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    Blut und Boden
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    Predefinito Giornata della Memoria. Dresda 1945

    13 febbraio 1945: Apocalisse a Dresda –
    La barbarie democratica



    Pile di cadaveri in una piazza di Dresda
    C’è un monumento nella parte settentrionale di Dresda che ricorda le vittime del quadruplice bombardamento del 13-14 e 15 febbraio del ’45 su Dresda. Sulla lapide sono poste due domande: “Quanti morirono? Chi conosce il numero?”. Purtroppo il numero finale di morti non potrà mai essere definito con precisione: alcuni storici come David Irving (“Apocalisse a Dresda”, 1963) calcolano 135000 decessi ma altre ricostruzioni storiche arrivano a cifre apocalittiche: 200000 morti, più delle vittime di Hiroscima e Nagasaki messe assieme, molte di più dei pur violenti bombardamenti su Berlino, Amburgo e Tokio nel corso della seconda guerra mondiale.
    Come mai un numero così impressionante di morti in una città che arrivava prima della guerra a 630000 abitanti? Ma soprattutto, quali ragioni militari e politiche spiegano la decisione di bombardare un gioiello architettonico privo di obiettivi strategici? Chi ha preso la decisione? Sono tutte domande alle quali studi recenti danno una risposta in gran parte soddisfacente, ma non priva di zone d’ombra.

    La situazione a Dresda prima dei bombardamenti.
    La vita prima dell’evacuazione in massa dei tedeschi orientali di fronte all’avanzata sovietica contava circa 630000 abitanti. Era una delle più belle città tedesche dell’epoca, edificata con spiccate forme architettoniche rococò già durante il XVIII secolo fino a diventare l’”Atene” e la “Firenze dell’Elba”. Di fronte all’impressionante avanzata nell’est europeo dell’Armata Rossa moltissimi tedeschi fuggirono inorriditi dalle loro case, anche a causa delle violenze che i russi infliggevano ai civili che si rifiutavano di evacuare la zona da loro abitata.E’ evidente nei russi il desiderio di vendicare la distruzione del loro territorio ad opera delle Wehrmacht e contemporaneamente le tante sofferenze patite dai civili russi: fucilazioni di massa, stupri, incendi di interi villaggi, deportazione degli uomini nei lager, ecc.
    L’affluenza dei profughi verso Dresda aumentò quando i russi furono molto vicini al confine con la Germania. Ben 5 milioni di tedeschi abbandonarono la propria casa tra il gennaio e il febbraio ’45. In quel momento sembrò che tutta la Germania orientale fosse perduta (Prussia e Slesia) e il centro più sicuro fosse Dresda in Sassonia. In pochi mesi la popolazione a Dresda oscillò tra 1200000 e 1400000 unità. Da parte delle autorità tedesche e dei civili c’era l’illusione che Dresda non sarebbe mai stata attaccata dal cielo a causa della quasi totale mancanza di industrie che lavorassero per la guerra. Anche le bellezze architettoniche e i tesori artistici sembravano fare di Dresda una realtà estranea alla guerra. Nei mesi precedenti c’era stato solo un debole tentativo di distruggere l’area industriale della città (7 ottobre ‘44). L’incursione aerea provocò 438 morti. Un’altra incursione aerea (16 gennaio ’45) aveva causato 376 vittime.
    Tutto questo spiega la totale mancanza della contraerea e di strutture di rifugio per i civili in caso di attacco dal cielo. Ma il 13 febbraio alle ore 22 e 19 si scatenò l’inferno nonostante in alcuni campi intorno alla città vi fossero circa 26000 prigionieri di guerra di diverse nazionalità, tra cui molti inglesi. Aveva così inizio l’operazione “thunderclap” (Colpo di tuono) con l’obiettivo della “tempesta di fuoco” sulla città, ossia il bombardamento con finalità terroristiche, voluto soprattutto da Churchill.
    Il quadruplice attacco.
    Il primo attacco, il 13 febbraio, durò dalle 22 e 9 fino alle 22 e 35 e sulla città furono sganciate circa 3000 bombe dirompenti e 400000 incendiarie. Molte dirompenti pesavano tra i 1800 e i 3600 chilogrammi. L’incursione della RAF colse di sorpresa abitanti e autorità. Nel sottosuolo erano state costruite molte gallerie ma queste strutture erano del tutto inadeguate di fronte alle incendiarie le quali appiccavano rovinosi incendi che penetravano facilmente nei rifugi antiaerei non dotati di ventilazione. I singoli rifugi erano divisi da pareti che all’occorrenza erano facilmente abbattibili, tutto questo facilitò il propagarsi dei gas caldi uccidendo migliaia di persone asserragliate nei rifugi.
    Durante il secondo attacco, il 14 febbraio, dall’1 e 22 all’1 e 54 , su una città già violentemente colpita, furono sganciate circa 4500 dirompenti e 170000 incendiarie. Nelle due operazioni vennero utilizzati 1400 bombardieri con 6000 aviatori. L’intervallo di 3 ore doveva servire per colpire anche le strutture antincendio e di “protezione civile” che nel frattempo sarebbero affluite a Dresda. Contemporaneamente sarebbe stato possibile sorprendere la popolazione fuori dai rifugi.
    Ormai è chiaro qual era l’obiettivo: infliggere danni gravissimi alla città colpendo la parte più debole ma anche estranea alla guerra: gli abitanti e i profughi dell’Est privi di protezione da parte delle autorità militari tedesche. Al termine del secondo attacco la città era un gigantesco incendio visibile nel buio della notte a centinaia di chilometri di distanza. Il denso fumo nero che si alzava era causato dalle strutture delle abitazioni che ardevano ma anche dalla combustione di migliaia di corpi di civili.
    Il terzo attacco, sempre il 14 febbraio, però questa volta in pieno giorno, riversò su Dresda 1500 dirompenti e 50000 incendiarie. Furono impiegate 1350 fortezze volanti e Liberatores 14 ore dopo il primo attacco. Il quarto attacco su una città che continuava ad ardere avvenne il 15 febbraio, durò circa 40 minuti in pieno giorno, e riversò sulla città 900 dirompenti e 50000 incendiarie. Gli ultimi due attacchi furono condotti dall’aviazione americana.
    L’obiettivo erano ancora i civili, infatti furono utilizzate ancora le incendiarie e soprattutto i terribili “Mosquito” i quali mitragliavano, passando appena sopra i tetti delle case, tutto ciò che si muoveva. Così i civili che miracolosamente erano sopravvissuti furono mitragliati dai piloti americani vicino al fiume e nei parchi cittadini dove l’entità delle distruzioni era minore. L’ultimo attacco ci fu il 2 marzo quandi più di 1200 bombardieri finirono di distruggere il poco che ancora era rimasto in piedi nella città. Anche questa volta lo scalo ferroviario non fu colpito.
    Perché questa orrenda carneficina?
    E’ necessario, come sempre quando si analizzano fatti storici, distinguere le ragioni addotte dagli aggressori e le probabili cause dello stesso avvenimento evidenziate dagli storici. Per inglesi e americani Dresda era una città di particolare importanza strategica a livello militare (passaggio di truppe dirette ad Est), industriale (molte fabbriche lavoravano per la guerra) e come snodo ferroviario della Germania centro-orientale. In più gli anglo-americani sostenevano che a Yalta i russi avevano chiesto incursioni aeree alleate sulle città tedesche per facilitare l’avanzata dell’Armata Rossa.
    Le prime due ragioni erano assolutamente fuori luogo (era impensabile che le truppe tedesche passassero proprio nel centro della città). L’ultima affermazione fu smentita dai russi dopo la guerra. Solo la terza aveva qualche validità. Ma allora perché usare prevalentemente le incendiarie se l’obiettivo era anche il sistema ferroviario di Dresda? Secondo i sopravvissuti al quadruplice attacco i danni che le strutture ferroviarie di Dresda riportarono erano minimi. Solo 3 giorni dopo fu possibile far circolare di nuovo i treni. Invece nella stazione centrale erano stati trovati migliaia di corpi privi di vita a causa delle altissime temperature (fino a 1000 gradi) e dei gas venefici respirati. Non fu neanche attaccato l’aereoporto civile e militare di Dresda-Klotrch nonostante il sovraffollamento di velivoli. Anche l’area industriale fu poco danneggiata.
    Quali sono allora le cause?
    Secondo Irving, Dresda potrebbe essere definito il primo episodio della “Guerra fredda” piuttosto che un evento traumatico dei mesi che precedono la fine della II guerra mondiale. Infatti le truppe russe fin dal ’44 avanzavano velocemente e senza ostacoli dispiegando una potenza bellica quasi illimitata in fatto di uomini arruolati. Invece le operazioni anglo-americane nel continente sembravano immobili: il fronte italiano era bloccato lungo l’Appennino tosco-marchigiano e l’avanzata dopo lo sbarco in Normandia procedeva con relativa lentezza. A questo punto il disastroso bombardamento di Dresda serviva anche per mostrare ai russi, i quali avevano ormai occupato gran parte dell’Est europeo, di quale potenza di fuoco disponessero gli alleati.
    La conferenza di Yalta (4 – 11 febbraio ’45) si era appena conclusa in Crimea e i tre grandi: Roosvelt, Churchill e Stalin avevano diviso l’Europa e il mondo in due grandi aree di influenza politico-economico e militare. Il bombardamento di Dresda doveva servire ai russi per capire che lo stesso trattamento poteva essere riservato a loro se i patti di Yalta nono fossero stati rispettati. Nelle sue memorie di guerra sembra che Churchill sia stato incapace di qualsiasi minima emozione al ricordo dell’attacco a Dresda. Ha scritto: “Lo scorso mese abbiamo effettuato un pesante raid su Dresda, allora un centro di comunicazione del fronte orientale tedesco”.
    Probabilmente la stessa logica è alla base del duplice bombardamento atomico di Hiroscima e Nagasaki voluto da Truman: non tanto per dare la spallata definitiva ad un Giappone ormai agonizzante, quanto per mostrare ai russi quali terribile arma avessero gli americani da far valere nel quadro dei rapporti di forza a livello internazionale. Un’altra causa plausibile per spiegare l’attacco su Dresda riguardava la saldezza del fronte interno tedesco e la necessità di minarne le basi con azioni terroristiche in grande stile. A questo proposito i bombardamenti convenzionali sulla Germania non bastavano più, erano necessarie altre armi terribili come le bombe incendiarie per carbonizzare e terrorizzare migliaia di innocenti. Ma come spiega Irving, nel saggio citato, dopo Dresda non ci furono più altre azioni simili e così il fronte interno tedesco resse fino al suicidio di Hitler e alla cessazione delle ostilità l’8 maggio ’45. I russi arrivarono a Dresda appunto l’8 maggio: il tremendo bombardamento non era servito a “liberare” Dresda neppure un giorno prima della fine della guerra.
    Se gli obiettivi politico-militari del quadruplice attacco furono un fallimento, il risultato fu un’immane catastrofe per una splendida città e per migliaia di contadini annientati e di bambini bruciati vivi per l’intenso calore, carbonizzati, diventati cenere e asfissiati dal monossido di carbonio e dal fumo. Più di 240 chilometri quadrati della città furono divorati in una solo notte e la città bruciò per 7 giorni e 7 notti.
    Chi scrive è convinto che la tragedia di Dresda è ancora oggi poco conosciuta al di fuori della Germania. Forse è il destino della storia che esalta i vincitori, nascondendo gli orrori da essi provocati, e denigra eccessivamente i perdenti, misconoscendo come in questo caso le orribili sofferenze patite dai civili inermi.

    13 febbraio 1945: Apocalisse a Dresda – La barbarie democratica « Il Blog di Salinguerra
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Tristissima giornata.
    Grazie per il ricordo, Eridano.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #3
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Dresda, 1945. La distruzione
    di Mario Grossi - 03/11/2008

    Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]


    Con mio profondo sollievo dopo 4 anni di ricerche indefesse finalmente la verità è venuta a galla.


    Vengo informato da un articolo circostanziato che una commissione di storici, tra i più qualificati si dice (compaiono però nella lista dei membri un tal Gotz Bergander e Helmut Schantz entrambi con la qualifica di testimoni e poi Nicole Schonherr del Museo della donna di Dresda), ha concluso i suoi studi ed è giunta a delle conclusioni inequivocabili. Per poter leggere i resoconti di questo estenuante lavoro si dovrà attendere ancora un anno e solo allora potremo verificare che cosa ci sta scritto dentro. Sto parlando di una Commissione di storici che, istituita nel 2004, aveva come compito di accertare il reale numero di civili morti nel famigerato bombardamento di Dresda.


    Per chi non ricorda i fatti nei giorni tra il 13 e il 15 febbraio 1945 Dresda fu rasa al suolo da uno dei più spaventosi bombardamenti che gli Angloamericani attuarono ai danni della popolazione civile tedesca. Dopo quattro anni di studio la Commissione voluta dalla città (dai suoi notabili) ha raggiunto il verdetto. Non ci furono 250000 morti e nemmeno il più plausibile numero di 140000. Ma di 18000 vittime si deve parlare, restituendo così una realtà storica utilizzata, dice l’articolista, e gonfiata per mera utilità di parte.


    Nel corso degli anni, infatti, ci viene reso noto che dei neonazisti, per avvalorare la tesi dei tedeschi vittime di un olocausto, hanno truccato i dadi e sono riusciti a far credere a tutti che i morti furono molti di più. Dei gruppi marginalizzati, in barba ai nugoli di storici ed accademici vari, sono riusciti in un complotto che a nessuno era riuscito. Con in testa (sempre rispolverato in queste occasioni) David Irving, che in un libro pubblicato negli anni sessanta La distruzione di Dresda, era riuscito nel suo intento, depistando le indagini e convincendo tutti i gonzi di turno che il numero di vittime oscillava tra le 100 e le 250000. Come ci fosse riuscito, un tipo screditato dall’accademia ufficiale, resta un mistero. Aveva ragione lui ed è riuscito a circuire delle ingenue verginelle, oppure le ingenue verginelle non erano in grado di intendere e di volere?


    Sentite cosa scrive il giornalista per convincerci del complotto neonazista: «Nel marzo 1945, la polizia di Dresda aveva stimato che i morti fossero circa 25000. Negli anni successivi, alcuni ex-nazisti aggiunsero uno zero a ognuno dei documenti: la base della falsificazione fu così creata. La sua diffusione, però, avvenne con un lavoro dell’allora giovane David Irving, il famoso negazionista dell’Olocausto.» Come a dire che, in un tempo in cui tutti in Germania si davano alla fuga, tentavano di nascondere il proprio passato, cercavano di salvarsi la pellaccia, qualche tipo ameno apportava una correzione aggiungendo uno zero per creare il mito dei bombardamenti a tappeto. E tutti si sono fatti infinocchiare da un così palese trucco. Come fu aggiunto quello zero? A penna, a matita, in caratteri runici (tanto per avvalorare la pista neonazi)? Come dire che degli scienziati dissidenti, aggiungendo alla distanza tra la Terra e la Luna uno zero, hanno convinto la comunità scientifica di tutto il mondo che il nostro satellite si fosse d’incanto allontanato dal pianeta. Ma veramente chi scrive sui giornali può pretendere dai suoi lettori che si bevano una balla simile?


    Per cui lasciamo perdere queste sciocchezze e veniamo al dunque. Fatta salva la presunta verità storica di tale approdo della ricerca ed ammesso che i morti furono veramente 18000 (la commissione informa che il numero in realtà potrebbe salire, ma solo di qualche migliaia) una tale affermazione mi fa affermare a mia volta: e chi se ne frega! Intendiamoci quel chi se ne frega non va letto come un atto di puro cinismo postumo da parte di uno smemorato e disincantato figlio della contemporaneità inconsapevole del passato. Quel chi se ne frega è motivato per quello che andrò qui di seguito sciorinando.


    Primo. La conta dei morti, di qualsiasi morto, l’ho sempre trovata una pratica macabra degna del peggior necrofilo. Non solo macabra, ma totalmente sterile, in quanto non sposta di una virgola il significato di un evento. Tutte le polemiche che ciclicamente si sono susseguite dopo la pubblicazione di infiniti libri neri mi hanno sempre lasciato indifferente. I morti attribuibili al comunismo sono stati 50 o 70 milioni? E quelli della Chiesa cattolica 3 o 5? E quelli del capitalismo 20 o 28? Mi sembra squallido ridurre tutto ad un derby Milan-Inter perpetuo, giocato non su un campo di calcio ma in un cimitero.


    Secondo. Trovo allucinante che in nome di una presunta verità storica un gruppo di studiosi, come ci ricorda il giornalista, per quattro anni di fila metta mano ai certificati di sepoltura, faccia ricerche archeologiche sui 34 chilometri quadrati del bombardamento, abbia cercato nuove prove scientifiche e studiato centinaia di testimonianza scritte. Ci mancava solo che si profanassero tombe e cadaveri e lo scenario sarebbe stato completo. Per dire cosa? Che i morti furono “solo” 18000 mila. E allora? Di questo se ne rende conto il giornalista che si affretta a dire che «questo studio non risolve la vecchia questione se si sia trattato di “crimine di guerra” o di “atto di guerra”: quella è una questione di letture che gli storici militari danno della necessità o meno di bombardare la città. Rimette però la verità coi piedi per terra». Come se io sulla bilancia affermassi, per rimettere la verità con i piedi per terra, di pesare 1 chilo di più e smettessi nel contempo di chiedermi se sono grasso o no! Pura futilità!


    Terzo. Continua a farmi arrabbiare il fatto che si possa violare impunemente la memoria di vittime innocenti (in questo caso naturalmente qualcuno eccepirà dicendo che i civili tedeschi non erano innocenti in quanto sostenitori del “male assoluto”) solo se fanno parte di un cumulo di cadaveri che vengono ritenuti indegni di pietà (proprio perché colpevoli di un male cosmico). Ve l’immaginate voi se una commissione di storici, dopo lunghi anni di studi arrivasse ad affermare che a Dachau non perirono nel campo di concentramento 600000 internati ma “solo” 450000. Un putiferio di attacchi contro il risorgente antisemitismo e revisionismo di storici bla, bla, bla.


    Quarto. Continuo ad essere convinto che il fatto in sé è importante per qualsiasi ricerca. La nozione, come quark di ogni conoscenza, è basale. Ma il puro dato non sostituisce mai la visione che ne scaturisce. Il dato informa la visione, la rende forte e veritiera ma non si sostituisce a lei. Fondamentale, per il corpo umano, lo scheletro ed i muscoli così come il cervello. Ma la vita umana è altro e di più di una semplice somma di organi. Così la Storia, che si fonda sui fatti, è altro e di più di un semplice susseguirsi di avvenimenti (che poi per me non abbia senso è un altro paio di maniche).


    Quinto. Anche nel regno della quantità, il giusto e l’ingiusto non si misurano con il consenso, ma con un percorso intellettuale che permette di affermare, al di là della pura quantità numerica, il rispetto o meno dei principi (poi naturalmente bisogna mettersi d’accordo sui principi, ma questo è un altro paio di maniche ancora).


    A questo punto, tra gli innumerevoli libri che hanno trattato dell’argomento, ne ho riesumato uno che, pur non essendo un testo storico, vale la pena di essere preso in considerazione, anche se steso in maniera tutt’altro che organica, perché vi si trovano interessanti spunti di contorno per inquadrare la situazione.


    Sto parlando di Storia naturale della distruzione di W. G. Sebald pubblicato da Adelphi nel 2004. Il testo, è la trasposizione di una serie di conferenze che l’autore tenne a Zurigo e che ha come argomento la guerra aerea e la letteratura. Si domanda l’autore come è stato possibile che in Germania nessun autore di rilievo sia stato in grado di rappresentare, al di là del manierismo delle descrizioni che talvolta compaiono, la realtà dei bombardamenti. E da qui il ragionamento saltellante tocca i punti più infuocati della questione a partire dal senso di quei bombardamenti.


    «Da che cosa sarebbe dovuta cominciare - si cheide Sebald - una storia naturale della distruzione? Da uno sguardo d’insieme sulle premesse tecniche, organizzative e politiche che consentono di realizzare attacchi aerei su larga scala? O da una descrizione scientifica del fenomeno - sino allora sconosciuto - delle tempeste di fuoco, che tracciasse la mappa, in termini patologici, delle specifiche cause di morte? Oppure da studi comportamentali sull’istinto di fuga e su quello di ritorno?


    L’autore si rende conto immediatamente che non sono sufficienti i numeri a dare un significato “vero” alla catastrofe che si scatenò sulle città tedesche. «È difficile riuscire oggi a farsi un’idea anche solo vagamente adeguata dell’immane devastazione che s’abbattè sulle città tedesche negli ultimi anni della seconda guerra mondiale,… la sola Royal Air Force sganciò sul territorio nemico un milione di tonnellate di bombe in quattrocentomila incursioni, che delle centotrentuno città attaccate parecchie vennero quasi interamente rase al suolo, che fra i civili le vittime della guerra aerea in Germania ammontarono a seicentomila persone, che tre milioni e mezzo di alloggi andarono distrutti, che alla fine del conflitto i senzatetto erano sette milioni e mezzo, che a ogni abitante di Colonia, e a ogni abitante di Amburgo o Dresda toccarono rispettivamente 31,4 e 42,8 metri cubi di macerie - anche se tutto questo ci è noto, non sappiamo però che cosa significhi nella realtà. Quell’opera di annientamento, senza precedenti nella storia… » non sappiamo bene cosa fu.


    Vanno prese in considerazione intanto le premesse, ideologiche prima e logistiche poi, partendo da una domanda sempre presente in tutti gli studi e in tutte le valutazioni che di questi fatti si sono date. «Il piano di bombardamenti indiscriminati, caldeggiato fin dal 1940 da alcuni gruppi all’interno della Royal Air Force e messo in atto a partire dal febbraio 1942 con immenso dispendio di risorse umane ed economico-militari, era strategicamente o moralmente giustificabile? E, in caso affermativo, in che modo?».


    La strategia del cosiddetto area bombing ebbe origine dalla posizione assolutamente marginale in cui era venuta a trovarsi la Gran Bretagna nel 1941. La Germania era al culmine della sua potenza e Churchill scrisse che la via per obbligare Hitler a confrontarsi con gli inglesi era una sola «and that is an absolutely devastating exterminating attack by very heavy bombers from this country upon the Nazi homeland.»


    Scopo di questa strategia era «to destroy the morale of the enimy civilian population and, in particular, of the industrial workers». Anche quando fu chiaro che questo tipo di strategia terroristica non portava a nessun significativo risultato e quando sarebbe stato possibile scatenare attacchi aerei molto più precisi e selettivi che avrebbero potuto paralizzare l’intero sistema produttivo si continuò nei bombardamenti indiscriminati. Qui Sebald introduce una duplice interpretazione che porterebbe a spiegare perché non si abbandonò questa strategia. Da un lato: «un’impresa con le dimensioni materiali e organizzative richieste da una simile offensiva aerea, che ingoiava un terzo della produzione bellica britannica, essa aveva raggiunto il massimo sviluppo, vale a dire la massima capacità distruttiva. Abbandonare lì, inutilizzati, sui campi d’aviazione dell’Inghilterra orientale i materiali ormai prodotti, era un’idea cui si ribellava il sano istinto economico».


    Dall’altro: la mentalità di sir Arthur Harris (Commander in Chief of Bomber Command) il qule credeva nella distruzione per la distruzione e «rispondeva quindi al fondamentale principio ispiratore di qualsiasi guerra: il più completo annichilimento del nemico, compresi i luoghi di questi abitanti, la sua storia e il suo ambiente naturale». La linea di Harris era «la distruzione in quanto tale. La guerra costruita sui bombardamenti era guerra in forma pura e scoperta e i civili non sono più vittime sacrificate sulla via che conduce a un qualche obiettivo, bensì esse stesse - nel vero senso del termine - e l’obiettivo e la via.»


    Da un lato quindi la ruota produttiva che non si ferma e deve consumare i suoi prodotti (aerei e bombe) immettendoli sul mercato (della guerra) e dall’altra la mente criminale di Harris che porta alle estreme conseguenze il significato della guerra terroristica trasformando i civili da “danni collaterali” a obiettivi in sé. Ma se tutto questo spiega le premesse ed il significato di questo “crimine di guerra”, che molti vorrebbero derubricare a semplice “atto di guerra”, la descrizione dell’attacco aereo su Amburgo (il nome in codice, “Operazione Gomorra“, la dice lunga sulla mentalità degli incursori) dà invece la dimensione apocalittica in cui i civili si trovarono coinvolti.


    «Durante l’attacco del 28 luglio (1943), che iniziò all’una di notte, furono sganciate diecimila tonnellate di bombe dirompenti e incendiarie sulla zona residenziale a est dell’Elba, zona densamente popolata. Seguendo una tecnica già sperimentata, in primo luogo si scardinarono e si distrussero tutte le porte e le finestre mediante bombe dirompenti da poco meno di due tonnellate l’una, quindi con piccoli ordigni incendiari si appiccò il fuoco ai solai, mentre in contemporanea bombe incendiarie capaci di raggiungere i quindici chilogrammi penetravano fin nei sotterranei. Nel giro di pochi minuti, sui circa venti chilometri quadrati dell’area attaccata, scoppiarono giganteschi incendi e si propagarono così rapidamente che, già un quarto d’ora dopo la caduta delle prime bombe, l’intero spazio aereo divenne - a perdita d’occhio - un unico mare di fiamme. Il fuoco, levandosi nel cielo in vampe alte duemila metri, attirava a sé l’ossigeno con una violenza tale che le correnti d’aria raggiunsero la forza di uragani e rintronarono come poderosi organi nei quali fossero tirati all’unisono tutti i registri. L’incendio continuò così per tre ore. Giunta al culmine, la tempesta prese a sollevare i cornicioni e i tetti delle case, fece mulinare nell’aria travi ed intere file di pannelli pubblicitari, sradicò alberi e trascinò con sé esseri umani trasformati in fiaccole viventi. Dietro le facciate che crollavano, lingue di fuoco alte come palazzi salivano al cielo: simili a una mareggiata, si riversarono nelle strade a una velocità di oltre centocinquanta chilometri l’ora, come rulli di fuoco aperti. In alcuni canali ardeva l’acqua. Nelle carrozze dei tram si scioglievano i finestrini. Chi era scappato dai rifugi cadeva adesso, in grotteschi contorcimenti, sull’asfalto liquefatto che si gonfiava in grosse bolle. Nessuno sa con certezza quanti abbiano perso la vita quella notte o quanti siano impazziti prima di essere colti dalla morte. Al sopraggiungere dell’alba, la luce estiva non riuscì a fendere la cappa di piombo che sovrastava la città. Il fumo aveva raggiunto gli ottomila metri di altezza e lassù si era allargato in un gigantesco ammasso nuvoloso e cumuliforme, simile a un’incudine. Ovunque corpi orribilmente dilaniati. Su alcuni guizzavano ancora le fiammelle azzurrognole del fosforo; altri bruciando avevano assunto un colore bruno o purpureo e si erano ridotti a un terzo della loro grandezza naturale. Giacevano contorti nelle pozze del loro grasso in parte già solidificato. Si rinvennero anche ammassi di carne e di ossa o intere montagne di corpi, lessati nell’acqua bollente che era schizzata fuori dalle caldaie esplose; altri, ancora, furono scoperti ormai carbonizzati e ridotti in cenere a causa del calore che aveva superato i mille gradi.»


    Vi risparmio le descrizioni più crude: mosche e topi in coesistenza coatta con i superstiti in un fetore crescente. Un vero e proprio inferno voluto e perseguito come una sorte di giudizio universale anticipato e prodotto dagli angeli sterminatori che a cavallo dei loro uccelli d’acciaio si convinsero che quei roghi potessero purificare una nazione rea di essersi alleata col Maligno. Magistrale a tal proposito la descrizione del bombardamento dello zoo di Berlino con i pachidermi impazziti. Annota l’autore che bombardare uno zoo che dovrebbe simboleggiare un Paradiso terrestre corrispondeva ad evocare un inferno contrapposto a quel paradiso terrestre ed alla terra che lo ospitava.


    Indicativo infine questo dialogo all’interno di un aereo alleato al ritorno da una missione tra i membri dell’equipaggio che commentano tra loro. Uno dice esaltato: “By God, that looks like a bloody good show“. Un altro: “Best I’ve ever seen“. E un terzo:”Look at that fire! Oh boy!”


    Ed anche se il macabro balletto delle cifre continua, di crimini di guerra si trattò e non sarà una commissione di storici che sembra più una banda di becchini a poter dimostrare il contrario.

    Dresda, 1945. La distruzione, Mario Grossi
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Dresda, 13 febbraio 1945



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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Dresda, 14 febbraio 1945



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    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  6. #6
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  7. #7
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Un ricordo per la povera gente massacrata a Dresda dagli assassini alleati.

  8. #8
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Citazione Originariamente Scritto da Wimpffen Visualizza Messaggio
    Un ricordo per la povera gente massacrata a Dresda dagli assassini alleati.
    E meno male che furono alleati... :giagia: La madre que los pariò, hijos de puta...
    Ultima modifica di Brenno; 13-02-12 alle 14:28
    PADANIA SEMPRE LIBERA DA CADREGARI E PAPPONI DI STATO - SPROFONDI rOMA...!!!ncav:
    No discuteixis mai amb un idiota ... et arrossega al seu nivell i el va copejar amb la seva experiència!!!:giagia:

  9. #9
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    Predefinito Re: Giornata della Memoria. Dresda 1945

    Tutto questo non sarà dimenticato :445: , questa cosa mi dà il senso di come questo mondo sia privo di giustizia, vuoto di senso, prostrato al male.E' nel difendere i popoli europei che si esercita, il resistere al caos organizzato che sta inglobando tutto il creato.
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

  10. #10
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    Predefinito

    quando un popolo A ricorda le vittime di un popolo B, ma non le sue vittime, significa che il popolo A è governato da qualcuno del popolo B; una volta capito questo, diventa naturale anche pensare che forse quelli del popolo B hanno ingigantito le cifre delle loro vittime.
    Ultima modifica di k21; 14-02-12 alle 19:13

 

 
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