Originariamente Scritto da
Heidi
Giovedì 9 sera, ascoltavo un servizio mandato in onda durante il telegiornale, in cui si rendeva nota una graduatoria sul numero dei laureati nei Paesi UE e l’Italia si conferma agli ultimi posti.
Secondo alcuni dati OCSE di settembre 2011 la percentuale dei laureati italiani è del 20% contro il 37,1 degli altri Paesi e i dati hanno registrato un netto peggioramento negli ultimi anni.
Sono diminuite persino le iscrizioni all’Università.
74,5 % nel 2003
66 % nel 2008/09
65 % nel 2009/10
C’è da chiedersi il perché!
Sicuramente le cause sono molte.
- Abbiamo università disorganizzate, con una scarsa offerta e questo contribuisce a spegnere gli interessi e probabilmente è anche una delle cause dei molti abbandoni dopo il primo anno.
- I costi non sono bassi, se si considerano le tasse, i testi e in molti casi anche gli alloggi.
- Tempi lunghi per pervenire ad una poco probabile professione che appaghi lo sforzo degli anni di studio impiegati e la mancanza di guadagni che li ha accompagnati.
A tutto ciò aggiungiamo pure che lo Stato non investe abbastanza sull’istruzione e quindi le strutture necessarie alla formazione professionale restano insufficienti.
Ma, al di là di questi dati, ci sono, secondo me, delle cause sottostanti, che vanno ricercate nel percorso didattico formativo degli anni scolastici, che precedono l’Università.
La scuola oggi non riesce più a trasmettere allo studente quell’ interesse per lo studio, che lo porti ad avere la voglia di perfezionarsi, di conoscere e di crescere culturalmente.
Riforme, sempre più peggiorative, hanno creato un vuoto di contenuti e di stimoli, che hanno mortificato le potenzialità intellettive degli alunni, dal loro primo ingresso a scuola, fino alla soglia dell’Università.
Il troppo “buonismo” nelle valutazioni ha consentito apprendimenti approssimativi e, non di meno, l’eccessivo permissivismo, nei confronti di comportamenti scorretti, hanno contribuito a creare una personalità scolastica sbagliata, molto più vicina al “tutto va bene” e al “voglio tutto facile” piuttosto che ad un serio impegno, che non escluda il sacrifico e che sia proteso fermamente alla realizzazione delle proprie aspirazioni e di obiettivi socialmente elevati.