Ex deputato e sottosegretario del Governo Prodi (Margherita) e presidente della Provincia di Caserta



Caserta, sequestrati beni a de Franciscis - Corriere del Mezzogiorno

il caso acms e le disposizioni della procura della corte dei conti
Caserta, sequestrati beni a de Franciscis
L'ex presidente della Provincia e altri 31 nei guai
per gli sprechi all'Azienda casertana mobilità e servizi
Sandro de Franciscis, ex presidente della Provincia di Caserta

Sandro de Franciscis, ex presidente della Provincia di Caserta

CASERTA — Si sono visti sequestrare abitazioni, stipendi, pensioni, indennità e persino i conti correnti bancari o postali: una misura straordinaria adottata nelle more della definizione del giudizio di responsabilità, per assicurare all'erario «la garanzia delle proprie ragioni». Anche alla luce dell'entità della cifra contestata, che sfiora i 13 milioni di euro. Soldi che, secondo l'accusa dei magistrati contabili, la Provincia di Caserta avrebbe elargito all'azienda di trasporto pubblico Acms senza alcun titolo, solo per tenerla in vita ed evitare il fallimento. Quell'azienda, sostengono i magistrati contabili, era diventata un'idrovora succhia soldi pubblici. Con la perfetta consapevolezza dei suoi amministratori e dei politici che hanno rivestito cariche pubbliche negli ultimi anni. Così la procura generale della Corte dei conti della Campania ha disposto il sequestro conservativo di tutti i beni immobili e mobili posseduti dall'ex presidente della Provincia, Sandro de Franciscis, e da altri 31 tra assessori, consiglieri e dirigenti. De Franciscis è già da qualche anno lontano da Caserta: ha lasciato la politica e ha seguito la fede, ottenendo la nomina di responsabile del Medical Bureau al santuario della Madonna di Lourdes, in pratica l'organismo che decide sulle guarigioni miracolose. Anche per lui l'accusa è di aver «surrettiziamente tenuto in vita», tra il 2007 e il 2009, l'Acms spa, l'azienda di trasporto pubblico locale, di cui la Provincia è l'azionista principale, «impiegando alla cieca ingenti risorse pubbliche». Secondo i magistrati contabili, «la disastrata situazione economica», avrebbe richiesto «ragionamenti puramente imprenditoriali», invece delle «inutili e persistenti proroghe».

«È del tutto evidente - si legge nel provvedimento - che una volta dichiarata la messa in liquidazione della società, elemento essenziale della valutazione doveva essere un adeguato approfondimento sull'esatto ammontare della situazione debitoria, nonché l'individuazione delle misure necessarie per il ripianamento. E se da un alto occorreva tenere nel debito conto la necessità di evitare una interruzione del servizio e gli interessi dei lavoratori, dall'altro occorreva tenere in eguale considerazione l'interesse a non provocare un inutile spreco di risorse pubbliche. Prescindere da ciò, avrebbe voluto significare, come poi è accaduto, investire ingenti quantità di denaro pubblico per rinviare soltanto una decisione che appariva ineludibile: e cioè, la dichiarazione dello stato di insolvenza e l'ammissione ad una procedura concordataria».

I giudici sottolineano che mentre al 31 dicembre 2007 le perdite dell'azienda di trasporto erano pari a 28.343.579, un anno dopo erano aumentate di 4,3 milioni. E il finanziamento deliberato a carico dei soci per garantire l'esercizio provvisorio per più di due anni (2007-2009) è stato complessivamente di 42,23 milioni di euro: «Ma di tale somma sono stati alla fine effettivamente pagati solo 12.845.638,777, di cui 12 milioni 795 da parte della Provincia di Caserta».

Che rappresenta, appunto, il danno contestato. Gli amministratori e i politici per il momento non parlano: attendono di farlo in via ufficiale il prossimo primo marzo, quando potranno presentare le loro controdeduzioni e chiedere l'annullamento del sequestro cautelare dei beni. Qualcuno di loro, con garanzia dell'anonimato, ribadisce che «tutto è stato fatto esclusivamente per garantire la continuità del servizio, tutelare le maestranze ed impedire la svalutazione dell'azienda». E ricorda che la «misura cautelare che sta mettendo in ginocchio intere famiglie, impedendo persino il pagamento dei mutui in corso, avrebbe potuto essere evitata alla luce dell'assicurazione stipulata dall'ente per rispondere in caso di colpa lieve o grave».

Ma nell'invito a dedurre, i sostituti della Corte dei conti obiettano che «con riferimento alla necessità di scongiurare una interruzione di pubblico servizio, in Provincia di Caserta il servizio di trasporto pubblico locale era svolto da ben 18 società». E che, ove si fosse preso immediatamente atto dell'impossibilità per l'Acms di proseguire nella gestione, essa poteva essere affidata alla predette ditte». Mentre tra il 2007 e il 2009, «in pratica non è stata assunta alcuna concreta misura organizzativa». In realtà l'amministrazione de Franciscis aveva elaborato un piano di ristrutturazione che si fondava su due passaggi successivi: prima la liquidazione dell'azienda; poi, la messa a gara su scala comunitaria dei 26 milioni di chilometri vettura che costituivano l'intero bacino provinciale. La gara, però, finì deserta.

Circa le responsabilità patrimoniali, i giudici hanno individuato diverse entità. Per la quota pari ad un milione di euro, stanziata con la delibera di giunta del 26 giugno 2007, «senza neanche consultarsi con l'assemblea dei soci», sono chiamati a rispondere l'ex presidente de Franciscis e gli assessori Adolfo Villani, Antonio Reccia, Ferdinando Bosco, Francesco Capobianco, Giovanni De Caprio, Domenico Dell'Aquila, ed Enrico Milani. Nonché il dirigente Martino Avella. Per la quota di danno pari a 6.531.575 euro, un lungo elenco di consiglieri provinciali e un consigliere regionale, Edoardo Giordano (attuale capogruppo Idv in consiglio).

Ma a fianco a questo filone, la Corte dei conti ha in corso attualmente anche un'indagine che coinvolge 26 tra ex amministratori, componenti del collegio sindacale e dirigenti dell'Acms. I capi di imputazione contabile disegnano una gestione dell'azienda da brividi: il monte ore per i permessi sindacali sarebbe stato ampiamente sforato; ticket restaurant concessi oltre le normali ore di lavoro; i premi produttività sotto forma di buoni pasto; le indennità aggiuntive al personale in permesso sindacale; illegittime promozioni alla qualifica di quadro e una serie di incarichi legali affidati all'esterno. Il danno è stato quantificato in circa 2,5 milioni di euro.

Pietro Falco
20 febbraio 2012