Russia: Putin e Medvedev a messa mezzanotte Pasqua ortodossa
Il presidente russo, Dmitri Medvedev, e il premier e suo futuro successore, Vladimir Putin, hanno assistito alla messa di mezzanotte per la Pasqua ortodossa celebrata dal patriarca Kirill nella chiesa di Cristo Salvatore di Mosca. Medvedev, che teneva alcune candele accese, era accompagnato dalla moglie Svetlana con un velo bianco in testa, mentre al fianco di Putin non 'era la riservata consorte Ludmila. 'Ci da' gioia', ha detto il premier in un messaggio al patriarca, 'poter affermare che negli ultimi anni la cooperazione tra la Chiesa, lo Stato e e le istituzioni pubbliche sie ' molto rafforzata'.
Usa, anche i mormoni attaccano il secolarismo
Anche i mormoni se la prendono col secolarismo. Proprio in questi mesi il mormone Mitt Romney è in lizza alle primarie del partito repubblicano e di fronte allo schietto integralismo del suo avversario più temibile, il cattolico Rick Santorum, passa quasi da laico per le posizioni leggermente più aperte. Ma rimane la rigidità della fede mormone, che ha base negli Usa ed è ostile come altre nei confronti della laicità e della secolarizzazione.
A confermare l’approccio confessionale, varie dichiarazioni dei leader anziani durante la recente conferenza generale della Chiesa mormone, a Salt Lake City nello Utah. I capi dei mormoni criticano il fatto che sempre più persone ignorino ormai gli insegnamenti biblici. Lamentano anche il diffondersi del secolarismo e la nascita di sempre più figli fuori dal matrimonio, invitando a rinforzare i legami familiari e religiosi come forma di difesa.
“La divisione spirituale diventa sempre più ampia nel momento in cui il male diventa più ingannevole e subdolo, e attira la gente come un magnete oscuro”, mette in guardia ad esempio M. Russell Ballard, elder del Quorum of the Twelve Apostles.
Stati Uniti, la fede conta più di Wall Street
Giacomo Galeazzi
Nella corsa alla Casa Bianca, agli elettori americani le convinzioni religiose dei candidati interessano più dei loro orientamenti sull'economia, la sanità e l'ambiente. Una ricerca condotta all'università di Akron dall' istituto Bliss di studi applicati documenta la centralità della fede nel dibattito pubblico Usa. Fede e valori sono al centro delle primarie del Partito repubblicano. Nonostante l'economia sia il tema dominante della campagna elettorale per le presidenziali di novembre, si registra un rinnovato interesse nel dibattito pubblico per i temi della fede e dei valori. Un trend rafforzato anche dalle inaspettate vittorie dell'ex senatore della Pennsylvania, Rick Santorum, ora ritiratosi in favore della candidatura repubblicana di Mitt Romney. Sul rapporto tra fede e politica negli Usa, "Vatican Insider" ha sentito il sociologo Luca Diotallevi, vice presidente del comitato organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani.
Professor Diotallevi, è il ritorno di Dio nell'urna?
«Nessun ritorno. I temi religiosi e più in generale l'insieme degli aspetti della tradizione cristiana sono da sempre al centro e alla base dello spazio pubblico negli Stati Uniti. Gli USA, come del resto la Gran Bretagna, non sono società laiche. Nello spazio pubblico la separazione tra poteri religiosi e poteri politici non è raggiunta eliminando i primi e sostituendoli con i secondi, al modo della laicità, ma ricorrendo ai poteri religiosi per limitare i poteri politici, al modo della libertà religiosa. La libertà religiosa lì è l'espressione della forza, non della debolezza, delle tradizioni cristiane».
Quanto incide il fattore religioso nella corsa alla Casa Bianca?
«Tanto, ma per comprendere "come" occorre fare una distinzione. Un candidato che sostenesse i principi della laicità, ovvero la esclusione della religione dallo spazio pubblico, non avrebbe grandi chances di successo. Ma non ne avrebbe di maggiori un candidato che intendesse affermare le regole di una particolare tradizione religiose contro le esigenze della libertà e dell'ordine pubblico. È un pò quel «non obbligare, non impedire» affermato dal Vaticano II nel decreto sulla libertà religiosa e continuamente riproposto da Benedetto XVI».
La centralità della fede nel dibattito pubblico non contraddice la secolarizzazione in atto negli Usa?
«La secolarizzazione non ha ovunque la stessa forma e la stessa direzione. La secolarizzazione in qualche caso è un fenomeno dai caratteri cristiani, in qualche altro caso dai caratteri anticristiani. Nel primo caso riduce le pretese dei poteri mondani, nel secondo impone la egemonia di uno solo di essi, in genere del potere politico che diviene anche religione a se stesso. Negli Stati Uniti (ma anche in molte aree dell'Europa e della diaspora anglosassone) la secolarizzazione è del primo tipo; negli statalismi europeo-continentali e nelle dittature extraeuropee d'impronta giacobina la secolarizzazione è del secondo tipo».
E' una fede autentica o di facciata?
«Come rispondere? La fede è un dono Dio e almeno in parte è un mistero. Quello che possiamo dire è che in paesi come gli Stati Uniti le tradizioni cristiane, ed in particolare il cattolicesimo, non sono esenti da problemi, ma sono molto vive e vivaci. Per questo riescono a dare un contributo decisivo alla formazione della spazio pubblico e della pubblica opinione».
Obama «non può intervenire in questioni che riguardano la vita della Chiesa»
In un'intervista alla CbcNews, il cardinale americano Timothy Dolan spiega perché la Chiesa in America continua a combattere contro Obama a favore della libertà di coscienza: «Obama mi aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per non mettere in pericolo la vita pubblica delle istituzioni cattoliche e invece...».
Di Benedetta Frigerio
«È una battaglia dura perché i nostri avversari hanno scelto una materia dove non veniamo sufficientemente capiti». Così, dieci giorni fa, il cardinale Timothy Dolan, capo della Conferenza episcopale americana, aveva parlato all'emittente televisiva Fox News, sottolineando che lo Stato cerca di nascondere «l'ingerenza nella vita delle persone del governo americano» parlando della «questione relativa alla contraccezione». Lo scontro è cominciato quando il 19 gennaio scorso Obama ha annunciato che tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla loro volontà, dovranno pagare per la contraccezione e l'aborto dei propri dipendenti. Pena multe milionarie.
Sabato scorso Dolan è stato nuovamente intervistato da Bob Shieffer per la CbcNews. «Non credete che la Chiesa debba occuparsi meno della politica?», gli ha domandato il giornalista, chiedendo ragione delle forza con cui il cardinale si sta esprimendo nei confronti del governo Obama. Dolan ha risposto che «certamente la Chiesa deve agire sino a dove le compete. Ma penso che anche il governo debba farlo. Non può intervenire in questioni che riguardano la vita della Chiesa. E questo è il punto a cui siamo arrivati». Secondo Dolan, infatti, «stiamo assistendo a un radicale e drammatico intervento da parte della burocrazia governativa. E questo non disturba la politica ma noi. Mi piacerebbe che la si smettesse, così potrei davvero occuparmi d'altro». Dunque Obama non dovrebbe obbligare gli istituti privati a pagare per la contraccezione e l'aborto? «Questa è una battaglia per la libertà di coscienza costituzionalmente protetta e non per un verità di fede». Dolan ha dichiarato anche di sentirsi preso in giro. «Perché sono un po' confuso – ha detto ironicamente – Obama mi aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per non mettere in pericolo la vita pubblica delle famiglie e della istituzioni cattoliche e invece...».
Se «la fede non può avere una rilevanza pubblica», questo va a discapito di tutti, ha continuato, «perché chi crede può portare un grande contributo alla vita del paese». Che compito ha dunque la Chiesa? «Quello di far comprendere che Dio dà la vera vita, la vera libertà e la speranza». Questa è la sfida che portiamo «in un mondo triste e violento, quello che tu Bob documenti tutti i giorni con il tuo lavoro. Portare la Buona Notizia che vince». Anche se gli ultimi anni sono stati duri per la Chiesa: «La mia vocazione è stata ispirata dal bisogno di pastori virtuosi e dediti che rinvigorissero la Chiesa. Questo è anche il tempo del rinnovamento, una sfida di cui volevo essere protagonista».
Obama «non può intervenire in questioni che riguardano la vita della Chiesa» | Tempi
A chi Santorum, a chi Rosy Bindi
di Riccardo Facchini
Rick Santorum ha gettato la spugna. Il candidato cattolico alle primarie del Gop, dopo aver inanellato una serie di undici vittorie sul rivale, il ricco mormone Mitt Romney, ha deciso infatti di ritirarsi (anche se per il momento si parla di semplice "sospensione" della campagna elettorale) dalla competizione che nei prossimi mesi deciderà chi sarà lo sfidante di Barack-hodelusotutti-Obama.
La parabola del giovane (per gli standard di casa nostra, of course) politico italoamericano ha sorpreso un po' tutti negli States. In primis i suoi oppositori liberal, che da subito lo hanno additato come il candidato "integralista", "ultratradizionalista" (etichette prontamente riprese dalla pigra stampa italiana); ma, soprattutto, ha sorpreso gli stessi "vecchi" del partito dell'Elefante, consevatori sì, ma da sempre attenti a non alienarsi eccessivamente le simpatie di quella parte di destra americana non strettamente confessionale. L'ala più "istituzionale" del partito non ha infatti mai visto di buon occhio la candidatura di Santorum, anche a causa delle sue posizioni insolitamente ortodosse sui "valori non negoziabili". La sua discesa in campo ha inoltre rappresentato un fastidioso imprevisto per una candidatura, quella di Romney, data per scontata fin dall'inizio delle primarie e supportata da tutti i notabili del Gop, nonché da influenti finanziatori.
Ciononostante, Santorum-Davide, con pochissimi mezzi, ha infastidito non poco il gigante Romney-Golia, arrendendosi alla fine solo (o anche) per il grave stato di salute di una delle sue figlie. Il suo tentativo ha però segnato una svolta nell'elettorato cristiano statunitense. La "Christian Right" evangelica americana, che lo ha sostenuto fin dall'inizio, sta infatti perdendo la sua atavica ostilità nei confronti dei cattolici, da sempre visti o come troppo vicini ai Democratici (la famiglia Kennedy), o come gli scodinzolini di quell'omino vestito di bianco che vive in Vaticano. Quello in atto è un fenomeno senza precedenti, ben descritto a febbraio da Howard Schweber sull'Huffington Post e da lui definito come la "Catholicization of the American Right", frutto dell'influenza che gli intellettuali cattolici americani esercitano ormai sull'opinione pubblica evangelica, paragonata addirittura a "what Jewish intellectuals once were to the American Left".
Noi che siamo provincialotti, però, non possiamo fare a meno di compiere qualche rapida considerazione sulla differenza abissale che separa il percorso di Santorum dall'ormai pluridecennale e fallimentare esperienza del cattolicesimo politico italiano. La tentazione, alla quale cediamo volentieri, è quella ad esempio di paragonare il peso e lo spessore delle dichiarazioni del politico americano in ambiti quali bioetica e famiglia a quelli del c.d. "mondo cattolico" rappresentato al famigerato "Congresso di Todi" dell'ottobre 2011. Un rendez-vous dove i soliti Fioroni, Bindi, Letta, Bonanni - senza dimenticare Sant'Egidio, Azione Cattolica, Focolarini, Rinnovamento e Neocatecumenali... - non hanno fatto altro che parlarsi addosso, nella speranza - per ora, pare, accantonata - di resuscitare la gloriosa Balena Bianca. Un progetto che Federico Catani già smontò pezzo per pezzo dalle nostre pagine e che lasciava trasparire il solito vizietto dei politici cattolici italiani: ovvero l'insensata venerazione per la mitica "moderazione", feticcio che tradotto ha sempre voluto dire: "non parliamo di tematiche scomode, sennò non ci vota nessuno".
Tocca quindi rassegnarsi? Accontentarsi di Rosy Bindi - o, al massimo, di Buttiglione - quando potremmo avere, o almeno desiderare, un Santorum italiano? Tutt'altro. Benedetto XVI ha più volte definito la politica, per un cattolico, come la più "alta forma di carità". E' quindi dovere di ogni battezzato con questa vocazione buttarsi nell'agone, magari anche non direttamente, ma di sicuro tramite un'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica che si può portare avanti anche con piccoli mezzi.
Una sola, a mio avviso, è la condizione necessaria e sufficiente al fine di creare i presupposti per la nascita di una classe politica cattolica degna di questo nome: che i preti ricomincino a fare i preti. Che strappino le chitarre dalle mani dei parrocchiani e gli mettano in mano qualche buon libro. E che, soprattutto, gli insegnino, dopo essersi ricordati come si fa, a pregare. Il resto verrà da sé. Dopotutto, "la vita attiva deve procedere dalla vita contemplativa, tradurla e continuarla al di fuori, staccandosene il meno possibile" (Don Chautard, L'anima di ogni apostolato).
A chi Santorum, a chi Rosy Bindi
La bufala illuminista dell’indipendenza dei Paesi latinoamericani
Si è concluso il 23° viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI in Messico e Cuba, due Paesi retti da regimi che in tempi e in modi diversi hanno perseguitato crudelmente la fede cattolica. Una delle occasioni che hanno portato il Pontefice nel cosiddetto “Mondo Nuovo” è stata la ricorrenza del Bicentenario dell’indipendenza dei cosiddetti Paesi “latinoamericani”, che rievoca fatti accaduti tra il 1808 e il 1826, grazie ai quali le province di cui si componeva la regione americana dell’allora Impero Spagnolo diedero vita a nuovi Stati indipendenti.
Su tali fatti si è soffermato Marco Respinti che in un interessante articolo su “La Bussola Quotidiana“ ha colto l’occasione per scrivere su una delle tante leggende nere, che vuole l’indipendenza “latinoamericana” come l’emancipazione dei popoli “sudamericani” dalla tirannide spagnola, accomunando erroneamente tale evento ad altre 2 rivoluzioni: da un lato alla Rivoluzione Francese (1789-1799) e dall’altro lato alla Rivoluzione Americana (1775-1783), grazie alla quale al Nord nacquero gli Stati Uniti d’America, anch’essa maldestramente interpretata secondo la medesima chiave ideologica. La leggenda nasce dallo storico positivista Aldo Ferrari, sostenuto dal suo collega Robert Palmer e dal francese Jacques Godechot, tuttavia una nutrita schiera di studiosi, i più interessanti sono quelli iberoamericani, hanno da tempo dimostrato come i fatti andarono diversamente. Ad esempio il sociologo, storico e letterato nicaraguense Julio César Ycaza Tigerino che nel suo saggio “Génesis de la indipendencia hispanoamericana” (1946) parla di «falsificazione grottesca e stupefacente». Secondo Tigerino il falso storico parte dalla contraffazione dei termini con cui avvenne la conquista spagnola del “Mondo Nuovo”, nonché la sua evangelizzazione e la sua civilizzazione, descritta truffaldinamente come la storia di una sottomissione rapace e schiavistica da parte dell’Europa “colonialista” di una terra immacolata, la “rapina” e lo “stupro” di un continente intero perpetrato dai “maschi cristiani bianchi”. Una ricostruzione fantasiosa e manipolatrice, afferma, che ha la sua matrice nell’illuminismo, come d’altra parte tutte le leggende, ma che continua ad essere propinata nei sussidiari scolastici.
La verità è che la successiva Indipendenza iberoamerica (così come la cosiddetta rivoluzione nord-americana) non fu affatto una rivoluzione ideologica, come fu invece quella francese, ma una reazione all’involuzione politica di tipo assolutistico e statalistico lungo cui si erano incamminati i governi coloniali di allora. Non fu un tentativo di ribellarsi all’eredità spagnola e cattolica, ma il suo esatto contrario: una rottura resasi necessaria solo per poter perseguire con profitto un legame culturale inscindibile, e rimanere fedeli ai valori e alle istituzioni politiche tradizionali. Il nemico erano le nuove politiche centraliste e statalistiche europee, che minacciavano tali legami, cioè il venire meno dell’autonomia di cui le colonie avevano lungamente goduto e grazie alle quali avevano prosperato.
Le guerre di secessione dagli imperi che diedero vita, in tutto il continente americano, sia a Nord che a Sud, a Stati nuovi, furono in realtà diverse dalla rivoluzione ideologica e ideocratica scoppiata in Francia nel 1789, poiché miravano a conservare il patrimonio avuto in eredità dall’Europa cristiana, non a cancellarlo: fu quindi davvero un’insorgenza antirivoluzionaria col solo intento separatista, una riforma nella continuità, e non la distruzione di un retaggio.
Il mito della “rivoluzione latinoamericana” è insomma un falso storico, lo dimostra la mancanza di proteste per la celebrazione della ricorrenza con la festosa accoglienza riservata al Pontefice della Chiesa Cattolica. Altri semplici esempi sono, ad esempio, l’elezione quest’estate di un sacerdote come leader degli indigeni colombiani del Cauca e la continua difesa, ancora oggi, dei popoli indigeni del Paraguay da parte della Chiesa.
La bufala illuminista dell’indipendenza dei Paesi latinoamericani | UCCR