PECHINO - Si preoccupano per lui. Ma il suo mestiere non è preoccuparsi. Un ministro tedesco era rimasto stupito dalle pagine fosche di Brothers, dalla bulimia capitalistica di una Cina che lo scrittore 52enne Yu Hua racconta con spietatezza grottesca, e temeva che finisse male. Risposta di Yu:" I politici in Cina sono come ovunque nel mondo. Leggono pochi libri..." Dunque? "Il governo non mi apprezzava però mi tollerava. E vedendo come vanno le cose, continuerà a tollerarmi. Anche se divento più audace, la società va avanti". Il codice binario non si confà alla Cina. I confini netti, che pure esistono, a volte tracciano scarti improvvisi, e così Yu Hua, che da Torture a Vivere! non si è (o ci ha) negato nulla delle sgradevolezze della sua patria, può spingersi ad agitare tabù e temi sensibili.
Ha pubblicato una sorta di vademecum, La Cina in dieci parole "Le dieci parole che ho scelto sono collegate alla storia e alla realtà cinesi. Passato e futuro. E se questo libro non può uscire nel mio Paese è perché parlo di Tienanmen", il 4 giugno 1989, una data rimossa tanto che lo scrittore l'ha rinominata "35 maggio". "E' anche la mia storia. Esperienza indimenticabile. Anche l'anno scorso quando sono stato al Cairo, e ho assistito alle manifestazioni. Ho pensato che Mubarak se la sarebbe cavata ripensando a Tienanmen. Invece è caduto. Ero confuso: con così poca gente in piazza? Da noi c'erano milioni ma il governo era tranquillo...Il fatto è che in Egitto il popolo non poteva più sopportare lo stesso presidente da 40 anni, mentre nel 1989 in Cina i conflitti sociali non erano così sentiti: era l'undicesimo anno della riforma di Deng, i contadini ne avevano beneficiato e la chiusura delle fabbriche sarebbe arrivata solo negli anni '90. Tempi non maturi per un movimento di rivolta.
E adesso? "Adesso sì che i tempi sono maturi. Ma i comunisti non permettono a oltre 70 persone di riunirsi". Perché? "Quando i giovani si laureano, non trovano lavoro, non riescono a comprare casa. Nel 63% delle famiglie sono i vecchi che mantengono i giovani. La Cina ha soltanto due esiti possibili: o più democrazia o una rivoluzione. Ma servono comunque tempi lunghi".
Ecco dove il confine tra ciò che si può dire e non si può dire si confonde. Il codice binario impazzisce ad esempio quando Yu parla di un caffè di Pechino, il Bookworm, che ospita un festival letterario frequentato da espatriati ma anche da elitè intellettuale cinese. Sorride: in America e in Europa i lettori "temono che io possa avere problemi in Cina. Io sono convinto di no. In America mi hanno chiesto se mi avrebbero incarcerato. Ho risposto che se finisco in prigione almeno non dovrò più cucinare da solo. E in ogni caso fare lo scrittore è meglio che fare il dentista.", professione esercitata da Yu ragazzo, senza addestramento. Ecco la vena irridente che fa ipotizzare, persino agli ammiratori più sconsiderati, che il libro Dieci parole, nato per un'audience non cinese abbia voluto tener conto di una possibile nicchia di mercato occupata da quasi-dissidenti, gli intellettuali scomodi alla Ai Weiwei.
Ma il dolore resta, e resta anche la politica. "Il mio maggiore dolore - ripete Yu - che pure riconosce a Deng Xiaoping "meriti unici" - è Tienanmen. Ne patiamo ancora le conseguenze. Prima di allora la riforma politica e quella economica andavano avanti insieme, ma i vertici hanno scoperto che la riforma politica avrebbe potuto minacciare il loro potere ed è arrivata una crescita economica senza trasparenza politica. Con disparità, corruzione, guasti ambientali. Un'anomalia". Tra i leader qualcuno parla, cauto e generico, di riforme politiche: "In realtà, tanti funzionari e intellettuali hanno capito che erano gli aspetti politici ad ostacolare lo sviluppo della Cina, non le questioni economiche. Aver abbandonato le riforme politiche dopo il 1989 ci ha portato più problemi che vantaggi. In realtà, ora è una buona occasione. Ma la priorità è la stabilità. Mao Zedong sosteneva che la gente è come le bacchette. Isolate no, ma in mazzo riescono a rovesciare le autorità. Ora il governo cerca di tenere separate le bacchette. Ma sono pessimista sulla riforma politica". Intanto un numero sia pur ristretto di attivisti subisce abusi, la legislazione favorisce il controllo autoritario. "Siamo tutti bacchette separate", spiega Yu al Corriere della Sera. "E' difficile, anzi quasi impossibile che ci uniamo, specie dopo le norme penali appena approvate. Ma queste voci hanno dimostrato di essere utili per il governo. Ci sono dirigenti che le accolgono. Vorrebbero anche loro riforme e democrazia. Certamente vogliono che le cose vengano fatte per gradi. Non possono parlare liberamente come noi, però almeno Wen Jiabao si è espresso per le riforme più volte...". "Modelli come la Germania o gli Stati Uniti sono troppo lontani per noi. Possiamo imparare dal Taiwan. Quando hanno abbracciato la democrazia, temevo il caos. Invece a Taiwan ho visto una bella società. Dimostra che i cinesi possono creare una buona democrazia". Tutto si muove, tutto va avanti, come spesso suggeriscono i romanzi di Yu. Anche la leadership muta. "La parola Leader si è svalutata. Prima era riservata solo a Mao. Adesso la usiamo dappertutto, anche nell'ascensore. All'epoca soltanto Mao agitava la mano sulla Tienanmen. Gli altri salutavano tenendo i libretti rossi ad un'altezza inferiore. Adesso invece i 9 membri del comitato permanente del Politburo agitano tutti la mano, alla stessa altezza. Quindi la Cina ha fatto progressi: magari nel futuro 90 persone agiteranno le mani alla stessa altezza. Mi auguro che in futuro nel Politburo ci siano 9000 membri". Non ci sono più i leader di una volta.