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  1. #161
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  2. #162
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  3. #163
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  4. #164
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  5. #165
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    Predefinito Re: Prose cattoliche romane integrali

    Idee chiare su un partito cattolico | Radio Spada

    Viglione e il CCC (articolo di Pietro Ferrari)

  6. #166
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  7. #167
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  8. #168
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  9. #169
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    Predefinito Re: Prose cattoliche romane integrali

    Aver partecipato, con altri carissimi amici, alla fondazione de “L’insorgente” il 7 novembre 2004 a Milano è una di quelle cose che puoi aggiungere ad uno speciale ma importante curriculum, quello delle cose che fai donando te stesso, le tue forze, le tue energie intellettuali e morali ad una battaglia nobile e necessaria, anche se dall’esito incerto o sfortunato. E’ un curriculum che continuo ad aggiornare anche oggi e di cui ogni voce è una parte importante, imprescindibile, indimenticabile, anche quando i ricordi possono essere più o meno foschi, più o meno amari.
    Infatti non rinnego affatto quest’esperienza che, oltre a darmi l’occasione di scrivere su cose che amavo ed amo, mi ha fatto diventare parte di una piccola e variegata comunità di intellettuali e uomini d’azione che, pur con varie vicissitudini e traversie, ha portato avanti per tre anni un foglio anticonformista, ed identitario e che ancora oggi, pur con un impianto ed una struttura diversi, continua a raccogliere non conformi e non conformistiche.
    Questa coraggiosa rivista aveva due elementi che campeggiavano sulla testata e che mi sono rimasti nel cuore: un tamburino che chiamava i popoli all’insorgere ed la parola “antagonista” presente nel sottotitolo della nostra rivista (“Foglio di lavoro per la riscoperta e la diffusione di una cultura autonomista ed antagonista”). Il tamburino chiama all’Insorgenza: si tratta di un ruolo, forse modesto ma proprio per questo imprescindibile, che oggi dovrebbe svolgere un intellettuale degno di questo nome. Il “tamburino“ deve essere un Refrattario alla Rivoluzione che oggi (ancor di più che nel 2004) tutto domina, sovrasta, svuota, divora; deve essere un Brigante controrivoluzionario in nome di un Ordine superiore, divino trascendente ed eterno, opposto alle ideologie disumanizzanti e distruttive che dominano il mondo contemporaneo (asservito al liberalismo americano ed, in ultima analisi, all’umanitarismo omicida e deicida degli “immortali principi” del 1789); deve essere Testimone dell’assedio che stiamo vivendo. Siamo infatti assediati, giocoforza il dirlo ma non mi riferisco ovviamente alle ondate immigrazionistiche che nel 2004 erano violenti marosi e oggi sono muraglie d’uragano. Mi riferisco all’assedio del politicamente corretto (che ormai sta assumendo i connotati funesti di leggi repressive presenti e future sempre più invasive), che invade le scuole, i giornali, i partiti, i tribunali, financo la Chiesa. Quest’assedio è una macina che divora le anime, le piega, ora alla viltà, ora al conformismo, ora al rifugio individualistico, al “particulare” degli affetti o degli utili, alla cupidigia di farsi servi (gridando al mondo di essere “liberi”).
    E quanti abbiamo visti cadere in questi anni, quanti abbiamo visto “impazzire”, quanti abbiamo visto fuggire, quanti abbiamo visto cambiare casacca e marsina, rientrare nei “palazzi dorati”, complici dell’Assedio, con lo stesso sguardo protervo con cui ne erano usciti. Spetterà forse a qualcuno di noi di scrivere la storia di questi anni: coraggiosi e belli, perduti ma non vani e si scriverà questa storia a tempo debito, “sine ira ac studio” ma attribuendo a ciascuno il suo.
    L’aggettivo “antagonista” sulla testata de “L’insorgente” richiamava a collaborare tanti ribelli alla rivoluzione imperante, alla tirannide del buonismo, alla dittatura del “buon senso” (borghesisticamente o massonicamente inteso): erano spiriti diversi, opposti, direi naturalmente “ostili” gli uni agli altri, che trovavano però un spalto da dove gridare con forza le ragioni del proprio “No”, assoluto, motivato, irrevocabile. Anche perché, per sicurezza, siamo usi far saltare i ponti per impedirci ripensamenti regressivi.
    Tra questi “ribelli” (ultimo o certamente minore per acume, preparazione e ingegno) c’ero anche io ed insieme ad altre penne (ricordo Filippo Prati, Don Ugo Carandino e Don Ugolino Giugni) ho portato a “L’Insorgente” il contributo del cattolicesimo romano, integralmente inteso, professato e vissuto, che, rifiutando la rivoluzione del Concilio Vaticano II, si faceva testimone di quella civiltà ed Europa cristiana, prima vittima della rivoluzione del mondialismo. Come si sa, il fondamento (anche etimologicamente) di una comunità è il dono ed ho necessariamente cercato di donare ciò che di più prezioso avessi nel mio bagaglio culturale e personale. Ringrazio ancora Sergio Terzaghi per avermi consentito, con grande libertà e senza condizionamenti, pur in un contesto dove non mancavano voci difformi e contrarie, di portare avanti, in vari articoli, questa Weltanschauung che personalmente considero coincidente con la Verità tutta intera e massimamente utile per combattere questi demoni nuovi ed eterni che vogliono distruggere ciò di sano, di giusto e di naturalmente umano resta oggi al mondo.

    Piergiorgio Seveso
    Ultima modifica di Guelfo Nero; 07-01-15 alle 20:15

  10. #170
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    Predefinito Re: Prose cattoliche romane integrali

    Citazione Originariamente Scritto da Luca Visualizza Messaggio
    Si alla pena di Morte

    Viviamo in un'epoca strana e un po' bislacca, in cui tutto ciò che è naturale, giusto, ordinario, ragionevole, facilmente percepibile, viene misconosciuto, deriso, squalificato, messo alla berlina.
    Anche la pena di morte, parte integrante della civiltà giuridica europea, subisce questa temporanea eclissi della ragione: intellettuali impegnati a...distruggere, politicanti alla ricerca di consenso, docenti colti dalla prurigine delle novità (penso ad esempio alla giurisprudenza affabulatoria di Federico Stella nel nostro Ateneo), preti che hanno barattato il Vangelo con pietismi sociologici, tutti stanno a gridare e a sbracciarsi contro la pena di morte. Eppure la nostra gente, l'anima profonda del nostro popolo, anche se martellata dalla propaganda abolizionista, sa bene che la pena di morte può e in alcuni casi DEVE essere la punizione adeguata per certi reati, o particolarmente odiosi e brutali, o tali da mettere in pericolo la tranquillità e l'ordine sociale. Chi scrive non pensa che la pena di morte sia utilitirasticamente solo un fattore di deterrenza; gli studi di Isaac Erlich e Ernst Van den Haag hanno comunque dimostrato, anche statisticamente, il forte impatto dissuasivo della pena capitale, piuttosto che l'ergastolo, sulle comunità criminali. Una comunità, una società di cittadini, uno stato, come persona giuridica perfetta depositaria del diritto e della forza, esercitando il diritto di difendersi e difendere i propri membri anche attraverso la pena capitale, riafferma il supremo valore della convivenza umana, negato dall'atto del criminale, ridona fiducia ai cittadini, dissuade i buoni dal farsi giustizia da soli, riconosce anche assiologicamente il supremo valore della libertà e della dignità umana che è essenzialmente RESPONSABILITA' (in questo caso nel reo). L'elemento rieducativo della pena (che è, ed è bene ricordarlo, CASTIGO per essenza, rieducazione per accidens) non è negato nemmeno dalla pena di morte. I rei, posti innanzi al patibolo, sono di fronte al grande mistero della morte (che l'abitudinario e comodo ergastolo nemmeno lontanamente riesce a suscitare). I loro delitti, le loro vittime, li interrogano e li incalzano: spetta alla loro coscienza rispondere in quel momento. Il pericolo dell'errore giudiziario (la gran cassa sfondata dell'orchestrina abolizionista) non può inibire l'utilizzo della pena di morte, come il pericolo dell'errore non può inibire l'utilizzo della chirurgia in medicina: i giudici giudichino con ponderazione, imparzialità e prudenza (ovviamente nei casi dubbi), prima di sanzionare con una pena tanto grave. E comunque "abusum non tollit usum". Lo stesso "Non uccidere" biblico va inteso ed è sempre stato inteso come "Non uccidere l'innocente": non esclude assolutamente quindi l'uccidere l'aggressore per legittima difesa, l'uccidere l'avversario nell'esercizio di una guerra giusta, l'uccidere un colpevole da parte di una comunità statuale, dopo un adeguato procedimento giudiziario.
    Quindi la pena di morte non è omicidio ma ristabilimento di un ordine naturale violato. Possiamo chiudere con due autorevoli giudizi, uno laico e uno religioso, sulla pena capitale. Il primo di Gianfranco Miglio che nel 1992 ebbe a dichiarare: "Un paese in cui vige la vera civiltà del diritto deve ammettere la possibilità di togliere la vita a chi commette reati oltre una certa gravità" mentre Papa Pio XII, in un'allocuzione del 14 settembre 1952, riconfermando la dottrina e la prassi millenaria della Chiesa cattolica sull'argomento ebbe ad affermare: "E' riservato al pubblico potere privare il condannato del bene della vita, in espiazione del suo fallo dopo che col suo crimine, si è SPOGLIATO del diritto alla vita".

    Piergiorgio Seveso

    (Tratto da "Il Cinghiale corazzato" numero 10. settembre-ottobre 2005, foglio di informazione e cultura dell'allora MUP dell'Università Cattolica del Sacro Cuore)
    Due meravigliose storie di conversione - Radio Spada

 

 
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