"Solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale" Marx-Engels
Abbozzo del “politico” nei Manoscritti
Studio preliminare sulla derivazione filosofica del “politico” nei Manoscritti
di Giulia Angelini
1. L’interrogazione critica sul “politico” in Marx non è solo un’occasione per ri-pensare il comunismo, ma pone il problema generale del legame di una particolare teoria con lo sfondo concettuale da cui proviene.
Questo perché alcuni nodi del pensiero marxiano ci forniscono delle preziose indicazioni metodologiche, nel momento in cui sono il tentativo di una giustificazione radicale della critica messa in campo. Da questo punto di vista, sono un suggerimento e uno stimolo al pensiero della “forma”, pensiero che il marxismo successivo ha perlopiù oscurato.
Tuttavia, non si può negare che il rapporto su cui ci interroghiamo, quello di Marx con il “politico”, è abbastanza problematico, in quanto è complicato dalla rinuncia del Marx maturo a fondare filosoficamente la sua ricerca, da un parte, e dall’altra dalla questione dell’evoluzione dello stesso pensiero marxiano, ovverosia il legame tra il giovane Marx e quello della maturità. Al di là delle controversie interpretative, l’aperta rottura di Marx con la filosofia, collocabile attorno al 1845, l’anno delle Tesi su Feuerbach e de L’ideologia tedesca, rende difficoltoso ogni approccio generale al suo pensiero e spiega in una certa misura le numerosissime filiazioni, e le altrettante “esegesi” che ha avuto; in primis, quelle sulle opere giovanili. Con lo spostamento della linea di demarcazione nel suo percorso teoretico, o con una sua negazione, cioè con il sostegno dell’ipotesi “della continuità”, si ha la pietra di orientamento decisiva per una visione più generale del suo pensiero che inevitabilmente finisce per sussumere la particolarità del “politico”.
Ciò che bisogna fare in via preliminare per ovviare il rischio di una lettura maldestra e avventata, è registrare il “politico” nelle modalità e nei luoghi in Marx ce lo offre, con la messa tra parentesi di questioni più grandi e totalizzanti in cui la “raccolta” sarebbe sostituita da una ricostruzione e, in alcuni casi, da una vera e propria creazione ex novo. Insomma, si tratta di mero e puro scrupolo interpretativo – ben lontano dall’assunzione a priori dell’impossibilità di una ricerca in toto del “politico” in Marx. Senza contare che la rinuncia a cui modus operandi può portare si rivelerà solo apparente: l’impulso universalizzante che non può non sfociare nella fantafilosofia strabuzzerà gli occhi davanti alla ricchezza concettuale dischiusa da un’oculata scelta dell’opera.
I Manoscritti economico-filosofici del 1844, che sollevano un’infinità di problemi per la decisività che occupano nella produzione marxiana e, in una certa misura, per la vastità e l’eterogeneità del contenuto, sono l’opera che più si presta ad un lavoro di questo tipo. In essi si trova quello che i Greci chiamerebbero un hapax legomenon, cioè qualcosa che è detto una sola volta. Il nostro hapax è, per l’appunto, la trattazione del “politico” all’interno di una teoria più generale, ma non sistematica nell’accezione hegeliana del termine, a cui si cerca di dare una giustificazione filosofica.
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