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Discussione: Il Culto delle Yoginī

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    Predefinito Re: Il Culto delle Yoginī


    Sessantaquattro Yogini




    Tempio Yoginī - Hirapur



    Il termine Yoginī, in tutte le tradizioni indiane, indica qualsiasi spirito o demone femminile dotato di poteri magici, una fata, strega, fattucchiera o orchessa; il termine vale anche per una classe di attendenti femminili di Durgā, e qualche volta, come nome proprio della stessa Durgā (Yoginī). Grammaticalmente, yoginī è chiaramente derivato da yoga (nell’accezione di ‘arte magica’), enfatizzando con ciò i poteri magici, in qualche contesto benefici e in altri malefici, che erano attribuiti dalla tradizione a questi esseri soprannaturali o si credevano conferiti da questi ai loro devoti.
    Comunque il termine yoga, com’è sempre stato impiegato nelle religioni Indiane, significa in primo luogo ‘congiungimento’ o ‘unione’ (della propria anima individuale con l’Assoluto), per questo le Yoginī, quando concepite come Śakti o energie creative divine, possono anche personificare, in virtù della loro designazione verbale collettiva, un’intera classe di ‘Poteri di Realizzazione’. Alcuni particolari gruppi di adepti Tantrici medievali usavano evocare queste Śakti per soddisfare i loro desideri mondani o acquisire le Siddhi (facoltà magiche) che li abilitavano a integrarsi nell’Assoluto (Śiva-Śakti). Le Yoginī erano propiziate attraverso una congerie di complicati rituali magico-esoterici che erano l’oggetto della speculazione di alcune scuole Tantriche nel tardo medioevo.
    Infatti, in queste posteriori formulazioni Tantriche, dunque dopo l’erezione dei templi Yoginī nell’India Centrale, le Yoginī cessarono progressivamente di rappresentare divinità personali per assumere sempre più caratteristiche astratte, fino a diventare meri simboli spirituali con ruolo di supporto nel processo di meditazione yogica. Piuttosto che essere ancora percepite come Dee a pieno diritto (come nelle origini), furono poi identificate con gli angoli di un Mandala, Chakra o Yantra, su cui l’iniziato Tantrico deve concentrare lo sforzo nella sua meditazione per guadagnare il percorso della conoscenza suprema che porta alla Moksa (liberazione).
    Così, nella successiva fase di sviluppo, le Yoginī furono trasformate in funzioni di potere puro radianti con un’energia spirituale creduta capace di espandere la conoscenza del sādhaka, e non furono più venerate come divinità Śakta.




    Tempio Yoginī - Bheraghat




    Ipotesi sull’origine e il significato del Culto Yoginī


    L’origine del Culto Yoginī è avvolta nel mistero e neppure è chiaro in che cosa precisamente consistesse questo culto durante il primo periodo medievale. La ragione principale di questa situazione è la non disponibilità di testi antichi riguardo alle pratiche del culto connesso con la venerazione delle Yoginī, anche se queste divinità sono spesso menzionate nella tarda letteratura vedica e post-vedica come manifestazioni del principio femminile. Il motivo Tantrico Śakta del culto Yoginī apparve in India verso il VI-VII secolo d.C. e continuò persino dopo a fiorire come culto magico-esoterico centrato attorno alla propiziazione di una larga schiera di aspetti Ugra (feroce, violento) di Śiva e della Devī. Si credeva che facoltà soprannaturali e magiche – con un occhio alla distruzione dei nemici – fossero trasmesse ai praticanti di questo culto attraverso l’aiuto delle Śakti collettivamente definite come Yoginī.
    Con riferimento all’aspetto originario del culto Yoginī prima del suo graduale assorbimento nell’Induismo Brahmanico, è stato suggerito che ‘in origine le Yoginī erano probabilmente esseri umani, donne in carne e ossa, sacerdotesse ritenute possedute dalla dea, e che in seguito furono innalzate allo status di divinità’. Queste femmine operanti nella sfera sacra, a un certo punto deificate come Yoginī, erano forse le depositarie delle arcaiche tradizioni magico-esoteriche delle tribù Dravidiche e Munda dell’India Centrale, i cui sistemi religiosi pre-patriarcali, nel loro insieme, erano probabilmente dominati da pratiche sciamaniche e divinatorie, forme di culto sessuale associate a riti magici della fertilità e di magia simpatetica e imitativa, la propiziazione di pericolosi spiriti-divinità che risiedono nel mondo naturale, e la venerazione degli antenati (spesso associata con cerimonie megalitiche), dove le celebranti femminili potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale.




    Shiva Nataraja nel Tempio Yoginī - Ranipur


    Il Tantrismo, che ha utilizzato un grande numero di dette pratiche di culto primitive per dare forma alla sua peculiare sintesi religiosa, è conosciuto per aver guardato, fin dalle origini, a tutte le donne come manifestazioni di Śakti, il principio divino femminile. Da questo probabilmente venne l’identificazione di sciamane, streghe e sacerdotesse che avevano avuto un ruolo così rilevante nelle religioni delle genti non ariane, con le Yoginī, concepite o come un gruppo di divinità femminili spaventose o spiriti dotati di poteri magici o come una manifestazione collettiva della Mahādevī. Questa concezione rivoluzionaria, libera da pregiudizi di casta e patriarcali, implicava l’attribuzione alle donne, specie quelle appartenenti alle caste śūdra (culturalmente collegate ai tribali), di funzioni precettorie e sacerdotali all’interno del Tantrismo Śakta. Queste donne śūdra erano, per nascita e educazione, le eredi di arcaiche tradizioni tribali resuscitate dal Tantrismo. Le Yoginī deificate dell’epoca medievale potevano essere state, così, viste dai loro devoti Tantrici come le mitiche ‘antenate’ di queste Yoginī mondane.
    Come il Tantrismo Vāmācāra accentuò l’elemento sessuale nel culto della Śakti, questo si evolse progressivamente in una forma di devozione erotica indirizzata a tutte le manifestazioni terrene della grande Dea, cioè la donna. Yoginī mondane, così, iniziarono a agire come amanti dei loro yogin, a cui erano legati in una relazione di mutua iniziazione nei misteri divini del sesso. Specialmente nella dottrina Yoginī Kaula di Matsyendranātha, il rapporto sessuale tra uno yogin e la sua yoginī era concepito come mistica imitazione rituale della mitica copulazione eterna di Śiva e Śakti (o, come chiamati da Matsyendranātha, di Bhairava e Bhairavī).
    Qualcuno ha dedotto che i templi delle Sessantaquattro Yoginī, costruiti per racchiudere le immagini di queste dee con un numero variabile d’immagini di Bhairava poste al centro di un’arena a cielo aperto, erano luogo di orge collegate alla sindrome del culto Kaula-Kāpālika. Questa dichiarazione, comunque, è destinata a rimanere una mera congettura fino a quando non sarà confermata dalla scoperta di nuove prove letterarie riguardo al culto Yoginī. D’altro canto, la scarsità di fonti letterarie riguardo questo culto sembra semplicemente dovuta al fatto che le pratiche a esso associate erano così segrete che sono rimaste effettivamente nascoste nei tempi. In ogni caso, l’espressione yoginī-melana (unione con una yoginī, in senso materiale e spirituale), spesso ricorrente nel Kaulajnananirnaya di Matsyendranātha (XI secolo d.C.), si ritiene indichi il reale compimento di rituali mistico-erotici all’interno di appartati templi Yoginī del periodo medievale. E’ probabile che in tali occasioni, grazie a un processo di magia simpatetico-imitativa, ogni iniziato credeva di trasformarsi in una manifestazione terrena di uno dei Sessantaquattro Bhairava menzionati nei testi Āgama, e l’associata yoginī ‘di carne e ossa’, in quella di una delle sessantaquattro dee ugualmente designate come Yoginī, le cui immagini erano custodite in altrettante nicchie aperte sul perimetro interno del tempio.




    Yoni Puja, particolare di Kamadi Yoginī - Bheraghat


    Questa la prima ipotesi sull’origine del culto Yoginī. Una seconda ipotesi connette l’origine delle Yoginī divine con il primitivo culto degli Yaksa. Secondo questa ipotesi, gli spiriti femminili della vegetazione e delle acque definibili come spiriti del fato, driadi, ninfe, naiadi, nereidi, fate, orchesse che tormentavano i bambini, ecc., propiziati da tempo immemore dalle popolazioni indigene dell’India sotto la denominazione collettiva di Yaksī, sarebbero state accettate nei pantheon Brahmanico e Buddista Mahayana dando loro una giustificazione settaria e chiamandole Yoginī. Questo può spiegare le centinaia di nomi con cui le Yoginī erano venerate in epoca medievale secondo le confuse tradizioni regionali e settarie. Le Yaksī erano anticamente considerate le dispensatrici di benessere o disgrazia all’umanità, in base all’alterazione del loro carattere, mutevole e imprevedibile. Dopo essere state trasformate in Yoginī, questi spiriti-divinità personificarono le misteriose forze soprannaturali implicite nelle pratiche sciamaniche e di magia nera delle primitive tribù indiane, spesso eseguite da donne.
    Da questo punto di vista le divinità chiamate Yoginī sembrano originariamente appartenute allo stesso complesso religioso a orientamento femminile che diede origine anche al culto delle Grāma-Devatā e delle Mātrkā. In questo collegamento, alcuni studiosi opinano che il numero tradizionale di sessantaquattro Yoginī, ben consolidato nei tardi testi Puranici medievali, era ottenuto moltiplicando il numero delle Mātrkā (in questo caso immaginato, nella tradizione Tantra, a formare un gruppo di otto piuttosto che di sette), come se ogni Mātrkā possedesse al suo interno otto potenziali Yoginī. Questa posizione potrebbe essere supportata dalla presenza delle Mātrkā tradizionali, molto spesso solo di alcune tra loro, in molte liste di Yoginī, e anche dalla rappresentazione iconica di figure Mātrkā tra le divinità femminili custodite nei templi Yoginī. Una simile ipotesi, tuttavia, sembra meramente speculativa e non attestata in alcuna fonte letteraria.




    Tempio Yoginī - Ranipur


    Il numero sessantaquattro ricorre molto spesso nella tradizione Indù, non c’è bisogno di metterlo in relazione con un supposto quadrato del numero delle Madri Divine (che mai era stato fissato a otto, essendo la tradizione delle Saptamātrkā, in caso, quella prevalente sia nell’Induismo sia nel Gianismo). La crescente popolarità del culto delle Madri Divine nel primo periodo medievale può aver contribuito a ravvivare e rinnovare il primitivo culto Yoginī infondendogli un gran numero di elementi Tantrici, anche così l’indiscutibile relazione delle Mātrkā con le Yoginī non deve essere presa per un collegamento di filiazione. Al contrario, sembra molto più probabile che entrambi i culti Mātrkā e Yoginī si siano evoluti parallelamente con diverse contaminazioni reciproche – vedi il concetto riguardo al Circolo delle Madri, così simile al Circolo delle Yoginī – da una forma primitiva di Śaktismo imperniato sulla propiziazione di divinità femminili e spiriti ambivalenti, di natura maligna e benefica.
    La possibilità di un’evoluzione dal culto Yaksa al culto Yoginī sembra ulteriormente suffragata dalle affinità formali e concettuali tra i rispettivi luoghi di venerazione. Il culto di Yaksa e Yaksī era tenuto sotto un albero sacro, tra le cui radici era posto un altare in pietra grezza. In alcuni antichi rilievi buddisti, che ricordano alcune scene di culto degli alberi rappresentati sui sigilli della Valle dell’Indo, l’albero appare circondato da un recinto (vedika) circolare, quadrato o ottagonale, probabilmente di legno. Nei rilevi di Bharhut, Sanchi e Amaravati lo steccato sembra essersi evoluto in un padiglione, poggiante su pilastri o colonne, che copre l’albero. Un recinto circolare a cielo aperto è la forma distintiva dei santuari dedicati alle Yoginī, in cui la funzione di Axis Mundi, nel luogo del culto Yaksa rappresentato dall’albero stesso, era ora simboleggiato da una effige iconica o aniconica del dio Śiva (una o più sculture di Bhairava o, meno frequentemente, un Linga). Le figure di Yoginī circondanti l’oggetto centrale di culto erano normalmente inserite in nicchie aperte lungo il muro interno del recinto, sebbene nello stadio iniziale potessero essere state installate su un semplice piedistallo di pietra all’aria aperta. Il comune archetipo di questi due tipi di santuario è possibilmente rappresentato dai cerchi di pietra megalitici eretti dalle tribù non Ariane del Deccan, dal periodo Neolitico fino a tempi recenti. W. Crooke descrive alcuni di questi cerchi magici al cui centro vi è sempre una grossa pietra.




    Tempio Yoginī - Khajuraho


    E’ certo che alle Yoginī era miticamente attribuita una ‘naturale’ tendenza a disporsi in un circolo avente Śiva al suo centro. Questa loro caratteristica fu sviluppata dal Tantrismo medievale in un complesso di dottrine mistico-yogiche basate sulla meditazione del Yoginī-Chakra, la cui prima forma fu, come evidenziato dalla discussione precedente, forse derivata dall’idea del ‘Cerchio di Spiriti’ che era, con tutta probabilità, già presente in alcune delle più antiche culture megalitiche indiane come anche in diverse arcaiche forme di culto degli alberi. E’, comunque, molto importante ricordare che, come indicato da V. W. Karambelkar, la forma circolare e l’assenza di tetto nei templi delle Yoginī trova giustificazione in antiche leggende riguardo alle stesse Yoginī, nelle quali queste divinità usavano vagare in gruppo nell’aria e, quando discendevano, si disponevano sempre in cerchio. La forma circolare e l’assenza del tetto, caratterizzante tutti i templi Yoginī come un tratto esclusivo, poteva essere, così, motivata dalla volontà dei devoti di ‘facilitare’ la fantastica discesa delle dee nel luogo dove le loro icone rappresentative venivano adorate. In questa prospettiva, le yoginī si avvicinano alla classe di dee ‘aeree’, che sono ancora oggi, in modo alquanto indicativo, propiziate dai tribali dell’Orissa per paura del loro atteggiamento malevolo, che non la classe di dee ‘naturali’, comprese le Yaksī, dee dei fiumi, ecc., che sono generalmente ritenute più benefiche delle precedenti.
    Il tempio Yoginī circolare può essere considerato un’iconica rappresentazione di Śiva e Śakti, il primo piazzato al centro col ruolo di Axis Mundi, la seconda moltiplicata in sessantaquattro (o anche più) divinità femminili attornianti Śiva in cerchio secondo la tradizione Mandala-Chakra-Yantra. Questa peculiare tipo di architettura si sviluppò nelle zone centrali e orientali dell’India tra l’VIII e il XII secolo d. C., periodo della maggiore influenza del Tantrismo Śakta in quelle regioni. Le regole architettoniche alla base della costruzione di questi templi non trovano menzione nei Silpa-sastra (trattati sull’arte e l’architettura dei templi Indù), probabilmente perché queste regole, come nel caso del significato esoterico del Culto Yoginī, erano mantenute segrete dai praticanti di questo culto settario.
    Degli esistenti templi Yoginī, quattro si trovano nella regione Gwalior-Bundelkhand (quello a Khajuraho, a Bheraghat vicino a Jabalpur, a Mitauli vicino a Gwalior e a Dudhai vicino a Lalitpur), mentre altri due sono in Orissa (quello di Hirapur il vicino a Bhubaneswar, e a Ranipur-Jharial nel distretto Balangir). Altri santuari simili sono esistiti un tempo in diverse parti dell’India (ad esempio a Coimbatore, nel Tamil Nadu), ma, nella maggior parte dei casi, oggi giacciono in stato di rovina.

    Bibliografia
    T. E. Donaldson, Hindu Temple Art of Orissa
    R. M. Cimino, Le Yogini e i loro luoghi di culto
    H. C. Das, Tantricism: A Study of the Yogini Cult
    N. N. Bhattacharyya, History of the Sakta Religion
    A. K. Coomaraswamy, Yaksas
    M. Eliade, Yoga: Immortalità e Libertà
    V. W. Karambelkar, Matsyendranatha and His Yogini Cult
    W. Crooke, Things Indian

    Liberamente tratto da: Śakti Cult in Orissa
    di Francesco Brighenti
    Ultima modifica di Zed; 26-03-12 alle 13:28

  2. #12
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    Predefinito Re: Il Culto delle Yoginī

    Alcune liste delle Yoginī:


















  3. #13
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    Predefinito Re: Il Culto delle Yoginī

    P.S. L'immagine al centro del tempio di Ranipur nell'articolo di Brighenti è Shiva Nataraja e non Bhairava come erroneamente da me indicato per svista.

    Altre due liste di Yoginī:









  4. #14
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    Predefinito Re: Il Culto delle Yoginī

    Rilievo!

    ....e correzioni apportate! hefico:
    Ultima modifica di Zed; 26-03-12 alle 13:46
    ...

    Chi coltiva un pensiero raccoglie un'azione, chi coltiva un'azione raccoglie un'abitudine, chi coltiva un'abitudine raccoglie un carattere, chi coltiva un carattere raccoglie un destino.

  5. #15
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    Predefinito Re: Il Culto delle Yoginī

    Citazione Originariamente Scritto da Zed Visualizza Messaggio
    Rilievo!

    ....e correzioni apportate! hefico:
    Grazie Zed

  6. #16
    Figlio di Kālī
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    Predefinito Rif: Re: Il Culto delle Yoginī

    Citazione Originariamente Scritto da baba Visualizza Messaggio
    Grazie Zed
    Grazie a te!

    ps

    Ho unito il tuo thread a quello di El Rayo
    ...se vogliamo possiamo anche sostituire le foto dei primi post con immagini visualizzabili.
    Ultima modifica di Zed; 26-03-12 alle 22:11
    ...

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  7. #17
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    Predefinito Re: Rif: Re: Il Culto delle Yoginī

    Mi sembra che questo studio non sia stato ancora menzionato.







    Qual è il segreto delle Devata, le bellissime raffigurazioni femminili
    che dominano il tempio di Angkor Wat in Cambogia ?


    --------------------------------------------------------------------------------

    Introduzione

    Nella Conferenza Internazionale su Pattern Recognition (CIPR), tenutasi ad Instanbul alla fine di agosto del 2010, è stata presentata una ricerca rivoluzionaria che applica le nuove tecnologie allo studio della storia e dell'archeologia.

    Per scoprire i segreti che ancora avvolgono le raffigurazioni femminili, le Devata, del tempio di Angkor Wat, in Cambogia, si è assemblata una squadra di ricercatori che oltre a Kent Davis di DatAsia, vede all'opera il team del Dipartimento di Informatica e Ingegneria della Michigan State University e la Khmer Art Academy che hanno iniziato un'entusiasmante avventura archeologico-scientifica.

    Nell'immagine a fianco (sopra, in questo thread) la copertina del Cambodia Daily, il Magazine del più importante quotidiano del paese, che ha presentato questa iniziativa.

    --------------------------------------------------------------------------------


    Cultor, grazie al Global Culture Network, presenta in esclusiva questa ricerca interdisciplinare che apre nuovi orizzonti allo studio e alla comprensione in varie discipline, fornendo agli studiosi un'impronta digitale genetica di una civiltà finora poco conosciuta.


    Qui il saggio: Riconoscimento biometrico delle Devata di Angkor Wat


    Riconoscimento bimetrico facciale per le Devata di Angkor Wat in Cambogia
    Gioia e dolore hanno il confine incerto...

  8. #18
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    Predefinito Re: Rif: Re: Il Culto delle Yoginī

    singolare il fatto che, nel primo link da te indicato, il team di studiosi abbia diviso le devata (ma altrove denominate da qualcuno anche yogini) di questo complesso in otto gruppi principali
    Ultima modifica di baba; 19-04-12 alle 17:41

  9. #19
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    Predefinito Re: Rif: Re: Il Culto delle Yoginī



    Yoginī: Sādhanā e Rituali







    Il principale obiettivo nel culto dei circoli Yoginī, evidente nei testi Puranici e Tantrici, come indicato anche da Dehejia, era ottenere una ampia varietà di poteri occulti, come le Astamahāsiddhi:
    1 Animā (capacità di rimpicciolimento)
    2 Laghimā (potere di levitazione e di abbandono del corpo a volontà)
    3 Garimā (potere di diventare pesante)
    4 Mahimā (potere di ingigantire, di diffondersi oltre il nostro universo)
    5 Isitva (controllo sul corpo e la mente, propri e degli altri)
    6 Prakāmya (volontà irresistibile che obbliga gli altri a seguire il proprio desiderio o volere)
    7 Vasitva (controllo sui cinque elementi)
    8 Kāmavasayitva (realizzazione di tutti i desideri)

    Questi poteri magici erano ricercati anche da altre sette come i Kāpālika e i Pāśupata, oltre che i Kaula. Numerose altre potenti capacità che le Yoginī conferiscono ai loro devoti, principalmente nella categoria della magia nera, sono enumerate nel Matottara Tantra e nello Skanda Purāna. In quest’ultimo testo è dichiarato che quando sono venerate e meditate, le Yoginī sono facilmente compiaciute. ‘Solo tre sere dedicate alla ripetizione del loro nome le inducono a proteggervi da tutte le influenze dannose e proteggeranno i vostri bambini e i feti non ancora nati’. Persino pronunciando altri Mantra, fino a quando il devoto è in un Yoginī-Pītha, gli sarà concessa una parte delle siddhi. Ai reali le Yoginī donano vittoria nelle contese e grande ricchezza. Altri poteri magici sono elencati nel Kālikā Purāna e nel Kaulajnānanirnaya mentre nel Kulārnava Tantra è detto:

    Coloro che si trovano in circostanze sfortunate, i malati, gli indigenti, i litigiosi, gli impauriti, sono quelli che hanno fatto incollerire le Yoginī e perso la loro grazia.

    L’importanza di queste diverse siddhi e l’importanza data a tali poteri magici compare in diversi testi, compreso l’Uddisa Tantra dove Śiva da istruzioni e mantra per maranam (morte, l’uccisione di un nemico); mohanam (sconcertante, ingannare il nemico); stambhanam (paralisi, estinzione del fuoco, mente, esercito, ecc.); vidvesanam (provocare inimicizia); uccātanam (provocare il terrore), vaśīkaranam (sottomettere un re, una donna); e ākarsanam (attrazione). Il nono capitolo è dedicato alla venerazione delle Yaksinī e alla śava-śmaśāna-sādhanā (rituale del cadavere/cimitero) e comprende dei mantra per riportare in vita un morto.





    La ricerca di questi poteri occulti era acquisita attraverso una serie di riti e pratiche collettivamente conosciute come mahāyāga. Come nel caso delle Mātrkā, le Yoginī erano ugualmente molto amanti dei liquori e la loro invocazione richiedeva oblazioni di alcool. Il Matottara Tantra descrive le Yoginī ‘ondeggianti per leffetto del vino, estasiate nel piacere del vino, e come se avessero gli occhi stralunati a causa dell’intossicazione alcoolica’. Erano parimenti amanti del bere sangue mentre mangiavano carne animale. Nel tempio di Kāmākhyā (Assam), dove anche le sessantaquattro Yoginī sono invocate, il sacrificio animale è ancora una parte regolare della venerazione giornaliera. Nel Padma Purāna (VI.18.110-28) dove come attendenti di Śiva erano convocate sul campo di battaglia per divorare i cumuli di carne del mortalmente ferito Jālandhara, Śiva concesse loro la benedizione grazie alla quale gli uomini desiderosi di piacere, salvezza e benefici, venerando il gruppo delle Yoginī nelle loro case, avrebbero avuto soddisfatti i loro desideri:

    Io sono il donatore di benefici a chi sulla terra, ogni giorno devotamente venererà il vostro gruppo. Verso i miei devoti o quelli di Vishnu che detestano il gruppo delle Yogini, Io sarò terribile e porterò via i loro meriti religiosi.

    Persino oggi, come menzionato in precedenza, esse afferrano la sua carne così che quel Jālandhara ucciso in battaglia non si rialzi.

    Riguardo alla śava-sādhanā o rituale del cadavere, Dehejia sottolinea che l’effettivo sacrificio umano, il rituale dell’uccisione di un essere umano come offerta alla divinità, non era parte del culto Yoginī ma che piuttosto i loro rituali comprendevano l’uso di un cadavere, cioè di un essere umano già morto. Il Vārāhī Purāna, per esempio, parla di uno straordinario gruppo di Yoginī stabilito tra corpi senza testa e teste mozzate mentre il Vīra Tantra, fornendo dettagli della śava-sādhanā da eseguire nello śmaśāna o campo crematorio, dichiara chiaramente che nei riti del cadavere, libagioni di vino e oblazioni di cibo devono essere offerte alle sessantaquattro Yoginī. Il sādhaka è istruito su come praticare il prānāyāma (respirazione rituale) mentre è seduto su un cadavere. Il Vīra Cūdāmani menziona anche la necessità di fare offerte alle Yoginī durante i riti e ci informa che il sādhaka e la sua compagna femminile, mentre sono nudi, devono sedere su un cadavere e eseguire il rito del maithuna. Nel Srī Matottara Tantra la śava-sādhanā viene eseguita di fronte a Bhairava, al centro delle Mātrkā, e siamo informati che:

    Il cadavere deve essere bello, senza alcuna ferita, e non sfigurato o segnato in alcun modo. Tutte le sue membra devono essere intatte, essere un corpo morto di recente, ancora odorante di sudore. Deve avere tutti i trentadue denti, tutti i segni d’auspicio e dovrebbe essere perfetto in qualsiasi aspetto.






    Queste istruzioni, come Dehejia rileva, indicano che deve essere usato un cadavere accuratamente selezionato e che il sacrificio umano non è menzionato. Il cadavere deve essere lavato con accompagnamento di mantra e spalmato con pasta di sandalo del Kashmir:

    Poni poi il cadavere nel centro del mandala e recita il mantra di Bhairava. Questo deve essere fatto nel cuore della notte. O sādhaka, eseguendo questo rito sii forte nella mente, coraggioso e libero dal dubbio. Alza la testa del cadavere e con fervore, ignorando la lingua protesa, taglia la testa con un singolo colpo di modo che cada al suolo.

    Il testo termina con la dichiarazione che le Mātrkā osservano dal cielo e che il migliore dei sādhaka otterrà le otto magiche siddhi eseguendo questo rito. Altri testi che si riferiscono ai rituali eseguiti sui cadaveri per l’ottenimento delle siddhi sono il Phetkārinī Tantra e il Kaulāvalinirnaya. Secondo questi testi, in una prestabilita notte di luna nuova, l’aspirate deve procurarsi il cadavere di una persona robusta appartenete a una casta inferiore, preferibilmente un cāndāla. Il cadavere deve essere libero da malattie, morto in un incidente. Ci si domanda, dice N. N. Bhattacharya, come sia possibile che un cāndāla possa, convenientemente per l’aspirante, avere una morte accidentale in un giorno fissato del calendario e al giusto momento. La prassi comune, apparentemente, era lusingare un cāndāla, farlo ubriacare e infine ucciderlo. Quindi il corpo doveva essere unto e usato per lo scopo della sādhanā. Secondo il Kaulāvalinirnaya (XIV.75-207):

    In una fissata notte di luna nuova l’aspirante dovrebbe andare in un cimitero, o in qualche altro luogo solitario, nella tarda notte e assicurarsi il cadavere di un cāndāla o di un persona uccisa da qualcuno con la spada o morso da un serpente o un bel giovane guerriero morto in battaglia. Dovrebbe lavare il cadavere, offrirgli venerazione e pronunciare Durge Durge raksani svaha. A questo punto sperimenterà visioni e suoni terribili e se da tutto questo non sarà spaventato, avrà mantrasiddhi cioè il comando su ogni aspetto della vita.

    Dopo adeguata unzione (secondo alcuni Tantra il cadavere sarà ravvivato da simili azioni), l’aspirante dovrebbe sedervisi sopra, chiudere le porte degli organi sensori e contemplare l’immagine della Grande Dea. La sua percezione interiore allora inizierà a funzionare:

    Nel primo stadio della sua meditazione avrà visione di tentazione sotto forma di ricchezza, di una bella donzella, ecc., e se da queste si farà emozionare, i suoi sforzi saranno vani e potrebbe impazzire. Nel secondo stadio avrà esperienze spaventose, troppo terribili da sopportare. Se riuscirà a superare tutto questo, la dea si manifesterà a lui, solitamente nella forma di una bambina, e lo premierà per i suoi sforzi.





    Anche se nei rituali delle Yogini non è menzionato, è probabile che il consumare carne di un cadavere era parte dei loro riti esoterici. Questo è evidente in numerose effigi visive nei Causat-Yoginī Pītha come pure in vivide descrizioni nella letteratura sanscrita, come quelle del Mālatīmādhava di demoni maschili e femminili divoratori di cadaveri, sebbene queste raccapriccianti attività siano principalmente associate alle pratiche e ai rituali dei Kāpālika o delle sette Tantriche Buddiste. Nel Yoginī-chakra del Hevajra Tantra, per esempio, si dichiara che si dovrebbe mangiare un po’ di carne di ‘un uomo che è stato impiccato, di un guerriero ucciso sul campo di battaglia o di un uomo di condotta irreprensibile ritornato sette volte allo stato umano’. Lo stesso è vero rispetto al sacrificio umano, e che questo non era completamente estraneo ai riti Kaulācāra è evidente nel Tantrasāra dove è asserito che grande prosperità e le otto siddhi possono essere ottenute col sacrificio di un uomo. Come indicato in precedenza, comunque, solo un re aveva il diritto di offrire sacrifici umani e la miglior vittima era un intoccabile o un cāndāla.

    Nonostante scene del rituale maithuna sono visibilmente assenti nei templi Yoginī, è probabile, come Dehejia suggerisce, che il rituale maithuna formasse parte dei riti mahāyāga. Questo sembra essere suffragato nel Kulārnava Tantra, dove due versi parlano di otto e sessantaquattro maithuna. Questo suggerisce che le sessantaquattro Yoginī dovrebbero essere raffigurate nell’abbraccio con i sessantaquattro Bhairava e venerate, le otto Mātrkā basilari della serie Brāmhi abbraccianti il gruppo Asitānga degli otto Bhairava e la serie di Aksobya e altri venerati come un ordine di sessantaquattro maithuna. Gli otto maithuna sono menzionati anche nel Jnānārnava Tantra accoppianti le otto Mātrkā e Bhairava. Che le stesse Yoginī erano in relazione col maithuna è suggerito nel racconto della resurrezione di Sandhimatī nel Rājatarangini di Kalhan, dove il suo scheletro è piazzato al centro del loro circolo all’interno dei cimiteri:

    Intossicate dal bere avevano avvertito il desiderio di un allegro divertimento con un amante e, non trovando un uomo vivente, trasportarono quello scheletro. Ognuna di esse mise sullo scheletro una delle sue membra e poi, procurandosi in qualche modo un membro virile, completarono velocemente il suo corpo. In seguito le streghe attrassero con la magia lo spirito di Sandhimati che stava ancora vagando attorno senza essere entrato in un altro corpo e ve lo misero dentro. Assomigliando a una persona appena risvegliata, venne ricoperto da loro con unguenti paradisiaci, poi si divertirono con lui, come fosse il capo del loro gruppo, al colmo del loro desiderio.

    Considerando l’importanza del pancha-makāra nel rituale Kaula, Dehejia conclude che il Kaula-chakra era formato all’interno del cerchio del tempio Yoginī, con l’offerta alle Yoginī di matsya, māmsa, mudrā, madya e maithuna. Il maithuna come il mangiare carne e bere vino è uno degli elementi essenziali nei riti Tantrici dei Kāpālika e dei Kaulāchāra, dove c’è un’adorazione cerimoniale della donna di tutte le caste senza alcuna distinzione. Nel Skanda Purāna (Prabhāsa-khanda, 119), è collegato a quando la Grande Madre del Prabhāsa-kshetra uccise i demoni Bala e Atibala con le loro armate. Alcuni dei demoni che scamparono divennero Kaula, dediti alla carne, al vino e alla donna. Nel Karpūramajarī il maestro mago Bhairavānanda dichiara che egli è un aderente della via Kaula, beve vino, gode della donna e così raggiunge la salvezza. Egli descrive la religione Kaula come affascinate per tutti e le sue uniche esigenze sono ‘una calda sgualdrina per moglie, carne e vino abbondanti, elemosina e una pelle che serva come letto’. Di conseguenza, Śiva era l’unico accreditato d’aver concepito una via alla salvezza coerente con i piaceri dell’amore e del vino. Somadeva, nel suo Yaśastilaka, ci dice che per i Kaula la salvezza è risultante da una risoluta indulgenza in tutti i tipi di cibo e bevande, proibiti o meno, e che dopo l’indulgere in carne e bevande, si dovrebbe venerare Śiva col vino e in compagnia femminile, sedendo alla sua sinistra durante i riti; ‘il praticante deve recitare il ruolo di Śiva unito con Pārvatī ed esibire il Yonimudra’. Questo è molto elaborato in diversi testi Kaula. I piaceri edonistici erano ugualmente importanti nei rituali Kāpālika, secondo testi come il Prabhodacandrodaya di Krishnamiśra dove un Kāpālika converte un Giainista e un Buddista alla sua dottrina attraverso la seduzione di una Kapālinī. Il Kāpālika spiega la natura della felicità e della liberazione:

    Da nessuna parte si trova la felicità senza gli oggetti del piacere. Se la liberazione è uno stadio del Sé senza l’esperienza del piacere, come può lo stato come quello di una pietra essere desiderato? Mrdanipati (Śiva) ha detto che il liberato, avendo un corpo (uguale a quello di Śiva che è decorato) con l’ornamento della luna, gode il piacevole abbraccio della sua amata che è un’immagine di Pārvatī.

    Simili opinioni sono espresse nel Śankara-digvijaya di Mādhava, dove il Kāpālika onora Bhairava con liquore e l’offerta di teste umane e immagina la salvezza come l’indescrivibile beatitudine di un abbraccio senza fine tra le braccia di Umā.






    Il rituale Kaula-chakra è ancora praticato in diverse parti dell’India, come Dehejia accenna, ad esempio a Kāmākhyā dove gli yogi e le yoginī ( compagni nei riti sessuali) siedono appaiati in cerchio per eseguire questo rituale. I seguaci di questi riti sono conosciuti come adhikāri (maschi) e bhairavī (femmine). Sebbene i riti comprendenti i cinque elementi siano essenziali per i seguaci della via Kaula, testi come il Kaulāvalinirnaya rivelano che per un sādhaka Kaula non c’è significato più alto del Maithuna per l’ottenimento della liberazione, e che con solo questo quinto elemento il sādhaka può ottenere tutte le perfezioni mentre le ordinarie proibizioni non si applicano al sādhaka che cerca la liberazione: ‘quell’uomo che cerca la Śakti nel vino e Śiva nella carne, godendo di questi è consapevole di sé come Bhairava’. Il culmine del rito arriva quando la yoginī, quale ‘rappresentante terrena della dea riceve il maschio come equivalente terreno di Śiva’. Anche se la yoginī quale partner sessuale in questi riti non deve essere confusa con le Yoginī celestiali a cui i Chausat-yoginī Pītha erano dedicati, sembra probabile che il maithuna giocasse un certo ruolo nei rituali associati con i Kaula e i Kāpālika, in cui i compagni acquisivano identificazione mistica con Śiva e Pārvatī, nell’unità di Śiva e Śakti. Sebbene nel rituale mattutino delle devadāsī nel tempio di Jagannātha, il quinto mudrā è la danza della devadāsī piuttosto del maithuna, nel rituale Śakta della sera, Śyāmā pūjā-bidhi, che si tiene in segreto dietro le porte chiuse, il maithuna ritorna quale quinto mudrā.

    Mentre i Kaula e i Kāpālika appartenevano alla tradizione Vāmāchāra, e frequentemente confusi nei successivi testi sanscriti, gli āchārya Mattamayūra evitavano invariabilmente la compagnia delle donne ed erano famosi per le loro austerità yogiche, la profonda conoscenza religiosa e la costruzione di templi, monasteri e altre attività benefiche. Secondo diverse inscrizioni ‘i monasteri costruiti per l’uso degli, e dagli, āchārya dell’ordine Mattamayūra erano centri di studio dei Veda e altri shastra; servivano anche come centri di carità per nutrire gli indigenti e come ospedali dove gli ammalati erano curati’.


    Liberamente tratto da: Tantra and Śakta Art of Orissa di Thomas E. Donaldson

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    Predefinito Re: Rif: Re: Il Culto delle Yoginī


    Il Volo della Yoginī




    Vajra Yoginī



    Gli umani non sono gli unici passeggeri che cavalcano Vetāla, Preta, cadaveri o teschi. L’effige del dodicesimo secolo di Pacalī Bhairava in Kathmandu ha un gigantesco Vetāla, più di cinque volte la sua dimensione, come suo veicolo e che riflette l’iconografia sancita testualmente del culto medievale di Svacchanda Bhairava, che monta sulle spalle del Preta Sadāśiva. Molto più spesso, comunque, è la dea che cavalca i Preta. Questa comprende Kālī, Kubjikā, e Chāmundā, le tre più indipendenti dee della tradizione Indù nel senso che, diversamente dalla maggioranza delle altre grandi dee o Madri dell’Induismo, queste dee sono sole, senza un consorte maschio, interamente padrone delle loro Śakti. Un indicativo numero di miniature di Kālī ritraggono il suo veicolo, il cadavere, come un maschio completamente “gonfio”, un dirigibile umano, steso sul ventre. La dea Kāmākhyā è descritta in piedi su un “fantasma bianco” nel Kālikā Purāna. Infine, le Yoginī che sono ritratte a cavalcioni di Preta sono legioni nell’iconografia medievale. Almeno una trentina di sculture indiane, comprese tra il decimo e il tredicesimo secolo, mostra il grande corpo di un generico personaggio baffuto che allunga il collo per guardare all’indietro, alle Yoginī sedute alle sue spalle. Questo motivo divenne persino più comune nel periodo tardo medievale, in India e in Nepal, dove molti tipi di figure maschili e femminili sono mostrati mentre cavalcano dei Preta in questo modo. C’è qui una relazione tra questo simbolismo e la pratica del cadavere (śava-sādhanā) raffigurata nel resoconto del Kathāsaritsāgara di Somadeva riferibile sopra: è quando il cadavere, adagiato supino, “guarda su” verso il praticante che la pratica ha avuto successo.




    Dhanendri Yoginī



    La maggioranza delle Yoginī rappresentate nelle sculture indiane sono figure multi braccia, un’indicazione che sono “dee” divine piuttosto che “streghe” umane, da cui dovrebbe logicamente seguire che il loro potere di volare non è dipendente dalla propulsione di un Preta. Nel tempio Yogini di Hirapur (Orissa) del nono-decimo secolo, comunque, dove molte Yogini sono a due braccia (e così forse rappresentano “streghe” umane), un numero significativo di queste figure sono rappresentate in piedi sopra un (solitamente sorridente) volto o testa. Qui, il riferimento iconografico può essere alle pratiche del cadavere o del teschio, piuttosto che a Preta e Vetala quali veicoli per una divinità tantrica. In entrambi i casi possiamo osservare un riferimento a quelle tecniche per il volo che erano così ampiamente evocate nella letteratura medievale.
    Nonostante le divine Yoginī sono, assieme a certe dee, iconograficamente ritratte cavalcanti veicoli di vario genere, sono molto più spesso descritte, nella letteratura religiosa e in quella secolare, come auto-propellenti, volanti attraverso l’aria per loro stesso potere. Infatti, l’etimologia Buddista comune per il termine Dākinī, usato come sinonimo di Yoginī, è “colei che vola”, dalla radice sanscrita di o dai, “volare.” Il volo della Yoginī – o almeno la divisione delle Yoginī trasportate dall’aria (Khecara) – è del tutto naturale una volta che si ricordano le origini dei loro culti. Come un grande numero di divinità femminili (o demonesse) prima di loro, le Yoginī erano spesso identificate nella mitologia, nella scultura e nei rituali come figure alate, o sicuramente come uccelli. Queste sono, infatti, le creature viventi che si incontrano più frequentemente nel loro favorito luogo di ritrovo terrestre, il campo crematorio, dove “streghe” umane, sciacalli (Śivā) e uccelli mangiatori di carogne sono tutti identificati come Yoginī, da cui la loro descrizione, nel Dvyāśraya del dodicesimo secolo, come “i ripugnanti uccelli della notte.” E’ del tutto normale, allora, che così tante immagini medievali delle Yoginī le ritraggano come zoocefale o avicefale, in possesso di corpi e membra umane ma con la testa di animali o uccelli. Come le loro antesignane dell’era Kushana, le Yoginī sono spesso raffigurate con testa di uccello nelle sculture dei templi del Madhya Pradesh, dal nono al decimo secolo: queste includono la Yoginī Pingalā del tempio a Bheraghat, Jabalpur; la Yoginī Jaūti a Rewa, ospitata nel Museo Archeologico di Dhubela; e la Yoginī Umā del tempio Naresar, conservata nel Museo Archeologico di Gwalior. A queste possono essere aggiunte le Kuladevī del nord e sud dell’India dei nostri giorni, anch’esse rappresentate come uccelli, e i dipinti delle Ghermitrici femminili indiane nelle “Grotte dei Mille Buddha” dell’Asia centrale.




    Una Yoginī incontra Kālī



    Il principio del volo delle Yoginī è lo stesso di quello delle molte dee Madri alate delle precedenti tradizioni Indù e, effettivamente, degli uccelli in generale. Così il Brahmānda Purāna dichiara, con riferimento alle “Madri protettrici” (Rāksasamātarah), che “quegli esseri la cui energia è spinta verso l’alto (Utkrsta) sono conosciuti come ‘Trasportati dall’aria’ (Khecarāh). In altre parole, il loro cibo alimenta il loro volo. Altre fonti Tantriche indicano che è l’assunzione di sangue e altri costituenti corporei che permettono alle demonesse di cambiare la loro forma, un potere che era posseduto dalla demonessa Jarā: “Una Sākinī è una femmina che attrae il sangue (Ākarsinī), le sue vittime, (che lei usa) per cambiare forma.” Attrazione e mangiare in qualche modo vanno assieme nelle fonti Tantriche: tra la moltitudine di riferimenti al nutrire le Yoginī, uno dal Kaulajnānanirnaya (11.18) dichiara che “in qualsiasi modo (possibile) egli dovrebbe divorare la vittima che attrae (Ākrstim). Dovrebbe onorare le orde delle Yogini con cibo e piacere (sessuale).” Dietro ciò, nel periodo medievale c’era la nozione che la donna avesse, in qualche modo, una propensione naturale per il volo che era assente nell’uomo, come un’affermazione dell’alchemico Kākacandeśvarīmata del dodicesimo secolo chiaramente lascia intendere: “Parlerò ora di altre femmine volanti che si muovono nei cieli. Potere difficile da ottenere per tutte le donne, molto di più lo è per un uomo!”




    Yoginī




    Liberamente tratto da: Kiss of the Yoginī di David Gordon White (2003)

 

 
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