Debito, l'Italia come l'Argentina. La lectio magistralis di Mr Telecom
Giovedì, 2 febbraio 2012 - 14:24:00
Una soluzione drastica, di quelle da far tremare i polsi. Tre semplici paroline usate per descrivere la situazione dell'Italia ovvero debito, default e Argentina che, se a pronunciarle è il presidente esecutivo di Telecom Franco Bernabé, ci si capacita perché ai primi di novembre le grandi banche internazionali si preparassero davvero al peggio, paventando il crac dell'euro.
Sì, avete capito bene. Per Bernabè, bloccata dal suo mega-debito, l'Italia potrebbe tirare una riga, deconsolidando il suo rosso da 1900 miliardi diventato oramai insostenibile e ripartire di slancio. Durante l'incontro a Milano per la presentazione del libro di Piercarlo Ceccarelli "L'urto della crisi", appuntamento a cui ha partecipato anche il direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino, Bernabè si è prodotto in un'entusiasmante e lucida analisi dell'Italia, delle carenze della sua economia e dei mali del sistema nazionale e ha concluso uno dei suoi ragionamenti, dicendo che il nostro Paese, schiacciato da un indebitamento monstre, dovrebbe ripercorrere la strada battuta dall'Argentina nel 2001: dichiarare default, svalutare la sua moneta e imboccare, grazie all'export, un sentiero virtuoso di crescita decennale che l'ha portata fuori dalle secche della crisi.
"Sapete che c'è?", ha detto infatti il manager di Vipiteno interrogato dall'amministratore delegato di Bticino Paolo Perino, lasciando un po' stupiti i presenti, "uno dovrebbe dire, come ha fatto l'Argentina nel 2001, chi ha dato, ha dato, ha dato. Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto e.... Quando si arriva a livelli di debito insostenibile, com'è il caso della Grecia o com'è stato quello dell'Argentina...". Altro che salva-Italia, cresci-Italia o semplifica-Italia, quindi. Bisogna lasciare ormai i Btp al loro inevitabile destino da Tango-Bond, con buona pace per Mario Monti, che per Bernabè ha fatto tutto quello che poteva e doveva fare. Non molto, però, se si pensa che uno dei grandi mali del sistema-Italia è la "scarsa preparazione della manodopera nazionale", skill al negativo che ci vede fanalino di coda "nell'area Ocse per educazione finanziaria, con un elevato livello di drop-outs (dispersione scolastica, ndr)", un problema che si risolve solo "ricostruendo le fondamenta della società italiana".
In che modo? Una ricetta da annotare sui taccuini. "Riformando il sistema educativo che richiede purtroppo tempi lunghi", esordisce Bernabè. "Intervenendo in maniera forte sul sistema giudiziaro garantendo la certezza del diritto", è la seconda pillola e "riportando al centro dei valori la meritocrazia". In sostanza abbandonando quell'odiosa economia di relazione che ci contraddistingue in tutto il mondo e che ha come triste epilogo "la fuga all'estero dei giovani cervelli", sottolinea Bernabè.
C'è n'è per tutti. A cominciare da un non troppo velato attacco alla stagione del consolidamento del sistema bancario italiano e ai grandi banchieri tricolori (leggi Cesare Geronzi e Alessandro Profumo), rei di aver portato a compimento "aggregazioni non sempre giustificate", ispirate talvolta da "ambizioni personalistiche" e che hanno fatto perdere di vista agli istituti di credito la "loro mission originaria che è quella di servire il territorio d'appartenenza, facendo crescere le imprese". Sistema ora in cortocircuito. Banchieri, fra cui invece, al contrario, si è distinto il presidente della Bce Mario Draghi, "vero salvatore della sistema creditizio europeo" che andava verso la nazionalizzazione. Con l'asta di liquidità illimitata alle banche del Vecchio Continente (entro giugno ne arriveranno altre due), Draghi ha messo una pezza al grande problema del funding.
Poi, una stoccata persino al comandante della nave Costa-Concordia, affondata poche settimane fa all'isola del Giglio. Un esempio in negativo, quello del comandante campano, di come un manager non deve guidare un'azienda, "non attenendosi, cioè, alle regole che servono". Principi che fanno di un manager un "buon comandante". Non rispettandole, Schettino ha finito non solo per "provocare un elevato numero di morti", ma anche per "provocare un danno alla reputazione dell'Italia in questo delicato momento". Cosa di cui proprio non avevamo bisogno.
Un autentico Bernabè-show, una lezione di storia economica con focus sull'Italia "che ora deve farcela da sola, contando soltanto sulle proprie forze", dopo aver sperimentato "prima la protezione americana negli anni '60, per il suo essere geopoliticamente un baluardo al pericolo sovietico" e "poi, negli anni 2000, l'ombrello dell'euro". Davvero un pranzo istruttivo, non c'è che dire, visto che il manager Telecom insieme a Sergio Dompè, presidente della Farmaceutici Dompè, e a Paolo Perino, sono stati incalzati dalle domande dei presenti alla Società del Giardino, mentre pasteggiavano a crespelle, filetti e macedonia di frutta fresca, portate innaffiate da un ottimo Morellino d'annata. Terminata la lectio magistralis, le domande price-sensitive di Affaritaliani.it all'ex Eni. Le risposte che la Borsa aspetta per fare le sue scelte di asset allocation. "Presidente Bernabè, ma taglierà il dividendo Telecom 2012?", "E Virgilio? E' vero che la vende? A che punto è la trattativa?". Bernabè ride simpaticamente, sguardo sornione, ma stavolta è meno ciarliero...
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"Ci siamo trovati di fronte a una crisi repentina e ho voluto sensibilizzare la classe dirigente a porre la gestione della compessità come prima missione del proprio carattere". Piercarlo Ceccarelli, autore del volume "L'urto della crisi" introduce così l'incontro organizzato dalla Mind Edizioni per presentare il suo libro. Secondo la tesi prevalente di Ceccarelli "la conoscenza nelle aziende c'è, ma è dispersa nei suoi diversi livelli di governance" e "bisogna concentrarla nelle mani di pochi manager per poter rendere più agevole il cambiamento dell'impresa". "L'Italia, quindi, - dice Ceccarelli - uscirà dalla crisi" grazie a "più scienza e meno arte". Poi viene data la parola al presidente di Telecom Franco Bernabè. "Uno dei problemi dell'Italia è quello di eccedere nella gestione della complessità, mentre probabilmente un approccio più ordinato ai problemi renderebbe molto più semplici le cose", spiega il manager trentino che cita un episodio di quand'era alla guida dell'Eni: "Un mio top manager criticò gli americani che si attengono troppo alle regole, ma le regole sono un sistema fondamentale per assicurare il principio del controllo". Altrimenti si fa come "il comandate italiano della Costa-Concordia che..."
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Tocca poi a Sergio Dompè fare il punto della situazione. L'industriale, citando il fortunato caso produttivo dell'iPhone, mette l'accento sulla "mancanza di competitività del nostro Paese" e spiega che ogni "imprenditore si deve creare delle capacità competitive coerenti con il business plan dove opera". Per Dompè in Italia "manca un disegno strategico", in grado di "renderci competitivi sui mercati internazionali". L'amministratore delegato di Bticino Paolo Perino spiega invece "la mancanza di competitività delle nostre imprese", mettendola in relazione con "la dimensione aziendale. Un tessuto di piccole e medie imprese incapace di muoversi sui mercati internazionali, perché non ha cultura globale". Poi un giudizio sull'operato del presidente del Consiglio Mario Monti. Perino "vede ancora poco per l'industria". Mentre Bernabè riconosce che "il Governo non solo ha fatto quello che doveva fare, ma non ha potuto fare niente di diverso".
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