Minacce al presidente di «Ammazzateci tutti»
Biglietto sull'auto di Aldo Pecora: «Farai la fine di Scopelliti» Nel messaggio citati anche Gratteri e il procuratore di Palmi
Minacce al presidente di «Ammazzateci tutti» - Corriere.it
MILANO - Alcuni bossoli lasciati cadere a due passi dall'auto. Sul parabrezza un bigliettino anonimo. Poche parole e l'augurio di fare la stessa fine di Antonino Scopelliti. Destinatario del messaggio è Aldo Pecora, 26 anni, di Cinquefrondi, autore di un libro sul giudice antimafia assassinato nel 1991, e soprattutto presidente dell'associazione Ammazzateci tutti. Ma nel breve testo si citano anche i magistrati Giuseppe Creazzo e Nicola Gratteri, rispettivamente procuratore di Palmi e procuratore aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Il tutto alla vigilia dell'inaugurazione della nuova aula bunker di Palmi, intitolata proprio alla memoria di Scopelliti.
L'ASSOCIAZIONE - Ammazzateci tutti, l'associazione che Pecora guida, è stata fondata nel 2005 con l'intento di sostenere la battaglia dell'antimafia in Calabria, dove l'avanzata della 'ndrangheta è giunta a minacciare le più alte istituzioni, dopo aver pervaso di legami sospetti e connivenze le stanze del potere. Gratteri, 53 anni, già minacciato più volte per la sua attività inquirente, è autore di indagini che hanno colpito al cuore le principali cosche calabresi. Proprio a Gratteri si deve ad esempio il recente arresto del boss Rocco Aquino. Con lo storico Antonio Nicaso ha scritto diversi saggi, sulla natura e sulla diffusione nel mondo della 'ndrangheta. Creazzo è stato in passato vice capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. Da pm ha indagato sull’omicidio di Francesco Fortugno, il vice presidente del Consiglio regionale della Calabria assassinato a Locri il 16 ottobre 2005.
NELLA CASA DEL BOSS - Aldo Pecora è stato oggetto di discussione in Calabria nei giorni scorsi. Un articolo pubblicato dal Corriere della Calabria ha svelato che l'appartamento in cui Pecora risiede in affitto è di proprietà della famiglia del boss Vincenzo Longo. Il palazzo in questione, che al catasto del tribunale di Reggio Calabria risulta ancora non ultimato, è stato posto sotto sequestro su richiesta della Dda di Reggio Calabria lo scorso sette febbraio. Pecora dichiara la propria totale innocenza. «Innanzitutto dal 2004 vivo a Roma, mentre la mia famiglia risiede in quell'appartamento fin dal 1997», spiega. E aggiunge: «Non sapevo che il palazzo era di proprietà di presunti mafiosi. Si tratta di volgari accuse, la macchina del fango si sta rivolgendo anche contro di me».
Antonio Castaldo
20 febbraio 2012 | 21:06