Subscription Plans



Il mezzo è il messaggio
Maurizio Blondet 18 Febbraio 2012

Magari qualcuno conoscerà già questo piccolo apologo amaro. È un fatto veramente accaduto nel 2007: un giovane suona il violino nella metropolitana di Washington. Nella folla affrettata che gli passa accanto, sette persone si fermano qualche istante per ascoltarlo. Una ventina gli lasciano nel cappello un dollaro, senza fermarsi. In 43 minuti, il violinista raccoglie 32 dollari in elemosine.


Joshua Bell in metro
Si tratta di Joshua Bell, uno dei maggiori violinisti del mondo. In metropolitana ha suonato con il suo strumento, uno Stradivari del 1713 che vale quasi 4 milioni di dollari. Pochi giorni dopo, Bell suonerà lo stesso violino e le stesse partiture in un teatro di Boston che ha chiuso il botteghino in anticipo, avendo esaurito i biglietti in due ore. I fortunati che hanno potuto procurarsene uno hanno speso almeno 100 dollari, molti sono stati felici di ricorrere ai bagarini spendendo due o tre volte tanto.

Succede ogni volta. Come giornalista ed opinionista, potete essere un solennissimo cretino, ma se scrivete sul Corriere o su Repubblica il pubblico vi ascolta come un maestro, vi ritiene autorevole.
Se invece dovete scrivere su un blog, perchè nessun «grande» giornale accetta di pubblicare le informazioni scomode per il potere che voi fornite, allora una maggioranza del pubblico vi deriderà come un fissato, un picchiatello, un complottista, e una maggioranza ancora più grande proclamerà che le vostre informazioni non valgono niente, «perchè sul Corriere non ci sono», perchè «Il TG1 non l’ha detto».

È esattamente in questo senso che McLuhan sancì: «Il medium è il messaggio». Il fatto non ha niente di esoterico: la massima parte della gente non ha gusti, opinioni ed idee proprie, non ha sviluppato nè capacità intellettuali nè cultura sufficiente per esprimere giudizi autonomi; in compenso, ha un vivo senso del potere sociale, (quello che in zoologia si chiama l’ordine di beccata): in un gruppo umano sa immediatamente distinguere «chi conta» e chi «non conta». Di conseguenza, nella modernità dove è richiesto alle folle di avere delle «idee», le folle si regolano guardando usi, opinioni e «idee» di «quelli che contano», e le imitano.

Detto en passant, è questo il motivo per cui nelle società organiche e tradizionali, volendosi educare il popolino alla verità ontologica e spingerlo alla salvazione, non gli si insegnavano concetti, ma dogmi, gerarchia, liturgie e miti (1). Lungi dall’essere sinonimo, come oggi è ritenuto, di favola anzi «un modo di ingannare il popolo» , il mito è invece il solo modo in cui la cultura profonda può essere comunicata al popolo, ed impressa in lui come memento della sua dignità. Infatti «la cultura è nata dal culto. Le sue fonti sono sacrali (...) La cultura è simbolica per sua natura» (2).

La convenzione illuminista secondo cui ogni uomo qualunque è «maturo e razionale» sì da scegliere per sè quel che vuole, liberamente e responsabilmente, e quindi abbia diritto ad una «sua» opinione su qualunque cosa – politica, arte, morale –, è uno dei più vacui e risibili miti del democratismo.

«La cultura superiore è infatti necessaria solo a pochi. Alla massa media dell’umanità serve solo una cultura media, il che indica la struttura gerarchica della cultura. Gli scopi supremi della vita universale e storica sono legati a qualcosa che è comprensibile, e sostanzialmente necessario, solo a pochi. Ma su questo qualcosa necessario e comprensibile solo a pochi si regge spiritualmente tutto il mondo e tutta la storia. Nella cultura c’è l’elemento essoterico e quello esoterico: ciò che si comprende solo ai livelli superiori ha un significato essenziale per i livelli più bassi» (3).

Ma questo avveniva in tempi pre-mediatici. Quando il popolino non pretendeva di possedere delle idee nè delle opinioni, avendo costumi, tradizioni, fede. E allora non era ancora massa; erano «gli umili», i «poveri» per il bene dei quali – per risvegliare in loro la vocazione all’immortalità che fa dell’uomo una creatura unica nel regno naturale – nelle cattedrali, in bei dipinti e in luminose vetrate, si narravano per immagini le storie sacre .

Oggi che «l’uomo della strada» ha il diritto di voto, e dunque viene invitato a scegliere ciò che vuole in una anti-pedagogia di auto-soddisfazione di sè, egli è reso tanto più dipendente quanto afferma la sua indipendenza, la sua «libertà personale»: di fatto, egli esercita questa libertà facendo quel che fanno tutti gli altri, pensando quel che pensa «la gente» e avendo le opinioni «di tutti», ma soprattutto di quelli «che contano». Crede di capire il messaggio, invece quel che capisce è il medium, e la sua pretesa «importanza» secondo «la gente». Crede di ascoltare musica, invece ascolta un mendicante che suona (non altro può essere, visto che suona in quel medium che è la metropolitana), e la musica è la stessa che si suona nel teatro dove il biglietto costa 100 dollari: ma allora l’uomo qualunque applaude. Quanto più viene convinto d’essere «libero», tanto più è dipendente (4).

Questo meccanismo sociale è ben noto ai poteri forti ben prima che nascesse Marshall McLuhan. Tant’è vero che i poteri finanziari e le oligarchie si dedicano molto alla compra e al possesso di giornali e media. Come sappiamo, questo avviene in USA come in Italia.

Un sito francese, Polémia, ha messo in rete un saggio (Les médias en servitude) di cui consiglio la lettura a chi conosce la lingua che illustra la proprietà dei principali giornali del Paese cugino, cosa non del tutto nota.

È sorprendente per esempio apprendere che la famiglia Louis-Dreyfus, (già mercanti di grani, oggi armatori marittimi, padroni di un impero immobiliare e della telecon 9 Cegetel), quinta nella lista dei patrimoni d’Oltralpe, manda «un suo membro a sedere fin dal 1904 nel consiglio d’amministrazione del quotidiano L’Humanité», l’organo del partito comunista.


Bernard Arnault
Altre interessanti informazioni: Bernard Arnault, prima fortuna di Francia e quarta mondiale (22,7 miliardi di euro), leader mondiale del lusso (Vuitton, Dior, Givenchy, Moet & Chandon...), molto legato alla Lazard, ha un polo mediatico che possiede periodici (Les Echos, Investir), e reti radiofoniche.

Il gruppo bancario Rotschild è azionista di riferimento del quotidiano della sinistra intelligente Libération (a suo tempo tenuto a battesimo da Jean-Paul Sartre con lo slogan: «Proletariato, prendi la parola!»), di cui è secondo azionista il Gruppo Caracciolo (quello di Repubblica).

Il celebre ed autorevole Le Monde dipende strettamente dalla banca Lazard. Il Crédit Agricole e il Crédit Mutuel possiedono, dividendosela fraternamente, tutta la stampa quotidiana regionale, a cominciare dal potente giornale La Voix du Nord. Il mega-gruppo Bolloré s’è lanciato nei quotidiani gratuiti (Matin Plus e Direct Soir). E cinque grandi banche siedono nel consiglio d’amministrazione della famiglia Bouygues, proprietaria al 43% della catena televisiva (ex prima rete di Stato, oggi privatizzata) TF1, che a sua volta possiede il 40% di Tele Monte-Carlo, più una decina di catene tematiche (Eurosport, Histoire, LCI, Usuahaia TV...).

Interessante apprendere che Claude Perdriel, un miliardario ex socio dei Rotschild, è editore di Nouvel Observateur, Science et Avenir, il sito Rue89.


Bernard Henry Levy
Interessante sapere che Bernard Henry Levy, il maitre à penser già gauchiste oggi neocon e promotore dell’intervento umanitario in Libia, è stato proprietario e direttore generale della Becob, una colossale azienda di legname pregiato con centinaia di migliaia di ettari in Gabon, Costa d’Avorio e Camerun, dove impiegava manodopera «in condizione di semi-schiavitù»). Ancora più istruttivo sapere che nel 1998 il settimanale Entrevue fece un’inchiesta sulla Becob... che non apparirà mai, perchè – come disse il redattore-capo ai giornalisti, «Bernard Henry Lévy s’è lamentato con Arnaud Lagardère, e Arnaud ha posto il veto».


Arnaud Lagardère
Lagardère, un industriale dell’armamento, è stato a lungo il più grosso editore francese di magazines, proprietario di Paris Match, Le Journal du Dimanche, nonchè di Elle – il numero uno della stampa femminile, superiore all’americano Vogue. Oggi ha venduto parte del suo impero al gruppo americano Hearst, ma rimane azionista di Canal Plus e Le Monde SA, che possiede varie catene tematiche.

Bernard Henry Levy, ha nel 1998, venduto bene la BECOB (azienda paterna), restandone azionista: la fortuna del «nouveau philosophe» si calcola sui 180 milioni di euro... BHL è oggi il «prescrittore di opinioni» sia per Le Monde, sia per Libération.


Claude Perdriel (Nouvel Observateur)
Praticamente tutti i grandi padroni sopra nominati sono membri dell’esclusivo «Le Siècle», un «club di riflessione», praticamente un Bilderberg franco-francese, che si riunisce periodicamente in Place de La Concorde, dove i patrons (500) invitano qualche volta i loro giornalisti domestici, noti al gran pubblico come opinionisti di grido. (Le Siècle)

Membro del Club è il direttore di Le Monde sotto gestione Lazard Fréres, che si chiama Eric Israelewicz. A capo del polo informativo Lagardère è stato piazzato Denis Olivennes (nato Olivenstein), membro del Club anche lui, dopo essere stato in gioventù esponente dei «Comitati Rossi vicini alla Lega Comunista Rivoluzionaria», poi direttore della FNAC (la catena di librerie) e dell’Air France, nonchè amante di Carla Bruni prima di passarla a Sarko… Quanto a Nicolas Demorand, paracadutato alla direzione di Libération dopo aver diretto Europe 1 e Radio France, non potendo vantare sangue eletto, s’è autodefinito «un juif culturel».


Denis Olivenstein
Il sito Polémia sottolinea «la strana santa alleanza dei trozkisti nelle redazioni con il capitalismo finanziario», fra «i miliardari e la mediaklatura» (in Francia, 94 giornalisti su 100 si dichiarano di sinistra o variamente progressisti, contro il 50% di francesi che votano a destra).

«Dietro la facciata di diversità, i grandi media mettono in scena l’attualità secondo la stessa griglia di lettura, quella dell’ideologia unica, che tutti condividono: liberismo economico, cosmopolitismo senza frontiere, rottura della tradizione e rivoluzione dei costumi... sotto la dittatura del momentaneo, dell’emozione, dello spettacolare».

Il che non è certo in contrasto con l’ideologia del loro padronato.



--------------------------------------------------------------------------------

1) «Io uso la parola ‘mito’ non nel senso di una contrapposizione alla realtà; al contrario, il mito corrisponde maggiormente alla realtà che non il concetto. Alla base del cristianesimo c’è il mito divino-umano, (...) mito dell’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo, del Figlio di Dio fatto uomo. La dignità dell’uomo dipende da questo» (N. Berdjaev, Pensieri Controcorrente, Casa di Matriona, 2007, pagina 57).
2) N. Berdjaev, opera citata, pagina 84. Ne segue che «cultura secolarizzata», cultura laica, è una contraddizione in termini.
3) N. Berdjaev, opera citata, pagina 97.
4) «... Agli inizi dell’era moderna si ebbe un umanesimo cristiano. Ma nel suo successivo sviluppo, l’umanesimo si trasformò nell’affermazione dell’autosufficienza dell’uomo. Non appena fu proclamato che non c’è nulla di superiore all’uomo, che egli non ha nulla verso cui innalzarsi e che anzi basta a se stesso, l’uomo cominciò ad abbassarsi e a sottomettersi alla natura inferiore (...). Considerato come essere esclusivamente naturale e sociale, come creazione della società, l’uomo è privo di qualsiasi libertà e indipendenza interiore, è determinato esclusivamente dall’esterno» (N. Berdjaev, opera citata, pagina 141).