Arcigay contro le linee guida Sessualità Lgbt alle medie
Dopo aver fatto indossare ai ragazzini delle coroncine colorate e aver chiesto loro se conoscessero il significato dell’acronimo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender, ndr), sulla lavagna sono comparse scritte del calibro: “Identità sessuale. Chi mi piace? maschio+maschio = gay; maschio+femmina= etero; maschio + femmina/maschio = bisex”. E’ questo il corso che è andato in onda la scorsa settimana nelle scuole medie dell’Istituto Comprensivo Sandro Pertini di Milano. Proprio nei medesimi giorni in cui il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, varava le linee guida per l'attuazione del comma 16 della riforma della scuola (legge 107 del 2015), dichiarando quanto segue: “Tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo le ideologie gender”. La vicenda ha dell’incredible, non solo perché sbugiarda le disposizioni ministeriali all’indomani della loro uscita, ma anche perché smaschera la strategia che sta dietro alla galassia dei progetti tragati arcobaleno. Ma andiamo con ordine.
COSA SAPEVANO I GENITORI?
Nel Ptof dell’Istituito, ovvero il Piano Triennale dell’Offerta Formativa che necessita del consenso informato da parte dei genitori, il corso in questione era cosi'rubricato: nell’elenco dei “Progetti per l’inclusività”, rientrava, tra gli altri, il corso titolato “Noi: storie di libri parlanti”. Ebbene: quale puo'mai essere la connessione tra le “storie di libri parlanti” e la propaganda del mondo Lgbt? I genitori dell'Istituto Pertini non hanno avuto nemmeno il privilegio di porsi la domanda, dato che nel Ptof non compariva alcuna informazione circa le tematiche trattate e la qualifica degli enti promotori. E pero': mai accettare una proposta scolastica a scatola chiusa, soprattutto di questi tempi, si potrebbe obiettare. Ma considerando che l'offerta formativa in oggetto consta di 173 pagine, sarebbe impensabile pretendere dai genitori di mettere in discussione tutto quello che c’è scritto ed anche quello che è taciuto. Andiamo avanti. In realtà, se si spulciano le 92 circolari che sono state pubblicate sul sito dell’Istituto dall’1 settembre ad oggi, il puzzle si ricompone. Infatti, nella circolare n.34 del 13 settembre 2017 compaiono gli argomenti trattati nel corso: “Intercultura, razzismo, disabilità, contrasto al bullismo omofobico e rispetto dell’indivisualità”. E spuntano anche i relatori, tra i quali, appunto, gli “esperti volontari del Gruppo Scuola Arcigay”.
Sempre nella medesima circolare, inoltre, sta scritto: “L’eventuale non adesione al progetto, va comunicata in presidenza entro il 30 settembre 2017”. A questa seguono poi altre due circolari che ne ricalcano i contenuti tranne che per un aspetto di assoluta rilevanza: tra i temi trattati si aggiunge “il dialogo interreligioso ed il ruolo della donna nella cultura islamica”, relatrice: Sumaya Abdel Qader. Presentata dalla scuola come semplice “scrittrice”, trattasi invece di una consigliera comunale del Pd che in tempi di elezioni aveva agitato il partito per via di presunti legami con la Fratellanza Musulmana. Ma questa è un’altra storia. Dunque: con le circolari informative tutto è risolto? Niente affatto, almeno per due ragioni.
FLUIDITA’ DELLE INFORMAZIONI
Sebbene nell’informativa scolastica si parlasse di “bullismo omofobico” in relazione all’Arcigay e nonostante per gli “addetti ai lavori” sia chiarissima la strategia che si cela dietro a tali formule, la scuola non puo'pretendere che il genitore sappia leggere cio'che non c’è scritto. E infatti, parafrasando il “contrasto al bullismo omofobico”: ai ragazzini delle medie è stata fatta una vera e propria lezione di sessualità improntata unicamente sulla cultura Lgbt. Se infatti si visita la pagina Facebook di Gruppo Scuola - la sezione di Arcigay di Milano dedicata alla militanza nel mondo scolastico - si incontra una foto che ritrae una lezione del corso in oggetto. In breve, i relatori hanno alle spalle una lavagna che porta il titolo: “Identità sessuale, sesso biologico (come sono) e orientamento sessuale (chi mi piace)” e in cui sono presentati agli alunni concetti come: “omosessualità, bisessualità, pansessualità e asessualità”. E via discorrendo. Mentre in un altro post, compare una foto della scuola commentata cosi': “Anche oggi all’IC Sandro Pertini! Arcobaleno per tutt*”. A questo punto ci domandiamo: è giusto che ai genitori vengano date informazioni a metà e prive di trasparenza su un tema cosi'sensibile come l’educazione sessuale? Le linee guida ministeriali, pochi giorni, fa hanno detto di no. Eppure, queste sembrano a tutti gli effetti quelle cosiddette “ideologie gender” che il ministro Fedeli ha respinto con forza.
CONSENSO TRUCCATO
C’è poi un secondo aspetto che attiene al consenso informato dei genitori e alla possibilità di esonero da un certo tipo di corsi, curriculari ed extracurriculari, dai contenuti sensibili, come appunto quello in oggetto. Nelle circolari dell’Istituto compariva si'l' “eventuale non adesione al progetto da comunicarsi in presidenza” entro una determinata data. Ma di nuovo ci domandiamo: anche qualora le informazioni fossero corrette e complete, è sufficiente il silenzio assenso come forma di consenso in casi simili? Ovviamente no. E infatti la questione, affrontata in forma teorica nelle linee guida, rimane ancora aperta.
LA PROTESTA CONTINUA
Intanto un gruppo di genitori e di esponenti del consiglio di Zona 9, dove è situata la scuola, si stanno muovendo. Pare che la dirigente scolastica Maria Stefania Turco, in reazione a diverse proteste, abbia dichiarato di non essere al corrente della gravità della situazione e che intende sospendere i corsi in questione. Dal canto suo l’Assessore all' Educazione e Istruzione del municipio, Deborah Giovanati, si è detta “determinata ad agire con ogni mezzo a disposizione per sospendere questo e simili corsi. Su temi sensibili come la sessualità, il dialogo interreligioso e affini, non è ammissibile che i genitori vengano tenuti all’oscuro e non sia data loro la possibilità di scegliere per i propri figli. Anche escludendoli da simili attività”. Attendiamo il seguito, sapendo che la partita è solo all'inizio.
Arcigay contro le linee guida Sessualità Lgbt alle medie - La Nuova Bussola Quotidiana
Toh, il sussidiario per immigrati vieta il Tricolore
Giordano Bruno Guerri
Eccolo qui, un bel corso di italiano per «studenti migranti» adatto «ai corsi dei Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti (CPIA)».
Adesso immaginate la faccia del migrante nel vedere la copertina, ovvero niente meno che i colori della bandiera del movimento LGBT, cioè Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender, più nota come bandiera gay. Nel caso migliore il povero migrante penserà di essere capitato in mezzo a un popolo ben strano; nel peggiore che allora è vero da noi ci si puo'lietamente dedicare al saccheggio sessuale.
La nostra prima considerazione di fronte a quella copertina, invece, è che ignoranza e sciatteria incombono anche fra editori e grafici: è evidente che chi ha pubblicato il volume ha confuso la bandiera dell'orgoglio LGBT con quella della pace, che ha un colore in più, e in senso inverso.
La seconda considerazione è che saremmo curiosi di sapere quanti e quali Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti hanno adottato il volume: i CPIA dipendono infatti dal ministero dell'Istruzione (e dell'Università! e della Ricerca!) e sono finanziati con i soldi nostri, che non dovrebbero venire distribuiti a editori zotici.
La terza considerazione è sulla simbologia delle bandiere. A tutti viene in mente che, per un corso di italiano, si debba fare riferimento all'Italia. Badate, non sono fra quelli cui luccicano gli occhi vedendo il tricolore (piuttosto mi ricorda gli eccessi pseudopatriottici che accompagnano la nazionale di calcio e quelli veteropatriottici di De Amicis); inoltre la trovo bruttina, banale e antiquata. E pero', in questo caso, la scelta della bandiera della pace o addirittura LGBT al posto di quella italiana, sta a indicare il ruffiano trionfo di un politicamente corretto a priori, inghiottito e deiettato con la stessa modesta e triste furbizia.
Toh, il sussidiario per immigrati vieta il Tricolore
La clinica dei baby trans, nuova frontiera della violenza
In Inghilterra pare che ci sia un boom di baby trans, cioè di bambini che voglio essere bambine e viceversa. A rivelarlo è la londinese Gender Identity Development Service, una clinica nata per trattare la cosiddetta disforia di genere, la quale informa che una cinquantina di bambini e pre-adolescenti ogni settimana varcherebbe la loro porta. Tra questi, nell’ultimo anno, si sono presentati anche due bambini di quattro anni, quattro di cinque anni e 17 bambini di sei. Un aumento di richieste del 24% negli ultimi sei mesi. Nel 2009 furono 97 i minori trattati da questa clinica, nell’anno sociale 2016/2017 ben 2016.
La clinica propone questo percorso da gender-Frankenstein. Prima che il bambino entri nella pubertà vengono prescritti dei bloccanti ormonali. In tal modo – fanno sapere dalla clinica – il minore non diventerà né maschio né femmina, ma rimarrà parcheggiato in un limbo sessuale in attesa che decida a quale sesso vorrà appartenere. In realtà i bloccanti arrestano “solo” lo sviluppo di alcuni caratteri morfologici ed endocrinologi, ma il bambino è già un maschio o una femmina e a dirlo sono in primis, ma non solo, i suoi cromosomi. C’è poi da aggiungere che gli effetti di questi bloccanti ormonali sono ad oggi per la gran parte sconosciuti, sia a livello fisico sia soprattutto a livello psicologico. Poi c'è una seconda fase: compiuti i 16 anni il bambino, se lo vuole, puo' assumere estrogeni per femminilizzarsi e la bambina testosterone per mascolinizzarsi. Questo puo' provocare effetti irreversibili come lo sviluppo dei tessuti mammari per i maschi. Infine si puo' approdare all’ultima fase: l’operazione chirurgica che ad esempio potrà eliminare il pene, rimpiazzato poi da una cavità vaginale artificiale.
La cantante Paloma Faith ha dichiarato che suo figlio nato a dicembre – di cui non vuole rivelare il sesso – dovrà diventare “gender neutral”, cioè sessualmente neutro, né maschio né femmina. Ha aggiunto che questo tragico destino toccherà anche ai suoi prossimi figli. C’è poi la storia di Tegan Dyason, all’anagrafe Tom Dyason, che sin dall’età di tre anni veniva vestito dalla madre come una femminuccia. Ora ne ha 8 di anni e porta gonnelline e trecce. Sua madre ha chiesto ad insegnanti, amici e parenti di accettare la decisione e di non considerarla solo “come una fase” di transizione. Il piccolo ex Tom è in trattamento presso la Gender Identity Development Service dall’anno scorso. Il quotidiano inglese Mirror, che ha lanciato la notizia del boom di baby trans, ha poi raccolto anche la testimonianza della 30enne Kate che una decina di anni fa, dopo qualche ricerca su internet, ha iniziato ad assumere ormoni maschili ed oggi si è pentita della sua scelta. In merito ai piccoli transgender commenta: “Provo tristezza al pensiero di questo tipo di trattamento… sottoporre i bambini a questo trattamento potrebbe significare perpetuare in futuro un grave danno”. Lei stessa ammette che, con l’approvazione dei genitori, avrebbe sicuramente cercato l’aiuto di una clinica come quella londinese se ai suoi tempi fosse esistita, ma di certo – cosi' ha dichiarato – se ne sarebbe poi pentita.
Il prof. Ashley Grossman, dell’Università di Oxford, e che ha in cura – si fa per dire – questi piccoli pazienti ha dichiarato riguardo a questa crescita esponenziale di richieste di cambiamento di sesso: "Questo è un massiccio aumento. Non sappiamo se si tratta di un aumento effettivo o se invece questi ragazzi in passato non sapevano proprio che questo servizio esistesse”. La direttrice del GIDS, la psicologa Dott.ssa Polly Carmichael, ha aggiunto: "Non esiste una sola spiegazione per l'aumento. Pero' sappiamo che nella nostra società ci sono stati notevoli progressi verso l'accettazione e il riconoscimento delle persone transgender e di genere diversificato, a cui si aggiunge una maggiore conoscenza tra le persone sulle cliniche specializzate in questo campo”.
Il professor Miroslav Djordjevic, esperto nel settore della disforia di genere, ha suggerito che l'aumento di richieste potrebbe essere in parte spiegabile come una moda tra i genitori. La Dott.ssa Miriam Stoppard ha infine aggiunto: "Sono sicura che l'accettazione universale delle persone LGBTQ abbia contribuito a legittimare e pubblicizzare la disforia di genere e il suo trattamento".
La clinica dei baby trans, nuova frontiera della violenza - La Nuova Bussola Quotidiana