Il termine Yoginī, in tutte le tradizioni indiane, indica qualsiasi spirito o demone femminile dotato di poteri magici, una fata, strega, fattucchiera o orchessa; il termine vale anche per una classe di attendenti femminili di Durgā, e qualche volta, come nome proprio della stessa Durgā (Yoginī). Grammaticalmente, yoginī è chiaramente derivato da yoga (nell’accezione di ‘arte magica’), enfatizzando con ciò i poteri magici, in qualche contesto benefici e in altri malefici, che erano attribuiti dalla tradizione a questi esseri soprannaturali o si credevano conferiti da questi ai loro devoti.
Comunque il termine yoga, com’è sempre stato impiegato nelle religioni Indiane, significa in primo luogo ‘congiungimento’ o ‘unione’ (della propria anima individuale con l’Assoluto), per questo le Yoginī, quando concepite come Śakti o energie creative divine, possono anche personificare, in virtù della loro designazione verbale collettiva, un’intera classe di ‘Poteri di Realizzazione’. Alcuni particolari gruppi di adepti Tantrici medievali usavano evocare queste Śakti per soddisfare i loro desideri mondani o acquisire le Siddhi (facoltà magiche) che li abilitavano a integrarsi nell’Assoluto (Śiva-Śakti). Le Yoginī erano propiziate attraverso una congerie di complicati rituali magico-esoterici che erano l’oggetto della speculazione di alcune scuole Tantriche nel tardo medioevo.
Infatti, in queste posteriori formulazioni Tantriche, dunque dopo l’erezione dei templi Yoginī nell’India Centrale, le Yoginī cessarono progressivamente di rappresentare divinità personali per assumere sempre più caratteristiche astratte, fino a diventare meri simboli spirituali con ruolo di supporto nel processo di meditazione yogica. Piuttosto che essere ancora percepite come Dee a pieno diritto (come nelle origini), furono poi identificate con gli angoli di un Mandala, Chakra o Yantra, su cui l’iniziato Tantrico deve concentrare lo sforzo nella sua meditazione per guadagnare il percorso della conoscenza suprema che porta alla Moksa (liberazione).
Così, nella successiva fase di sviluppo, le Yoginī furono trasformate in funzioni di potere puro radianti con un’energia spirituale creduta capace di espandere la conoscenza del sādhaka, e non furono più venerate come divinità Śakta.
Ipotesi sull’origine e il significato del Culto Yoginī
L’origine del Culto Yoginī è avvolta nel mistero e neppure è chiaro in che cosa precisamente consistesse questo culto durante il primo periodo medievale. La ragione principale di questa situazione è la non disponibilità di testi antichi riguardo alle pratiche del culto connesso con la venerazione delle Yoginī, anche se queste divinità sono spesso menzionate nella tarda letteratura vedica e post-vedica come manifestazioni del principio femminile. Il motivo Tantrico Śakta del culto Yoginī apparve in India verso il VI-VII secolo d.C. e continuò persino dopo a fiorire come culto magico-esoterico centrato attorno alla propiziazione di una larga schiera di aspetti Ugra (feroce, violento) di Śiva e della Devī. Si credeva che facoltà soprannaturali e magiche – con un occhio alla distruzione dei nemici – fossero trasmesse ai praticanti di questo culto attraverso l’aiuto delle Śakti collettivamente definite come Yoginī.
Con riferimento all’aspetto originario del culto Yoginī prima del suo graduale assorbimento nell’Induismo Brahmanico, è stato suggerito che ‘in origine le Yoginī erano probabilmente esseri umani, donne in carne e ossa, sacerdotesse ritenute possedute dalla dea, e che in seguito furono innalzate allo status di divinità’. Queste femmine operanti nella sfera sacra, a un certo punto deificate come Yoginī, erano forse le depositarie delle arcaiche tradizioni magico-esoteriche delle tribù Dravidiche e Munda dell’India Centrale, i cui sistemi religiosi pre-patriarcali, nel loro insieme, erano probabilmente dominati da pratiche sciamaniche e divinatorie, forme di culto sessuale associate a riti magici della fertilità e di magia simpatetica e imitativa, la propiziazione di pericolosi spiriti-divinità che risiedono nel mondo naturale, e la venerazione degli antenati (spesso associata con cerimonie megalitiche), dove le celebranti femminili potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale.
Il Tantrismo, che ha utilizzato un grande numero di dette pratiche di culto primitive per dare forma alla sua peculiare sintesi religiosa, è conosciuto per aver guardato, fin dalle origini, a tutte le donne come manifestazioni di Śakti, il principio divino femminile. Da questo probabilmente venne l’identificazione di sciamane, streghe e sacerdotesse che avevano avuto un ruolo così rilevante nelle religioni delle genti non ariane, con le Yoginī, concepite o come un gruppo di divinità femminili spaventose o spiriti dotati di poteri magici o come una manifestazione collettiva della Mahādevī. Questa concezione rivoluzionaria, libera da pregiudizi di casta e patriarcali, implicava l’attribuzione alle donne, specie quelle appartenenti alle caste śūdra (culturalmente collegate ai tribali), di funzioni precettorie e sacerdotali all’interno del Tantrismo Śakta. Queste donne śūdra erano, per nascita e educazione, le eredi di arcaiche tradizioni tribali resuscitate dal Tantrismo. Le Yoginī deificate dell’epoca medievale potevano essere state, così, viste dai loro devoti Tantrici come le mitiche ‘antenate’ di queste Yoginī mondane.
Come il Tantrismo Vāmācāra accentuò l’elemento sessuale nel culto della Śakti, questo si evolse progressivamente in una forma di devozione erotica indirizzata a tutte le manifestazioni terrene della grande Dea, cioè la donna. Yoginī mondane, così, iniziarono a agire come amanti dei loro yogin, a cui erano legati in una relazione di mutua iniziazione nei misteri divini del sesso. Specialmente nella dottrina Yoginī Kaula di Matsyendranātha, il rapporto sessuale tra uno yogin e la sua yoginī era concepito come mistica imitazione rituale della mitica copulazione eterna di Śiva e Śakti (o, come chiamati da Matsyendranātha, di Bhairava e Bhairavī).
Qualcuno ha dedotto che i templi delle Sessantaquattro Yoginī, costruiti per racchiudere le immagini di queste dee con un numero variabile d’immagini di Bhairava poste al centro di un’arena a cielo aperto, erano luogo di orge collegate alla sindrome del culto Kaula-Kāpālika. Questa dichiarazione, comunque, è destinata a rimanere una mera congettura fino a quando non sarà confermata dalla scoperta di nuove prove letterarie riguardo al culto Yoginī. D’altro canto, la scarsità di fonti letterarie riguardo questo culto sembra semplicemente dovuta al fatto che le pratiche a esso associate erano così segrete che sono rimaste effettivamente nascoste nei tempi. In ogni caso, l’espressione yoginī-melana (unione con una yoginī, in senso materiale e spirituale), spesso ricorrente nel Kaulajnananirnaya di Matsyendranātha (XI secolo d.C.), si ritiene indichi il reale compimento di rituali mistico-erotici all’interno di appartati templi Yoginī del periodo medievale. E’ probabile che in tali occasioni, grazie a un processo di magia simpatetico-imitativa, ogni iniziato credeva di trasformarsi in una manifestazione terrena di uno dei Sessantaquattro Bhairava menzionati nei testi Āgama, e l’associata yoginī ‘di carne e ossa’, in quella di una delle sessantaquattro dee ugualmente designate come Yoginī, le cui immagini erano custodite in altrettante nicchie aperte sul perimetro interno del tempio.
Questa la prima ipotesi sull’origine del culto Yoginī. Una seconda ipotesi connette l’origine delle Yoginī divine con il primitivo culto degli Yaksa. Secondo questa ipotesi, gli spiriti femminili della vegetazione e delle acque definibili come spiriti del fato, driadi, ninfe, naiadi, nereidi, fate, orchesse che tormentavano i bambini, ecc., propiziati da tempo immemore dalle popolazioni indigene dell’India sotto la denominazione collettiva di Yaksī, sarebbero state accettate nei pantheon Brahmanico e Buddista Mahayana dando loro una giustificazione settaria e chiamandole Yoginī. Questo può spiegare le centinaia di nomi con cui le Yoginī erano venerate in epoca medievale secondo le confuse tradizioni regionali e settarie. Le Yaksī erano anticamente considerate le dispensatrici di benessere o disgrazia all’umanità, in base all’alterazione del loro carattere, mutevole e imprevedibile. Dopo essere state trasformate in Yoginī, questi spiriti-divinità personificarono le misteriose forze soprannaturali implicite nelle pratiche sciamaniche e di magia nera delle primitive tribù indiane, spesso eseguite da donne.
Da questo punto di vista le divinità chiamate Yoginī sembrano originariamente appartenute allo stesso complesso religioso a orientamento femminile che diede origine anche al culto delle Grāma-Devatā e delle Mātrkā. In questo collegamento, alcuni studiosi opinano che il numero tradizionale di sessantaquattro Yoginī, ben consolidato nei tardi testi Puranici medievali, era ottenuto moltiplicando il numero delle Mātrkā (in questo caso immaginato, nella tradizione Tantra, a formare un gruppo di otto piuttosto che di sette), come se ogni Mātrkā possedesse al suo interno otto potenziali Yoginī. Questa posizione potrebbe essere supportata dalla presenza delle Mātrkā tradizionali, molto spesso solo di alcune tra loro, in molte liste di Yoginī, e anche dalla rappresentazione iconica di figure Mātrkā tra le divinità femminili custodite nei templi Yoginī. Una simile ipotesi, tuttavia, sembra meramente speculativa e non attestata in alcuna fonte letteraria.
Il numero sessantaquattro ricorre molto spesso nella tradizione Indù, non c’è bisogno di metterlo in relazione con un supposto quadrato del numero delle Madri Divine (che mai era stato fissato a otto, essendo la tradizione delle Saptamātrkā, in caso, quella prevalente sia nell’Induismo sia nel Gianismo). La crescente popolarità del culto delle Madri Divine nel primo periodo medievale può aver contribuito a ravvivare e rinnovare il primitivo culto Yoginī infondendogli un gran numero di elementi Tantrici, anche così l’indiscutibile relazione delle Mātrkā con le Yoginī non deve essere presa per un collegamento di filiazione. Al contrario, sembra molto più probabile che entrambi i culti Mātrkā e Yoginī si siano evoluti parallelamente con diverse contaminazioni reciproche – vedi il concetto riguardo al Circolo delle Madri, così simile al Circolo delle Yoginī – da una forma primitiva di Śaktismo imperniato sulla propiziazione di divinità femminili e spiriti ambivalenti, di natura maligna e benefica.
La possibilità di un’evoluzione dal culto Yaksa al culto Yoginī sembra ulteriormente suffragata dalle affinità formali e concettuali tra i rispettivi luoghi di venerazione. Il culto di Yaksa e Yaksī era tenuto sotto un albero sacro, tra le cui radici era posto un altare in pietra grezza. In alcuni antichi rilievi buddisti, che ricordano alcune scene di culto degli alberi rappresentati sui sigilli della Valle dell’Indo, l’albero appare circondato da un recinto (vedika) circolare, quadrato o ottagonale, probabilmente di legno. Nei rilevi di Bharhut, Sanchi e Amaravati lo steccato sembra essersi evoluto in un padiglione, poggiante su pilastri o colonne, che copre l’albero. Un recinto circolare a cielo aperto è la forma distintiva dei santuari dedicati alle Yoginī, in cui la funzione di Axis Mundi, nel luogo del culto Yaksa rappresentato dall’albero stesso, era ora simboleggiato da una effige iconica o aniconica del dio Śiva (una o più sculture di Bhairava o, meno frequentemente, un Linga). Le figure di Yoginī circondanti l’oggetto centrale di culto erano normalmente inserite in nicchie aperte lungo il muro interno del recinto, sebbene nello stadio iniziale potessero essere state installate su un semplice piedistallo di pietra all’aria aperta. Il comune archetipo di questi due tipi di santuario è possibilmente rappresentato dai cerchi di pietra megalitici eretti dalle tribù non Ariane del Deccan, dal periodo Neolitico fino a tempi recenti. W. Crooke descrive alcuni di questi cerchi magici al cui centro vi è sempre una grossa pietra.
E’ certo che alle Yoginī era miticamente attribuita una ‘naturale’ tendenza a disporsi in un circolo avente Śiva al suo centro. Questa loro caratteristica fu sviluppata dal Tantrismo medievale in un complesso di dottrine mistico-yogiche basate sulla meditazione del Yoginī-Chakra, la cui prima forma fu, come evidenziato dalla discussione precedente, forse derivata dall’idea del ‘Cerchio di Spiriti’ che era, con tutta probabilità, già presente in alcune delle più antiche culture megalitiche indiane come anche in diverse arcaiche forme di culto degli alberi. E’, comunque, molto importante ricordare che, come indicato da V. W. Karambelkar, la forma circolare e l’assenza di tetto nei templi delle Yoginī trova giustificazione in antiche leggende riguardo alle stesse Yoginī, nelle quali queste divinità usavano vagare in gruppo nell’aria e, quando discendevano, si disponevano sempre in cerchio. La forma circolare e l’assenza del tetto, caratterizzante tutti i templi Yoginī come un tratto esclusivo, poteva essere, così, motivata dalla volontà dei devoti di ‘facilitare’ la fantastica discesa delle dee nel luogo dove le loro icone rappresentative venivano adorate. In questa prospettiva, le yoginī si avvicinano alla classe di dee ‘aeree’, che sono ancora oggi, in modo alquanto indicativo, propiziate dai tribali dell’Orissa per paura del loro atteggiamento malevolo, che non la classe di dee ‘naturali’, comprese le Yaksī, dee dei fiumi, ecc., che sono generalmente ritenute più benefiche delle precedenti.
Il tempio Yoginī circolare può essere considerato un’iconica rappresentazione di Śiva e Śakti, il primo piazzato al centro col ruolo di Axis Mundi, la seconda moltiplicata in sessantaquattro (o anche più) divinità femminili attornianti Śiva in cerchio secondo la tradizione Mandala-Chakra-Yantra. Questa peculiare tipo di architettura si sviluppò nelle zone centrali e orientali dell’India tra l’VIII e il XII secolo d. C., periodo della maggiore influenza del Tantrismo Śakta in quelle regioni. Le regole architettoniche alla base della costruzione di questi templi non trovano menzione nei Silpa-sastra (trattati sull’arte e l’architettura dei templi Indù), probabilmente perché queste regole, come nel caso del significato esoterico del Culto Yoginī, erano mantenute segrete dai praticanti di questo culto settario.
Degli esistenti templi Yoginī, quattro si trovano nella regione Gwalior-Bundelkhand (quello a Khajuraho, a Bheraghat vicino a Jabalpur, a Mitauli vicino a Gwalior e a Dudhai vicino a Lalitpur), mentre altri due sono in Orissa (quello di Hirapur il vicino a Bhubaneswar, e a Ranipur-Jharial nel distretto Balangir). Altri santuari simili sono esistiti un tempo in diverse parti dell’India (ad esempio a Coimbatore, nel Tamil Nadu), ma, nella maggior parte dei casi, oggi giacciono in stato di rovina.
Bibliografia
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R. M. Cimino, Le Yogini e i loro luoghi di culto
H. C. Das, Tantricism: A Study of the Yogini Cult
N. N. Bhattacharyya, History of the Sakta Religion
A. K. Coomaraswamy, Yaksas
M. Eliade, Yoga: Immortalità e Libertà
V. W. Karambelkar, Matsyendranatha and His Yogini Cult
W. Crooke, Things Indian
Liberamente tratto da: Śakti Cult in Orissa
di Francesco Brighenti