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  1. #1
    Venetia
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    Predefinito Siete Preparati al collasso economico?

    Articolo che fa pensare.....


    SIETE PREPARATI AL COLLASSO ECONOMICO?
    di REDAZIONE*

    Sei sicuro di essere pronto? Saranno tempi difficili, negli Stati Uniti così come in Europa, ti consiglio vivamente di iniziare a pensare a come superarli.

    Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad un’animata discussione circa l’entità delle sfide economiche dell’ Occidente.

    Se non avete letto la lettera di ieri, vi incoraggio davvero a farlo prima di procedere perché è importante capire perché l’Occidente ha veramente superato il punto di non ritorno.In poche parole, gli Stati Uniti e gran parte dell’Europa stanno prendendo in prestito una quantità straordinaria di denaro già solo per pagare gli interessi sul denaro che hanno già preso in prestito. Essi non possono nemmeno auto-finanziare i loro programmi di diritto obbligatorio senza finire nell’abisso, e le loro opzioni sono limitate:

    Opzione 1: Continuare a prendere in prestito, portare avanti la festa.
    Finché il governo può, farà così. Indipendentemente dalle loro intenzioni, però, più debito peggiora solo la situazione, creando oneri finanziari più elevati nel lungo periodo, e ancora più debito. Mentre questo accade, il bacino di acquirenti comincia ad asciugarsi, soprattutto dall’estero.Opzione 2: Inflazione
    Più acquirenti interrompono l’acquisto dei titoli del Tesoro, più la Federal Reserve assorbirà la liquidità in eccesso. In tal modo, la Fed essenzialmente stampa il denaro e lo presta al governo.Non importa cosa dicono le stupide statistiche del governo, questo è evidentemente un comportamento inflazionistico, chiaro e semplice. Più soldi si stampano, maggiore sarà il livello di inflazione nel lungo termine. Nel frattempo, mentre gli stranieri simultaneamente riducono le loro riserve in dollari USA, questa inflazione diventerà più acutamente sentita negli Stati Uniti.
    Opzione 3: L’austerità
    Arriverà il momento in cui il governo statunitense sarà costretto ad affrontare la sua realtà economica e fare tagli incredibilmente profondi, che si faranno sentire in tutta la società, da Wall Street e il complesso militare-industriale to project housing on the other side of the tracks.

    Opzione 4: Default
    Alla fine, il peso del debito sarà semplicemente troppo, e la soluzione più ovvia sarà quella del default. I politici accuseranno la Cina di essere il nemico e probabilmente si inventeranno una guerra solo per avere una scusa per fare default sul debito di proprietà cinese. Gli americani sventoleranno la bandiera e celebreranno il default sui loro nemici.

    Opzione 5: Il cannibalismo economico
    Nella migliore tradizione de La Rivolta di Atlante , il governo continuerà la sua persecuzione della classe produttiva – professionisti, investitori, imprenditori e operai specializzati. Le imposte esistenti aumenteranno, nuove tasse verranno create, saranno adottate barriere commerciali e un labirinto di regole dal costo proibitivo.La prima opzione (andare avanti con la festa) è ciò che è accaduto per anni. I politici fanno piccole concessioni per dimostrare che sono “seri” nella disciplina fiscale, tagliano dei programmi ridicolmente piccoli, mentre buttano centinaia di miliardi di dollari in guerre e altri programmi.Peggiore diventa la situazione debitoria , però, più alto diventa il costo dell’indebitamente, e peggiore diventa la situazione debitoria. Non è una posizione invidiabile. Istituti di credito esistenti continueranno a scappare dal mercato del Tesoro degli Stati Uniti, dando all’Opzione 1 un’emivita misurata in mesi al massimo.
    A lungo termine, rimangono solo le opzioni dalla 2 alla 5: l’inflazione, l’austerità, il default, e il cannibalismo. Ognuna di queste opzioni rimanenti sconvolgerà profondamente il sistema finanziario. Ancora più importante, ognuna di queste ha il potere di creare diffuso agitazioni sociali.Quando l’inflazione corrode gli standard di vita già magri di una famiglia, quando l’austerità elimina i benefici a cui i destinatari sono abituati, quando il default azzera i risparmi di un pensionato, quando le alte tasse fanno sì che i lavoratori si sentano come se fossero solo servi del governo – quello è il momento in cui il tumulto reale comincerà:
    Aumento della criminalità: privi di un lavoro o mezzi per sostenere le loro famiglie, le persone saranno costrette a compiere reati per disperazione
    Lotte di classe: con la linea di demarcazione tracciata tra “chi ha” e “chi non ha” , diventerà impopolare e persino pericoloso avere successo.
    Corruzione: funzionari pubblici di basso livello cercheranno di integrare il proprio reddito tramite corruzione e tangenti
    Mercato nero: prenderà vita un’ economia clandestina, con pagamenti solo in contanti (probabilmente in oro o in valuta estera), con le persone pagate in buste.
    Censura: ovviamente verrà spacciata come necessità per la Sicurezza Nazionale, ma l’idea sarà quella di impedire la pubblica denigrazione della politica del governo
    Guerra: Il governo avrà bisogno di un altro importante Evento per distrarre la gente dai veri problemi
    Proteste / Insurrezioni: quando le cose si faranno sanguinose
    Condizioni di Stato di Polizia: Il governo serrerà i ranghi e manderà i poliziotti in giro per mostrare a tutti chi ha davvero il potere.tutte le persone che hanno davvero chi comanda.
    C’è una serie di altre manifestazioni, e molte stanno già mostrando segni di esistenza. Gli Stati di Polizia in America ed Europa sono vivi e vegeti. La criminalità è in aumento.In Europa, i poliziotti stanno facendo battaglie per le strade con i loro cittadini. Pensate che non possa succedere negli Stati Uniti? Ricordate i carri armati nelle strade durante le rivolte di Los Angeles? Ricordate di New Orleans? Ricordate i numeri delle proteste ai G8/G20 ?Ecco la linea di fondo: tutto ciò che dovete fare è guardare i titoli dei giornali per vedere che cosa succede quando si spoglia la gente del loro sostentamento, e della loro capacità di mettere il cibo in tavola per le loro famiglie.

    Gli Stati Uniti sono stati in grado di tenere lontane queste implicazioni sociali semplicemente perché il Paese beneficia fortemente di un sistema finanziario ”USA-oriented”. Questa condizione sta però volgendo al termine molto, molto rapidamente. Come regola generale, maggiore è la distorsione economica, maggiore è la forza del collasso. L’economia statunitense ha vissuto in un mondo fantastico per così tanto tempo, e ora che il suo primato le è strappato via, il crollo sarà una caduta libera. Non sto parlando della fine del mondo, sto parlando di tempi difficili, e di cose che vanno oltre l’economia. E’ il momento di affrontare i fatti e vedere come la società cambierà (ed è già cambiata).

    SIETE PREPARATI AL COLLASSO ECONOMICO? | L'Indipendenza
    sklöpp & kanù

  2. #2
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Vedo che sono sempre più frequenti i 3D che trattano argomenti economici.
    Evidentemente si sta arrivando a capire l'importanza del problema che è, come sostengo da tempo, l'unica possibilità residua capace di far scattare la scintilla utile per dividere l'itaglia.
    Poi potremo ritornare a parlare di federalismo, democrazia dal basso, identità e quant'altro.
    Poi.
    Però occorrerebbe anche un minimo di organizzazione...
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #3
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    La Nuova Grande Depressione. La fame si avvicina rapidamente (in Italia). - Rischio Calcolato | Rischio Calcolato

    Non raccontiamoci storie: la fame è fame. Quando la gente si riduce a rubare alimentari é segno di un malessere diffuso e generalizzato che sarebbe criminale sottovalutare. Non possiamo pensare che siano tutti cleptomani: ci saranno senz’altro anche ladri professionisti, ma la maggior parte è povera gente.

    Lo scorso anno in Italia sono stati compiuti furti di alimentari nei supermercati per un valore di tre miliardi di euro, con una crescita a/a in Europa del 7.8%.

    Ma desta ancor maggiore impressione che adesso i ladri vadano a derubare direttamente i contadini: un po’ di carciofi qui, un po’ di scarole là, e magari delle fragole, tanto per avere il dessert. Fatto che non stupisce in un paese in cui la spesa delle famiglie per gli alimentari é davvero significativa.

    Avremmo forse qualcosa in comune con la Grecia? Che ci si stia avvicinando anche noi ad un default?
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  4. #4
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Citazione Originariamente Scritto da ventunsettembre Visualizza Messaggio
    Vedo che sono sempre più frequenti i 3D che trattano argomenti economici.
    Evidentemente si sta arrivando a capire l'importanza del problema che è, come sostengo da tempo, l'unica possibilità residua capace di far scattare la scintilla utile per dividere l'itaglia.
    Poi potremo ritornare a parlare di federalismo, democrazia dal basso, identità e quant'altro.
    Poi.
    Però occorrerebbe anche un minimo di organizzazione...
    Quindi si tifa per il collasso totale al fine della secessione ?
    Ma poi si è sicuri che una volta ridotti "consensualmente" alla fame e alla disperazione si ottenga quanto meno una qualche forma di indipendenza del territorio dal potere altrui ?

  5. #5
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Anzitutto non è una questione di tifo, è semplicemente un prendere atto di quanto sta accadendo nel mondo, oltre le farfalle di belen, cercando di guardare oltre per capire dove possiamo avere una breccia.
    Nessuno può assicurare nulla, se non la miseria che ci prenderà tutti (e ben venga perchè apportatrice di grosse novità).
    Circa la divisione la vedo molto, molto probabile per la semplicissima ragione che riporta l'articolo che cito sotto.
    Quanto all'indipendenza, devo dire onestamente che la vedo molto meno sicura, proprio a causa della nostra incapacità di organizzare una qualsiasi cosa seria che non sia lo slecchinamento di qualche ex(?)leghista da osannare (segno di enorme debolezza ed incapacità propria) o peggio il creare attriti e seminare zizzania tra noi quattro gatti e persino qui sopra.
    Sarà un residuo effetto post Lega, ma certo noto ormai una diffidenza (contrario esatto di fratellanza) tra noi padani residui che non promette nulla di buono.

    Nienete Patrioti al Sud (e non è che al Nord ci sia la Fila) - Rischio Calcolato | Rischio Calcolato

    Tra gli scenari più foschi della grande depressione che stiamo vivendo non si può escludere una qualche forma di divisione dell’Italia. Oggi pare impossibile ma se si ragiona a tavolino e a mente fredda (ovvero da cattivi, cattivi, speculatori) non può non saltare all’occhio la palese contraddizione fra una parte di territorio ancora competitiva con la Germania (finché dura…) e un’altra con problematiche e struttura economica più simili alla Grecia.

    Oggi vorrei focalizzarmi sulla questione meridionale dal punto di vista differente rispetto alla solita vulgata che si trova sui Media Sussidiati. E’ indubbio che esista un flusso continuo di risorse che da Nord va verso Sud, tali danari con tutte le inefficienze e le ruberie del caso vanno comunque ad alimentare e a sussidiare la vita di milioni di cittadini. L’economia privata del Sud non ha potuto svilupparsi anche per l’effetto spiazzamento dei sussidi pubblici e del controllo asfissiante del territorio da parte sia della criminalità organizzata sia della burocrazia statale tra le peggiori che si possano immaginare.

    Allo stato attuale, comunque la si pensi, il Sud Italia non potrebbe esistere come è oggi senza quel flusso di risorse.

    La domanda che mi sono posto è che cosa possa succedere se la crisi limitasse fortemente i trasferimenti di ricchezza da Nord a Sud o addirittura gli interrompesse. Sono giunto alla conclusione che in quel caso l’Italia si disgregherebbe. Non già per l’intervento di una fantomatica Lega Nord (potete pure ridere, o piangere) quanto per la sollevazione di un SUD che non avrebbe più la minima convenienza a subire la legislazione italiana.

    Se ci fermiamo a riflettere, in fondo, alcune regioni del Sud di fatto hanno già pronta una forma alternativa di stato. Hanno un sistema consolidato di amministrazione della giustizia e una serie di codici di comportamento. Forze dell’ordine spietate e efficienti. In molti casi hanno persino un sistema collaudato per premiare il merito e punire il demerito o la colpa.

    Sto parlando della così detta grande criminalità organizzata, ovvero quelle associazione di persone che fa l’interesse esclusivo dei suoi affiliati. Un ordine costituito che ignora e spesso combatte l’altro ordine costituito, quello che noi (non affiliati) chiamiamo stato.

    Nella mia opinione, al netto dei soldi che vengono dal Nord, scopriremmo che no ci sono molti patrioti italiani al Sud. O meglio, penso che un moto serio di rivolta contro lo stato non verrà mai dal Nord ma dal Sud e le prime timide avvisaglie le abbiamo già viste con i Forconi.

    Il blogger GranoDuro ha descritto con durezza l’indifferenza e il fastidio dei Palermitani sussidiati da denaro pubblico verso le rivendicazioni di agricoltori, camionisti e pescatori siculi. Scommetto i miei due centesimi che il giorno in cui dovessero fioccare i licenziamenti in regione Sicilia causa mancanza di fondi, sarebbe l’intera isola a sollevarsi per bruciare il tricolore.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  6. #6
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Citazione Originariamente Scritto da pavlov Visualizza Messaggio
    Quindi si tifa per il collasso totale al fine della secessione ?
    Ma poi si è sicuri che una volta ridotti "consensualmente" alla fame e alla disperazione si ottenga quanto meno una qualche forma di indipendenza del territorio dal potere altrui ?
    Essendo stato superato il punto di non ritorno non ci sono alternative, neppure per i beoti.

    COME HITLER ABBATTÈ LA DISOCCUPAZIONE E FECE RIVIVERE L’ECONOMIA TEDESCA
    di Mark Weber
    dal sito Institute for Historical Review
    traduzione di Gianluca Freda



    “...Coloro che parlano di ‘democrazie’ e ‘dittature’, semplicemente non capiscono che in questo paese ha avuto luogo una rivoluzione, i risultati della quale possono essere considerati democratici nel senso più alto di questo termine, se la democrazia ha un concreto significato...”
    (Discorso di Adolf Hitler al Reichstag, 30 gennaio 1937)



    Per affrontare la massiccia disoccupazione e la paralisi economica della Grande Depressione, tanto il governo americano quanto quello tedesco lanciarono programmi innovativi e ambiziosi. Se le misure varate col “New Deal” del presidente Franklin Roosevelt offrirono un aiuto solo marginale, le politiche assai più ampie e mirate del Terzo Reich si rivelarono notevolmente più efficaci. In soli tre anni la disoccupazione era stata eliminata e l’economia della Germania era tornata a fiorire. E se il metodo utilizzato da Roosevelt per fronteggiare la depressione è abbastanza noto, la rimarchevole storia del sistema adottato da Hitler contro la crisi non è mai stata pienamente compresa o apprezzata.

    Adolf Hitler divenne Cancelliere di Germania il 30 gennaio 1933. Poche settimane dopo, il 4 marzo, Franklin Roosevelt assunse la carica di Presidente degli Stati Uniti. Entrambi restarono capi degli esecutivi dei rispettivi paesi per i dodici anni che seguirono, fino cioè all’aprile 1945, poco prima della fine della II Guerra Mondiale in Europa. All’inizio del 1933, la produzione industriale in entrambi i paesi era crollata a circa metà di ciò che era stata nel 1929. Ciascun capo di stato adottò rapidamente nuove e coraggiose misure per fronteggiare la terribile crisi economica, soprattutto con riguardo al flagello della disoccupazione di massa. E sebbene vi siano alcune impressionanti similarità tra gli sforzi compiuti dai due governi, i risultati ottenuti furono molto diversi.

    Uno dei più influenti e studiati economisti americani del ventesimo secolo è stato John Kenneth Galbraith. Fu consigliere di diversi presidenti e per un periodo ebbe l’incarico di ambasciatore americano in India. Fu autore di dozzine di libri e per anni insegnò economia presso l’Università di Harvard. Riguardo ai risultati ottenuti dalla Germania, Galbraith scrisse: “...L’eliminazione della disoccupazione in Germania durante la Grande Depressione, senza produrre inflazione – e facendo inizialmente affidamento sulle sole attività civili – fu una conquista straordinaria. E’ stata raramente encomiata e non molto sottolineata. L’idea che da Hitler non potesse venire niente di buono si estende alle sue politiche economiche, così come, più plausibilmente, ad ogni altra cosa”.

    La politica economica del regime hitleriano, prosegue Galbraith, comprendeva “prestiti su larga scala per la spesa pubblica, all’inizio principalmente per opere civili: ferrovie, canali e le Autobahnen [la rete autostradale]. Il risultato fu un attacco alla disoccupazione che si rivelò molto più efficace che in qualsiasi altro paese industrializzato”. [1]

    “Alla fine del 1935”, scrive ancora Galbraith, “la disoccupazione in Germania non esisteva più. Nel 1936 gli alti profitti facevano già salire i prezzi o rendevano possibile alzarli... Alla fine degli anni ’30, la Germania era un paese a piena occupazione e con prezzi stabili. Si trattò, nel mondo industrializzato, di un risultato assolutamente unico”. [2]

    “Hitler riuscì anche ad anticipare le moderne politiche economiche”, nota l’economista, “riconoscendo che una rapida ripresa della piena occupazione sarebbe stata possibile solo se combinata con il controllo sui salari e sui prezzi. Non c’è da sorprendersi che una nazione oppressa dalle paure economiche rispondesse a Hitler come gli americani risposero a F.D.R.”. [3]

    Altri paesi, scrive Galbraith, non furono in grado di comprendere l’esperienza tedesca o di imparare da essa: “L’esempio tedesco fu istruttivo ma non convincente. I conservatori britannici e americani guardavano alle eresie finanziarie del Nazismo – il prestito e la spesa – e prevedevano concordemente un collasso... E i liberali americani e i socialisti britannici guardavano la repressione, la distruzione dei sindacati, le Camicie Brune, le Camicie Nere, i campi di concentramento, l’oratoria strepitante, e ignoravano l’economia. Nulla di buono [essi credevano], nemmeno la piena occupazione, sarebbe potuto venire da Hitler”. [4]

    Due giorni dopo aver assunto l’incarico di Cancelliere, Hitler si rivolse per radio alla nazione. Sebbene lui e altri leader del suo movimento avessero resa esplicita l’intenzione di riorganizzare la vita sociale, politica, culturale ed educativa della nazione in accordo con i princìpi nazionalsocialisti, tutti capivano che, con quasi sei milioni di disoccupati e l’economia del paese alla paralisi, la massima priorità del movimento era quella di rimettere in moto la vita economica nazionale, aggredendo anzitutto la disoccupazione ed edificando opere produttive.

    “La miseria del nostro popolo è terribile da contemplare!”, disse Hitler nel suo discorso inaugurale. [5] “Accanto ai milioni di lavoratori dell’industria affamati e senza impiego, vi è l’impoverimento dell’intera classe media e degli artigiani. Se questo collasso dovesse infine distruggere anche i contadini tedeschi, ci troveremmo di fronte ad una catastrofe di dimensioni incalcolabili. Non sarebbe soltanto il collasso di una nazione, ma del retaggio, antico di duemila anni, di alcune tra le più grandi conquiste della cultura e della civiltà umana...”

    Il nuovo governo, disse Hitler, avrebbe “intrapreso il grande compito di riorganizzare l’economia della nostra nazione per mezzo di due grandi piani quadriennali. I contadini tedeschi devono essere salvaguardati per garantire le necessità alimentari della nazione e, di conseguenza, la sua base vitale. L’operaio tedesco verrà salvato dalla rovina grazie ad un attacco concertato e a tutto campo contro la disoccupazione”.

    “Entro quattro anni”, garantì, “la disoccupazione sarà definitivamente superata. [...] I partiti marxisti e i loro alleati hanno avuto 14 anni per dimostrare ciò che erano in grado di fare. Il risultato è un cumulo di rovine. Ora, popolo di Germania, concedi a noi quattro anni di tempo e poi darai un giudizio su di noi!”.

    Ripudiando le prospettive economiche nebulose e poco concrete di certi attivisti radicali del suo partito, Hitler si rivolse a uomini di provata capacità e competenza. Molto significativamente, chiese l’aiuto di Hjalmar Schacht, banchiere e finanziere di spicco con un impressionante curriculum tanto nell’imprenditoria privata quanto nel settore pubblico. Sebbene Schacht non fosse di certo un nazionalsocialista, Hitler lo nominò presidente della banca centrale tedesca, la Reichsbank, e poi ministro dell’economia.

    Dopo avere assunto il potere, scrive il Prof. John Garraty, eminente storico americano, Hitler e il suo nuovo governo “lanciarono immediatamente un attacco a tutto campo contro la disoccupazione... Stimolarono l’industria privata attraverso sussidi e sgravi fiscali, incoraggiarono la spesa dei consumatori con strumenti quali i prestiti matrimoniali e si lanciarono in un massiccio programma di opere pubbliche che produsse autobahn [autostrade], abitazioni, ferrovie e progetti di navigazione”. [6]

    I nuovi capi di regime riuscirono a convincere anche quei cittadini tedeschi che un tempo erano scettici e perfino ostili, della propria sincerità, capacità e risolutezza. Ciò accrebbe la fiducia e la sicurezza, il che a sua volta incoraggiò gli uomini d’affari a compiere assunzioni e investimenti e i consumatori a spendere con lo sguardo rivolto al futuro.

    Come avevano promesso, Hitler e il suo governo nazionalsocialista eliminarono la disoccupazione entro quattro anni. Il numero di disoccupati scese dai sei milioni dell’inizio del 1933, quando Hitler era salito al potere, al milione del 1936. [7] Il tasso di disoccupazione si ridusse in modo così rapido che nel biennio 1937-38 si registrò una carenza nazionale di forza lavoro. [8]

    Per la stragrande maggioranza dei tedeschi, i salari e le condizioni di lavoro andarono rapidamente migliorando. Tra il 1932 e il 1938 la paga settimanale lorda crebbe del 21%. Se si tiene conto delle trattenute fiscali e assicurative e degli adeguamenti al costo della vita, l’incremento degli introiti settimanali durante questo periodo fu del 14%. Allo stesso tempo, il prezzo degli affitti rimase stabile e vi fu un relativo calo dei costi della luce e del riscaldamento. Calarono anche i prezzi di alcuni beni di consumo, come apparecchi elettrici, orologi da muro e da polso e alcuni generi alimentari. Il salario degli operai continuò a crescere, anche dopo l’inizio della guerra. Nel 1943 la paga oraria media di un lavoratore tedesco era cresciuta del 25% e quella settimanale del 41%. [9]

    La “normale” giornata lavorativa, per molti tedeschi, era di otto ore e la retribuzione per gli straordinari era generosa. [10] Oltre ai salari più alti, i benefici includevano anche il miglioramento delle condizioni di lavoro, ad esempio migliori condizioni sanitarie e di sicurezza, mense che fornivano pasti caldi, campi di atletica, parchi, recite teatrali e concerti sovvenzionati dalle aziende, mostre, gruppi sportivi ed escursionistici, balletti, corsi di educazione per adulti e gite turistiche pagate. [11] Il preesistente sistema di programmi sociali, che includeva le pensioni di anzianità e l’assistenza sanitaria, venne ampliato ulteriormente.

    Hitler voleva che i tedeschi avessero “il più alto standard di vita possibile”, come disse in un’intervista rilasciata ad un giornalista americano all’inizio del 1934. “A mio giudizio, gli americani hanno ragione nel non voler porre tutti allo stesso livello, mantenendo invece il principio della scala. Però, ad ogni singolo cittadino deve essere garantita l’opportunità di poter salire i gradini di quella scala”. [12] Per tener fede a questa prospettiva, il governo di Hitler promosse la mobilità sociale, con ampie opportunità di crescita e di carriera. Come osserva il Prof. Garraty: “Non vi è ombra di dubbio che i nazisti incoraggiarono la mobilità sociale ed economica della classe lavoratrice”. Per promuovere l’acquisizione di nuove competenze, il governo ampliò a dismisura i programmi di avviamento professionale e offrì generosi incentivi per gli scatti di carriera dei lavoratori più efficienti. [13]

    Tanto l’ideologia nazionalsocialista quanto la visione di Hitler, scrive lo storico John Garraty, “spingevano il regime a privilegiare il comune cittadino tedesco sui gruppi d’èlite. Gli operai... avevano un posto d’onore all’interno del sistema”. In linea con quest’idea, il regime concesse ai lavoratori sostanziosi benefici, che includevano mutui agevolati, escursioni a costi ridotti, programmi sportivi e ambienti di fabbrica più gradevoli. [14]

    Nella sua dettagliata e critica biografia di Hitler, lo storico Joachim Fest riconosce: “Il regime insisteva che non doveva esserci il dominio di un’unica classe sociale sulle altre e – garantendo a ciascuno la possibilità di crescere – dimostrò nei fatti la sua neutralità di classe... Queste misure fecero realmente breccia nelle vecchie e pietrificate strutture sociali. Produssero il miglioramento delle condizioni materiali di gran parte della popolazione”. [15]

    Bastano poche cifre a dare l’idea di quanto la qualità della vita fosse migliorata. Tra il 1932, ultimo anno dell’era pre-hitleriana, e il 1938, ultimo anno prima dello scoppio della guerra, il consumo di alimentari crebbe di un sesto, mentre il ricambio di abbigliamento e manufatti tessili aumentò di oltre un quarto, quello di arredamento e beni per la casa del 50 %. [16] Durante gli anni di pace del Terzo Reich, il consumo di vino crebbe del 50%, quello di champagne aumentò di cinque volte. [17] Tra il 1932 e il 1938, il volume degli introiti per le aziende turistiche risultò più che raddoppiato, mentre il numero di possessori di automobili triplicò nel corso degli anni ’30. [18] La produzione tedesca di veicoli a motore, che includeva automobili prodotte dalle aziende di proprietà statunitense Ford e General Motors (Opel), raddoppiò nei cinque anni tra il 1932 e il 1937, mentre l’esportazione di veicoli a motore tedeschi crebbe di otto volte. Il traffico aereo passeggeri in Germania aumentò di oltre il triplo tra il 1932 e il 1937. [19]

    Le aziende tedesche rivivevano e prosperavano. Durante i primi quattro anni dell’era nazionalsocialista, il netto delle grandi aziende si era quadruplicato e le retribuzioni delle figure manageriali e imprenditoriali erano cresciute del 50 per cento. “E le cose sarebbero andate ancora meglio”, scrive lo storico ebraico Richard Grunberger nel suo studio dettagliato The Twelve-Years Reich. “Nei tre anni tra il 1939 e il 1942, l’industria tedesca ebbe uno sviluppo pari a quello avuto nei cinquant’anni precedenti”. [20]

    Anche se le imprese tedesche prosperavano, i profitti venivano tenuti sotto controllo e contenuti per legge entro limiti moderati. [21] A partire dal 1934, i dividendi degli azionisti delle corporazioni tedesche vennero limitati al sei per cento annuale. I profitti non distribuiti venivano investiti in titoli del governo del Reich, che offrivano un interesse annuale del sei per cento, e poi, dopo il 1935, del quattro e mezzo per cento. Questa politica ebbe il prevedibile effetto di incoraggiare i reinvestimenti e l’autofinanziamento delle aziende, quindi di ridurre il ricorso ai prestiti bancari e, più in generale, di ridurre l’influenza del capitale commerciale. [22]

    La tassazione fiscale per le grandi aziende venne rapidamente incrementata, dal 20 per cento del 1934, al 25 per cento del 1936, fino al 40 per cento del 1939-40. I direttori delle compagnie tedesche potevano offrire dei bonus ai propri manager, ma soltanto se tali bonus erano direttamente proporzionali ai profitti e se si dava contestualmente l’autorizzazione a corrispondere bonus o “contributi sociali volontari” anche agli impiegati. [23]

    Tra il 1934 e il 1938, l’imponibile lordo degli imprenditori tedeschi crebbe del 148 per cento, e allo stesso tempo il totale delle imposizioni fiscali crebbe, durante questo periodo, del 232 per cento. Il numero di contribuenti nella fascia fiscale più alta – quelli che guadagnavano più di 100.000 marchi all’anno – crebbe, durante questo periodo, del 445 per cento. (All’opposto, il numero di contribuenti della fascia più bassa – quelli che guadagnavano meno di 1500 marchi all’anno – crebbe solo del 5 per cento). [24]

    La tassazione, nella Germania nazionalsocialista, era strettamente “progressiva”, cioè chi aveva redditi più alti pagava proporzionalmente di più di chi si trovava nelle fasce più basse. Tra il 1934 e il 1938, la tassazione media sui redditi superiori a 100.000 marchi salì dal 37,4 al 38,2 per cento. Nel 1938, i tedeschi che si trovavano nella fascia di reddito più bassa erano il 49 per cento della popolazione e detenevano il 14 per cento del reddito nazionale, ma pagavano solo il 4,7 per cento delle tasse totali. Gli appartenenti alla categoria dei redditi più alti, che rappresentavano l’uno per cento della popolazione con il 21 % del reddito complessivo, pagavano il 45 per cento degli oneri fiscali complessivi. [25]

    Gli ebrei costituivano circa l’un per cento del totale della popolazione tedesca, quando Hitler salì al potere. Se è vero che il nuovo governo provvide ben presto ad escluderli dalla vita culturale e politica della nazione, agli ebrei fu però consentito continuare a partecipare alla vita economica, per almeno sette anni. Di fatto, molti ebrei trassero beneficio dalle misure adottate dal regime a favore della ripresa e dalla generale crescita economica. Nel giugno 1933, ad esempio, Hitler approvò un massiccio investimento governativo di 14,5 milioni di marchi nell’azienda Hertie, una catena di negozi berlinese di proprietà ebraica. Questo “bail out” fu varato per impedire il fallimento dei fornitori e finanziatori della grande azienda e, soprattutto, dei suoi 14.000 dipendenti. [26]

    Il Prof. Gordon Craig, che per anni ha insegnato storia alla Stanford University, sottolinea: “Nel campo dell’abbigliamento e del commercio al dettaglio, le aziende ebraiche continuarono ad operare con profitto fino al 1938; e a Berlino e ad Amburgo, in particolare, firme rinomate per gusto e reputazione continuarono ad attirare i propri clienti, nonostante fossero gestite da ebrei. Nel mondo della finanza, nessuna restrizione venne imposta alle attività delle aziende ebraiche alla Borsa di Berlino e fino al 1937 le firme bancarie di Mendelssohn, Bleichröder, Arnhold, Dreyfuss, Straus, Warburg, Aufhäuser, e Behrens rimasero in attività”. [27] Cinque anni dopo l’ascesa al potere di Hitler, il ruolo degli ebrei nella vita affaristica era ancora significativo e gli ebrei possedevano ancora un numero considerevole di proprietà immobiliari, soprattutto a Berlino. Tutto questo cambiò però drasticamente nel 1938, e alla fine del 1939 gli ebrei erano stati in larga parte esclusi dalla vita economica tedesca.

    Il tasso di criminalità in Germania si ridusse durante gli anni di Hitler, con cali significativi nel numero di omicidi, rapine, ruberie, appropriazioni indebite e piccoli furti. [28] Il miglioramento della salute e dell’aspetto esteriore dei tedeschi impressionò molti stranieri. “La mortalità infantile è calata moltissimo ed è sensibilmente inferiore a quella della Gran Bretagna”, scriveva Sir Arnold Wilson, un funzionario britannico che visitò la Germania per sette volte dopo l’ascesa al potere di Hitler. “La tubercolosi e altre malattie sono notevolmente diminuite. Le corti di giustizia non hanno mai avuto così poco da fare e le prigioni non hanno mai avuto così pochi occupanti. E’ un piacere osservare la prestanza fisica della gioventù germanica. Perfino le persone più povere si vestono meglio di quanto facessero prima e i loro volti sorridenti testimoniano il miglioramento psicologico che ha agito dentro di loro”. [29]

    L’incremento del benessere psico-emotivo dei tedeschi durante questo periodo fu notato anche dallo storico sociale Richard Grunberger. “Ci sono pochi dubbi”, scrisse, “che la presa di potere [dei nazionalsocialisti] abbia generato un miglioramento ad ampio raggio della salute emotiva; questo non è solo l’effetto della ripresa economica, ma anche di un accentuato senso d’identificazione dei tedeschi con una finalità nazionale”. [30]

    Anche l’Austria sperimentò una crescita straordinaria dopo la sua ricongiunzione con il Reich Germanico del 1938. Subito dopo l’Anschluss (“unione”), i funzionari si mossero immediatamente per alleviare le difficoltà sociali e rivitalizzare l’economia moribonda. Gli investimenti, la produzione industriale, la costruzione di abitazioni, la spesa al consumo, il turismo e i livelli di vita crebbero rapidamente. Solo tra il giugno e il dicembre 1938, la paga settimanale dei lavoratori dell’industria austriaca crebbe del nove per cento. Il successo del regime nazionalsocialista nell’eliminare la disoccupazione fu così rapido che lo storico americano Evan Burr Burkey fu portato a definirlo “uno dei più significativi risultati economici della storia moderna”. Il numero dei disoccupati in Austria scese dal 21,7 % del 1937 al 3,2 % del 1939. Il Prodotto Nazionale Lordo austriaco salì del 12,8 per cento nel 1938 e di un incredibile 13,3 per cento nel 1939. [31]

    Un’importante manifestazione della ritrovata fiducia nazionale fu il netto incremento del tasso di natalità. A un anno dall’ascesa al potere di Hitler, il tasso delle nascite in Germania fece un balzo del 22 per cento, raggiungendo il suo picco nel 1938. Rimase comunque alto perfino nel 1944, l’ultimo anno in cui la II Guerra Mondiale fu nel vivo. [32] Nella prospettiva dello storico John Lukacs, questo aumento esponenziale delle nascite fu l’espressione “dell’ottimismo e della fiducia” dei tedeschi durante gli anni di Hitler. “Per ogni due bambini nati in Germania nel 1932, quattro anni dopo ne nacquero tre”, egli scrive. “Nel 1938 e 1939, in Germania si registrò il più alto tasso di matrimoni di tutta Europa, surclassando perfino le cifre dei più prolifici popoli dell’Europa Orientale. Il fenomenale incremento del tasso di natalità tedesco durante gli anni ’30 fu perfino più impetuoso dell’aumento del numero di matrimoni”. [33] “La Germania Nazional-Socialista, caso unico tra i paesi di popolazione bianca, riuscì ad ottenere un incremento della fertilità”, nota il celebre storico americano, di origine scozzese, Gordon A. Craig, con un netto aumento del tasso di natalità dopo l’ascesa al potere di Hitler e un rapido incremento negli anni che seguirono. [34]

    In un lungo discorso tenuto al Reichstag all’inizio del 1937, Hitler ricordò le promesse fatte quando il suo governo aveva assunto il potere. Spiegò anche i princìpi su cui erano fondate le sue politiche e ripercorse tutti i risultati raggiunti nel corso di quei quattro anni. [35] “...Coloro che parlano di ‘democrazie’ e ‘dittature’”, disse, “semplicemente non capiscono che in questo paese ha avuto luogo una rivoluzione, i risultati della quale possono essere considerati democratici nel senso più alto di questo termine, se la democrazia ha un concreto significato... La Rivoluzione Nazional-Socialista non ha puntato a trasformare una classe privilegiata in una classe che non avrà più diritti nel futuro. Il suo fine è stato quello di offrire eguali diritti a coloro che non avevano diritti... Il nostro obiettivo è stato quello di dare all’intero popolo germanico la possibilità di essere attivo, non solo in campo economico, ma anche in campo politico, e di garantire ciò coinvolgendo le masse in maniera organizzata... Durante gli ultimi quattro anni abbiamo fatto crescere la produzione tedesca in ogni settore a livelli straordinari. E questo incremento della produzione è andato a beneficio di tutti i tedeschi”.

    In un altro discorso di due anni dopo, Hitler parlò brevemente delle conquiste economiche ottenute dal suo regime: [36] “Ho sconfitto il caos in Germania, ho ripristinato l’ordine, ho incrementato immensamente la produzione in tutti i settori della nostra economia nazionale, con sforzi strenui ho trovato il modo di rimpiazzare molti materiali di cui abbiamo carenza, ho incoraggiato le nuove invenzioni, sviluppato i commerci, ho fatto costruire strade poderose e fatto scavare canali, ho creato dal nulla fabbriche colossali e allo stesso tempo ho avuto cura di sviluppare l’educazione e la cultura del nostro popolo per il progresso della nostra comunità sociale. Sono riuscito ancora una volta a trovare lavori produttivi per quei sette milioni di disoccupati, che tanto ci stavano a cuore, facendo restare il cittadino germanico sul proprio suolo a dispetto di ogni difficoltà, e preservando questa stessa terra per lui, ripristinando la prosperità del commercio tedesco e promuovendo i traffici al massimo”.

    Lo storico americano John Garraty mise a confronto la risposta americana e quella tedesca alla Grande Depressione in un discusso articolo pubblicato su American Historical Review. Scrisse: [37] “I due movimenti [cioè quello in USA e quello in Germania] reagirono comunque alla Grande Depressione in due modi diversi e distinti da quelli adottati in altre nazioni industrializzate. Fra i due, i nazisti ebbero il maggiore successo nel curare i mali economici degli anni ’30. Ridussero la disoccupazione e stimolarono la produzione industriale più velocemente degli americani e – considerate le risorse a loro disposizione – seppero gestire i loro problemi monetari e commerciali con maggiore efficacia, sicuramente con maggiore immaginazione. Questo fu dovuto in parte al fatto che i nazisti sfruttavano il finanziamento del deficit su più ampia scala e in parte al fatto che il loro sistema totalitario si prestava meglio alla mobilitazione sociale, ottenuta sia con la forza, sia con la persuasione. Nel 1936 la depressione, in Germania, era praticamente superata, mentre negli Stati Uniti era ancora lontana dalla conclusione”.

    In effetti, il tasso di disoccupazione negli Stati uniti rimase alto fino a quando non intervenne lo stimolo della produzione bellica su larga scala. Ancora nel marzo 1940, il tasso di disoccupazione statunitense era quasi del 15 per cento. Fu la produzione bellica, non i programmi del “New Deal” di Roosevelt, a creare finalmente il pieno impiego. [38]

    Il Prof. William Leuchtenburg, eminente storico americano, noto soprattutto per i suoi libri sulla vita di Franklin Roosevelt, riassunse i risultati ottenuti dal presidente in uno studio ampiamente acclamato: “Il New Deal lasciò irrisolti molti problemi e ne creò perfino di nuovi e intricati”, concludeva Leuchtenburg. “Non dimostrò mai di essere in grado di generare prosperità in tempo di pace. Ancora nel 1941, i disoccupati ammontavano a sei milioni di persone e fu solo con l’anno di guerra 1943 che questo esercito di senza impiego finalmente si dissolse”. [39]

    Il contrasto tra i risultati economici conseguiti da USA e Germania negli anni ’30 risulta ancora più impressionante se si considera che gli Stati Uniti possedevano una ricchezza di gran lunga più vasta in termini di risorse naturali, incluse ampie riserve petrolifere, nonché una minor densità della popolazione e nessun vicino ostile e ben armato.

    Un interessante paragone tra l’approccio americano e tedesco alla Grande Depressione comparve su un numero del 1940 del settimanale berlinese Das Reich. Col titolo “Hitler e Roosevelt: un successo tedesco, un tentativo americano”, l’articolo citava il “sistema democratico-parlamentare” come fattore chiave del fallimento dei tentativi dell’amministrazione Roosevelt di ripristinare la prosperità. “Noi [tedeschi] siamo partiti da un’idea e l’abbiamo tradotta in misure concrete senza badare alle conseguenze. L’America è partita da molte misure concrete che, non avendo coerenza intrinseca, coprivano ogni ferita con una benda particolare”. [40]

    Le politiche hitleriane avrebbero potuto funzionare negli Stati Uniti? Tali politiche sono probabilmente più efficaci in paesi quali Svezia, Danimarca e Olanda, che possiedono una popolazione dotata di buona cultura, autodisciplina e coesione etnico-culturale, nonché un’etica “comunitaria” tradizionalmente forte, con un corrispondente alto livello di fiducia sociale. Le politiche economiche di Hitler sarebbero state meno adatte agli Stati Uniti e ad altre società con una popolazione differenziata sul piano etnico-culturale, una tradizione del “laissez-faire” marcatamente individualistica e di conseguenza uno spirito “comunitario” più debole. [41]

    Lo stesso Hitler una volta fece un illuminante paragone tra i sistemi socio-economico-politici di Stati Uniti, Unione Sovietica e Germania. In un discorso della fine del 1941, disse: [42]

    “Ora abbiamo conosciuto due estremi [socio-politici]. Uno è quello degli stati capitalisti, che utilizzano le menzogne, la truffa e il raggiro per negare ai loro popoli i diritti vitali più basilari e che si preoccupano esclusivamente dei propri interessi finanziari, in nome dei quali sono pronti a sacrificare milioni di persone. Dall’altro lato abbiamo visto [in Unione Sovietica] l’estremo comunista: uno stato che ha portato miseria indicibile a milioni e milioni di individui e che, per seguire la sua dottrina, sacrifica la felicità altrui. Da questo, a mio avviso, nasce per noi tutti un solo dovere, e cioè quello di protenderci più che mai verso il nostro ideale nazionale e socialista... In questo stato [tedesco] il principio prevalente non è, come nella Russia Sovietica, il principio della cosiddetta eguaglianza, ma soltanto il principio della giustizia”.

    David Lloyd George, che fu primo ministro britannico durante la Prima Guerra Mondiale, compì un lungo itinerario in Germania alla fine del 1936. In un articolo successivamente pubblicato in uno dei principali quotidiani londinesi, lo statista inglese raccontò ciò che aveva visto e sperimentato: [43]

    “Qualsiasi cosa si possa pensare dei suoi [di Hitler] metodi”, scriveva Lloyd George, “i quali non sono certo quelli di una nazione parlamentare, non vi è dubbio che egli sia riuscito ad ottenere una meravigliosa trasformazione nello spirito della sua gente, nel loro atteggiamento reciproco e nelle loro prospettive sociali ed economiche.

    “A Norimberga ha affermato correttamente che in quattro anni il suo movimento è riuscito a creare una nuova Germania. Non è più la Germania del primo decennio del dopoguerra, spezzata, affranta e china sotto un sentimento d’apprensione e impotenza. Ora essa è piena di speranza e fiducia, e di una rinnovata determinazione a condurre la propria vita senza interferenze da parte di qualunque autorità esterna alle sue frontiere.

    “Per la prima volta dopo la guerra vi è un diffuso senso di sicurezza. Le persone sono più allegre. C’è un maggior senso di diffusa gaiezza d’animo in tutto il paese. E’ una Germania più felice. L’ho notato dappertutto e alcuni inglesi incontrati durante il mio viaggio, i quali conoscono bene la Germania, si sono detti molto impressionati da questo cambiamento”.

    “Questo grande popolo”, ammoniva ancora l’anziano statista, “lavorerà più duramente, sacrificherà di più e, se necessario, combatterà con maggiore determinazione perché è Hitler a chiedergli di farlo. Coloro che non comprendono questo fatto basilare, non possono valutare le reali possibilità della moderna Germania”.

    Benché il pregiudizio e l’ignoranza abbiano impedito una più diffusa conoscenza e comprensione delle politiche economiche di Hitler e del loro impatto, il suo successo nell’economia è stato sempre riconosciuto dagli storici, anche da quegli studiosi che sono in genere molto critici verso il leader tedesco e le politiche del suo regime.

    John Lukacs, storico americano di origine ungherese, i cui libri hanno sempre suscitato molti commenti e approvazioni, ha scritto: “Le conquiste di Hitler, sul piano nazionale più che su quello estero, durante i sei anni [di pace] in cui fu a capo della Germania, furono straordinarie... Egli portò ai tedeschi prosperità e fiducia, quel tipo di prosperità che è il risultato della fiducia. Gli anni ’30, dopo il 1933, furono per molti tedeschi anni di gioia; qualcosa che rimase nei ricordi di un’intera generazione”. [44]

    Sebastian Haffner, influente storico e giornalista tedesco che fu critico feroce del Terzo Reich e della sua ideologia, esaminò la vita e l’eredità di Hitler in un suo libro molto discusso. Sebbene il suo ritratto del leader tedesco in The Meaning of Hitler sia molto negativo, l’autore scrive ugualmente: [45]

    “Fra i risultati positivi ottenuti da Hitler quello che eclissò tutti gli altri fu il suo miracolo economico”. Mentre il resto del mondo annaspava ancora nella paralisi economica, Hitler aveva reso “la Germania un’isola di prosperità”. Nell’arco di tre anni, continua Haffner, “il bisogno disperato e la povertà di massa si erano generalmente trasformate in una modesta ma confortevole prosperità. Quasi altrettanto importante: l’impotenza e la disperazione avevano lasciato il posto alla fiducia e alla sicurezza di sé. Ancor più miracoloso fu il fatto che la transizione dalla depressione al boom economico fu ottenuta senza generare inflazione, a prezzi e salari totalmente stabili... E’ difficile farsi un quadro adeguato della riconoscente meraviglia con cui i tedeschi reagirono a quel miracolo, il quale, nello specifico, fece sì che ampie percentuali di lavoratori tedeschi passassero, dopo il 1933, dal sostegno ai Social Democratici e ai Comunisti a quello verso Hitler. Questa riconoscente meraviglia dominò completamente l’umore delle masse tedesche tra il 1936 e il 1938...”.

    Joachim Fest, un altro eminente storico e giornalista tedesco, esaminò la vita di Hitler in una biografia minuziosa e acclamata. “Se Hitler fosse rimasto vittima di un assassinio o di un incidente alla fine del 1938”, egli scrisse, “pochi esiterebbero a ricordarlo come uno dei più grandi statisti tedeschi, come il coronamento della storia germanica”. [46] “Nessun osservatore obiettivo della scena tedesca potrebbe mai negare i considerevoli successi di Hitler”, scriveva lo storico americano John Toland. “Se Hitler fosse morto nel 1937 o nel quarto anniversario della sua ascesa al potere... sarebbe stato senza dubbio ricordato come una delle più grandi figure della storia germanica. Aveva milioni di ammiratori in tutta Europa”. [47]


    Note
    1. J. K. Galbraith, Money (Boston: 1975), pp. 225-226.
    2. J. K. Galbraith, The Age of Uncertainty (1977), pp. 214.
    3. J. K. Galbraith, in The New York Times Book Review, 22 aprile 1973. Citato in: J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), p. 403 (note).
    4. J. K. Galbraith, The Age of Uncertainty (1977), pp. 213-214.
    5. Discorso di Hitler alla radio, “Aufruf an das deutsche Volk,” 1 febbraio 1933.
    6. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” su “The American Historical Review”, Ottobre 1973 (Vol. 78, No. 4), pp. 909-910.
    7. Gordon A. Craig, Germany 1866-1945 (New York: Oxford, 1978), p. 620.
    8. Richard Grunberger, The Twelve-Year Reich: A Social History of Nazi Germany, 1933-1945 (New York: Holt, Rinehart and Winston, 1971), p. 186. Pubblicato la prima volta in Inghilterra col titolo: A Social History of the Third Reich.
    9. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 187; David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980 [softcover]), p. 100.
    10. David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980), p. 101.
    11. David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980 [softcover]), pp. 100, 102, 104; Lo storico Gordon Craig scrive: “Oltre a questi risultati innegabili [cioè il miglioramento della qualità della vita], i lavoratori tedeschi ricevettero dallo stato sostanziosi benefici supplementari. Il partito condusse una campagna sistematica e di incredibile successo per il miglioramento delle condizioni di lavoro negli impianti industriali e commerciali, con periodiche iniziative studiate non solo per far sì che i regolamenti sulla salute e sulla sicurezza venissero implementati, ma anche per favorire la rottura della monotonia derivante dallo svolgere tutti i giorni gli stessi compiti lavorativi, con diversivi quali musica, attività nelle serre e premi speciali per i migliori risultati raggiunti”, G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), pp. 621-622.
    12. Intervista a Louis Lochner, corrispondente della Associated Press a Berlino. Citato in: Michael Burleigh, The Third Reich: A New History (New York: 2000), p. 247.
    13. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), p. 623; John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” “The American Historical Review”, Ottobre 1973 (Vol. 78, No. 4), pp. 917, 918.
    14. J. A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Ottobre 1973, pp. 917, 918.
    15. Joachim Fest, Hitler (New York: 1974), pp. 434-435.
    16. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (New York: 1971 [hardcover ed.]), p. 203.
    17. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 30, 208.
    18. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 198, 235.
    19. G. Frey (Hg.), Deutschland wie es wirklich war (Munich: 1994), pp. 38. 44.
    20. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 179.
    21. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 118, 144.
    22. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 144, 145; Franz Neumann, Behemoth: The Structure and Practice of National Socialism 1933-1944 (New York: Harper & Row, 1966 [softcover] ), pp. 326-319; R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 177
    23. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 177; D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980), p.125.
    24. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 148, 149.
    25. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 148, 149. (Come paragone, fa notare Schoenbaum, gli oneri fiscali per la fascia più alta nella Repubblica della Germania Federale del 1966 erano circa del 44 per cento.)
    26. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), p. 134.
    27. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), p. 633.
    28. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 26, 121; G. Frey (Hg.), Deutschland wie es wirklich war (Munich: 1994), pp. 50-51.
    29. Citato in: J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), p. 405. Fonte: Cesare Santoro, Hitler Germany (Berlin: 1938).
    30. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 223.
    31. Evan Burr Bukey, Hitler’s Austria (Chapel Hill: 2000), pp. 72, 73, 74, 75, 81, 82, 124. (Bukey è professore di storia presso l’Università dell’Arkansas.)
    32. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 29, 234-235.
    33. John Lukacs, The Hitler of History (New York: Alfred A. Knopf, 1997), pp. 97-98.
    34. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), pp. 629-630.
    35. Hitler, Discorso al Reichstag del 30 gennaio 1937.
    36. Hitler, discorso al Reichstag del 28 aprile 1939.
    37. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Ottobre 1973 (Vol. 78, No. 4), p. 944. (Garraty ha insegnato storia presso la Michigan State University e la Columbia University, e ha ricoperto la carica di presidente della Società degli Storici Americani.)
    38. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Ottobre 1973 (Vol. 78, No. 4), p. 917, incl. n. 23. Garraty scriveva: “Di certo il pieno impiego non fu mai raggiunto in America finché l’economia non passò alla piena produzione bellica… La disoccupazione in America non scese mai molto al di sotto della cifra di otto milioni durante gli anni del New Deal. Nel 1939 circa 9.4 milioni di persone erano senza lavoro e al momento del censimento del 1940 (a marzo) i disoccupati erano ancora 7.8 milioni, quasi il quindici per cento della forza lavoro”.
    39. William E. Leuchtenburg, Franklin Roosevelt and the New Deal (New York: Harper & Row, 1963 [softcover]), pp. 346-347.
    40. Da Das Reich, 26 maggio 1940. Citato in John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Ottobre 1973, p. 934. Fonte citata: Hans-Juergen Schröder, Deutschland und die Vereinigten Staaten (1970), pp. 118-119.
    41. Durante una visita a Berlino negli anni ’30, l’ex presidente americano Herbert Hoover s’incontrò col Ministro delle Finanze di Hitler, il Conte Lutz Schwerin von Krosigk, che gli espose nei particolari le politiche economiche del suo governo. Pur riconoscendo che tali misure erano benefiche per la Germania, Hoover espresse l’idea che esse non sarebbero state adatte agli Stati Uniti. Livelli salariali definiti dal governo e politiche dei prezzi, egli riteneva, sarebbero stati contrari all’idea americana di libertà individuale. Vedi: Lutz Graf Schwerin von Krosigk, Es geschah in Deutschland (Tübingen/ Stuttgart: 1952), p. 167; L’influente economista britannico John Maynard Keynes scrisse nel 1936 che le sue politiche “Keynesiane”, che in certa misura furono adottate dal governo di Hitler, “si adattavano molto più facilmente alle condizioni di uno stato totalitario” piuttosto che ad un paese in cui prevalessero “condizioni di libera competizione e un ampio livello di laissez-faire”. Citato in: James J. Martin, Revisionist Viewpoints (1977), pp. 187-205 (Vedi anche: R. Skidelsky, John Maynard Keynes: The Economist as Savior 1920-1937 [New York: 1994], p. 581.); Ricerche degli anni recenti evidenziano che una maggiore differenziazione etnica riduce il livello della fiducia sociale e l’attuabilità delle politiche di welfare. Vedi: Robert D. Putnam, “E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-first Century,” Scandinavian Political Studies, giugno 2007. Vedi pure: Frank Salter, Welfare, Ethnicity, and Altruism (Routledge, 2005)
    42. Hitler, discorso a Berlino, 3 ottobre 1941.
    43. Daily Express (Londra), 17 Nov. (o Sett.?) 1936.
    44. John Lukacs, The Hitler of History (New York: Alfred A. Knopf, 1997), pp. 95-96
    45. S. Haffner, The Meaning of Hitler (New York: Macmillan, 1979), pp. 27-29. Pubblicato per la prima volta nel 1978 col titolo Anmerkungen zu Hitler. Vedi anche: M. Weber, “Sebastian Haffner's 1942 Call for Mass Murder,” The Journal of Historical Review, Autunno 1983 (Vol. 4, No. 3), pp. 380-382.
    46. J. Fest, Hitler: A Biography (Harcourt, 1974), p. 9. Citato in: S. Haffner, The Meaning of Hitler (1979), p. 40.
    47. J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), pp. 407. 409.

    IL BABAU: VITA E OPERE
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

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    HITLER IMITÒ IL SISTEMA MONETARIO DI LINCOLN
    di Ellen Brown

    “Non siamo stati così sciocchi da creare una valuta collegata all’oro, di cui non abbiamo disponibilità, ma per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o in beni prodotti. Ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri nazionali sostengono che il valore della valuta deve essere regolato dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di stato“. (Adolf Hitler, citato in Hitler’s Monetary System, rense.com, che riprende C.C.Veith, Citadels of Chaos, Meador, 1949). Quello di Guernsey (politico del Minnesota, ndr), non fu dunque l’unico governo a risolvere i propri problemi infrastrutturali stampando da solo la propria moneta. Un modello assai più noto si può trovarlo nella Germania uscita dalla Prima Guerra Mondiale. Quando Hitler arrivò al potere, il Paese era completamente, disperatamente, in rovina.

    Il Trattato di Versailles aveva imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si intendeva rimborsare i costi sostenuti nella partecipazione alla guerra per tutti i Paesi belligeranti. Costi che ammontavano al triplo del valore di tutte le proprietà esistenti nella Germania. La speculazione sul marco tedesco aveva provocato il suo crollo, affrettando l’evento di uno dei fenomeni d’inflazione più rovinosi della modernità. Al suo apice, una carriola piena di banconote, per l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo di pane. Le casse dello Stato erano vuote ed enormi quantità di case e di fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli strozzini internazionali. O almeno così sembrava.
    Hitler e i Nazional-Socialisti, che arrivarono al potere nel 1933, si opposero al cartello delle banche internazionali iniziando a stampare la propria moneta. In questo presero esempio da Abraham Lincoln, che aveva finanziato la Guerra Civile Americana con banconote stampate dallo Stato, che venivano chiamate “Greenbacks“. Hitler iniziò il suo programma di credito nazionale elaborando un piano di lavori pubblici. I progetti destinati a essere finanziati comprendevano le infrastrutture contro gli allagamenti, la ristrutturazione di edifici pubblici e case private e la costruzione di nuovi edifici, strade, ponti, canali e strutture portuali. Il costo di tutti questi progetti fu fissato a un miliardo di di unità della valuta nazionale. Un miliardo di biglietti di cambio non inflazionati, chiamati Certificati Lavorativi del Tesoro. Questa moneta stampata dal governo non aveva come riferimento l’oro, ma tutto ciò che possedeva un valore concreto. Essenzialmente si trattava di una ricevuta rilasciata in cambio del lavoro e delle opere che venivano consegnate al governo. Hitler diceva: “Per ogni marco che viene stampato, noi abbiamo richiesto l’equivalente di un marco di lavoro svolto o di beni prodotti“. I lavoratori spendevano poi i certificati in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone.
    Nell’arco di due anni, il problema della disoccupazione era stato risolto e il Paese si era rimesso in piedi. Possedeva una valuta solida e stabile, niente debito, niente inflazione, in un momento in cui negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali erano ancora senza lavoro e vivevano di assistenza. La Germania riuscì anche a ripristinare i suoi commerci con l’estero, nonostante le banche estere negassero credito e dovesse fronteggiare un boicottaggio economico internazionale. Ci riuscì utilizzando il sistema del baratto: beni e servizi venivano scambiati direttamente con gli altri paesi, aggirando le banche internazionali. Questo sistema di scambio diretto avveniva senza creare debito nè deficit commerciale. L’esperimento economico della Germania lasciò alcuni durevoli monumenti al suo processo, come la famosa Autobahn, la prima rete del mondo di autostrade a larga estensione.
    Di Hjalmar Schacht, che era all’epoca a capo della banca centrale tedesca, viene spesso citato un motto che riassume la versione tedesca del miracolo del “Greenback”. Un banchiere americano gli aveva detto: “Dottor Schacht, lei dovrebbe venire in America. Lì abbiamo un sacco di denaro ed è questo il vero modo di gestire un sistema bancario“. Schacht replicò: “Lei dovrebbe venire a Berlino. Lì non abbiamo denaro. E’ questo il vero modo di gestire un sistema bancario” (John Weitz, Hitler’s Banker Warner Books, 1999).
    Benchè Hitler sia citato con infamia nei libri di storia, egli fu popolare presso il popolo tedesco. Stephen Zarlenga, in The Lost Science of Money, afferma che ciò era dovuto al fatto che egli salvò la Germania dalle teorie economiche inglesi. Le teorie secondo le quali il denaro deve essere scambiato sulla base delle riserve aurifere in possesso di un cartello di banche private piuttosto che stampato direttamente dal governo. Secondo il ricercatore canadese Henry Makow, questo fu probabilmente il motivo principale per cui Hitler doveva essere fermato; egli era riuscito a scavalcare i banchieri internazionali e creare una propria moneta. Makow cita un interrogatorio del 1938 di C.G. Rakowsky, uno dei fondatori del bolscevismo sovietico e intimo di Trotzky, che finì sotto processo nell’URSS di Stalin. Secondo Rakowsky, “[Hitler] si era impadronito del privilegio di fabbricare il denaro, e non solo il denaro fisico, ma anche quello finanziario; si era impadronito dell’intoccabile meccanismo della falsificazione e lo aveva messo a lavoro per il bene dello Stato. Se questa situazione fosse arrivata a infettare anche altri Stati, potete ben immaginare le implicazioni controrivoluzionarie” (Henry Makow, “Hitler Did Not Want War”, Barons Brewing Co).
    L’economista inglese Henry C.K.Liu ha scritto sull’incredibile trasformazione tedesca: “I nazisti arrivarono al potere in Germania nel 1933, in un momento in cui l’economia era al collasso totale, con rvinosi obblighi di risarcimento postbellico e zero prospettive per il credito e gli investimenti stranieri. Eppure, attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, il Terzo Reich riuscì a trasformare una Germania in bancarotta, privata perfino di colonie da poter sfruttare, nell’economia più forte d’Europa, in soli quattro anni, ancor prima che iniziassero le spese per gli armamenti“. In Billions for the Bankers, Debts for the People (Miliardi per le Banche, Debito per i Popoli, 1984), Sheldon Hemry commenta: “Dal 1935 in poi, la Germania iniziò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi, ed è questo che spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le operazioni belliche, dal 1935 al 1945, senza aver bisogno di oro nè debito, e fu necessaria l’unione di tutto il mondo capitalista e comunista per distruggere il potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei banchieri“.
    L’IPERINFLAZIONE DI WEIMAR
    Nei testi moderni si parla della disastrosa inflazione che colpì nel 1923 la Repubblica di Weimar (nome con cui è conosciuta la repubblica che governò la Germania dal 1919 al 1933). La radicale svalutazione del marco tedesco è citata nei testi come esempio di ciò che può accadere quando ai governi viene conferito il potere incontrollato di stampare da soli la propria moneta. Questo è il motivo per cui viene citata, ma nel complesso mondo dell’economia le cose non sono come sembrano. La crisi finanziaria di Weimar ebbe inizio con gli impossibili obblighi di risarcimento imposti dal Trattato di Versailles.
    Schacht, che all’epoca era il responsabile della zecca della repubblica, si lamentava: “Il Trattato di Versailles è un ingegnoso sistema di provvedimenti che hanno per fine la distruzione economica della Germania. Il Reich non è riuscito a trovare un sistema per tenersi a galla diverso dall’espediente inflazionistico di continuare a stampare banconote“. Questo era quello che egli dichiarava all’inizio. Ma Zarlenga scrive che Schacht, nel suo libro del 1967 The Magic of Money, decise “di tarar fuori la verità, scrivendo in lingua tedesca alcune notevoli rivelazioni che fanno a pezzi la saggezza comune propagandata dalla comunità finanziaria riguardo all’iperinflazione tedesca“. Schacht rivelò che era la Banca del Reich, posseduta da privati, e non il governo tedesco che pompava nuova valuta all’economia. Nel meccanismo finanziario conosciuto come vendita a breve termine, gli speculatori prendono in prestito qualcosa che non possiedono, la vendono e poi “coprono” le spese ricomprandola a prezzo inferiore. La speculazione sul marco tedesco fu resa possibile dal fatto che la Banca del Reich rendeva disponibili massicce quantità di denaro liquido per i prestiti, marchi che venivano creati dal nulla annotando entrate sui registri bancari e poi prestati ad interessi vantaggiosi.
    Quando la Banca del Reich non riuscì più a far fronte alla vorace richiesta di marchi, ad altre banche private fu permesso di crearli dal nulla e di prestarli, a loro volta, a interesse. Secondo Schacht, quindi, non solo non fu il governo a provocare l’iperinflazione di Weimar, ma fu proprio il governo che la tenne sotto controllo. Alla Banca del Reich furono imposti severi regolamenti governativi e vennero prese immediate misure correttive per bloccare le speculazioni straniere, eliminando la possibilità di facile accesso ai prestiti del denaro fabbricato dalle banche. Hitler poi rimise in sesto il paese con i suoi Certificati del Tesoro, stampati dal governo su modello del Greenback americano. Schacht disapprovava l’emissione di moneta da parte del governo e fu rimosso dal suo incarico alla Banca del Reich quando si rifiutò di sostenerlo (cosa che probabilmente lo salvò dal processo di Norimberga). Ma nelle sue memorie più tarde, egli dovette riconoscere che consentire al governo di stampare la moneta di cui aveva bisogno non aveva prodotto affatto l’inflazione prevista dalla teoria economica classica. Teorizzò che essa fosse dovuta al fatto che le fattorie erano ancora inoperose e la gente senza lavoro. In questo si trovò d’accordo con John Maynard Keynes: quando le risorse per incrementare la produzione furono disponibili, aggiungere liquidità all’economia non provocò affatto l’aumento dei prezzi; provocò invece la crescita dei beni e di servizi. Offerta e domanda crebbero di pari passo, lasciando i prezzi inalterati. (da Webofdebt)
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  8. #8
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Hjalmar Schacht
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


    Hjalmar Horace Greeley Schacht (Tingleff, 22 gennaio 1877 – Monaco di Baviera, 3 giugno 1970) fu un importante economista, presidente della Reichsbank, la banca centrale tedesca, e ministro dell'Economia nella Germania nazionalsocialista dal 1935 al 1937.
    Gli studi
    Schacht nacque a Tingleff, Germania (ora in Danimarca) da una famiglia di origini ebraiche. Fu figlio di William Leonhard Ludwig Maximillian Schacht e della baronessa danese Constanze Justine Sophie von Eggers. I suoi genitori, memori dei trascorsi negli Stati Uniti d'America, scelsero il suo nome in omaggio al giornalista Horace Greeley. Schacht studiò medicina, filologia e scienze politiche e si laureò in economia nel 1899.
    La Presidenza della Reichsbank
    Nel 1903, entrò nella Dresdner Bank, guidata da Jakob Goldschmidt, che favorirà la sua nomina a capo dell'istituto nel 1908, e poi della Reichsbank. Nel 1905, insieme ad altri membri della Dresdner Bank, Schacht conobbe il famoso banchiere americano J. P. Morgan, ed il Presidente degli U.S.A. Theodore Roosevelt.
    Dal 1908 al 1915 fu amministratore della Dresdner Bank. Nel 1923, fu nominato responsabile economico della Repubblica di Weimar, varando una serie di misure che ridussero l'inflazione e stabilizzano il marco tedesco. Schacht venne promosso presidente della Reichsbank nel 1924. Partecipò all'elaborazione del piano Dawes ed al piano Young.
    Il 7 marzo 1930, 6 mesi dopo l'inizio della Grande depressione, lasciò la carica di Presidente della Reichsbank, che riprese il 17 marzo 1933 dopo l'ascesa al potere di Hitler.
    Schacht lasciò il piccolo Partito Democratico Tedesco (che aveva contribuito a fondare) e si avvicinò, pur non aderendovi, alle posizioni del Partito Nazista (NSDAP).
    Il Partito Nazional-Socialista e il Ministero dell'Economia (1934-37)
    Schacht non fu mai membro effettivo del NSDAP, ma fu un finanziatore del partito di Adolf Hitler.
    Nell'agosto del 1934 Hitler lo nominò Ministro dell'Economia. Schacht intraprese un politica economica simile a quella di Franklin Delano Roosevelt, il cosiddetto New Deal: con una forte politica di Lavori Pubblici promosse la costruzione della rete autostradale tedesca e risolse i problemi di disoccupazione, creando dal nulla milioni di posti di lavoro.
    I principali provvedimenti intrapresi da Schacht furono: l'annullamento del debito estero, la nazionalizzazione delle grosse imprese, la germanizzazione di quelle piccole; finanziò lo sviluppo attraverso i MEFO, delle obbligazioni emesse sul mercato interno[1]. Riuscì inoltre ad annullare l'inflazione ed ottenne il pareggio del bilancio dello Stato post-Weimar.
    Per quanto riguarda il commercio estero, ideò un ingeniosissimo sistema per trasformare gli acquisti di materie prime da altri paesi in commesse per l'industria tedesca: i fornitori erano pagati in moneta che poteva essere spesa soltanto per comprare merci fatte in Germania. Il meccanismo, di stimolo al settore manifatturiero, funzionava come un baratto: le materie prime importate erano pagate con prodotti finiti dell'industria nazionale, evitando così il peso dell'intermediazione finanziaria e fuoriuscite di capitali.
    In virtù di questi meriti venne nominato Plenipotenziario Generale per l'economia di Guerra nel maggio del 1935; nell'agosto del 1935 si trovò però in disaccordo con Julius Streicher ed i suoi scritti anti-ebraici sul Der Stürmer. Schacht venne rimosso dalla carica di Ministro dell'economia nel novembre del 1937 a causa di disaccordi con Hitler ed Hermann Göring sulle eccessive spese militari che, secondo Schacht, avrebbero portato ad una catastrofica inflazione.
    Mantenne la carica di presidente della Reichsbank fino a quando Hitler non gli impose le dimissioni nel gennaio del 1939. Schacht mantenne comunque il titolo di Ministro senza portafoglio e ricevette lo stipendio di Presidente della Reichsbank fino al gennaio del 1943, quando venne posto in definitivo congedo.
    La Resistenza
    Schacht venne accusato di aver preso parte al complotto del 20 luglio per assassinare Hitler nel 1944. Il coinvolgimento di Schacht nel tentato colpo di stato fu confermato in seguito da diversi testimoni nel corso del processo di Norimberga. Arrestato dalle SS, venne condotto nel campo di concentramento di Dachau in qualità di prigioniero speciale dove restò fino all'aprile 1945.
    Subito arrestato dagli Alleati fu accusato di crimini contro la pace nel Processo di Norimberga, ma venne assolto e liberato nel 1946. Riarrestato immediatamente dalle autorità tedesche e processato nel corso dei processi di denazificazione seguiti al conflitto, Schacht venne condannato alla pena di otto anni di lavori forzati, ma fu rilasciato nel settembre del 1948.
    Il processo di Norimberga
    Schacht venne accusato di crimini contro la pace. Si difese sostenendo di essere soltanto banchiere ed un economista, anche se la prove indicarono che aveva partecipato alle riunioni che avevano lo scopo di portare i nazionalsocialisti al potere e che aveva contribuito ad aggirare il Trattato di Versailles.
    Pur avendo direttamente finanziato l'ascesa del movimento nazista, i giudici non riuscirono a trovare le prove del suo diretto coinvolgimento nella preparazione della guerra aggressiva e venne dichiarato "non colpevole" (unico insieme a Franz von Papen e a Hans Fritzsche).
    Il dopo-Guerra
    Dopo la liberazione definitiva nel 1948 Schacht fondò la Düsseldorfer Außenhandelsbank Schacht & Co. e divenne consigliere economico e finanziario per i paesi in via di sviluppo. Schacht morì il 3 giugno 1970 a Monaco di Baviera.
    Note
    1. ^ Arkadi Poltorak, Il processo di Norimberga, Teti Editore, Milano, pagg. 301-302
    Bibliografia
    Renè Dubail, L'ordinamento economico Nazionalsocialista, edizioni all'insegna del Veltro, Parma

    http://it.wikipedia.org/wiki/Hjalmar_Schacht
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  9. #9
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Questo è l'antidoto per eccellenza. E chi lo ha utilizzato è stato ferocemente sanzionato.

    È giunta l'ora di ripagare l'elite globale, sionista e non, con la stessa moneta.

    La conoscenza è potere, la Verità rende liberi.
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  10. #10
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    Predefinito Re: Siete Preparati al collasso economico?

    Il punto di non ritorno, come lo chiami tu, dal punto di vista economico, è proprio quello che permette la risalita. Il fondo del pozzo.
    Certo occorre avere una cordicella alla quale attaccarsi.
    Non vedo però in circolazione qui da noi purtroppo nessun Hitler padano, parlandone bene in senso economico, tantomeno tra coloro che cianciano solo di argomenti triti e ritriti senza nulla di concreto.
    Magari in attesa di una cadrega futura.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

 

 
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