressive, psicofarmaci, abuso di stupefacenti ecc… Secondo il filosofo laico Pietro Barcellona il motivo è proprio quello esistenziale, ovvero l’incapacità di trovare un significato unitario e adeguato nello stare al mondo. Senza un orizzonte di Senso ultimo l’uomo perde la bussola, innanzitutto di sé stesso.
Recentemente ne ha parlato anche il dott. Maurizio Soldini, medico, filosofo, esperto di bioetica, il quale svolge l’attività di clinico medico presso la “Sapienza” Università di Roma. Prendendo spunto dal rapporto sullo stato sanitario italiano presentato pochi giorni fa dal ministero della Salute, si è domandato se il vertiginoso aumento dell’uso di antidepressivi nell’ultimo decennio corrisponda più a un disadattamento spirituale, piuttosto che psico-fisico.
Ne ha così approfittato per introdurre una figura troppo poco considerata, ovvero Viktor Emil Frankl, neurologo e psichiatra austriaco, fondatore della logoterapia. La logoterapia è «un approccio psicoterapeutico che si basa sull’analisi esistenziale e che cerca di ricoprire il senso (logos) di ogni esistenza umana». Il punto fondamentale è l’unicità e irripetibilità dell’uomo, questione molto a cuore di Frankl. La vita di un uomo non è infatti riducibile alla vita fisica e biologica, ovvero a quello che viene determinato dal suo Dna. Il suo essere è un esser-ci che non può fermarsi alle contingenze spesso negative e alle prospettive naturalistiche. Frankl, continua Soldini, «era convinto che la sofferenza, il male, la morte non siano annichilimenti, ma all’opposto possano dare l’input per mettere in moto l’uomo alla ricerca di senso. Egli stesso aveva sperimentato nei campi di concentramento nazisti come la sopravvivenza fosse direttamente proporzionale alla capacità di dare un senso attraverso la fede anche a una delle esperienze più atroci a cui potesse andare incontro un essere umano, avendo così avuto lo spunto delle sue teorie».
Oggi, conclude, «per sconfiggere la depressione, che forse in alcune circostanze è piuttosto angoscia esistenziale, abbiamo sì bisogno di un trattamento farmacologico, ma in casi più che controllati. In genere, sia da parte dei terapeuti sia da parte dei “pazienti”, il problema è da considerare anche con un atteggiamento basato su dinamiche antropologiche ed esistenziali. Il fine è quello di ri-trovare e dare un senso all’esistenza per quanto delimitata nella natura, proprio per cercare di trascendere, per quanto possibile, questa stessa natura». Dare un vero senso al vivere, questa è la grande sfida dell’uomo emancipatosi da Dio.
Troppi antidepressivi, all’uomo secolarizzato manca il senso del vivere | UCCR
Preghiera
di Camillo Langone
San Paolo che nella Prima lettera ai Corinzi definisci il corpo “tempio dello Spirito Santo”, convinci qualche autorevole uomo di chiesa a prendere posizione contro il tatuaggio. Non è più una minuzia opinabile: l’altro ieri ci si tatuava per anticonformismo, ieri per conformismo, oggi per schiavismo. Una ditta americana ha offerto uno sconto perpetuo sui suoi capi di abbigliamento ai clienti disposti a farsi tatuare il marchio aziendale in modo indelebile. I poveretti sono accorsi numerosi, facendosi marchiare come bestie mentre io, chissà perché, sento odore di bestia dell’Apocalisse. Se credessi in una religione ridotta a elenco di divieti (“Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio”) non sarei cristiano bensì ebreo, ma quella radicata nel Levitico è una proibizione liberante: la libertà di non trovarsi a sessant’anni, o anche prima, col bicipite ormai flaccido imbrattato dal logo di un’azienda i cui vestiti non ci piacciono più.
Preghiera del 9 febbraio 2012 - [ Il Foglio.it › Preghiera ]
Dai pinguini gay al pedobear
Roberto Manfredini
Luigi Amicone (Tempi, 9/2/2012) riferisce di due giovani attrici ingaggiate da Radio Popolare per pubblicizzare sui tram di Milano Piccolo Uovo, un libro che istruisce i bambini sulle cosiddette “famiglie omo-genitoriali”. Il volume, illustrato dal celebre vignettista Francesco Tullio Altan, racconta la storia di due pinguini che adottano un uovo e formano così una allegra coppia “arcobaleno”. L’iniziativa nasce dalla casa editrice Lo Stampatello, fondata da due amanti lesbiche allo scopo precipuo di diffondere l’ideologia gender tra i fanciulli.
Si presume che Pisapia abbia apprezzato particolarmente l’opera, dal momento che la sua giunta ha deciso di imporlo come nuovo catechismo omosessalista nelle scuole comunali (“Ora Pisapia insegna ai bambini la famiglia gay”, il Giornale, 6/9/2011). Dopo averlo presentato alla festa milanese del PD, Pierfrancesco Majorino (assessore alle Politiche sociali) ha consigliato ai padri di leggerlo ai propri figli come lui ha fatto con i suoi.
Mentre qualche consigliere del PDL cerca di bloccare l’adozione del testo nel patrimonio librario degli asili, i Radicali rincarano la dose auspicando «una sezione sulla “Narrativa a tematica omosessuale per l’infanzia e l’adolescenza”, come avviene per esempio a Torino e a Genova».
In effetti le biblioteche di Torino offrono “narrativa omosessuale” per ragazzi sin dai 3-5 anni: a sfogliare il catalogo dal sito del comune, si resta interdetti di fronte alla quantità di case editrici per l’infanzia che si prestano a questa squallida operazione di propaganda.
Per esempio, le rinomate Edizioni Junior nel 2010 hanno pubblicato E con Tango siamo in tre, un’altra storia di pinguini gay che adottano un altro uovo.
Il “pinguino omo” sta diventando un nuovo tormentone propagandistico – o, per usare un termine in voga tra internauti, un “meme”: tenete a mente questa parolina magica (e la sua definizione: «entità di informazione che ha la capacità di moltiplicarsi passando da una mente all’altra»), perché torneremo a parlarne.
La letteratura “arcobaleno” per i piccoli sotto i 5 anni sembra sterminata: ci sono libri su fanciulli che vogliono vestirsi da donna e giocare con le bambole (Nei panni di Zaff, 2005); favole su bambine che già intrattengono relazioni lesbiche –si spera platoniche…- (Salverò la principessa, 2008); libretti sgargianti e inquietanti che «ci ricordano che ci sono persone a cui piacciono le persone grandi e ad altre le piccole» (Ci piacciamo!, 2007); apologie dell’edonismo più sfrenato contro la “violenza dell’educastrazione eterosessuale” (Tu Cher dalle stelle, 2006); un “classico” del genere come Extraterrestre alla pari di Bianca Pitzorno (contro gli “stereotipi sessuali” dell’educazione tradizionale).
Sfogliando il catalogo, tra i tanti temi presenti ne emerge uno caratteristico: quello delle relazioni amorose tra docenti e alunni. Se storielle del genere venissero presentate in chiave eterosessuale, difficilmente riusciremmo a trovar loro un valore pedagogico. Al contrario, nell’ottica omosessualista, è assolutamente normale fantasticare sui rapporti intimi tra un quattordicenne e il suo insegnante di ginnastica.
In ogni caso, è probabile che anche Milano si adeguerà alle nuove tendenze educative: tra gli scaffali delle biblioteche comunali alcuni genitori hanno segnalato, indignati, un’altra pubblicazione dell’editrice Lo Stampatello (Pisapia è abbonato?): Piccola storia di una famiglia.
Il testo «racconta la vicenda di Meri e Franci che “volevano fare una famiglia proprio come un uomo e una donna” e vanno in una clinica in Olanda dove Franci “si è fatta dare un semino”. Dal parto nascerà Margherita che, si legge sempre nel libro, “ha due mamme” che sono “i suoi genitori”» (cfr. il Giornale, 11/2/2012).
Sembra che il sindaco si sia preso come scopo morale quello di «far percepire ai bambini come naturali i cambiamenti che stanno trasformando la nostra società».
Questa ossessione d’indottrinamento dei piccoli mi fa tornare in mente un fatto di cronaca avvenuto nel 2006 in Sud Africa (riportato dal quotidiano The Star, “Slain because he refused to call his mother’s lesbian lover ‘Daddy’”, 23/3/2006):
Johannesburg – Bambino di 4 anni, è stato brutalmente percosso e ucciso per essersi rifiutato di chiamare la compagna della madre “papà”.
Due commesse nel negozio di proprietà della coppia, hanno riferito di aver visto la compagna della madre biologica scagliarsi violentemente contro il bambino dopo la richiesta, ed il conseguente rifiuto dello stesso, di chiamare la donna, papà.
Entrambe le commesse hanno testimoniato d’aver visto la compagna della madre picchiare violentemente il bambino sotto gli occhi della madre naturale, senza che questa sia minimamente intervenuta per proteggerlo.
Al bambino sono state riscontrate lesioni di tale entità, da esse paragonate a quelle causate dalla caduta da un secondo piano di un edificio.
Questa storia contrasta con la rappresentazione idilliaca che la propaganda vuol dare della coppia gay. Sembra, anzi, che l’unico conflitto presente nella letteratura omosessuale sia quello tra i poveri omosessuali vittime dell’intolleranza e gli eterosessisti che non li lasciano vivere felicemente. Non c’è traccia di discussione interna alla “famiglia”, i genitori gay appaiono come i migliori educatori: non sbraitano mai, sono sempre dolci e affettuosi con i bambini, non credono nelle punizioni, sono fedeli per tutta la vita al loro compagno. Se ogni tanto si arrabbiano, è solo per le incomprensioni del mondo cattivo là fuori.
Mentre, al contrario, la famiglia tradizionale (cioè attualmente l’unica “legale”, anche se esiste da appena 12.000 anni…), è un vero inferno per i piccoli: violenza, odio, repressione, ubriachezza molesta, cattivi odori ecc…
Il bambino che si rifiuta di chiamare “papà” una signora che non è neanche sua madre dunque non merita di essere ricordato: è impossibile che una lesbica si comporti in questo modo. Lo dice la parola stessa: chi è gay è felice (gaio) di essere così. È una sua scelta di vita (anche se, all’occorrenza, diventa una condizione imposta dalla “natura”). E ovviamente i bigotti e farisei sono sempre gli altri…
Altan: da omofobo a opportunista
Torniamo per un momento al vignettista Altan: a parte “La Pimpa”, tutti lo ricordano per le sue strisce sul compagno Cipputi. Sicuramente ai tempi d’oro non si risparmiava le battute sui finocchi e sul “prenderlo in quel posto”. In un archivio ideale, troveremmo miriadi di vignette sui culattoni: vent’anni fa a sinistra era ancora consentito scherzare sulla sodomia. Tanto per fare un esempio, eccone una tratta da un Linus del 1993 (un attimo prima che anche questa rivista venisse travolta dall’omosessualismo):
Mi pare dunque chiaro che Altan stia facendo tutto questo per conformismo. Sono convinto che anche lui, insieme a molti altri “compagni”, nonostante i bei discorsi in pubblico si vergognerebbe di avere un figlio gay (come cantava Giorgio Gaber: «un’idea, finché resta un’idea, è soltanto un’astrazione»).
A mio parere, la maggior parte delle persone schierate a sinistra sta “giocando sporco” solo per opportunismo: nessuno può credere veramente che i gay siano una minoranza oppressa e perseguitata. Se fosse davvero così, siamo certi che i radical chic non ne parlerebbero neanche. Invece siamo arrivati a questo punto proprio perché ormai gli omosessuali possono permettersi di fare tutto ciò che vogliono – soprattutto imporre i loro capricci idioti alla collettività, usando la storia dell’omofobia come ricatto. D’altronde, anche oggi la sinistra non si tira indietro quando c’è da imitare una “checca” come Alfonso Signorini (reo di essere berlusconiano) o dipingere con i classici stereotipi del “frocione” un personaggio come Pim Fortuyn (perché non allineato al pensiero unico).
Il gay arcobaleno che vota sinistra arcobaleno è soltanto un feticcio progressista: quando si esaurirà la sua “carica rivoluzionaria”, allora verrà snobbato in favore di una nuova lobby aggressiva e prepotente. Il problema è che una volta messo in moto il meccanismo, difficilmente si riusciranno ad arrestare le richieste di altri deviati sessuali organizzati. Nel momento in cui i pedofili chiederanno i loro “diritti”, il buon elettore di sinistra dove troverà le risorse morali per opporsi a certe assurde rivendicazioni? Da nessuna parte: le ha consumate tutte in questo logorante Kulturkampf…
Arcipedo: è solo questione di tempo
Proviamo allora ad immaginare il momento in cui anche i pedofili rivendicheranno la “normalità” e la “naturalità” del loro “amore”. Non è fantascienza: per conquistare il diritto ad andare con i bambini basterà loro utilizzare le stesse armi ideologiche forgiate dalla propaganda gay.
Ritorniamo ancora a Francesco Tullio Altan. Sul sito della casa editrice Lo Stampatello afferma: «Avendo creato la Pimpa insieme a mia figlia ho imparato le caratteristiche del linguaggio dei piccoli».
Bene, ma a questi piccoli cosa vogliamo insegnare? Negli anni ’60 il comunismo, negli anni ’70 il socialismo, negli anni ’80 il solidarismo, negli anni ’90 il rispetto dell’ambiente, negli anni ’00 la famiglia gay… ?
Se la pedagogia è un contenitore vuoto da riempire con qualsiasi cosa, allora forse quei genitori che si schierano contro i fumetti pro-gay non sono soltanto degli ottusi e intolleranti moralisti.
Perché un genitore dovrebbe accettare forzatamente che suo figlio si comporti come un omosessuale senza poter far nulla, pena di essere additato come “omofobo” e insultato dai media? Anche un normale consulto psicologico diventa una forma di “intolleranza”: se siamo arrivati a questo punto, quanto tempo ci resta prima che un genitore debba mandar giù l’idea che un uomo adulto circuisca impunemente il suo figliolo?
Purtroppo la deriva “filopedofila” (scusate il gioco di parole) sembra già annunciata: è da anni che denunciamo su questo blog l’esistenza di una lobby pedofila (senza complottismi: basta leggere la cronaca) e i ripetuti tentativi di considerare questa bestialità come un “orientamento sessuale” tra gli altri. A dirla tutta, è stata la stessa lobby gay (conosciuta a livello mondiale sootto la sigla LGBT, Lesbian Gay Bisexual Transgender) ad accompagnarsi per anni con una organizzazione apertamente pedofila come la NAMBLA (North American Man/Boy Love Association). Solo all’inizio degli anni ’90, quando i gay dovevano fare il “grande salto” dalla trasgressione impunita al focolare domestica, l’organizzazione ha deciso di escluderla ufficialmente dall’attività di lobbying a livello internazionale.
Del resto, non c’è bisogno di scavare troppo negli archivi per ricordare che nel maggio 2006 è nato in Olanda il Partij voor Naastenliefde, Vrijheid en Diversiteit (“Partito per l’amore del prossimo, la libertà e la diversità”), conosciuto da tutti come “Partito dei pedofili”. Il Tribunale dell’Aia ha respinto la richiesta di impedire a questo gruppo di partecipare alle elezioni nazionali, con la motivazione che i suoi iscritti «non hanno commesso alcun crimine, ma chiedono solamente una riforma costituzionale». Tanto per ricordare le “riforme” proposte dall’NVD: riduzione da 16 a 12 anni dell’età del consenso (per poi abolirla gradualmente); legalizzazione della pornografia infantile, della zoofilia, del nudismo in qualsiasi luogo pubblico e di ogni tipo di sostanza stupefacente…
La situazione perciò è più grave di quanto possiamo pensare.
Recentemente lo psicologo Roberto Marchesini (Libertà e Persona, 11/4/2011) ha descritto l’ennesimo tentativo di legalizzare la pedofilia – questa volta in Canada:
«[…] In Canada alcuni parlamentari hanno proposto di modificare le leggi contro la pedofilia. […] Il dottor Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l’Università di Montreal […] ha sostenuto che “la pedofilia è un orientamento sessuale” paragonabile all’eterosessualità e all’omosessualità. Di per sé, non c’è nulla di sconvolgente in questa affermazione; tuttavia, da qualche anno, abbiamo orientamenti sessuali che sono “perversioni” (come il feticismo, la zoofilia, la coprofilia, la necrofilia…) e orientamenti sessuali che sono “varianti naturali della sessualità umana”.
Quando un orientamento sessuale passa dalla prima alla seconda categoria, deve essere immediatamente accettato con tutte le sue conseguenze. […]
Del resto, gli argomenti usati per convincere l’opinione pubblica che l’omosessualità sia una “variante naturale della sessualità umana” valgono anche per la pedofilia: la pedofilia era diffusa in società molto diverse e lontane dall’attuale, come quella dell’antica Grecia, quindi è naturale; il dottor Kinsey, nei suoi rapporti (Il comportamento sessuale della donna, Bompiani, Milano 1956, pp. 159-160), “spiega” che non c’è nulla di strano in rapporti sessuali tra bambini ed adulti, a parte l’allarmismo ingiustificato da parte di genitori, assistenti sociali e poliziotti che traumatizzano, loro si, non i pedofili, i bambini; infine, nel 1994 anche la pedofilia egosintonica (come l’omosessualità egosintonica nel 1980) è stata tolta dal DSM, il manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association. Salvo, poi, essere nuovamente inserita nella successiva edizione a causa delle proteste da parte delle associazioni di genitori […]».
Potete leggere il verbale della seduta direttamente dal sito del Parlamento canadese.
Bisogna rendersi conto che a livello legislativo ormai si discute di queste cose. Purtroppo il dibattito pubblico è vietato dalla censura omosex che impedisce qualsiasi confronto razionale sull’argomento: chi si permette di ricordare che i pedofili bussano alla porta per reclamare gli stessi diritti ottenuti dai gay attraverso la propaganda, viene trattato come un troglodita.
Perciò viene impedito ai cittadini di chiedere conto al Partito Radicale dei frequenti intrallazzi con la “militanza pedofila” (cfr. “Ateismo, laicismo e pedofilia”, UCCR, 29/5/2010), così come nessuno può azzardarsi di rinfacciare a Nicola Vendola una sua dichiarazione del 1985 senza rischiare una querela:
«Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti – tema ancora più scabroso – e trattarne con chi la sessualità l’ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili. Ma il Pci non è un organismo matriarcale» (S. Malatesta, “Il gay della FGCI”, Repubblica, 19/4/1985)
Per coerenza, Nichi dovrebbe anche querelare Repubblica (che continua ad ospitare l’intervista nell’archivio), e magari chiamare in causa anche il sito della Camera, che ricorda una PROPOSTA DI LEGGE d’iniziativa del deputato VENDOLA presentata il 24 ottobre 1996 (progetto di legge n. 2551):
«Onorevoli Colleghi! – Sono molteplici le forme di intolleranza, di aperta discriminazione, di negazione di diritti, che colpiscono cittadine e cittadini italiani a causa del proprio personale orientamento sessuale. […] Nel concreto della odierna vita quotidiana le diversità sono tuttora oggetto di stigmatizzazione e di crudeltà. La cronaca nera, ad esempio, riferisce con crescente frequenza episodi di violenza (spinta talvolta fino al limite della soppressione di una vita) che vedono come vittime gay e lesbiche. Non può non intendersi un rapporto tra ogni singolo episodio di discriminazione e la più complessiva persistenza di una cultura omofoba e, più latamente, razzista, maschilista e sessista.
La presente proposta di legge propone l’allargamento delle attuali norme antidiscriminatorie, contenute nella legge n. 205 del 25 giugno 1993 (di conversione del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122), includendovi la sanzione di atti di discriminazione di persone a causa del proprio personale orientamento sessuale.
Pur nella modestia del suo ambito di applicazione, la normativa qui proposta ha prevalentemente una valenza simbolica, etica, culturale. La violenza e l’intolleranza vanno interdette e sanzionate sempre, anche e a maggior ragione quando vengono esercitate nei confronti di minoranze. Si è inteso, con la presente proposta di legge, inviare al Paese un messaggio elementare di civiltà e di diritto».
Tralasciamo qualsiasi commento: chiunque abbia ancora un po’ di sale in zucca può rendersi conto delle conseguenze. “Orientamento sessuale”, “diversità”, “allargamento delle attuali norme”, “valenza simbolica etica culturale”: se queste espressioni non fossero ambigue, non ci sarebbe bisogni di specificare continuamente che i soggetti di cui si parla sono gay e lesbiche.
La politica del “fatto compiuto”
Arriviamo allora al punto: come avverrà, concretamente, l’accettazione della pedofilia a livello collettivo? Abbiamo già detto che la lobby pedofila è decisa a seguire la strategia (vincente) degli omosessualisti. A livello “culturale” (o, per meglio dire, mediatico), la politica sarà quella del “fatto compiuto”: basterà semplicemente richiamarsi a dei “precedenti” per giustificare il salto di paradigma.
Nei cultural studies è ormai nota la prassi di cercare tracce di omosessualità latente in tutto il patrimonio letterario dell’occidente. Fuori dall’ambito accademico, questa tendenza è più nascosta: per quanto concerne il mondo LGBT, ho trattato il tema in un mio precedente articolo (“La lobby gay al cinemetto”). Il caso della Disney è esemplare: prima di lanciare personaggi esplicitamente gay, i produttori hanno inserito messaggi subliminali favorevoli all’omosessualità.
Non è una paranoia personale: riprendendo il mio articolo precedente, vorrei ricordare che Andreas Deja, animatore della Disney, ha annunciato che prossimamente anche nei cartoni animati la coppia gay sarà d’obbligo. Aggiungendo che tutto questo non sarà neppure da considerare “rivoluzionario”, perché è da anni che la Disney mette in scena “contesti famigliari non ortodossi”: «Si pensi alla famiglia di Cenerentola, Bambi l’orfano o Aladdin cresciuto sulle strade». Sfortunatamente il Deja si è dimenticato di aggiungere che «his sexuality has been discussed as an influence on the development of some Disney characters» (cfr. Wikipedia).
Il caso più eclatante è celeberrimo film d’animazione Il Re Leone (1994), dove tutti i caratteri sono stati ideati da Deja per muoversi e comportarsi da checche: i personaggi Pumbaa e Timon (un suricato e un facocero), doppiati da due attori dichiaratamente gay (Ernie Sabella e Nathan Lane), sono ufficialmente «i primi personaggi omosessuali che la Disney abbia mai messo sullo schermo» (e, guarda caso, sono i “genitori adottivi” del piccolo leone protagonista).
Anche Thomas Schumacher, presidente della Disney Theatrical Group, alla rivista gay The Advocate, ha dichiarato apertamente che per far carriera nella Disney bisogna essere omosessuali.
Al momento è difficile tracciare una lista dei “precedenti pedofili” della Disney senza sembrare dei complottisti monomaniacali: ma ci sono, ci sono… anche se nascosti ben bene in attesa dello “sdoganamento”.
Parlando sempre del Re Leone, non è un caso che andando a cercare su youtube “The Lion King gay” compaiano una marea di parodie omosex del cartone animato: d’altronde tutti i personaggi sculettano e gesticolano per l’intera durata del film…
Esistono tuttavia delle produzioni Disney che si prestano ad una parodia “pedofila”? Cercando sempre su youtube, è saltata fuori questa rivisitazione di Angels in the Outfield (1994), un film per ragazzi sul mondo del baseball (in italiano conosciuto semplicemente col titolo di Angels).
Pur essendo solo una caricatura dell’originale, è impressionante il modo in cui la pellicola si presta così facilmente ad una lettura pedofila: un uomo adulto (guarda caso un allenatore – ricordate le gaie fantasie sul rapporto insegnante/alunno?) che adotta due bambini orfani…
I precedenti della Disney purtroppo giustificano qualsiasi sospetto: quando gli animatori presenteranno i primi personaggi pedofili, ricordatevi di chi vi ha messo la pulce nell’orecchio.
Passando dai film per bambini a quelli per “grandi”, la lista di produzioni hollywoodiane che offrono una visione positiva della pedofilia è fin troppo lunga. Il “maestro” del genere è Larry Clark, l’indecente fotografo di giovani prostituti impuberi e strafatti che ha coronato la sua carriera cinematografica con Kids (1995) e Ken Park (2002), due film che tecnicamente possono essere definiti pedopornografici, poiché i protagonisti degli atti sessuali sono ragazzini (che si accoppiano sia tra di loro che con adulti).
Kids assomiglia a un film di Quentin Tarantino in salsa pedofila: per la sceneggiatura Clark si è affidato direttamente a un ventenne, Harmony Korine, che l’aveva scritta a sedici anni. Come sappiamo, i pedofili tendono a lavarsi la coscienza ipotizzando il consenso delle loro vittime: in questo caso il regista ha compiuto il “delitto perfetto”, spacciando legalmente pornografia infantile sotto l’etichetta di “arte”.
Un altro esempio che riesco a ricordare è il film Happiness (1998) di Todd Solondz, che tra le altre amenità annovera anche la rappresentazione positiva di un padre di famiglia che narcotizza un amico di suo figlio per abusarne. Anche nell’ambiente ultra-liberale del Sundance Film Festival (la kermesse delle produzioni indipendenti americane) rifiutarono di accettare la pellicola proprio per questo motivo (ma era ancora il 1998, oggi i tempi sono cambiati: nel 2007 fu premiato Hounddog, il solito film di violenza sessuale in famiglia che mostra senza censure lo stupro del patrigno sulla figlia – “simulata”, tiene a precisare la regista).
Dai pinguini gay al pedobear il passo è breve
Questa società, accettando l’omosessualità come un comportamento “normale” (la cui accettazione va imposta anche ai bambini), ha già aperto il “Vaso di Pandora” delle devianze sessuali.
Chiunque si ostini a far finta di non capire, voltando la testa da un’altra parte, dovrà rendere conto di questa deriva – anche il vecchio Altan: oggi fa il paladino dell’omosessalismo, ma quando gli chiederanno di passare ai fumetti pedofili, come reagirà? Magari riciclerà qualche vecchia vignetta di cattivo gusto come questa (Linus, feb. 1996)?
oppure adotterà un nuovo “meme” (ricordate la parolina magica): dopo il pinguino gay, il pedobear?
Vogliamo concludere proprio con questo nuovo tormentone internettiano: l’orsetto pedofilo che stupra i personaggi dei cartoni animati. Essendo un’idea nata dalla rete, è particolarmente difficile ricostruirne la genealogia: secondo Wikipedia, il personaggio era nato «per deridere gli utenti che richiedevano o inviavano immagini sessuali di minori». Più probabilmente, questa icona era una parodia del classico Safety Bear, l’orso vestito da scout (o da pompiere) che compare nelle guide per la sicurezza dei bambini. Il personaggio ha avuto sin troppa fortuna, e resta irrisolta l’ambiguità del suo significato: è una mascotte per pedofili, o un modo di sfotterli? La sua raffigurazione in veste di prete cattolico farebbe propendere per la seconda ipotesi, anche se finora nessuno ha avuto l’idea di piazzarlo, ad esempio, sulla copertina di Lolita:
Prevediamo che quando vi saranno le prime apologie pedofile a fumetti, verrà utilizzato ancora un animaletto. Magari non il pedobear, visto che l’orso sessualmente è piuttosto “tradizionalista”; più probabilmente un bonobo o un elefante marino, due animali che si accoppiano con i piccoli della propria specie (ne parla anche Richard Dawkins ne Il racconto dell’antenato, ovviamente nell’ottica di un compiaciuto relativismo).
Una volta toccato il fondo, si spera che anche i sinistri rimbambiti da anni di conformismo ascoltino per un attimo la loro coscienza, e abbandonino la forma mentis ideologica che si nutre delle mode progressiste del momento. Per parafrasare una celebre battuta di Altan, auspichiamo che finalmente scoprano chi è il mandante di tutte le cazzate che hanno fatto.
Dai pinguini gay al pedobear