Nel segno di Marte



E' stato opportunamente sottolineato che probabilmente «non è il culto di Giove la manifestazione più antica presso gli Italici». Le tradizioni connesse al ver sacrum, che, abbiamo visto, rimandano alla più alta "preistoria politica d'Italia", si ricongiungono tutte, infatti, alla figura di Marte, Dio della Guerra e in origine rappresentato semplicemente come un'Asta Militare, il curix, e nel contempo Protettore (armato ... ) delle Pacifiche attività Agricole e pastorali.

Così, come Difensore Armato, poteva essere invocato dai Guerrieri prima della Battaglia e dai Contadini prima della lustrazione dei campi, con offerta di frutta e sacrifici di messi, fare da Patrono ai bellicosi Salii ed ai pacifici Fratres Arvali.

Il Preller è dell'avviso che il ver sacrum appare «nei tempi più antichi tradizionalmente proprio solo nel Culto di Marte ( ... ) che, accanto a Giove, era il vero Dio principale e capostipite della popolazione italica». Ora, se in seguito ad un ver sacrum il popolo originato dalla migrazione della juventus porta nel proprio nome quello di uno degli animali sacri a Marte, come il Picchio, il Toro, il Lupo, oppure si dice che uno di loro era alla loro testa al momento dell'esodo, si può concludere senz'altro che le primavere sacre venivano dedicate a Marte: ed era proprio con il suo mese, Martius, che la primavera, rinnovellatrice della natura, e lo stesso Anno, avevano inizio a Roma e presso i più antichi Indiani.

Del resto, quello che gli era consacrato doveva essere soltanto «quod natum esset inter Kalendas Martias et pridie Kalendas Maias», cioè compreso fra il 1° marzo ed il 30 aprile. Ecco dunque generarsi dalla terra dei Sabini, come frutto della più antica ondata di queste migrazioni, quei Picentes «voto vere sacro» che, provenendo dalla conca di Norcia, sono discesi nella valle del Tronto, di là diffondendosi: in Ascoli hanno avuto la loro capitale, in Cupra il santuario famoso di una loro Dea. «Picena regi . o, in qua est Ausculum, dicta quod Sabini, cum Ausculum proficiscerentur, in vexillo eorum picus consederat», afferma Festo: questo picchio che si è posato sulla loro insegna militare e li ha, per così dire, «adottati», «ha mostrato loro il cammino... ed è sacro a Marte», aggiunge espressamente Strabone.

In quanto ai Marsi, discesi nella valle del Salto, «hanno un nome,di origine sacra, quindi assunto nell'occasione della primavera sacra che li staccava dal tronco sabino». La loro diretta connessione al Dio li avvicina a quei Mametlini campani che, consacrati in un ver sacrum nel Sannio e votati a Mamers - il Marte osco - fonderanno in Sicilia l'ultimo degli Stati italici indipendenti (289-264 a.C.): quella Messina che secondo un rito antichissimo si consacrò a Mamerte e si chiamò TOUTO MAMERTINO (o "popolo di Marte").

Dal lago di Cotilia - che Dionisio ci ha riferito essere «sacro alla Vittoria» - il centro di migrazione si sposta al Fucino e dal Fucino al Sangro. Di qui comincia il territorio dei Sanniti, il cui nome il Devoto considera derivato dalla stessa radice "*sabh-" presente nel lat. Sabini, designante il vero nome nazionale degli Italici.

I Sabini, afflitti dagli attacchi degli Umbri, consacrarono a Marte i figli nati in quella primavera e questi, raggiunta l'età adulta, partirono verso il sud in numero di circa settemila condotti da un Toro selvatico mandato dal Dio, avendo alla testa un certo Cominius Castrvnius. Giunti nel paese dei protolatini Opici, immolarono il Toro a Marte e vi si stanziarono, fondando sul luogo Bovianum, l'antica capitale Sannita, che reca nel nome il ricordo dell'animale divino.

Tale scena probabilmente appare in una rozza moneta sannita, che nel rovescio mostra un giovane guerriero stante su una lancia tra un albero (o trofeo) e un Toro giacente: personificazione forse di Cominius Castronius che, allo sdraiarsi del Toro Marzio, prende possesso del suolo a nome della juventus sabina.

Il costume del ver sacrum non solo non s'interrompe, ma si intensifica: dal tronco principale dei Sanniti si forma il ramo meridionale degli Irpini o «lupi» che, guidati da un lupo sacro (hirpus), andranno ad abitare il bacino del Calore, tra le falde orientali del Taburno e i monti che si stendono sino alle pianure pugliesi: Irpini appellati nomine 'lupi', quem irpum dicunt Samnites eum enim ducem secuti agros accupavere. Il Lupo è notoriamente un altro animale consacrato a Marte e sarebbe stato alla testa di un ulteriore ver sacrum sannita, donde nacque la federazione dei bellicosi Lucani, estesa dalle sorgenti del Sele e del Bradano sino al territorio degli Enotri: il collegamento col greco Lykos («lupo») pare infatti suffragato dalla monetazione lucana, raffigurante appunto una testa di Lupo.



PICUS E L' ARTE AUGURALE ITALICA

Romolo e Remo, figli di Marte, dopo essere stati abbandonati alla sorte nella loro culla, "ripescati" dagli arbusti del ficus ruminalis, non furono nutriti solo dalla lupa: anche un picchio miracolosamente inviato, picus Martius, provvide a portar loro giornalmente del cibo, così che i piccini -futuri auguri!- poterno sfuggire alla morte e nutrirsi a sazietà.

Il picchio era ben noto per il suo potere oracolare e si sa, del resto, come in modo speciale al volo di certi uccelli -tra cui l' aquila, l'avvoltoio, il picchio, il corvo- si rivolgesse l' arte augurale in piena età storica e come a Roma il collegio degli auguri mantenesse il suo prestigio e autorità fino alla fine del sovvenzionamento dello Stato ai culti cosiddetti pagani (ultimo quarto del IV sec. d. C.).

Nella cerimonia espiatoria che apre i rituali delle Tavole Eugubine grande importanza è assegnata all' osservazione dei movimenti del picchio: "Questa cerimonia si inizi con l' osservazione degli uccelli, il picchio verde e la cornacchia da occidente, oppure il picchio e la gazza da oriente."

Allo stesso modo, prima della lustrazione, il sacerdote presso le pietre augurali (avieclir) "non si muova prima di avere annunciato il picchio verde da occidente". Altrove, nelle stesse Tavole è fatta espressa menzione di un "agre tlatie piquier martier" e di un "agre casiler piquier martier" ("campo Tlatio Picovio Marzio" e "campo Casilio Picovio Martio"), che il Devoto ritiene senz'altro legati -secondo la sua espressione- ad un "dio picchio PIKU MARTIO".

Nella elaborazione mitologica romana (non v'è dubbio, infatti, che qui ci troviamo di fronte ad un nucleo mitico autentico e indigeno), l' italico picchio di Marte, abitatore delle selve più fitte, fu identificato con Picus, dio oracolare primevo e fatidico degli Aborigeni, protettore della stirpe laurentina, figlio di Saturno e padre di Fauno, quindi avo di re Latino [segue uno schema, n.d.r.].

Circe sua moglie o amante respinta, lo avrebbe trasformato nell' uccello dal suo nome. Sotto la forma di rex augur, figura non inedita nell' ambito dell' antica regalità italica, se se ne sono potute ravvisare tracce presso Latini, Siculi ed Umbri, lo descrive Virgilio nella sua ricchissima reggia, facendolo ornato di trabea, ancile e del lituo, o verga sacerdotale augurale:

"Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis,
urbe fuit summa, Laurentis regia Pici,
horrendum silvis et religione parentum.
(...) Ipse Quirinali lituo parvaque sedebat
succintus trabea laevaque ancile gerebat
Picus, ecum domitor, quem capta cupidine coniunx
aurea percussum virga versumque venenis
fecit avem Circe sparsitque coloribus alas"

Ora, il picchio e l' arte augurale sabina sembrano collegare Roma e gli Italici nella figura di Tito Tazio, eponimo della romana tribù dei Tities, compagno di Romolo nel regno dopo la guerra per il mitico "ratto delle sabine", che aveva visto le schiere di Tito Tazio, mossosi da Curi, occupare il Quirinale ed il Campidoglio: probabile reminiscenza, anche questa, di una "primavera sacra". Dopo la fusione con i Ramnes, Roma divenne la città dei Quiriti, cioè degli "astati", e Romolo fu detto Quirino.

Il Devoto ha avvicinato questi dati forniti dalla tradizione con le testimonianze archeologiche delle tombe a inumazione, che nell' VIII secolo a Roma si accompagnavano a quelle a incinerazione: "Il doppio significato che ha la tradizione inumatrice in Roma (protolatina e sabina) determina, con la incinerazione di tradizione protovillanoviana, quella tgripartizione che appare poi nella storiografia tradotta nei termini etnici di Ramni, tizi e Luceri".

Nei tities si è voluta veder una comunità in possesso di particolari capacità augurali, considerato anche che tatiare significava appunto il cinguettio degli uccelli. Già abbiamo avuto modo di sottolineare l' importanza del fatto che proprio sull' antica rocca Saturnia, poi Capitolium, re Tito Tazio avesse posto la propria reggia e l' auguraculum, e come, fra gli aliquot et sacella da lui eretti in onore di dività sabine, sdoltanto due ospiti divini, Terminus e Juventas rifiutassero l'exaugurazione a vantaggio di Giove Ottimo Massimo. Già si è parlato di Terminus: notiamo per ora, ripromettendoci di tornarvi più avanti, l'interessante accostamento tra l'inamovibile pilastro o stele di Juventas e Tito Tazio, il re che aveva condotto da Cures la juventus dei Sabini.

e forse non a caso, il "secondo fondatore di Roma", l' inauguratore della nuova età mistico-storica, fu il sabino Numa Pompilio, genero di Tazio e secondo re dell' Urbe, istitutore del pontificato massimo e dei principali collegi sacerdotali romani. Ma un probabile riflesso storico di nuove "primavere sacre" sabine, avanguardia "degli Italici Umbri che si sovrappongono a quei più antichi Sabini di tipo osco o 'proto-Sabini' connessi con la fondazione di Roma", si ha nella testimonianza liviana della calata nell'Urbe da Regillo di Atto Clauso, capostipite della gens Claudia, e dei suoi cinquemila familiari e clienti, nonché della successiva temporanea occupazione del Campidoglio (460 a.C.) da parte di Appio Erdonio con duemilacinquecento uomini.


Renato del Ponte


Brani tratti dal libro Dei e miti italici (Edizioni Ecig).