Il rosso e il Negri. Un dialogo con Luca Negri, scrittore cattolico, su sacro e profano
IL ROSSO E IL NEGRI
Giornalista, scrittore, biografo di Fini e di Giovanni Lindo Ferretti, uomo di destra. E prima di essere tutto questo: comunista di Autonomia Operaia, insegnante, dj, musicista punk, ateo, e persino ammiratore uno dopo l’altro di: buddismo, gnosticismo, esoterismo, islamismo. Infine la conversione: sulle pagine di Joseph Ratzinger.
Io, comunista che non ero altro! L’ateo che credette a qualunque cosa… e poi finalmente a Benedetto XVI. Il nipotino di nonno Chesterton. “Non sono un giornalista, sono uno che scrive”. Flaubert voleva scrivere un libro su “nulla”: non ci riuscì; Negri sì: scrivendolo su Fini. I cattolici dovrebbero alzare un po’ i toni.
Sono molto poco piemontese, e non ho particolari imbarazzi nel toccare l’argomento religioso. Prego, ed è la pratica che esercito da più tempo, la prima che ho cominciato. Credo fortemente nella preghiera. Cerco di andare a messa almeno una volta a settimana. Con la formazione guenoniana che mi portavo appresso, era abbastanza inevitabile qualche attenzione per i tradizionalisti. Sono molto interessato alla liturgia, e mi infastidiscono, anzi mi offendono le sciatterie di molti sacerdoti, le chiese brutte come capannoni, le censure contro il rito antico. Il mio giudizio sul Concilio, grazie alla studio e all’insegnamento di Ratzinger, è meno critico che in passato. L’unica vera arma legittima che avevano in mano i lefebvriani era la questione del rito. Mi pare che Benedetto XVI abbia risolto egregiamente. Certo, molti sacerdoti disattendono le sue indicazioni, ma spesso sono anziani, di un’altra epoca. Le nuove generazioni saranno più assennate.
Intervista di
Antonio Margheriti Mastino
IO, COMUNISTA CHE NON ERO ALTRO!
Com’è questa storia che saresti romano? Ma dai: nessun romano andrebbe a vivere in Piemonte, ad Asti addirittura… e namo!
Eppure io l’ho fatto. Però avevo solo tre anni quando sono salito con la famiglia a Torino, dove sono cresciuto e ho abitato fino a due anni fa. Ora vivo in un borgo di campagna fra torinese e astigiano, per scelta. Eppure, ripeto, sono romano. Nato a Roma, da padre romano. Anche se il mio sangue è per tre quarti veneto. Diciamo che son poco torinese, nel senso che mi sento abbastanza immune da tendenze calviniste…
Dice però che eri pure comunista trinariciuto. “Autonomia Operaia”, addirittura. Devi essere un sentimentale tu, no? Ma poi che c’entravi te con gli “operai”? Quando ci hai mai avuto a che fare? Soprattutto: è così poco originale diventa’ comunista a vent’anni! Questo, tutto questo, non è da te. Prova a trova’ delle scuse per ogni contestazione.
Fu il mio periodo romantico, o meglio surrealista. Non tanto per la questione degli operai. Non ho lavorato un’ora della mia vita in fabbrica, le officine Fiat le ho viste solo da bambino in gita scolastica. Però per Aut.Op., almeno nei testi teorici di riferimento (quelli di Toni Negri, Franco Berardi, per intenderci), l’operaio era ormai una figura estesa a tutto “il corpo sociale”: anche un insegnante, un giornalista, un telefonista è un operaio, se sfruttato, sottopagato, alienato. Dunque, ci sentivamo del tutto operai. Era un marxismo eretico, anarcoide, felice per la caduta del Muro di Berlino perché non si riconosceva in nessuna realizzazione storica del comunismo. Ci menavamo più con il servizio d’ordine del Pds che con i pochissimi fascisti che comparivano nell’atrio dell’università solo per l’anniversario della marcia su Roma. Fu in effetti poco originale fare il comunista a vent’anni, ma vissi tutto quel periodo, cinque anni circa, con puro spirito surrealista. Nel senso che a me interessava già altro, ma pensavo che la soluzione immediata e definitiva degli squilibri economici fosse la base minima per potersi occupare di cose più serie. Appunto, ero molto romantico.
Boccalone se direbbe a Roma… Ma annamo avanti. Com’era dall’interno il mondo comunista degli spasimi, del comunismo senza comunismo, dell’operaismo senza operai, dell’utopia in un mondo ormai disilluso ma che tuttavia ogni mattina si risvegliava a nuove illusioni, nuove follie, nuove ideologie. Tutte rigorosamente politically correctness. Insomma, che tipi umani c’erano fra i tuoi compagni, quali pregiudizi, quali chimere, che sogni gli restavano… ammesso fossero ancora capaci di sognare qualcosa? Tu per esempio, di che illusioni eri portatore?
Quel tipo di comunismo rifiutava utopie ed illusioni. Ricordo che durante una riunione politica litigai con una tizia, tra l’altro femminista, perché aveva usato il temine “valori”. Risposi che non dovevamo parlare di valori ma di “bisogni”. Considera che ero approdato da quelle parti dopo aver letto più Nietzsche e Stirner che Marx. La decomposizione del comunismo novecentesco, in quel senso, la sentivamo tutta. Incarnavamo l’inevitabile esito nichilista del comunismo. Ovviamente, questi discorsi si facevano alle riunioni serie, roba elitaria, di gente che leggeva e già scribacchiava. La manovalanza dei centri sociali aveva solo qualche slogan appiccicato in testa e tanta buona volontà. O meglio cattiva volontà, quando si trattava di avere a che fare con le forze dell’ordine.
Mi si dice che sei stato tra i fondatori del, cito testuale, collettivo SparaJurijLab. Che è ‘sta roba sovietica… de zecche?
Quando ne ebbi abbastanza di teorie politiche e riunioni fumose, fondai con altri quattro disperati il laboratorio SparaJurij, con la pretesa di intervenire nella realtà attraverso la scrittura. Scegliemmo di chiamarci con il nome della canzone dei Cccp proprio per distanziarci ironicamente dall’impegno politico e richiamarci alle avanguardie punk e situazioniste. Con lo SparaJurijLab ho anche pubblicato diverse cose. Sebbene oggi il mio coinvolgimento sia abbastanza marginale, è ancora vivo e vegeto e produce una raffinata rivista letteraria battezzata pasolinianamente “Atti impuri”.
Come dire: le solite pippe mentali! Da nerd, per giunta. A suo tempo io sono stato a lungo militante di sinistra, come gentilmente hai fatto sapere a tutti, sul tuo articolo su “Il Giornale” -proprio il giornale del Berlusca- che parlava di questo sito. Diessino, prima del mio berlusconismo e ratzingerismo. Ho oggi un po’ il complesso del “pentito”: un complesso, diciamo, che volenterosamente e con generosità contribuiscono ad alimentare gli ex compagni, che nel loro linguaggio “umanitarista”, e va da sé sovietico e sanguinoso, chiamano “tradimento”. A me è capitato non dico di vergognarmi ma di provare imbarazzo per l’abiura, incrociando gli ex compagni… di partito, strada, merende. A te no? A te non ti considerano oltre che un “pentito”, “traditore”, un, come minimo, mentecatto, che proprio in quanto tale ha abiurato?
Ti capisco. È abbastanza naturale che ci considerino dei casi clinici o degli sporchi avventurieri. Ad essere sincero, la cosa non mi mette troppo in imbarazzo. Già quando stavo in mezzo a loro sentivo che prima o poi sarebbero diventati in un certo senso miei avversari. La sinistra in genere è spesso talmente convinta di aver ragione, di aver capito tutto, di rappresentare il culmine della civiltà, che vive un vero e proprio lutto quando scopre diserzioni al suo interno.
L’ATEO CHE CREDETTE A QUALUNQUE COSA. POI FINALMENTE A BENEDETTO XVI
Ma mentre eri comunista al contempo eri anche credente?
No. Ero sistematicamente ateo. Al massimo credevo nella liberazione della psiche. Almeno coscientemente.
Poi pare sei diventato berlusconiano e cattolico. Come è successo? A me dissero che avevo avuto un “colpo di… imbecillità”
In tutta onestà, non sono mai stato un berlusconiano. Fortunatamente, neanche un antiberlusconiano, visto che ai tempi di Aut.Op. non lo ritenevo il peggior flagello d’Italia. Poi sono diventato un anti-antiberlusconiano, nauseato dalla propaganda azionista e azionaria de La Repubblica, dal puritanesimo girontodino e giustizialista, dalla retorica sulla sacralità della costituzione, dal razzismo antropologico contro gli elettori di centrodestra. Direi che non ho nulla in comune con Berlusconi a parte i nemici. Che poi sia finito a scrivere su testate che gravitano intorno alla sua parte politica mi è parso inevitabile: con le idee che avevo maturato, sarebbe stato difficile rivolgermi altrove.
E la fede cattolica, dunque?
Il ritorno al cattolicesimo è invece stato un percorso più complesso. Poco a poco mi sono liberato di superstizioni materialiste e illuministe.
…lo dico sempre, quando uno si allontana dal cattolicesimo per non essere, secondo la vulgata razionalista, “superstizioso”, diventa immediatamente un credulone; e se gli va bene finisce seguace di un santone indiano o, se gli va male, di un santone di Bruxelles tipo Monti; o per dirla col tuo nonno intellettuale, Chesterton, “quando gli uomini cessano di credere in Dio, non è per non credere in nulla, ma a qualsiasi cosa”…
E infatti ho subito il fascino del buddismo e di tutte le religioni orientali, perfino dell’islam. Ho letto praticamente tutto Evola e Guènon e sono diventato un cristiano gnostico, attratto dall’esoterismo e poi dagli ortodossi d’Oriente.
… Molte idee e tutte belle confuse, mi pare…
Ma poi l’elezione di Ratzinger, lo studio delle sue opere e la passione per figure come Papini
Cristina Campo
Testori
per citarne pochi, mi hanno riavvicinato al cattolicesimo. Per un po’ si è trattato di un’adesione molto intellettuale, estetica, politica. Ormai è qualcosa di molto più profondo, radicale. Per dirla con termini marxisti, dalla teoria sono passato alla prassi.
O per dirla in termini cattolici: dalla conversione del cervello sei passato alla conversione del cuore.
Ecco.
IL NIPOTINO DI NONNO CHESTERTON
Mi è parso di notare nei tuoi articoli delle costanti, delle indoli. La prima costante è che stai in fissa con autori e intellettuali che si collocano soprattutto nell’800. Perché, che ci hanno di particolare? Che hanno in comune con te? A che te servono?
Vero. Sono molto legato ad autori dell’800 e del primo ‘900. Forse perché ai loro tempi la crisi era pienamente consumata, la scristianizzazione era evidente. Gli effetti nefasti si videro chiaramente con la seconda guerra mondiale, ma tutto fu preparato prima…
…Quando la rivoluzione scoppia è perchè è già terminata… Scusa l’interruzione, prosegui…
…Gli scrittori di quel periodo, soprattutto i cattolici, sono interessanti perché indicano il male nel momento del suo sbocciare.
Fra quegli autori di anticaje e petrella, come diciamo a Roma, il più “moderno” che citi quasi sempre e del quale quasi sempre scrivi è Chesterton.
Ancora una volta: perché? Che ci ha di speciale? Che cos’è poi ‘sta moda ultima dei nuovi cattolici ortodossi e di stampo ratzingeriano di infilare Chesterton (i più conservatori ci aggiungono Gomez Davila, il Pascal dei poveri e de noantri) ovunque: post facebook, citazioni, articoli?
Considero provvidenziale questa riscoperta di Chesterton, anche se è dovuta, ovviamente, alla caparbietà di precise case editrici. Per anni non si trovavano in giro cose sue. Un peccato, perché il Chesterton romanziere è un ottima lettura anche per chi non è credente. Prima di tutto, è un grande scrittore. Poi è un brillantissimo apologeta, riesce a rendere comprensibili al grande pubblico verità profonde. Secondo Gilson, forse il più grande studioso di filosofia medioevale
Chesterton ha scritto le pagine più chiare per comprendere il tomismo, nella sua biografia su San Tommaso, di tutti gli altri esegeti. E poi, se Pio XI lo salutò alla dipartita come “Defenson fidei”, si può trascurare la sua opera? Ti dirò di più, Chesterton è utile soprattutto ai cattolici reazionari, agli estremisti tradizionalisti. Come antidoto. Politicamente era un conservatore, niente a che vedere con i reazionari estremisti. Si richiamava al medioevo democratico della corporazioni
e non al medioevo imperiale, come Evola o Attilio Mordini. Essendo britannico, non si trascinava dietro alcune ossessioni tipiche di noi continentali. Se non lo frequentassi, propenderei troppo per lo stile cattolico tragico e gotico dei miei amati Bloy
e Bernanos.
Davila mi piace molto
certo non è Pascal, al massimo è il Pascal che ci meritiamo oggi. Infastidisce anche me la riduzione dei suoi aforismi a slogan cattoreazionari.
Quanno parli de Chesterton, veramente, sembra stai a parlà de tu nonno, che ti raccontava storie sotto al caminetto. Prendila come un complimento.
Come tu quando parli de Messori. Prendila come un complimento.
Io più vado e più mi convinco che sottosotto non sei tanto giornalista. Non solo perchè forse sei l’unico dell’ambiente a conoscere l’umiltà (ma forse perché stai all’inizio: hai ancora tempo per guastarti). Credo che lo fai perché bisogna pur farlo, per cassetta diciamo, ma che tale non ti senti. Sottosotto ti senti per quello che non hai ancora avuto il coraggio di rivelarti: un aspirante scrittore, un narratore, un romanziere. Oltretutto hai studiato pure lettere, in quel di Torino. E scrivi sempre di scrittori. Vuoi fare outing con me? Non sei stato capace di farlo nemmeno con i tuoi primi e ultimi due libri, che tutto sono tranne che letteratura: anche se nella semi-biografia di Ferretti, qualche struggimento, suggestione, condiscendenza letteraria c’era. Sembra che hai usato la vita di Ferretti per sondare pubblicamente le tue tentazioni letterarie. Illuminaci con ciò che il tuo cuore sa.
Come sei arrivato, ultimamente, pure a scrivere per “Il Giornale” di Berlusconi fu di Montanelli? Sembra che il Cavaliere non possa proprio fare a meno di assoldare ex comunisti: sono la sua passionaccia e la colonna portante di ogni suo pensiero opera omissione. Dai, raccontaci un poco delle tue traversie e traversate in questo mondo strano, metafisico, incertissimo, sempre in crisi ma che mai muore, che è il giornalismo. Dove stai mirando?
Come ho detto, fu la necessità ad obbligarmi. Esordii su Il Foglio, proprio con un pezzo su Ferretti. L’uscita del libro mi ha aperto altre porte: quella dell’Occidentale.it e poi quella delle pagine culturali di Libero. Dopo il mio pamphlet contro Gianfranco Fini sono arrivato a RagionPolitica e qualche comparsata altrove. Alla fine delle scorsa estate mi sono proposto come collaboratore alla sezione cultura de il Giornale. Ovviamente sono orgoglioso di comparire su quelle pagine. E’ una testata con una storia gloriosa, ci scrive gente che stimo parecchio. Posso ritenermi soddisfatto, anche perché non ho beneficiato di alcun tipo di “segnalazione”, nel senso che non conoscevo nessuno. Tre anni fa passavo le mie mattinate in classe a fare lezione, mai avrei immaginato di approdare al quotidiano fondato da Montanelli. Evidentemente piace come scrivo. O almeno, non scrivo peggio di altri colleghi.
Comunque, a proposito di giornalisti e iene dattilografe, Renato Farina mi disse che tutti i giornali, di più: il giornalismo tutto, è l’ambiente più nichilista (e “con venature marxistoidi”) del mondo. Come se dice a Roma: te arisurta? Chi so’ i tuoi giornalisti preferiti?
Lavoro in casa mia, nelle redazioni ho messo piede poche volte. Non saprei quanto nichilismo o veteromarxismo vi sia, mi fido di Farina che ha molta più esperienza di me. Ho solo capito che l’ambiente è una giungla, e non tutti sono gentiluomini.
I giornalisti preferiti, quelli che secondo me scrivono meglio, sono Camillo Langone e Pietrangelo Buttafuoco. Poi considero Giuliano Ferrara un maestro. Certo che ho qualche lettura in comune con quelli che vanno a CasaPound, ma non siamo d’accordo sui loro fondamentali: Marinetti e Mussolini. Secondo me hanno fatto solo danni. Preferisco il Pound poeta a quello economista. E a Pound preferisco Eliot.
Il cattolicesimo è: sapere delle cose, accettare e credere delle cose, fare delle cose (non farne altre). Do per scontato che “sapere” sai, che “accettare” accetti: quanto al “fare”, questo vorrei sapere, ché qua so cazzi amari per tanti: fai? pratichi? Ti evito l’imbarazzo di domande sul tuo fare e non fare circa il de sextu, andiamo su cose meno compromettenti: pregare? messa? precetti? evitazioni (tipo: non mangiare carne al venerdì)?… su tutto questo fai o non fai? Entra nel dettaglio. Insomma: come vivi praticamente il tuo essere cattolico? Non vorrei, visto che vivi in Piemonte, visto che hai studiato a Torino, che magari sei pure come tutti i soloni e i grandi sacerdoti del laicismo torinese, alla Bobbio e alla Galante Garrone, che consideravano tali argomenti tanto intimi da vergognarsi di parlarne in pubblico, di parlarne proprio. Se non sei così, allora rivendica: dopotutto sei piemontese per finta… e sei romano!
Infatti, sono molto poco piemontese, e non ho particolari imbarazzi nel toccare l’argomento. Prego, ed è la pratica che esercito da più tempo, la prima che ho cominciato. Credo fortemente nella preghiera. Cerco di andare a messa almeno una volta a settimana, non mi comunico perché non ho ancora potuto sposare la donna con cui vivo e che amo, madre di mia figlia. E non sono uno di quelli che pretendono comunque l’eucaristia. A parte questo, cerco di rispettare tutti i precetti, ma sulle evitazioni ho ancora da lavorare.
Mi pare che la tua visione del Concilio sia piuttosto severa, sicuramente è contraria alla visione dossettiana. Qua e là accenni con molta clemenza, persino condiscendenza, massì diciamolo… con aperta simpatia, ai cosiddetti “tradizionalisti”… e alla messa in rito antico, che sta conoscendo una così improvvisa fortuna fra giovani laici e una guerriglia sporca, un cecchinaggio da parte del laicato clericalizzato progressista, dal clero secolarizzato e dall’episcopato modaiolo. Parlacene.
Con la formazione guenoniana che mi portavo appresso, era abbastanza inevitabile qualche attenzione per i tradizionalisti. Sono molto interessato alla liturgia, e mi infastidiscono, anzi mi offendono le sciatterie di molti sacerdoti, le chiese brutte come capannoni, le censure contro il rito antico. Il mio giudizio sul Concilio, grazie alla studio e all’insegnamento di Ratzinger, è meno critico che in passato. L’unica vera arma legittima che avevano in mano i lefebvriani era la questione del rito. Mi pare che Benedetto XVI abbia risolto egregiamente. Certo, molti sacerdoti disattendono le sue indicazioni, ma spesso sono anziani, di un’altra epoca. Le nuove generazioni saranno più assennate. Comunque, in questo momento non partecipo a messe tridentine (non che, in caso, ve ne fossero nei dintorni, avrei difficoltà a parteciparvi, anzi!). Col tempo, l’umiltà e grazie al carisma del mio parroco, partecipo a quella del borgo in cui vivo, dove un coro di signore trasforma “Tu sei la mia vita” in un canto da alpini. Tutto è grazia, scriveva Bernanos, citando Teresa di Lisieux.
Hai conosciuto da comunista Giovanni Paolo II, hai conosciuto da anticomunista Benedetto XVI… e hai fatto in tempo pure a vedere Paolo VI. Chi ti piace di più fra questi? Quali sono le differenze fra loro? Quali gli errori? Dove vuol portare la Chiesa Benedetto XVI…e dove effettivamente sta andando?
Non ricordo nulla di Paolo VI. Ho invece bene impresso nella memoria il giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II, avevo nove anni. Ovviamente sono molto legato al pontefice regnante. Devo a lui, in particolare alla lettura di “Introduzione alla spirito della Liturgia”, il mio ritorno convinto nella Chiesa.
Mi pare che gran parte del suo impegno sia dedicato a riportare ordine ed armonia nel caotico cantiere postconciliare, riavvicinare a Roma i cristiani dispersi, difendere la ragione contro la sua riduzione a razionalismo. Tutti compiti urgenti e benemeriti.
FLAUBERT VOLEVA SCRIVERE UN LIBRO SU “NULLA”. NON CI RIUSCÌ. NEGRI SÌ: SCRIVENDOLO SU FINI
Ma come ti è saltato in mente di scrivere un libro su Fini?
Cioè: ma di uno così che racconti? Soprattutto: come fai a non morire di noia scrivendone? Flaubert diceva che il suo sogno era di scrivere un romanzo sul nulla, sul niente, ma che non c’era mai riuscito. Tu ci sei riuscito. Ma non ti sei disgustato scrivendolo? Che sensazione ti dà Fini? Come andrà a finire, secondo te? Dato che ce semo… te che sei abituato a recensire libri altrui: qual è la tesi di fondo del tuo libro?… sii chiaro e preciso: per tutti quelli che non hanno alcuna intenzione di acquistarlo…
Non ci crederai, ma mi sono divertito moltissimo a scrivere “DoppiFini”.
Contento tu…
Lo ritengo, almeno sul piano stilistico, molto più riuscito del libro su Ferretti. L’odierno presidente della Camera non è un personaggio meno romanzesco del punk filosovietico che torna cattolico. A me Fini ricorda quelle figure della letteratura francese ottocentesca, come il Bel Ami di Maupassant: un uomo senza qualità che riesce a diventare qualcuno grazie al destino favorevole e al cinismo. Con la differenza che Fini è quasi caduto nel dimenticatoio per aver preteso troppo. L’idea del libro venne a me e a Camillo Langone (che mi aveva già fatto esordire con il glorioso marchio Vallecchi) dopo una lunga conversazione via mail. Fini in persona e il neofuturismo ci sembravano rappresentare il peggio dell’Italia. Eppure quando iniziai a scrivere il libro conoscevo gente di sinistra (oltre che di destra) che apprezzava Fini. La cosa mi allarmava. Volevo dimostrare che si tratta di un grande bluff, di un politico senza uno straccio di un’idea, di un rimasuglio della Prima Repubblica che cerca di farsi passare per novità. È bastato raccontare la sua storia politica e approfondire un poco le sue contraddittorie parole d’ordine. Se nel libro su Ferretti ho fatto i conti con il mio passato di sinistra, con quest’ultimo mi sono liberato da ogni tentazione fascio-comunista.
E POI GIOVANNI LINDO FERRETTI: “PARTIGIANO DELL’INFINITO”
Quindi arriviamo alla domanda d’obbligo quando si parla con te: sei il biografo di Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP, “partigiano dell’infinito, da Togliatti a Benedetto XVI”… non s’è fatto mancare niente, dunque. Qui pure: come ti è saltato in mente? Che ti ha detto del libro? Avete rapporti? Insomma racconta un po’… cose che non hai raccontato troppo in giro.
Avevo un debito con Ferretti: la sua musica e i suoi scritti hanno accompagnato la mia maturazione culturale. Inoltre la sua storia mi sembrava un ottimo romanzo con sullo sfondo le trasformazioni della società italiana dagli anni ’50 ad oggi e le vicende delle due grandi chiese italiane: quella di Peppone e quella di Don Camillo. Poi ne avevo le palle piene di tutte le critiche piovutegli addosso da parte di vecchi fan dopo la conversione religiosa e politica. Gente che gli dava del traditore, del venduto, del rincoglionito.
Tipico del “monachesimo” comunista. Capitò a tanti, in primis, nel dopoguerra, a Ignazio Silone, che si dissociò dalla “chiesa comunista” che a forza lo aveva spinto ad abiurare la sua fede cristiana e ritornò a credere nel Cristo che immaginava. 40 anni dopo l’abiura del comunismo, ancora i giornali dell’orbita PCI, come tutta l’intellighezia comunista, gli sputava addosso, lo insolentiva, gli dava dello psicopatico. Anche da morto. Nulla di nuovo sotto il sole rosso. Ma torniamo al tuo libro…
Nel libro ho cercato di dimostrare che Ferretti non è mai stato ateo, che c’è un filo rosso in tutta la sua carriera. Filo che porta al cattolicesimo. Chi lo critica non sa o non capisce, o preferisce non capire. Comunque, lui ha gradito il libro. E non solo lui, fortunatamente. Anni fa noi di SparaJurij avevamo in progetto una rivista con lui. Poi le sue vicende personali, soprattutto la cura della madre, non gli hanno concesso il tempo.
Si sa niente su come la pensi a proposito di messa antica il Ferretti? …Pare che all’inizio lui fosse un corista della parrocchietta, di gregoriano… e molto è rimasto di quell’esperienza nel suo modo di cantare, a mio parere.
Già dai tempi dei Cccp il suo modo di cantare deve molto a quell’impronta gregoriana, e nel suo caso anche alpina, o meglio appenninica. Anche lui ama la Messa come Dio comanda e sente un profondo rispetto per i luoghi di culto. Ricordo un suo concerto, solo voce e violino, in una chiesetta in alta Val Susa, dentro una chiesa, invitato dal parroco. All’inizio, pregò il pubblico di non applaudire: dato il luogo, non era il caso.
IL MUSICOPATA
Soffri e si vede, specie su fb, di musicopatia. Dal peggiore kitsch anni ’80 alle composizioni di lusso e culturalmente stimolanti degli ultimi 20 anni (tipo, appunto, Ferretti)… avesse inciso sulla tua scelta di campo religiosa?
Eh già, ho un passato da cantante sguaiato in qualche gruppo punk e per un paio di anni ho lavorato come dj facendo ballar con roba anni ’80, quella della mia adolescenza. Su fb continuo un po’ a fare il dj. Di cantare, meno male, ho smesso. La musica non è stata del tutto estranea al mio percorso religioso: da ragazzino, prima della fase sinistroide, mi sentivo cristiano per le canzoni degli U2, non per l’ora di religione a scuola.
Poi ci ho pure un’altra antica curiosità e mi rivolgo al musicopata che sei: perchè i cantanti degli anni ’60-’90 hanno cominciato a considerare irrinunciabile l’accoppiata fare musica e autodistruggersi? Suonare, cantare e farsi, strafarsi e suicidarsi? Di che castigo divino si tratta?
Il rock si porta dietro il peccato originale di cercare la trascendenza fuori dai giusti ambiti, come tutto il mondo moderno. Per certi versi è il culmine del mondo moderno stesso e dunque tende a dare il giro, insomma torna dalla parti di Cristo. Per quanto riguarda le droghe ci sono due discorsi differenti: o dovevano aprire le porte della percezione per garantire un misticismo caotico e a buon mercato oppure accellerare l’autodistruzione. Il tutto è molto gnostico. Ma dicevo che sì può dare il giro. Lo sai che Keith Richards dei Rolling Stones, per molti anni l’icona vivente del rocker maledetto e tossico, è cattolico?
Non me ne frega niente: pure Hitler lo era…
I CATTOLICI DOVREBBERO ALZARE UN PO’ I TONI
Hai detto di Ferretti che lui pure quando parteggiava per un URSS già vistosamente (tranne che per i soliti “esperti” della mazza, i soloni, gli opinion-maker e i cattedratici radical-chic) in decomposizione, in fondo lo faceva per “spirito conservatore”. La stessa ragione che lo spinge oggi a essere se non esattamente berlusconiano certamente a destra e dalla parte di papa Benedetto. Fosse la stessa cosa per te?
Ma sei sicuro che alla gente gliene freghi?
Nu me ne po’ frega’ de meno!
No, per me non è stata la stessa cosa. Piuttosto ritorno su Lindo. Ferretti è sempre stato un conservatore, prima berlingueriano, poi dossettiano, ora – non senza traumi – un reduce che vota centrodestra perché, come tanti, sente di poter fare altro. Io quando ero comunista mi sentivo all’avanguardia e scrivevo poesie “d’avanguardia”. E adesso? Certo non sono un futurista, meno che mai un comunista. Non posso dirmi reazionario perché non credo nelle utopie, e sono conservatore su molte cose, su altre meno. Non reggono più le categorie ereditate dalla modernità: destra, sinistra, ismi vari.
Sai ‘na cosa?… io ho un sospetto su di te: appari mite, ben educato, amabile… un antipersonaggio per antonomasia. Ma dentro di te si nasconde, e molto bene, uno sgargiante ed eccentrico dandy che non osa dire il suo nome, che nega se stesso. Ancora una volta: te arisurta?
Forse sono uno dandy sgargiante ma ben educato. Amabile non tanto, visto che con “DoppiFini” e qualche articolo un po’ di nemici me li son fatti.
Cosa ti disturba del cattolicesimo scrivente, virtuale o stampato? E prima di dirmelo: come te pare sto sito qua?
Del giornalismo cattolico odierno mi disturba una certa prudenza, un tenere i toni bassi. Giusto che spesso sia la Chiesa come istituzione a farlo. Ma i laici cattolici possono permettersi di alzare un po’ i toni, non giocare sempre in difesa. Negli ultimi anni mi pare che qualcosa si stia movendo, finalmente. Papalepapale.com per esempio: è un ottimo esempio di questa riscossa. Già solo per il linguaggio che usate, date un’immagine del giovane cattolico non da parrocchietta. Sai, agli anticlericali in fondo piace pensarci tutti dei Don Abbondio.
Che libro stai scrivendo?
Il libro che i fan dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti ameranno odiare e che mira a mettere in imbarazzo i lettori di Famiglia Cristiana. Ma questa è tutta gente che non lo leggerà. Dunque miro a un pubblico cattolico...
http://www.papalepapale.com/