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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    UN ALBERO PER OGNI CADUTO DELLA GRANDE GUERRA - IL PARCO DELLA RIMEMBRANZA DI CROCEMOSSO (1923)
    (Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 30.05.2015)

    Per l’Italia la Prima guerra mondiale terminò alle ore 15 del 4 novembre 1918, dopo che il giorno prima i delegati austriaci, ricevuti a Villa Giusti, avevano accettato di firmare il trattato di armistizio. La prova a cui il paese era stato sottoposto nel triennio 1915-1918 si era rivelata durissima: alle sanguinose battaglie combattute sul fronte orientale e sull’arco alpino, aveva fatto seguito l’occupazione dello stesso territorio nazionale da parte delle truppe austro-ungariche dopo la rotta di Caporetto e solo attraverso un immane sforzo in campo militare, produttivo e sociale l’Italia era stata in grado di resistere, ponendo le basi per la riscossa. Il prezzo pagato in termini di vite umane era stato tuttavia molto alto: da nord a sud, ogni città, ogni villaggio, ogni comunità piangeva i suoi morti, caduti in combattimento o periti nei campi di prigionia.
    Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla volontà di perpetuare il ricordo dei Caduti: questa volontà (diffusa in tutto il Paese, anche perché rivestita di connotazioni prettamente politiche) trovò espressione nelle lapidi commemorative, nei monumenti e nei Parchi e Viali della Rimembranza: questi ultimi, affermano Giorgio Rochat e Mario Isnenghi, erano finalizzati «a una rielaborazione consolatoria della morte di massa, che, attutendo il trauma, [mantenesse] compresenti i morti ai vivi. […] Il soldato sconosciuto è uno e tutti ad un tempo; ma i parchi e i viali donano un nome e una pianta a ciascuno. E il luogo del ricordo non è un magniloquente e lontano monumento nella capitale; sono […] tanti piccoli o grandi giardini dei morti quanti sono i comuni italiani, ciascuno con tante giovani piante messe a dimora, quante ne occorrono perché a ciascun caduto sia dedicata nominativamente una, con la data di nascita e la data e il luogo di morte. […] La vitalità maggiore del linguaggio dei parchi e dei viali si esprime anche nel fatto che le giovani piante vengono affidate ai giovanissimi scolari del luogo».
    A promuovere il progetto fu il sottosegretario alla Pubblica Istruzione del governo Mussolini, Dario Lupi (sostenuto dal ministro Giovanni Gentile), il quale nel dicembre del 1922 inviò ai Regi Provveditori agli Studi una circolare che invitava le scolaresche d’Italia a farsi «iniziatrici dell’attuazione di una idea noblissima e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero; gli alberi varieranno a seconda della regione, del clima, dell’altitudine. […] La strada o il Parco dovrà comprendere non meno di venti alberi […]»; in una nota successiva il sottosegretario passò ad illustrare minuziosamente i requisiti "tecnici" relativi ai Parchi e ai Viali della Rimembranza: «Lungo i lati delle vie […] si aprano alle dovute distanze (variabili secondo le specie di piante da allevarsi) tante buche di un metro in quadro, e profonde un metro»; a proposito dei tre regoli di legno (dipinti con i colori della bandiera nazionale) che dovevano costituire il riparo delle piantine, Lupi precisava che «quello colorato in bianco, alquanto più lungo degli altri due, [avrebbe dovuto] portare a 10 centimetri dall’estremità superiore una targhetta in ferro smaltato, con la dicitura IN MEMORIA DEL (grado, nome, cognome) CADUTO NELLA GRANDE GUERRA IL (data) A (nome della battaglia)»; e stilava infine un dettagliato elenco delle specie di piante da impiegarsi, suddivise per area geografica: dai pini, gli abeti e i cipressi nell’Italia Settentrionale, agli elci, i platani e i melangoli nel Meridione, passando per le acacie, gli eucalipti, i maggiociondoli nell’Italia centrale.
    Le regioni che registrarono l’adesione più massiccia all’iniziativa furono il Veneto, la Lombardia e il Piemonte.
    Nel Biellese furono diversi i Comuni che provvidero a dotarsi di un Parco o di un Viale della Rimembranza (tra quelli che invece ne rimasero privi ricordiamo Pavignano, Cossila San Grato, Cossila San Giovanni, Cossila Favaro; Riabella, Rialmosso, Quittengo e Rosazza nella Valle del Cervo; Callabiana, Veglio, Lessona, Ternengo, Valdengo e Massazza).
    Il Comune di Crocemosso (che contava trentotto caduti nel conflitto mondiale) fu tra i primi ad aderire, istituendo un apposito comitato presieduto dal Commissario Prefettizio cav. Picco e di cui facevano parte il parroco, il corpo insegnante e alcune personalità di spicco del paese: «Già si è pensato all’impianto del Parco della Rimembranza – scriveva "il Biellese" sul numero del 27 febbraio 1923 – a ricordo dei trenta e più crocemossesi, caduti per la patria. Il magnifico viale che si stende dalla piazza della Chiesa al cimitero, ora fiancheggiato da filari di pioppi Canadensi, si presta egregiamente all’opera doverosa, né si potrebbe scegliere località migliore».
    Ai primi di aprile i lavori di approntamento del nuovo viale erano ormai ultimati; la scelta di eliminare i pioppi sostituendoli con trentotto pianticelle di tiglio simmetricamente disposte, suscitò qualche critica che il giornale cattolico, diretto dall’energico don Giuseppe Rivetti, non mancò di riportare: «C’è chi osserva che le pianticelle potevano essere collocate tra i filari dei pioppi canadensi, già belli e prosperosi, piantati dieci anni sono, senza condannarli ad un’ecatombe prematura. Ma si capisce, accontentar tutti non è possibile, e poi ognuno ha i propri gusti. Del resto, cosa fatta capo ha. La spesa di un paio di migliaia lire verrà coperta con oblazioni raccolte» ("il Biellese", 06.04.1923).
    Il costo complessivo per la realizzazione dell’opera ammontò a Lire 2.415.
    L’inaugurazione del Viale della Rimembranza ebbe luogo nel pomeriggio di domenica 17 giugno 1923: «Alle 15, 30, dopo i vespri dei defunti, la vasta piazza della chiesa, le adiacenze, la casa comunale, i locali delle scuole, formicolavano, oltrechè della popolazione del paese, accorsa in massa, anche di gente intervenuta dai paesi circonvicini. La scolaresca di due asili e delle otto scuole comunali, accompagnati dai rispettivi insegnanti e dalle madrine delle bandiere, seguite dalle madri, dalle vedove e dalle famiglie dei caduti, dalle autorità e dalla fiumana degli intervenuti, adunavasi negli ampli ed ombrosi cortili delle scuole» ("il Biellese", 22.06.1923); erano inoltre presenti il maresciallo e i carabinieri di Vallemosso in alta uniforme, una rappresentanza di fascisti e una compagnia di premilitari «col loro caratteristico berretto rosso».
    Aperta dalla benedizione impartita dal parroco alle bandiere delle associazioni cattoliche, la cerimonia proseguì con l’intervento dell’Ispettore scolastico Vianelli, incentrato sul significato della bandiera nazionale e sugli obblighi e i doveri ad essa connessi; si formò quindi il corteo che, dopo aver attraversato le vie del paese, raggiunse l’inaugurando Viale della Rimembranza, al principio del quale era stato collocato un «modesto monumento composto di un grosso macigno greggio del nostro granito locale», recante una lapide commemorativa.
    Il sindaco e le altre autorità presero quindi posto sul palco, eretto per l’occasione, per assistere alla sacra benedizione: «[…] mentre l’acqua lustrale cade sulle piante e su quel mare di teste, gli scolari, accompagnati dalla musica, cantano la "Leggenda del Piave"».
    Particolare commozione suscitò la lettura, da parte del maestro Abate, di una cartolina inviatagli dal fronte da un soldato crocemossese, suo ex alunno, pochi giorni prima di essere ucciso; dopo l’intervento del tenente Edoardo Moro, mutilato di guerra, il sindaco e alcuni assessori provvidero alla consegna dei brevetti, delle croci e delle medaglie d’oro «alle 25 Madri o vedove dei Caduti».
    Spettò quindi all’assessore Scribante concludere la cerimonia, esprimendo l’augurio che in breve tempo potesse essere eretto anche un monumento a ricordo dei Caduti di Crocemosso: «La folla si dilegua, mentre le ultime note della musica, confuse alle voci dei fanciulli, si disperdono nell’aria. […] A notte, il paese ritornò alla consueta calma, mentre le lampade elettriche, illuminando il Viale della Rimembranza, pareva vegliassero, luci purissime, sui cari Caduti, su quanti credono in una medesima fede ed in una più radiosa speranza» ("il Biellese", 22.06.1923).

    Galleria Fotografica
    Le fotografie provengono dall'archivio Lino Cremon, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
    (È vietata la riproduzione e la diffusione delle immagini senza la preventiva autorizzazione del titolare dei diritti).



    FONTI

    • Isnenghi M., Rochat G., La Grande Guerra 1915-1918, Il Mulino, Bologna 2008
    • Campagnolo Cristiano et al., Monumenti ai Caduti della prima guerra mondiale nel Biellese, Politecnico di Torino
    • Corriere Biellese, periodico socialista
    • il Biellese, bisettimanale cattolico
    • La Tribuna Biellese, giornale della città e del Circondario di Biella


    https://www.frammentidistoriabielles...ocemosso-1923/

  2. #292
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    La pianta "magica" di Fidel Castro
    Il Lider Maximo da anni coltivava la moringa oleifera, un arbusto noto anche come "l'albero della vita" le cui foglie sarebbero una panacea sia dal punto di vista nutrizionale che terapeutico.
    Raffaello Binelli - Sab, 26/11/2016 - 10:00

    Fidel Castro negli ultimi anni aveva rispolverato il suo antico interesse per l'agricoltura.


    In particolare si era concentrato soprattutto su una pianta, la moringa oleifera, che considerava ideale per "salvare il pianeta". Secondo molti sarebbe stata anche una delle ragioni della longevità del Lider Maximo.
    Arbusto noto anche come "l'albero della vita", le foglie della moringa oleifera sarebbero una panacea sia dal punto di vista nutrizionale che terapeutico. La moringa infatti contiene più proteine del latte e più vitamine dell'arancia. Pare che da anni Fidel avesse creato nel suo giardino una piantagione privata di moringa. Si narra, infatti, che non ci si sia stato ospite, da Lula a Evo Morales, Nicolás Maduro, François Hollande a Maradona, al quale il Lìder Maximo non avesse illustrato i benefici e le virtù dell'arbusto miracoloso.
    La moringa, ripeteva spesso Fidel, "è l'unica pianta che contiene ogni tipo di amminoacido e ha decine di proprietà medicinali, dai suoi effetti sul sistema digestivo fino agli effetti sul sonno". Il leader cubano era convinto che potesse essere anche una soluzione importante nella lotta alla denutrizione.
    Da quando passò il testimone al fratello Raul, dieci anni fa, Fidel aveva cominciato a dedicare molto tempo al giardinaggio, ma l'interesse per l'agricoltura e il mondo rurale risaliva a molti anni prima. Figlio di un ricco proprietario terriero di Biran, nella provincia di Holguin, Fidel aveva difeso in passato l'autosufficienza alimentare così come la necessità di uscire dalla monocoltura della canna da zucchero, eredità del colonialismo.
    Ma la passione per la moringa è andata ben oltre il giardino di casa Castro. Cuba, infatti, sta investendo su questa pianta, con ettari e ettari di piantagioni, ed è in corso una cooperazione con la Cina attraverso strutture di ricerca nello Yunnan oltre che a L'Avana, per studiarne il potenziale nutrizionale e terapeutico.





    La pianta "magica" di Fidel Castro - IlGiornale.it

  3. #293
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    La Palma di Goethe su Giardino Antico



    430 anni, un illustre estimatore e una dimora unica, il primo Orto Botanico Universitario del mondo: queste le coordinate della Palma di San Pietro più vecchia d’Italia, messa a dimora nel 1585 nell’Orto Botanico di Padova e conosciuta come la “Palma di Goethe”, da quando il poeta tedesco, dopo averla osservata nel 1786, formulò la sua intuizione evolutiva nel saggio “La metamorfosi delle piante”.La Palma di Goethe è a pagina 100 di Giardino Antico 38, protagonista della rubrica l’Albero Maestro. Si trova nel settore delle erbe medicinali dell’Orto protetta da una serra ottagonale dal perfetto microclima che le ha permesso di sviluppare vari fusti che superano i 10 metri di altezza.




    L’Orto Botanico, fondato nel 1545, con lo scopo di fornire agli studenti di medicina un luogo in cui coltivare e osservare le piante medicinali indispensabili per i preparati farmacologici, arricchì via via la sua collezione grazie agli scambi commerciali con terre lontane e ai possedimenti della Serenissima, e fu il primo a introdurre in Europa piante divenute poi essenziali per la moderna economia come la patata.

    Accanto all’Hortus sphaericus in cui si trova la Palma di Goethe, così chiamato perché cinto da mura per proteggere le preziose piante medicinali dai furti all’epoca frequenti nonostante pene severissime che arrivavano a comprendere il carcere e la galera, sorgono oggi le serre del giardino della biodiversità che simula le condizioni climatiche del pianeta nei cinque continenti raccontando il rapporto tra le piante e l’uomo attraverso i secoli.





    L’Orto Botanico di Padova, non ha mai cambiato né la sede né l’impianto originario e anche per questo, accanto a una collezione di 7 mila specie botaniche con particolare attenzione alla conservazione della biodiversità, alle specie vegetali locali, rare o a rischio di estinzione, vanta altri alberi secolari: un Ginko biloba del 1750, una Magnolia grandiflora del 1786, ritenuta la più antica d’Europa, un Platanus orientalis del 1680 e il primo Cedrus deodara introdotto in Italia.

    Dal 1997 è inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco per la riconosciuta influenza nell’ambito delle scienze botaniche e l’eccezionale testimonianza di una tradizione culturale. www.ortobotanicopd.it


    Ultimissime dall'orto: La Palma di Goethe su Giardino Antico

  4. #294
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura



    La foresta di Saint Sernin sur Rance, Aveyron

    Fine del XVIII secolo, dintorni di Saint-Sernin-Sur-Rance, Aveyron.
    In paese circolano delle voci su una bestia misteriosa che si aggira nella foresta.
    La comunità è un po’ preoccupata, ma molti sono scettici e tranquillizzano gli altri screditando i contadinotti e le loro fandonie. La vita scorre tranquilla, tutto scorre come sempre, e l’agitazione nata dai racconti presto muore. In genere c’è sempre una bestia misteriosa, c’è sempre un branco di lupi, c’è sempre una nuova leggenda nata per stupire e distrarsi un po’.
    Ma nel 1797 la leggenda diviene realtà, perchè viene portato al villaggio uno strano trofeo di caccia: un ragazzino completamente nudo e sporco che morde e graffia chiunque tenti di avvicinarlo. Lo stupore è alle stelle, ma non si sa come il ragazzino riesce a fuggire e a tornare alla sua foresta. Non lo vedranno più per un anno, riuscendo a catturarlo in seguito nel 1798, perdendolo ancora, e nel 1799; ancora una volta questo strano animale fugge, assorbito dalla natura selvaggia.Ma in maniera definitiva l’8 Gennaio del 1800 il ragazzo viene saldamente catturato e detenuto nel villaggio, e in tutta la Francia la notizia del ragazzo selvaggio dell’Aveyron si diffonde all’impazzata, e le alte sfere della comunità scientifica si interessano al caso.Il ragazzo viene condotto a Rodez, e vengono condotte le prime osservazioni sul soggetto dal naturalista Bonnaterre: il soggetto non parla, al massimo mugola mentre mangia, non riconosce la propria immagine nello specchio, appare sordo e si lascia andare a terribili attacchi collerici dove aggredisce chiunque. La curiosità Parigina lo preleva e lo conduce alla capitale, presso il prestigioso ospedale per sordomuti. Qui il destino del nostro cambierà per sempre.

    Entra in Scena Jean Marc Gaspard Itard
    Su diretto interesse del ministro dell’Interno Champagny, il ragazzo viene condotto in un istituto destinato a ragazzi sordomuti e con menomazioni che impediscono una vita normale, dove potranno imparare a comunicare con il linguaggio dei segni fin dove possibile. Il nostro ragazzo verrà esaminato dal più noto psichiatra dell’epoca, Philippe Pinel, assistito da un dottore dell’ospedale, Jean Itard. Oltre ai dati gia raccolti in precedenza, sembra che il corpo del ragazzo sia pieno di cicatrici, e una in particolare sulla gola colpisce Pinel e Itard: potrebbe proprio essere quel taglio l’elemento capace di raccontare le origini del ragazzo e tutta la sua storia.
    L’ipotesi è la seguente: all’età di quattro o cinque anni il ragazzo viene abbandonato nella foresta, dove un maldestro tentativo di tagliargli la gola fallisce lasciandolo in vita, e fino all’età apparente di 12 o 13 anni vive indisturbato senza nessun contatto con la civiltà salvo qualche avvistamento.
    La diagnosi di Pinel indica che il ragazzo soffre di demenza, e che potrebbe addirittura essere il motivo che ha spinto i genitori a liberarsi di lui.
    Itard invece non è affatto d’accordo, e sostiene che l’apparente stato di demenza del ragazzo potrebbe derivare dal fatto di non aver mai avuto nessun contatto con la civiltà prima d’ora.
    I due discutono a lungo delle loro teorie, fino a quando Itard si assume la responsabilità e l’obbiettivo di integrare ed istruire il ragazzo dimostrando che non vi era nessuna malattia mentale a determinare quel suo comportamento primitivo, ma solo l’assenza di contatti con il mondo civile.
    ./.

    Segue qui :
    http://leganerd.com/2012/06/06/victo...-dell-aveyron/

  5. #295
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    "La sventurata rispose". "I promessi sposi" cap. X

    Albero delle castagne matte – Villa Mirabello Parco di Monza

    Vi presentiamo un gigantesco esemplare di Aesculus hippocastanum situato presso Villa Mirabello Parco di Monza
    Il plurisecolare “Albero delle castagne matte” si trova nei giardini retrostanti alla Villa Mirabello MB , edificio del 1668 di ex indubbia bellezza preesistente alla creazione del Parco di Monza , venne costruita verso la metà del XVII secolo dalla famiglia Durini, la quale aveva acquistato il feudo di Monza nel 1648. Si racconta che la Villa sia stata costruita sulle rovine di un antico castello di proprietà dei de LEYVA, nobile famiglia d’origine spagnola, da cui nacque Virginia Maria de LEYVA , meglio conosciuta come la Monaca di Monza.

    Disabitato da quasi un secolo .. “fatiscente” direi come le condizioni del giardino che peraltro racchiude , oltre l ‘Ippocastano di 608 cm di circonferenza ( misurati ai canonici 130 cm da terra ) , un Cedro di 525 cm e una Farnia di 4 mt . Se avete “fegato” potete andare a visitare questo strano posto .. verso sera , quando le ombre si allungano .. Io l’ho fatto e vi garantisco che è ” roba da brividi “! Ne è valsa comunque la pena per aver trovato e segnalato, forse uno dei più grandi ippocastani della Penisola .



    Vediamo la scheda nel dettaglio

    Genere Aesculus hippocastanum
    Altezza 20/22 metri
    Circonferenza tronco 608 cm
    Circonferenza chioma ND
    Nome volgare Ippocastano o Albero delle Castagne matte
    Eta presunta
    Note Nella lista che stilata sui Grandi Patriarchi verdi ( oltre 300 esemplari ) primo in Italia per circonferenza del tronco.
    Ultima modifica di vanni fucci; 06-01-17 alle 17:51

  6. #296
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    L'albero karri o eucalipto diversicolor, originario dell'Australia sudoccidentale, è uno degli alberi più alti del mondo e identificato per la caratteristica corteccia scarnificata nuda chiara














    PATRIMONIALE PROGRESSIVA SU IMMOBILI, DEPOSITI, PRODOTTI FINANZIARI, RENDITE E SUCCESSIONI!

  7. #297
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    Predefinito Re: Alberi, storia e letteratura

    Nelle cattedrali dei faggi che possiedono il tempo
    La Forêt de Soignes, alle porte di Bruxelles,
    è una delle più grandi d’Europa: i suoi alberi secolari affondano le radici in una dimensione dove si annullano passato presente e futuro

    I faggi della Fôret de Soignes, dal 2017 patrimonio mondiale dell’Unesco
    Pubblicato il 18/03/2018
    Fernando Gentilini

    Uno degli angoli più emblematici di Bruxelles si trova alla fine dell’Avenue Louise. Luogo metafisico, decisamente belga, in cui si vede il più imponente viale cittadino - due corsie, con al centro il tram, e sotto i tunnel per il traffico veloce - andare a sbattere dritto contro la muraglia di verde. Proprio così. L’Avenue Louise finisce di colpo, addosso al bosco, senza nemmeno provare a girargli intorno.


    Si chiama Bois de la Cambre, per i brussellesi solo “bois” e a prima vista potrebbe sembrare un parco. Sennonché è l’inizio della Forêt de Soignes, ultimo scampolo di una delle più grandi foreste d’Europa. Cinquemila ettari di verde, alle porte della città, comprese cinque faggete che discendono dalla foresta primaria post-glaciale, e che dal 2017 fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco.

    Qui ci si sente vicini agli avi
    Il primo pensiero che viene in mente camminando tra questi alberi secolari è che le loro radici affondano nella metastoria, nel tempo immobile della foresta. Un tempo che ci oltrepassa, molto più vasto del nostro; un tempo che a un certo punto inizia a confondersi con lo spazio e in cui si annullano passato, presente e futuro.

    Che oltre il microtempo degli uomini inizi il megatempo della Natura i poeti-filosofi come Hölderlin e Zanzotto l’hanno spiegato meglio degli scienziati. Carlo Rovelli, nel suo saggio L’ordine del tempo (Adelphi), ricorda che gli orologi sono un’invenzione moderna, e che prima dei matematici erano gli angeli i padroni del tempo. Ebbene, nella Forêt de Soignes ci si sente per davvero a un passo dal cielo, tra questi angeli che una volta possedevano il tempo. Le faggete a forma di cattedrale sono i loro templi, verticalizzano il paesaggio. E tra le ombre, i silenzi e le luci che filtrano dal cielo, ci si sente incredibilmente vicini ai nostri avi, che credevano agli spiriti della foresta e trattavano gli alberi come creature viventi.


    Che questi faggi parlino, dormano, abbiano ricordi, si ammalino, guariscano, facciano amicizia e si aiutino tra loro come gli umani lo sostiene Peter Wohlleben nel suo best seller La vita segreta degli alberi (Macro Edizioni). Secondo lui esisterebbero addirittura degli alberi madre, che insegnerebbero alle piante più giovani a nutrirsi di luce, a crescere dritte e a formare alleanze contro gli insetti. Il condizionale ovviamente è d’obbligo, specie se si parla di alberi intelligenti o della loro struttura molecolare basata sulla serie di Fibonacci e il Numero d’Oro. Ma è bellissimo farsi strada tra questi pensieri, andando a piedi per le foreste che ci sono rimaste.

    Nella Forêt de Soignes i primi uomini adoravano il sole e le ombre degli alberi. Era un tempo pagano, di cui restano i fossati neolitici sul sentiero di Tumuli, e una parola d’origine celtica - da cui Sonian e poi Soignes - che vuol dire acque calme. Ma forse resta anche una traccia nel pensiero medievale di Jan van Ruusbroec, l’eremita dei boschi di Groenendaal, la cui Natura era talmente fluida e multiforme da rasentare il politeismo.

    Le tracce del passato
    Gli uomini iniziarono poi a modificare il paesaggio e a inventare i toponimi della foresta. Delle epoche gallo-romana e carolingia restano tracce di carbonaie, del tempo dei duchi di Brabante sopravvivono manieri a Tervuren, Boitsfort e Trois Fontaines. Ci sono poi il sentiero di Antoine de Bourgogne, le scuderie di Alberto e Isabella, il fortino del comandante Jaco, le abbazie e i priorati de la Cambre, Forêt, Val-Duchesse, Rouge-Cloître, Groenendaal, Sept Fontaines...

    Il gioco più bello l’ho visto fare a certi studenti, e consisteva nel ritrovare i sentieri di caccia dell’imperatore Massimiliano. Sui tablet avevano le foto dei dodici arazzi del Louvre, trionfi di seta e oro risalenti al tempo di Carlo V. E il tutor, prima di dividerli in squadre, aveva detto loro di ritornare con le foto dei castelli e delle abbazie che negli arazzi fanno da sfondo ad alberi, cervi e cavalieri.

    Da queste parti la caccia andava a braccetto con la preghiera dal tempo della conversione di sant’Uberto (anche lui ha il suo sentiero). E continuò allo stesso modo dopo gli Asburgo, nei periodi spagnoli e austriaci, prima che i rivoluzionari francesi sciogliessero le comunità religiose, mandassero in rovina i monasteri, e poi tagliassero migliaia di querce per costruirci navi nei cantieri di Calais e di Boulogne.

    L’ossessione di Magritte
    Alla foresta violata non rimase quindi che vendicarsi, convocando Napoleone nella piana di Waterloo, all’alba del 18 giugno 1815, per la madre di tutte la battaglie. Wellington aveva schierato le truppe a ridosso degli alberi, e l’imperatore pensò fosse un errore poiché così gli inglesi non avrebbero potuto ripiegare. Invece le cose andarono diversamente, per colpa della pioggia. E dal tracollo imperiale, quindici anni più avanti, nacque persino il Regno del Belgio.

    A Leopoldo II, che era un re visionario, la Forêt de Soignes ricordava la giungla congolese. Così vi fece piantare alberi d’oltremare e costruire un Museo dell’Africa Centrale grande come una reggia. Sarà per questo che specialmente dalle parti degli arboreti reali, sopravvive un riverbero coloniale, un non so che di pluviale, un odore immaginario di ebano e avorio, che poi è l’odore di quando il Belgio credeva di essere al centro del mondo.

    Nelle sere d’estate i brussellesi vanno in bicicletta lungo i viali dei quartieri di Uccle, Ixelles, Boitsfort e Auderghem che costeggiano la Forêt de Soignes. C’è una luce strana in quel limbo tra alberi e case, i paesaggi sono sia diurni sia notturni. E nei sentieri che vanno verso il fitto del bosco si finisce col restare incantati davanti a quel buio che non oscura e a quel chiarore che resiste alle tenebre.

    Riunire giorno e notte in un’immagine sola fu una delle ossessioni di Magritte, il più belga tra i pittori belgi. L’empire des lumières è un paesaggio notturno sotto un cielo pieno di luce; Le salon de Dieu, considerato il suo inverso, mostra un paesaggio diurno sotto la volta stellata. Non conosco l’origine dell’ossessione (forse i versi di Lewis Carroll); ma riconosco, su quelle tele, il marchio inconfondibile della foresta che è la sua vocazione: alberi che ambiscono al cielo, a una luce che non è luce, al tempo immobile di prima degli orologi.

    Nelle cattedrali dei faggi che possiedono il tempo - La Stampa

    https://it.wikipedia.org/wiki/Foresta_di_Soignes

 

 
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