Il Mito del Debito



Negli ultimi mesi, con l'esplosione di una crisi dei debiti pubblici generalizzata a livello europeo, sono cambiate diverse cose nel linguaggio finanziario che viene proposto ai lettori dei giornali o agli spettatoti dei tg.
Nuovi termini hanno fatto il proprio esordio, altri sono stati rimpiazzati.
Non si è trattato di lifting dialettici fini a se stessi, ma di operazioni sostanziali poiché i nuovi significanti hanno portato con sé, espliciti o impliciti, nuovi significati.

Ma prima di analizzare questo punto, cosa comunque abbastanza breve, è bene sottolineare una cosa: il restyling del linguaggio con cui oggi si parla dei debiti pubblici non ha per nulla portato a una maggior chiarezza o cultura popolare sulla natura di questi debiti, sulla loro legittimità, sulla loro genesi e quindi sulle vie da percorrere per ridurli ed eliminarli.
Sorprendentemente nelle conversazioni politiche da bar ho notato che il tema del debito è oggi molto più sentito, più presente e chiamato in causa. Per via del debito pubblico non possiamo spendere in quello e in quell'altro, dobbiamo invece tagliare questo e quest'altro, dando per scontate una serie di politiche economiche da parte dello Stato che si basano su un approccio accademico al tema e ragionando come se il debito fosse comparso dalla sera alla mattina e non fosse in una situazione egualmente disastrosa uno o due anni fa.
A dispetto della frequenza con la quale ci si imbatte in queste chiacchiere tuttavia è molto raro che qualcuno mastichi qualche aspetto tecnico oggettivo rispetto al famigerato debito pubblico, italiano o straniero.

E' dunque bene chiarire alcuni punti.
Se c'è un debito da qualche altra parte ci sarà un credito, qualcuno a cui il debitore deve rendere ciò che ha ricevuto. E nel caso di un debitore pubblico – lo Stato - anche il creditore sarà più probabilmente una collettività di creditori che hanno sottoscritto nel tempo i titoli di debito emessi dallo Stato.
E dunque, chi possiede il debito pubblico italiano? Sembra facile, i cittadini italiani, i cari vecchi risparmiatori del Belpaese... FALSO!
Dai dati ufficiali infatti a giugno 2011 risulta che solo il 14,3% - quattordici – del debito pubblico italiano è in mano a cittadini italiani, una percentuale che cresce di poco più del 5% considerando titoli indirettamente posseduti tramite investimenti gestiti da operatori stranieri.
Oltre il 46% del debito – quarantasei – è invece posseduto direttamente da investitori stranieri, fondamentalmente banche, assicurazioni e fondi di investimento non italiani.
Si aggiunge un 34% - trentaquattro – posseduto da banche, assicurazioni e altre istituzioni italiane ma comunque non da cittadini comuni.

La massima parte del debito pubblico è quindi detenuta dalle banche, italiane e non, ossia il soggetto che in questa fase della crisi finanziaria mondiale finisce più spesso nell'occhio del ciclone e intorno al quale vengono disegnate le riforme economiche dei paesi europei e degli Stati Uniti.
Verrebbe quindi da pensare che le banche siano enti solidi.
E allora come mai i governi, la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea hanno varato in questi mesi aiuti o emissioni di liquidità per le banche commerciali che già sembrerebbero avere tanto credito da riscuotere e quindi un'immensa voce in attivo permanente?
Perché le banche, sfruttando i meccanismi che la legge mette loro a disposizione, hanno ingigantito a dismisura la proporzione tra il denaro vero, contraltare al lavoro e alla produzione, e quello da loro virtualmente moltiplicato generando inevitabili conflitti quando in fase di crisi chi detiene soldi del secondo tipo va a reclamare quelli del primo tipo.
Ecco quindi che le banche europee ed italiane si ritrovano con un livello di leverage (grosso modo il rapporto tra capitali investiti propri e capitali presi da terzi – e chi sarà mai il terzo di una banca?) ben oltre quello entro cui un'impresa è considerata sana, 3 al massimo.
Deutsche Bank, ad esempio ha un leverage che nel 2007 già superava il 50 - !! - e BNP Paribas il 31.
Paradossalmente il leverage di banche italiane come Intesa San Paolo e Unicredit è "solo" di 20, per cui la loro situazione è relativamente – si fa per dire – solida.

Possiamo chiaramente dedurre, fermandoci a questo punto, la natura dei continui provvedimenti salva-banche presi dai governi europei e non solo. Da un lato essi sono costretti a cedere ai ricatti delle banche perché queste si trovano in una situazione drammatica a dispetto dei propri utili e non se ne possono permettere il fallimento. L'artificiosità dei capitali da loro investiti non è più sostenibile nel momento in cui l'economia reale frena e l'economia frena perché, a mio avviso, le banche hanno incanalato gli investimenti degli anni trascorsi più sulla creatività che sulla produzione. Nel caso specifico italiano, ma sono pronto a scommettere che all'estero la situazione è analoga, il governo è anche sotto il ricatto dei principali detentori del debito pubblico e ritorniamo qui al discorso iniziale.



Si diceva all'inizio dell'articolo che intorno al debito è cambiato il linguaggio.
Principalmente è bene soffermarsi su tre significanti rivestiti di diversi compiti: lo spread, il default e il debito sovrano.
Lo spread è il differenziale tra il rendimento di due precise tipologie di titoli di debito pubblico. Quanto più cresce rispetto al Bund tedesco di riferimento tanto più lo Stato che emette il proprio titolo è giudicato a rischio e potenzialmente insolvente circa il proprio debito.
Se si arrivasse a tanto, a quella che un tempo era detta semplicemente "bancarotta", saremmo appunto al default, alla dichiarata incapacità di uno Stato di rifondere il debito pubblico e quindi alla rovina dei detentori dello stesso.
Ma parole come spread e default che hanno pian piano occupato sempre più spazio sui giornali, nei tg e in Rete, cosa aggiungono alla sostanza delle discussioni in tema economico e finanziario o alla comprensione del problema dei debiti? Qual'è la conseguenza sostanziale nel momento in cui la vicina di pianerottolo che un tempo si lamentava dell'eccessivo numero di bidelli nelle scuole oggi si dispera per la quotidiana crescita dello spread e il rischio di default?
Assolutamente nessuna aggiunta, assolutamente nessuna conseguenza. Il vuoto assoluto.
Questi due primi significanti restano di fatto privi di un significato di immediata utilità per la popolazione – che si ritrova suo malgrado a subirli – ma assolvono altri due compiti.
Primo, spostano l'oggetto della discussione verso temi inoffensivi per la consorteria politica e bancaria che ha creato il problema in questi decenni.
Secondo sono propedeutici a introdurre il terzo significante alla ribalta in questa fase.
Tutti avranno notato che in effetti l'espressione "debito pubblico" dominante questo articolo sta in realtà diventando obsoleta nel campo dell'informazione e viene sostituita da un'altra espressione che indica tecnicamente la stessa cosa ma portando con sé un signficato implicito del tutto diverso: il debito sovrano.
Sempre di debito pubblico si tratta ma quell'aggettivo che porta con sé il concetto di sovranità da in pasto al cittadino l'idea di ineluttabilità del debito, una cosa che "appartiene" al popolo e al paese e che come tale va rispettato, onorato. E tutta questa idea di ineluttabilità era già stata preparata a monte dallo spread e dal default dilaganti nelle conversazioni.

Il principio di "sovranità" di un debito pubblico, oltre a essere quanto mai originale in un'epoca in cui l'idea di sovranità dei singoli paesi è messa sistemicamente in ridicolo a vantaggio dell'internazionalizzazione dell'economia e della finanza, assume nel caso italiano anche un tono di rimproverso verso i cittadini che, pur detenendone solo una minima parte come abbiamo visto, devono sostenerlo indirettamente a suon di imposte e tagli alle spese sociali.
La vulgata sostiene infatti che il debito pubblico italiano sia così consistente poiché lo Stato italiano, povero di risorse e fondato su un'economia di trasformazione dipendente da materie prime importate, ha paternalisticamente finanziato con un progressivo disavanzo un tenore di vita dei cittadini al di sopra delle possibilità reali.
L'impressione è che si tratti di un'emerita sciocchezza. Nel momento in cui i cittadini vivono sopra le proprie possibilità dovrebbe essere il debito privato a crescere, come insegna l'esperienza degli Stati Uniti i cui cittadini hanno infatti il debito privato più alto al mondo (oltre il 300% del Pil nel 2009).
La responsabilità dell'enorme debito pubblico italiano non può essere scaricata sui cittadini che anzi hanno ancora oggi, nonostante la crisi, bilanci privati familiari in ordine, semmai esso è causato – nel momento in cui si tralascia ogni discorso sulla genesi monetaria – da uno Stato che ha vissuto oltre le proprie possibilità.
E lo ha fatto con l'aggravante di non prendere impegno a medio e lungo termine coi cittadini, trasferendo loro la proprietà del debito attraverso obbligazioni statali, ma cedendo queste in massima parte all'unico attore che nell'economia attuale è in grado di finanziare e rifinanziare un passivo quasi all'infinito: le banche.
Trasferire il debito pubblico ai propri cittadini cedendo esclusivamente a loro obbligazioni statali – e continuiamo a non polemizzare sulla genesi monetaria – costituirebbe un atto di onestà sia perché imporrebbe una dilatazione del debito giocoforza limitata (i privati cittadini non hanno la capacità di investimento di una banca) e quindi una condotta virtuosa della finanza statale, sia perché non esporrebbe lo Stato al futuro ricatto di detentori spregiudicati come le banche capaci di determinare squilibri economici e finanziari tali da condizionare, come sta avvenendo, le politiche economiche dei governi.



La conclusione quindi è questa.
Poiché tutto ciò di cui si è con chiarezza parlato non era assolutamente fuori dalla portata degli uomini di governo che negli ultimi decenni hanno perseguito sciagurate politiche finanziarie e monetaria, possiamo dedurne che il generico indebitamento pubblico dei paesi dell'Eurozona non sia stato un incidente di percorso e nemmeno una gigantesca eccezioni a una scuola economica altrimenti efficace.
Il debito pubblico costituisce invece una creazione scientificamente e volontariamente perseguita da una classe di politici e banchieri legati a doppio filo che con questo strumento hanno deliberatamente venduto le ricchezze reali nazionali a una cupola di banchieri privati.