Foibe, Mattarella: «Il fascismo non c’entra. Fu odio etnico dei comunisti slavi»
Le foibe e l’esodo, gli «orrori» commessi contro gli italiani del confine orientale, non furono «una ritorsione contro il fascismo, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare». Furono, invece, il «frutto di un odio che era insieme ideologico, etnico e sociale». A dirlo è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento alla cerimonia per il Giorno del Ricordo che si è celebrata al Quirinale. Un intervento durante il quale il capo dello Stato ha esplicitamente puntato l’indice contro i «comunisti jugoslavi», che fecero di quelle terre «un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, li' da sempre residenti», e contro «certa propaganda del comunismo internazionale» che «dipingeva gli esuli come traditori».
Le violenze dei «comunisti jugoslavi»
«Celebrare il Giorno del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causo' lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente», ha detto Mattarella. «La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra mondiale, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, li' da sempre residenti».
Mattarella contro il negazionismo: «Il fascismo non c’entra»
«Non si tratto', come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, di una ritorsione contro il fascismo. Perché – ha chiarito Mattarella – tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni». «Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva cosi' precluso perfino il conforto della memoria». «Certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era cosi', erano semplicemente italiani», ha avvertito il Capo dello Stato.
«Una ferita che oggi è di tutto il popolo italiano»
Mattarella ha quindi ricordato che «solo dopo la caduta del muro di Berlino, il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea, una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e del successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione». «L’istituzione, nel 2004, del Giorno del Ricordo, votato a larghissima maggioranza in Parlamento, dopo un dibattito approfondito e di alto livello, ha suggellato questa ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare», ha commentato il presidente della Repubblica, sottolineando che «molti tra i presenti, figli e discendenti di quegli italiani dolenti, perseguitati e fuggiaschi, portano nell’animo le cicatrici della vicenda storica che colpi' i loro padri e le loro madri». «Ma quella ferita, oggi – ha concluso Mattarella – è ferita di tutto il popolo italiano, che guarda a quelle vicende con la sofferenza, il dolore, la solidarietà e il rispetto dovuti alle vittime innocenti di una tragedia nazionale, per troppo tempo accantonata».
Foibe, Mattarella: «Il fascismo non c'entra. Fu odio etnico dei comunisti slavi» - Secolo d'Italia
Ungheria, Orban vara piano straordinario per la natalità
Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha in questi giorni illustrato al parlamento di Budapest la propria “strategia pro-natalità”, fondata su significativi sgravi fiscali e ingenti sussidi a vantaggio delle giovani coppie magiare.
Tale piano, inteso a scongiurare il “declino demografico” della nazione, prevede in primo luogo un’“esenzione tributaria perpetua” a beneficio delle “famiglie numerose”. In particolare, le donne con “almeno quattro figli” non saranno “mai più” soggette all’imposta sul reddito.
Un’altra misura “pro-natalità” contenuta nella riforma delineata da Orban è un “mutuo statale milionario” diretto ai novelli sposi ungheresi. Grazie al piano straordinario elaborato dall’esecutivo di Budapest, ogni giovane coppia godrà di un prestito pubblico “a interessi zero”, pari a “10 milioni di fiorini” (circa 36mila euro).
Il leader magiaro, nel suo intervento davanti all’assemblea legislativa nazionale, ha promesso inoltre interventi governativi diretti a sostenere l'“edilizia popolare” e a ridurre "quasi a zero” i costi di “luce e gas” a carico delle famiglie.
Il premier ha quindi presentato i provvedimenti in questione come miranti a scongiurare la “scomparsa del popolo ungherese”, prospettiva che, a detta dei demografi, rischia ogni giorno di più di “concretizzarsi”. Secondo gli analisti, infatti, ogni anno nel Paese est-europeo si registrerebbe un “calo di popolazione” pari a circa “32mila unità”. Il rischio del “deserto demografico” è aggravato inoltre dal fatto che in tale nazione si rileva un numero di figli per donna molto basso, inferiore alla media Ue.
Orban ha quindi enfatizzato la “natura patriottica” della sua strategia, in quanto intesa a “garantire la sopravvivenza dell’Occidente” e a non fare dipendere il futuro dell’Ungheria dai “figli degli immigrati”. Egli ha puntualizzato: “Mentre la maggior parte delle nazioni europee punta sugli stranieri al fine di risollevare le proprie sorti demografiche, noi invece crediamo nel nostro popolo. Solo gli Ungheresi possono dare un futuro alla propria nazione, non gli immigrati. Noi non accettiamo la tesi secondo la quale l’Occidente si salverebbe dal declino demografico grazie ai flussi migratori. L’Ungheria appartiene agli Ungheresi e deve fare affidamento solo su questi ultimi al fine di perpetuare la propria storia millenaria. Siamo quindi orgogliosi di andare controcorrente.”
Ungheria, Orban vara piano straordinario per la natalità
POLONIA, PENSIONI SPECIALI A MAMME CON 4 O PIU' FIGLI
I deputati polacchi hanno approvato un progetto governativo per assegnare pensioni speciali minime alle mamme che hanno quattro o più figli.
La misura è stata adottata nelle prime ore di giovedi' 31 gennaio con 259 voti a 20 e 134 astensioni dalla camera bassa del Parlamento. La legge sarà ora discussa dal Senato, la camera alta del parlamento polacco.
Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha detto in una conferenza stampa la settimana scorsa che il suo nuovo programma governativo “Mamma 4-plus” ha lo scopo di aiutare “le madri e le nonne che hanno dedicato la vita a crescere i figli” e meritavano “gratitudine e rispetto” dalla società e dalle autorità statali.
Elzbieta Rafalska, ministro della famiglia, del lavoro e degli affari sociali, ha detto ai giornalisti che il nuovo programma di welfare del governo è stato progettato per risolvere il problema delle donne che partoriscono e allevano almeno quattro figli, ma non hanno acquisito il diritto a una pensione statale minima.
Le ‘pensioni materne’ saranno pagati alle donne che hanno raggiunto l’età della pensione, cioè 60 anni.
L’idea di legare la pensione al numero dei figli non è affatto male, anzi. Ma loro possono farlo senza controindicazioni, visto che non hanno immigrati e rom.
https://voxnews.info/2019/02/03/polo...4-o-piu-figli/
Trump: combattere uniti contro l'aborto e il socialismo
Usa: il nuovo Discorso sullo stato dell’Unione, rimandato più volte per l’inedito protrarsi dello shutdown del governo federale, è solo apparentemente un'apertura di Trump all'opposizione dei Democratici. Lavorare assieme si', purché si combattano i mali dell'America. Che si chiamano, soprattutto: socialismo e aborto.
Trump, dopo il Discorso sullo stato dell'Unione
Finalmente anche il 2019 ha avuto, il 5 febbraio, il suo Discorso sullo stato dell’Unione, rimandato più volte per l’inedito protrarsi dello shutdown del governo federale conseguente al braccio di forza tra Casa Bianca e Congresso sulle previsioni di bilancio, e in specie sullo stanziamento di 5,7 miliardi di dollari per il completamento del muro di sbarramento al confine con il Messico che la presidenza vuole e l’opposizione Democratica osteggia.
Nel discorso, Donald J. Trump ha finto di presentarsi con la mano tesa verso l’opposizione, ma in realtà ha ribadito tutti gli elementi di contrapposizione, secondo il cliché di un genere letterario peraltro tipico di ogni Amministrazione statunitense: la proposta della pacificazione nazionale attraverso il riconoscimento dei torti. Da parte, pero', di chi i torti li promuove e li pratica.
Muovendosi Trump in ambito Repubblicano, il concetto portante risale al giro mentale di Ronald Reagan (1911-2004): «peace through strenght», «la pace attraverso la forza». Reagan pensava e agiva cosi' ovviamente ben oltre i discorsi sullo stato dell’Unione, ma è solo in questo modo che si capisce anche lo stile adottato oggi da Trump. L’idea, cioè, che il presidente federale ‒ come Trump ha esplicitamente detto ‒ non sia la marionetta di questo o di quel partito, bensi' il riferimento di tutti i cittadini e del Paese intero, e che pertanto suo compito primario sia la ricerca della conciliazione e del bene comune, impossibili pero' finché il male e l’ingiustizia saranno tollerati. Bene inteso, Barack Obama ha sempre fatto lo stesso, proponendo una propria idea personale di pacificazione nazionale e rimarcando costantemente le differenze nette dall’opposizione allora Repubblicana. E qui finalmente si giunge al punto centrale del discorso.
Affinché la concordia di un Paese sia autentica e non semplicemente un esercizio di buonismo astratto, occorre fare quanto più possibile il bene e impedire quanto più possibile il male. Ovvero l’unità nazionale passa paradossalmente attraverso la divisione: del grano dal loglio, giacché non tutto è discutibile, barattabile e compromissibile. L’idea di bene comune che Trump ha dunque prospettato agli Stati Uniti, in vista di una vera riconciliazione, passa cioè dalla divisione da cio' che quella pacificazione è in grado di minare pericolosamente. Non tanto la questione del muro al confine con il Messico, su cui Trump si incaponisce soprattutto per irritare i Democratici. Del resto la faccenda ha cominciato a stufare molti, anche fra i Repubblicani, non esattamente tutti convinti che sia proprio quella la madre di tutte le battaglie in cui vale la pena di immolarsi. No, la questione dirimente che Trump ha posto sul tappeto della vera pace sociale è un'altra, e duplice.
Il socialismo. Il primo aspetto è una questione solo apparentemente di politica estera e in verità riguardante la vocazione “militante” che il presidente degli Stati Uniti percepisce essere quella degli Stati Uniti: una questione che non puo' tollerare né scale di grigio né mezze parole, giacché evoca i principi primi su cui deve fondarsi la convivenza umana. Trump lo ha preso per il bavero, il socialismo, perché il nuovo Partito Democratico americano, fatto di esponenti radicali, neo-femministe arrabbiate e attivisti LGBT, ha spostato il proprio baricentro parecchio a sinistra (con diversi soggetti che appunto si definiscono apertamente socialisti) e quel che prospetta per il futuro non è bello. «Qui, negli Stati Uniti», ha affermato Trump, «ci allarmano le uscite a favore del socialismo». Ma «gli Stati Uniti sono fondati sui princi'pi di libertà e d’indipendenza, non su quelli della coercizione, del dominio e del controllo da parte dello Stato. Siamo nati liberi, e rimarremo liberi», e «stasera rinnoviamo il nostro impegno a impedire che gli Stati Uniti diventino mai un Paese socialista». Un Trump fuori di senno, in ritardo sulla storia, un po’ “bevuto”? Niente affatto. Cio' che ha avuto in mente il 5 febbraio era infatti la seconda questione dirimente posta sul tappeto della vera pace sociale: la difesa del diritto alla vita, conseguente proprio all’impegno inderogabile a non diventare mai “di sinistra”.
L’aborto. I commentatori di tutto il mondo stanno annoverando questa uscita fra le “sparate” trumpiane. Qualcuno insinua che sia un’arma di distrazione di massa dai guai della sua Amministrazione. Altri che sia un favore alla sua base elettorale evangelicale. Sarà pure, ma quale è il problema? A migliaia di chilometri di distanza, e tra breve pure ad anni di lontananza storica come ci ricorderanno i libri, rimane e rimarrà un fatto puro e semplice. Il presidente del Paese più potente del mondo ha per la prima volta chiesto espressamente ai due rami all’assemblea legislativa riuniti per ascoltare il bilancio assieme consuntivo e programmatico della nazione di intervenire presto per fermare l’uccisione di milioni di esseri umani ancora nel grembo delle proprie madri. Quale sia stata la causa prossima di questa richiesta è di per sé pochissimo importante. Resta il fatto, clamoroso.
A dividere il Paese non sono cioè i tic personali che Trump ha portato seco alla Casa Bianca (come del resto fa qualunque cittadino degli Stati Uniti venga eletto presidente e pure qualsiasi essere umano ovunque vada), ma il fatto che la Sinistra americana di oggi, cioè i Democratici che si definiscono socialisti e che si candidano a succedergli tra due anni, ponga come pietra miliare del “bene” che vogliono offrire ai cittadini statunitensi l’aborto libero fino al nono mese di gravidanza com’è accaduto nello Stato di New York fra applausi e ovazioni, come prospettano in Virginia e come vorrebbero fare dappertutto, abbattendo ogni limite faticosamente posto da diversi “buoni” americani, tra cui Trump, alla soppressione della vita umana nascente. E' di questo che Trump vuole parlare, ed è su questo, magari pure se su altro no, che i Repubblicani e i conservatori lo seguiranno di qui al 3 novembre 2020.
«Che si possa lavorare assieme», ha augurato Trump al proprio Paese parlando al mondo, «per costruire una cultura che onori la vita innocente. E riaffermiamo qui pure una verità fondamentale: tuti i bambini ‒ nati e non nati ‒ sono creati a immagine santa di Dio».
Trump: combattere uniti contro l'aborto e il socialismo - La Nuova Bussola Quotidiana
Ok della Corte suprema alle norme di Trump contro trans nell'esercito
Contro la decisione pro-Trump della Corte si sono immediatamente espressi i democratici, i quali l’hanno bollata come “espressione di una visione oscurantista e bigotta della realtà”
Gerry Freda
La Corte suprema Usa ha in questi giorni riconosciuto la “conformità costituzionale” del divieto per i trans di servire nelle forze armate nazionali, varato dal presidente Trump nel 2017.
Il provvedimento in questione nega la possibilità di fare parte dell’esercito agli “individui transgender che abbiano manifestato l’intenzione di sottoporsi all’intervento per la transizione sessuale o che abbiano già iniziato quest’ultima”. Tale diposizione è stata giudicata dalla Corte come “rispettosa dei diritti enunciati nella Costituzione”.
Il “via libera” alla riforma è stato concesso dall’organo giudiziario mediante il voto favorevole di 5 magistrati su 9. A difesa del provvedimento voluto dall’inquilino della Casa Bianca si sono infatti schierati i giudici conservatori della Corte, i quali sono attualmente in maggioranza all’interno di quest’ultima. I 4 componenti “progressisti” hanno invece votato per cassare l’interdizione anti-trans. L’organo giudiziario ha quindi dichiarato il bando introdotto nel 2017 come “pienamente applicabile” e ha, di conseguenza, annullato i decreti, adottati finora dalle Corti federali inferiori, che ne avevano sospeso l’esecuzione.
“Soddisfazione” per il verdetto della Corte suprema è stata subito espressa, tramite una nota, dall’ufficio stampa della Casa Bianca. Lo staff di Trump ha comunque precisato che l’interdizione in questione “inciderà esclusivamente sugli arruolamenti futuri” e “non determinerà alcuna estromissione dei transgender già ammessi nelle forze armate”. In base ai dati del dipartimento della Difesa, tra le file dell’esercito vi sarebbero al giorno d’oggi “8,980” soldati transessuali.
Contro la decisione pro-Trump della Corte si sono invece immediatamente espressi i democratici. Essi, per bocca della speaker della Camera Nancy Pelosi, hanno infatti bollato il verdetto come “espressione di una visione oscurantista e bigotta della realtà”.
Ok della Corte suprema alle norme di Trump contro trans nell'esercito
Giappone, il governo respinge il ricorso: “I trans vanno sterilizzati”
Di Chiara Soldani
Nella terra dei Samurai i transessuali dovranno sottoporsi – come già stabilito – alla sterilizzazione. La Corte Suprema del Giappone ha confermato la legge che costringe le persone transgender a sterilizzarsi, prima che possano cambiare legalmente il proprio genere. Ieri infatti un gruppo di quattro giudici ha deciso, all’unanimità, di respingere il ricorso presentato da Takakito Usui: un transessuale che vuole cambiare il genere nei suoi documenti ufficiali.
La notizia è stata dapprima riportata dall’agenzia australiana Sbs News, per poi fare il giro del mondo. I transessuali devono anche possedere “un corpo che sembri avere parti che somiglino agli organi genitali di quelli del genere opposto”, secondo la legge del 2003, che è stata giudicata costituzionale dai giudici della Corte Suprema. Usui ha contestato la sentenza, dicendo: “La cosa essenziale non dovrebbe essere se hai avuto un’operazione o meno, ma come vuoi vivere come individuo”.
I giudici della Corte Suprema del Giappone, nella loro decisione, hanno affermato che la legge 111 previene “problemi” nelle relazioni tra genitori e figli che potrebbero provocare “confusione” e “bruschi cambiamenti” nella società giapponese. Per ora, il braccio di ferro lo vince il Giappone conservatore. E tutto questo avviene mentre in Italia si parla (ancora) di Luxuria e della sua aberrante lezione gender: differenze abissali.
https://www.ilprimatonazionale.it/es...izzati-102576/
Tutto puo' e deve essere pubblico in Francia, tranne un dato: quello sull’aborto
Leone Grotti
Poche cose sono ritenute importanti nel XXI secolo quanto la trasparenza. L’Onu a New York lavora nel Palazzo di vetro, i parlamentari devono pubblicare online i loro redditi, i budget delle aziende devono essere pubblici, i giornali informano in tempo reale i lettori se quello che dicono i politici è vero o meno, il fact-checking è un dogma, le decisioni sulle sorti del mondo vengono prese in diretta Facebook, la riservatezza è sinonimo di colpa, lo sputtanamento con telecamera nascosta un merito, ogni buco della serratura è riempito da un occhio che scruta, le statistiche imperano e ce n’è per tutti i gusti. Conosciamo i dati sui femminicidi, sugli incidenti, sul numero di cani abbandonati ogni anno in autostrada in estate, sul Pil mondiale, sul debito, sulla popolazione, sui gusti della gente in tema di vacanze, sul consumo di suolo, su quanti orsi polari sono rimasti nel mare glaciale artico e chi più ne ha più ne metta.
Sappiamo tutto, insomma, perché sapere è potere e il potere deve essere nelle mani del popolo e non in quelle delle élite. Bene. E' davvero curioso che nel XXI secolo venga presentato un disegno di legge sulla trasformazione del sistema sanitario come quello redatto in Francia dalla squadra del ministro Agnès Buzyn. Spulciando i 23 articoli, divisi in cinque macrosezioni, ci si imbatte tra la formazione di un medico di famiglia e l’organizzazione di un reparto ospedaliero in un curioso codicillo.
L’articolo 17 del capitolo IV propone infatti di modificare il codice della sanità pubblica, abrogando il piccolo articolo L. 2212-10, il quale obbliga lo Stato a «pubblicare ogni anno i dati statistici relativi alla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza in Francia». Ma come? In un mondo dove tutto si misura in cifre, l’unica cosa che si vuole impedire alla gente di conoscere è il numero degli aborti? E proprio nella libera Francia repubblicana non si puo' sapere quante donne decidono di sopprimere un bambino?
DA «DRAMMA» A «DIRITTO»
E' davvero interessante osservare il percorso sulla considerazione dell’aborto in Francia negli ultimi 43 anni. Nel 1975 l’Assemblea Nazionale depenalizzava l’interruzione di gravidanza approvando la “Loi Veil” e ascoltando questo discorso di Simone Veil (scomparsa nel 2017 e sepolta l’anno scorso al Pantheon, insieme agli altri grandi del paese transalpino): «Lo dico con tutta la mia convinzione: l’aborto deve restare un’eccezione, l’ultimo ricorso per situazioni senza speranza. Altrimenti come potremmo tollerarlo? Nessuna donna è felice di ricorrere all’aborto. E' sempre un dramma e sempre resterà un dramma. Nessuno puo' provare soddisfazione profonda nel difendere un testo simile su questo tema: nessuno ha mai contestato che l’aborto sia un fallimento e un dramma».
Da «fallimento» e «dramma», l’aborto è diventato oggi un «diritto fondamentale delle donne», che nessuno puo' «intralciare» od ostacolare. Chi cerca di «dissuadere una donna dall’abortire», anche pubblicando su internet informazioni su strade alternative, puo' incorrere in una sanzione fino a due anni di carcere e 30 mila euro di multa. Parigi ha abolito l’obbligo di riflessione di sette giorni tra il colloquio con un medico e quello con un secondo medico perché «stigmatizza le donne che hanno già deciso». Resta invece un obbligo di riflessione di due settimane per quelle donne che vogliono rifarsi il seno.
L’aborto è già stato depenalizzato, banalizzato e trasformato in un gesto di routine: aspirare il grasso è ritenuto più delicato che aspirare un feto. Chi si oppone puo' già essere multato e sanzionato. Perché ora il governo di Emmanuel Macron non vuole far sapere ai francesi che nel 2016 ci sono stati 216.061 aborti e nel 2017 altri 216.700 (più del doppio che in Italia), un po’ come il partito comunista in Cina si rifiuta di rivelare quanti studenti sono morti a Piazza Tienanmen e impedisce anche solo di parlarne? Forse perché non vuole più che si scatenino reazioni come quella di Gilbert Barbier, chirurgo e senatore, che apri' uno dei primi centri per abortire legalmente in Francia nel 1976 e che nel 2017 disse dopo aver letto le cifre sull’interruzione di gravidanza: «Sono costernato. Vorrei che diminuissero».
L’unico modo perché nessuno pensi più, anche inconsciamente o superficialmente, che quel piccolo grumo di cellule che si annida nel ventre di una donna è in realtà un bambino, un essere umano, è imporre l’oblio. E allora basta cifre, basta dati, basta statistiche. Nella speranza che tutti i francesi diventino un giorno come la giornalista del programma tv Quotidien Valentine Oberti, che scandalizzata dall’obiezione di coscienza di Bertrand de Rochambeau, presidente del sindacato nazionale dei Ginecologi, lo rimbrotto' in diretta: «Ma un nascituro non è una vita in senso giuridico. Fare un aborto non è un omicidio». E si senti' rispondere dolcemente: «E invece si', Madame».
https://www.tempi.it/francia-aborto-...di-gravidanza/
Ufficiale, Le Pen ora cala l’asso: un italiano pronto a sfidare la Ue
Marine Le Pen ha scelto: la lista del Rassemblement National sarà guidata dal giovane Jordan Bardella, la cui madre è italiana.
Un nuovo protagonista della politica continentale si affaccia cosi' su un palcoscenico, quello delle elezioni europee, che i sovranisti francesi vogliono utilizzare pure per svecchiare la propria classe dirigente, oltre che per mettere Emmanuel Macron alle strette, arrivando, magari, alle elezioni anticipate. Bardella, nonostante i ventitré anni, sembra un politico piuttosto navigato. Conviene fare attenzione, insomma, nel bollare il ragazzo, pensando che si tratti solo di una “figurina elettorale”.
Fino a qualche settimana fa, la scelta del giovane italo – francese come capolista rappresentava solo un’ipotesi. Poi, come ha raccontato Le Monde, è arrivata l’ufficialità del direttivo ristretto dell’ex Front National, che ha cosi' avallato la proposta avanzata da Marine Le Pen. A Bardella, quindi, è stato assegnato il compito di guidare la riscossa dopo la doppia sconfitta delle presidenziali e delle legislative. I populisti francesi, non solo con la leadership interna di Marion, ci hanno abituato a scelte di questo tipo. La gerontocrazia, insomma, non è di casa a Nanterre, dove si studia il percorso da seguire per stappare spumante la sera del 29 maggio, quando si conosceranno i risultati.
La situazione sembra favorevole: i sondaggi dicono che il Rassemblement Nationa è in testa. I gilet gialli stanno coadiuvando la vittoria dei frontisti, ma c’è un dettaglio che potrebbe far saltare il banco. Alain de Benoist, all’interno di questa intervista, ha segnalato come la costituzione di un cartello elettorale attorno ai manifestanti francesi possa compromettere il trionfo lepenista. Dividere il fronte oggi, in sintesi, rischierebbe di fornire un inaspettato assist a Macron, che dovrebbe confrontarsi con tre distinte formazioni politiche: quella della Le Pen, quella di Mélenchon e quello, tutto in potenza, fondato dai gilet gialli. Non converrebbe a Marine e, a ben guardare, non converrebbe neppure a chi sta protestando in piazza. Le rivendicazioni necessitano di un’affermazione solida e quanto più unificata possibile.
Bardella, da par suo, dovrà cercare d’intercettare lo scontento delle generazioni a lui prossime. Il giovane capolista proviene dall’esperienza militante e ha dichiarato d’ispirarsi a Matteo Salvini. Pare che i due, almeno stando a quanto si legge sul quotidiano citato, abbiano stretto dei “legami”. Jordan, questo pare ovvio, non avrebbe alcuna difficoltà, e anzi magari alimenterebbe, quel processo teso a far sedere vicini tutti i populisti d’Europa che siederanno a Bruxelles.
Ufficiale, Le Pen ora cala l'asso: un italiano pronto a sfidare la Ue - Gli occhi della guerra
La Casta fa autocritica e si autoassolve
Marcello Veneziani – Da diversi giorni su la Repubblica va in scena il teatrino dell’assurdo: la Casta spiega al popolo perché ha perso e perché hanno vinto i loro nemici. Fanno autocritica perché non accettano critiche, gli unici abilitati a criticarli sono sempre loro stessi. Hanno la presunzione di sapere solo loro come sono andate effettivamente le cose, perfino la loro sconfitta la capiscono solo loro che l’hanno pur causata, almeno in buona parte. La loro autocritica esclude il presupposto di ogni serio bagno di umiltà: ascoltare. Ascoltare gli altri, ascoltare chi ha vinto e chi ha decretato la vittoria dei populisti e dei sovranisti, ascoltare la gente, ascoltare chi già prima del collasso spiegava le ragioni del cambiamento in corso. Macché. Gli altri non esistono, non hanno diritto di parola, sono plebe, o fascisti, reazionari, sovranisti o loro complici. La stessa cosa ha fatto il Pd.
Ma tutta questa presunzione – che il loro Papa laico definisce in modo altrettanto presuntuoso come “albagia” (Eugenio Scalfari dixit di Sé stesso, col Sé maiuscolo) per non confonderla con la volgare arroganza – spiega il crollo delle élite molto più di quanto si possa immaginare.
Infatti cosa si puo' rimproverare alle élite, il fatto di esistere e dunque per cio' stesso di tradire la democrazia, cioè l’autogoverno del popolo? Ma no, questo è lo schema puerile, simil-rousseauviano, di chi crede alla favola della democrazia diretta. C’è sempre stato un governo d’élite, non si conoscono paesi e sistemi politici in cui i governati coincidano coi governanti, nemmeno a rotazione, e in cui tutto si decide a colpi di referendum e di plebiscito; persino le manovre economiche si fanno al balcone, e solo dopo si firmano in piazza tra bandiere, abbracci e tric-trac.
Il problema vero, la malattia del sistema, è che non si sono viste in campo le élite, al plurale, in competizione tra loro, come si addice a una vera democrazia, ma una sola oligarchia, un blocco di potere compatto e uniforme benché ramificato.
I teorici delle élite, da Mosca a Pareto, parlavano di circolazione delle elite, per loro la storia è un cimitero di aristocrazie; sono le minoranze che governano, ma sono minoranze in competizione, che si rinnovano.
Da noi invece è avvenuta la stipsi delle élite. O se preferite una metafora meno cacofonica, l’arteriosclerosi delle élite, l’indurimento delle arterie che non consentivano la loro fluida circolazione. Si formano i trombi nel sangue e i tromboni nella società. E fermano il flusso. E' li' che la classe dirigente si è chiusa a riccio, diventando solo classe dominante, e casta sovrastante.
Non c’è stata circolazione, non c’è stata competizione tra élite divergenti, e non c’è stato filtro selettivo per consentire il ricambio tramite la meritocrazia. Si è bloccato l’ascensore sociale, si è chiuso l’accesso dei capaci e dei meritevoli. Si accedeva alle élite solo per cooptazione, per affiliazione alla cupola elitaria, per conformità di idee, metodi, linguaggi e idolatrie.
Ma per avere circolazione, selezione, competizione, devi ammettere che non esista solo un Modello, una via di sviluppo, un solo codice politico, culturale e ideale. Devi accettare le differenze e il vero antagonismo.
E invece chi non era conforme a quella precettistica, era messo fuori legge, fuori sistema, si poneva di volta in volta fuori dalla modernità, dalla democrazia, dall’Europa e in certi casi perfino fuori dall’umanità. Poi non si spiegano perché l’odio sia diventato un fatto sociale diffuso. Dopo aver insegnato Odiologia verso chi dissentiva dal loro canone, non potete poi meravigliarvi se la gente ha ricambiato, magari con la rozzezza dovuta a chi è carente di cultura e buone maniere. D’altra parte la buona educazione, dal ’68 in poi, fu cancellata e se non sbaglio da quella storia provenite pure voi. Una società volgare, sboccata, primitiva, nasce proprio da quella “liberazione”, dal mancato nesso tra diritti e doveri, che dal ’68 in poi è diventato il discorso dominante (“il diritto di avere diritti”). Ora, non dico che quel che è accaduto sia solo colpa della casta: anche dalla parte opposta si è fatto poco per far crescere e formare élite adeguate, qualificate e competitive. Pero' negando ogni cittadinanza alle idee diverse, ai modelli politici e culturali diversi, riducendo tutto a fascismo e paraggi, e soprattutto negando perfino l’esistenza di chi la pensava diversamente perché chi divergeva non poteva avere pensiero, hanno di fatto avallato il loro essere un Blocco Unico e Chiuso, che si autoriproduce.
A differenza loro, io per esempio leggo Ezio Mauro e Alessandro Baricco, Michele Serra e Ilvo Diamanti, Eugenio Scalfari e altre loro firme culturali. Li critico, polemizzo. Per loro invece, chi non la pensa come loro o è una bestia o non esiste. Poi non si sanno spiegare perché alla fine parlano solo tra loro e a Sé stessi, col sé maiuscolo, dimenticando il mondo. Che alla fine fa volentieri a meno di loro, o si rivolta contro di loro.
https://infosannio.wordpress.com/201...SqlNI29f9wz7Wk
Elezioni europee, la Lega primo partito d'Europa
Secondo le proiezioni di Europe Elects sulle elezioni europee, la Lega avrebbe il maggior numero di deputati all'Europarlamento
Bartolo Dall'Orto
Il calocolo lo ha fatto Europe Elects, che tiene sotto osservazione i sondaggi in tutta europa in vista delle elezioni europee del prossimo maggio.
Che Matteo Salvini sia interessato proprio a quella tornata elettorale non è ormai un mistero, tanto che continua a andare in giro per le capitali dell'Ue a tessere la sua tela di alleanze.
Si dice che in questo la Lega sia avanti al M5S, ora alleato di governo. E che gli ultimi scontri politici, vedi migranti, Tav e cannabis, siano dovuti proprio a questa necessità di allontanarsi l'uno dall'altro in vista dell'apertura delle urne per Bruxelles.
Bene. Di sondaggi sulle elezioni ovviamente ne sono stati fatti. Ma quello che ha analizzato Europe Elects è quanti parlamentari avrebbero i partiti nell'emiciclo dell'Europarlamento. Ebbene, secondo le proiezioni rese note dagli analisti se si andasse oggi a votare in Europa, la Lega sarebbe il partito con il maggior numero di eletti. Anche più della Cdu di Angela Merkel.
Questi i dati. La Lega avrebbe 26 parlamentari, la Cdu 24. A seguire ci sarebbe il PiS (partito polacco con cui Salvini è andato proprio ieri a stringere alleanze). Staccati di qualche seggio i grillini (22 eurodeputati), poi ci sarebbe il partito di Marine Le Pen (20) e a seguire tutti gli altri.
Elezioni europee, la Lega primo partito d'Europa