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Discussione: Magistratura criminale

  1. #21
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Per l'esattezza le denunce sono tutte accolte, poi sta al giudice decidere quali portare avanti e quali archiviare.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  2. #22
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Il problema è quindi trovare i giudici "giusti"

    Corruzione, arrestato giudice Giusti - Top News - ANSA.it
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #23
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Il diario del gip che si vende alla 'ndrangheta per le squillo

    Gli appunti di Palmi Giancarlo Giusti, il gip finito in manette che fu già indagato: "Copriva gli affari delle cosche"

    Arrestato un esponente della zona grigia tra la società civile e la ’ndrangheta. Con l’aggravante stavolta di essere un giudice, per di più «ossessionato dal sesso e dalla bella vita». E dai numerosi viaggi su modello businessman a Milano. A leggere le carte del Tribunale milanese sembrerebbe di essere di fronte a una marionetta mossa dai clan per avere uno schermo “rispettabile” e un personaggio disposto a passare informazioni e a gestire anche società che incameravano con privilegi beni che di lì a poco sarebbero stati pignorati. A finire in manette è stato ieri Giancarlo Giusti, giudice di Palmi arrestato nell’ambito di un’indagine condotta a Milano sulla ’ndrangheta. Per lui l’accusa è di corruzione con tutte le aggravanti del caso. Dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giuseppe Gennari emerge un quadro complessivo deprimente. «Le pagine di diario riportate», si legge nell’ordinanza, «sono solo una quota parziale. Ma tutte propongono gli stessi temi ricorrenti: ossessione per il sesso, per lo più a pagamento, esigenze economiche legate ad un tenore di vita sicuramente elevato, spasmodica ricerca di occasioni di guadagno».
    Giusti, indagato da tempo, avrebbe ricevuto dal clan Lampada più o meno 70 mila euro e venduto la propria funzione violando i principi di imparzialità, probità e indipendenza. Il giudice nel 2005 era stato assolto dal Csm al termine di un procedimento disciplinare riguardante un immobile vinto dal suocero proprio in una gara d’asta. Dall’ordinanza di arresto di ieri emerge infatti che Giusti sarebbe stato una sorta di socio occulto degli uomini del clan Valle Lampada nel periodo in cui si occupava di esecuzioni immobiliari al tribunale di Reggio Calabria. A finire nei guai è stato infatti anche Giulio Lampada, presunto esponente della locale e “amico” interessato del giudice. I presunti mafiosi avevano creato una società italiana controllata da una svizzera con legami nei Caraibi e che si occupava di acquisire immobili. In questa società Giusti non avrebbe messo un euro, perché secondo l’accusa tutte le spese venivano pagate dal clan, ma il giudice avrebbe agito come amministratore di fatto. «Giusti fa parte a pieno titolo della famigerata zona grigia. È uno di quegli esponenti che “contano” della società civile che, per debolezza strutturale e propensione caratteriale», ribadisce il gip milanese Gennari, «accetta di entrare in un vorticoso giro di scambi illeciti con individui la cui matrice criminale è facilmente identificabile». Insomma, un pesce «fragilissimo e, per costume di vita, esposto alla tentazione di condotte illecite», che abbocca alle lusinghe del clan. Anche perchè «il beneficio di tutto ciò travalica il confine personale di Giulio Lampada», sottolinea ancora Gennari, «e porta vantaggio a tutta la famiglia, che è poi entità qui corrispondente al nucleo dell’associazione mafiosa. Il giudice Giusti è una di quelle preziose caselle, nello scacchiere delle conoscenze utilitaristiche, che amplifica la capacità di penetrazione e guadagno del sodalizio». Così funziona la criminalità mafiosa. Punta tutto sulle debolezze.

    di Claudio Antonelli
    29/03/2012

    Il diario del gip che si vende alla 'ndrangheta per le squillo - giudice, palmi, 'ndrangheta, squillo, vino, arresto, gip - liberoquotidiano.it
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  4. #24
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    La vicenda

    Spesa proletaria, tutti assolti i trentanove imputati

    Il fatto è successo otto anni fa in una libreria Feltrinelli e in un supermercato della catena Panorama. ll blitz avvenne il 6 novembre 2004 in occasione di una manifestazione sul precariato. Tra gli imputati figuravano l'ex consigliere comunale romano, Nunzio D'Erme, il leader dei disobbedienti Guido Lutrario e Luca Casarini. Alzetta (Action): "Assoluzione unica scelta possibile"
    Sono state tutte assolte le 39 persone finite sotto processo per la cosiddetta “spesa proletaria” compiuta otto anni fa ai danni di una libreria Feltrinelli e in un supermercato della catena Panorama. Lo ha deciso la X sezione del tribunale penale collegiale. Il pm Erminio Amelio aveva sollecitato una condanna a 3 anni e sei mesi di reclusione per ciascuno degli imputati.
    Rapina aggravata e lesioni, erano i reati contestati a seconda delle singole posizioni processuali. Tra gli imputati figuravano l'ex consigliere comunale di Roma, Nunzio D'Erme, il leader dei disobbedienti Guido Lutrario e uno dei capi storici dei movimenti, Luca Casarini. Il blitz avvenne il 6 novembre 2004 in occasione di una manifestazione sul precariato.
    Trentaseimila euro di merce fu trafugata dall'ipermercato di via Tiburtina e 18mila dalla libreria di largo Argentina. Gli imputati si difesero sostenendo che “spesa proletaria” era solo un'operazione mediatica e che nulla era stato portato via dai due esercizi commerciali. Già nel corso dell'udienza preliminare altri 66 imputati nella stessa vicenda furono prosciolti.
    ALZETTA (ACTION): "ASSOLUZIONE UNICA SCELTA POSSIBILE" - "Si è conclusa nell'unico modo possibile, con l'assoluzione dei 39 compagni che hanno dato vita ad un'azione politica contro quel carovita che sta massacrando gli italiani, un'azione in favore del reddito alle classi disagiate, giovani ed immigrati. Condannare chi partecipò alla giornata del 6 novembre 2004 vorrebbe dire essere complici di un governo che risponde con la scarsa tutela del lavoro e la modifica dell'art.18 alla richiesta necessaria di ammortizzatori sociali e tutela alle classi più deboli". Lo dice, in una nota, Andrea Alzetta, presidente di Roma in Action all'Assemblea Capitolina.

    Mercoledì, 28 Marzo 2012

    Spesa proletaria, tutti assolti i trentanove imputati / Cronaca - Nuovo Paese Sera
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  5. #25
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    lunedì 28 maggio 2012

    Milano: sconti di pena nel processo alle Nuove Br

    MILANO - La seconda Corte d'assise d'appello di Milano, presieduta da Anna Conforti, ha emesso 11 condanne nei confronti dei dodici imputati per il processo d'appello bis a carico dei presunti appartenenti alle cosiddette nuove Br-Pcpm. La pena massima è di undici anni e mezzo, un solo imputato è stato assolto.
    I giudici hanno tolto l'aggravante della finalità terroristica che era costata l’annullamento da parte della Cassazione del primo processo d’appello. Nelle condanne si parla associazione sovversiva, mentre nell'altro processo si menzionava l'associazione sovversiva con finalità terroristiche. Le pene sono quindi ridotte: a uno degli ideologi del gruppo, Claudio Latino, sono stati inflitti undici anni e mezzo di carcere, mentre nel primo processo d'appello aveva avuto 14 anni e un mese. Anche ad altri esponenti di spicco del movimento, come Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi, sono state ridotte le pene rispettivamente a 9 e 10 anni di carcere, rispetto ai 10 e 10 mesi e 12 anni e un mese del precedente verdetto. Uno degli imputati, Salvatore Scivoli, per il quale erano stati chiesti sei anni e sei mesi di carcere, è invece stato assolto, mentre Massimiliano Gaeta, condannato a cinque anni e tre mesi, è stato scarcerato per estinzione della custodia cautelare.

    aquarius: Milano: sconti di pena nel processo alle Nuove Br
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  6. #26
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Ha sterminato un'intera famiglia
    Non farà un solo giorno di carcere


    Due anni, pena sospesa, all'uomo che in auto travolse madre e due figli, per il dolore 6 mesi dopo si suicidò il capofamiglia

    Ha sulla coscienza la vita di quattro persone, ma se l'è cavata con una pena di appena due anni e senza fare un solo giorno di carcere. Si chiude nel peggiore dei modi la triste storia della famiglia Quinci, interamente distrutta per colpa di un giovane che il 15 gennaio dello scorso anno sfrecciava con la sua Bmw per le stradine di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, a 120 chilometri all'ora. Nell’impatto con una Fiat 600, sulla quale viaggiava la famiglia Quinci che stava rientrando a casa, morirono i piccoli Martina e Vito, di 12 e 10 anni e la madre Lidia Mangiaracina di 37 anni. L’unico a sopravvivere all’incidente fu il capofamiglia, Baldassare Quinci, 43 anni, maresciallo dell' aeronautica che ebbe appena il tempo di guarire dalle ferite riportate in quel terribile scontro. Al dolore si aggiunse la rabbia quando venne persino accusato di concorso di colpa. E così sei mesi dopo la tragedia decise di farla finita impiccandosi ad una trave.

    PATTEGGIAMENTO - Probabilmente si è risparmiato l'ulteriore strazio di assistere alla lettura della sentenza contro Fabio Gulotta, 22 anni, responsabile di quell'incidente in cui è stata sterminata la sua famiglia. Il giudice delle udienze preliminari di Marsala, Vito Marcello Saladino, lo ha infatti condannato a due anni di carcere, con sospensione della pena. Dunque non ha fatto e non farà un solo giorno di carcere. A Gulotta veniva contestato il reato di omicidio colposo plurimo e in teorie rischiava fino a 8/10 anni di carcere. A meno di riti alternativi o patteggiamenti che potessero drasticamente ridurre la pena. Come è avvenuto in questo caso col patteggiamento a 2 anni che è anche il limite oltre il quale si rischia di finire in carcere.
    LO STATO TUTELA CHI UCCIDE - «Giustizia è fatta» commenta con amarezza Nicola Mangiaracina, fratello di Lidia, che è anche uno dei pochi familiari che hanno seguito il processo. «Questa vicenda dimostra come lo Stato italiano tutela chi uccide le persone -dichiara a Corriere.it - Chiunque può commettere impunemente simili reati, può sterminare una famiglia senza che gli succeda nulla». Nel processo i legali di Gulotta hanno sostenuto che non era ubriaco al momento dell'incidente. «Ma questa è un'aggravante -si infiamma Mangiaracina- vuol dire che lucidamente andava a quella velocità per le stradine di un centro abitato». Sconfortato anche il legale che in questi mesi ha difeso i congiunti della famiglia Quinci. «Tutto ciò è semplicemente scandaloso -afferma l'avvocato Claudio Congedo- purtroppo la giustizia ha perso l'ennesima occasione per dimostrare che esiste». E poi rivela l'ultimo, sconcertante, dettaglio: «Al momento il responsabile di questa tragedia non è stato nemmeno condannato alla pena accessoria del ritiro della patente».

    Alfio Sciacca
    asciacca@corriere.it14 giugno 2012 (modifica il 15 giugno 2012)

    Ha sterminato un'intera famiglia Non farà un solo giorno di carcere - Corriere.it
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  7. #27
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Revocato il 41 bis al boss di Capaci Antonio Troia: "Proroga mal motivata"

    La decisione è del tribunale di sorveglianza di Roma. Il boss è stato condannato con sentenza definitiva all'ergastolo per la strage di Capaci

    di Nico Di Giuseppe - 18 giugno 2012, 17:21

    Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il carcere duro al boss Antonio Troia. Nel 2006 il 41 bis era stato confermato dalla Corte di Cassazione che aveva respinto il ricorso presentato dai legali del detenuto.
    Per i supremi giudici, Troia "è stato protagonista di vicende giudiziarie di estrema gravità" e non ha manifestato alcun "comportamento sintomatico di ravvedimento e di rescissione del vincolo con l'organizzazione di appartenenza". Per queste ragione, la Cassazione aveva dichiarato il ricorso "inammissibile".
    Il boss, di 77 anni, deve scontare cinque ergastoli per omicidio. Secondo gli inquirenti, avrebbe partecipato alla preparazione della strage di Capaci nella quale furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Secondo l'accusa, Troia avrebbe partecipato alla fase organizzativa ed esecutiva della strage, comservando l'esplosivo usato nell'attentato del 23 maggio 1992 e ospitando il commando mafioso.
    Dall’esame del carteggio sulla base del quale è stato predisposto il decreto ministeriale di rinnovo del 41 bis per Troia, secondo i giudici romani "non emerge alcun inidizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione a intessere indebiti collegamenti" con il boss detenuto.
    I magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Roma scrivono ancora che tutti gli atti del procedimento "si limitano a ripercorrere le vicende giudiziarie del condannato (ancorate a reati commessi fino al 1992) e a segnalare diverse operazioni di polizia che riguardano esponenti della famiglia mafiosa di Capaci che non risultano collegati a Troia". Nella sostanza, sarebbe "privo di adeguata motivazione" il provvedimento di proroga del 41 bis al capomafia di Capaci Antonino Troia.
    "La perdurante operatività della famiglia mafiosa (altro requisito a cui la legge subordina la proroga del 41 bis n.d.r.) non risulta invece comprovata. Nessuna delle vicende riportate nel decreto ministeriale appare riconducibile alla famiglia di Capaci e ancor meno alla persona di Troia. E non emerge alcun indizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione mafiosa a intessere indebiti collegamenti con Troia", scrivono i giudici che bacchettano la superficialità della motivazione posta alla base del 41 bis aggiungendo che "nel corso degli ultimi 19 anni non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia".
    "Se è vero che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall’art.41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un’organizzazione che, pur nell’ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia", conclude il Tribunale.

    Revocato il 41 bis al boss di Capaci Antonio Troia: "Proroga mal motivata" - Interni - ilGiornale.it
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  8. #28
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Fuoco alle toghe.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  9. #29
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    Citazione Originariamente Scritto da Eridano Visualizza Messaggio
    Fuoco alle toghe.
    Vuoi far alterare il napuli?
    Poi ci tocca un'altro dei suoi proverbiali rimbrotti sdegnati.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  10. #30
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    Predefinito Re: Magistratura criminale

    La mafia delle aste giudiziarie

    11 giugno 2013 | Autore Redazione | Stampa articolo
    Fonte: La mafia delle aste |

    LE VENDITE GIUDIZIARIE NELLE MANI DI COMITATI D’AFFARI, PARTITI E LOGGE OCCULTE CHE CONTROLLANO DA NORD A SUD IL RACKET DEI FALLIMENTI E DELLE ASTE, IVI COMPRESA UN’ALTA PERCENTUALE DELLA MAGISTRATURA DI REGIME.
    Un’associazione a delinquere di stampo massomafioso, finalizzata a sovvertire l’Ordinamento democratico e la legalità, è in grado di condizionare l’attività giudiziaria da nord a sud del Paese, attraverso la collusione di intranei ai centri di comando delle istituzioni, sino alla Corte di Cassazione, al C.S.M. e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che, ignorando svariate migliaia di denunce inviate ogni anno da cittadini e imprenditori italiani, garantiscono l’impunità di magistrati corrotti, collusi con banche, finanziarie, usurai, speculatori, partiti, logge massoniche e criminalità organizzata.
    Dopo oltre 25 anni di attività abbiamo compreso che il sistema delle aste è strutturalmente marcio e privo di dialettica interna e controlli esterni: solo una rivoluzione civile dal basso potrà cambiarlo, trattandosi di un sistema autoreferenziale, dove ogni rimedio giurisdizionale interno è vanificato, a causa dell’assoluta discrezionalità nell’interpretazione ed applicazione delle leggi.

    LA SCOMMESSA PERDUTA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA.
    A partire dal caso eclatante del Tribunale di Milano, i media già 10 anni fa diedero grande risalto alla dilagante corruzione giudiziaria legata alle vendite giudiziarie e ai fallimenti. Lo stesso Tribunale di Milano fece pubblicare varie pagine a pagamento sui maggiori quotidiani nazionali, facendoci credere che con gli arresti di alcuni avvocati e pubblici funzionari di quella che fu definita la “compagnia della morte“, si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di condizionare le gare d’asta per l’acquisto degli immobili pignorati e svenduti a valori vili “agli amici degli amici”.
    Istituzioni e media di regime si affannarono a spiegare ai cittadini che per svariati anni una banda di “professionisti” aveva potuto agire impunemente, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di una tangente (o “pizzo”) pari al 10-15% del valore dell’immobile pignorato, ovvero pilotando l’assegnazione su prestanomi, professionisti e società, i cui interessi, ci veniva però sottaciuto, risultatavano spesso riferibili agli stessi magistrati o loro parenti, come nei casi da noi vanamente denunciati, tra quello dell’allora Presidente della Sezione Esecuzioni immobiliari, dr.ssa Gabriella D’Orsi, tuttora applicata presso altra sezione del Tribunale di Milano, senza che il CSM e la Procura di Brescia abbiano adottato alcun provvedimento a quanto risulta neanche di carattere disciplinare.
    Ma ora (sic!) – ci veniva fatto credere già ben 10 anni orsono – le cose sarebbero “cambiate” …
    (Vedasi La Repubblica 11/11/03).

    LA NOSTRA ESPERIENZA CI PORTA A RITENERE IL CONTRARIO.
    Si trattò infatti solo di un’operazione di maquilllage per cercare di ridare credibilità al volto corrotto della giustizia italiana e del sistema delle aste, solo a fini di marketing. Lo dimostrano l’alto numero di denunce che interessano pressoché tutti i tribunali italiani, senza trovare risposta e soluzione da parte degli organi giurisdizionali interni e sovranazionali.
    Gli immobili per lo più pignorati dalle banche continuano a venire svenduti a valori infimi a società vicine o soggetti privati legati a doppio filo agli interessi degli stessi istituti di credito e alle loro clientele politico-affaristiche dedite alla speculazione e allo strozzinaggio, come insegna il caso eclatante dell’associziazione a delinquere denominata Monte dei Paschi di Siena, anello di congiunzione tra il malaffare berlusconiano e quello delle cooperative rosse, su cui si arenò anche “mani pulite”.
    Attraverso gli sportelli MPS, come di altri Istituti bancari accreditati ad aprire agenzie all’interno dei tribunali italiani, passano, tra l’altro, senza alcun controllo, il riclicaggio e l’autoriciclaggio di ingenti capitali di illecita provenienza, con il beneplacito degli stessi magistrati che dispongono la vendita e l’assegnazione degli immobili pignorati, grazie a una legislazione costruita ad hoc che, dopo le recenti riforme, nonostante la crisi economica, ha ristretto sempre più le possibilità e gli strumenti di difesa dei cittadini esecutati, lasciati in balia delle mafie locali che controllano i tribunali, seppure spesso risultino oberati da pretese illegittime e tassi usurari.
    I casi da noi raccolti e in parte pubblicati nella mappa della malagiustizia vedono tra i tribunali più corrotti Milano, Treviso, Alessandria, Brescia, Firenze, Lucca, Roma, Perugia, Napoli, Palermo, etc.
    Lo stesso dicasi per quanto attiene l’ambito delle procedure fallimentari controllate da un vero e proprio racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano (Radio 101), da cui furono sottratti in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo oltre 7000 vittime, misero a nudo una ultradecennale capacità di delinquere interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale.
    Fatti per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe avvenuto all’insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia, Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto, dagli anni ’80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell tassativo obbligo di registrazione delle denunce nel Registro delle notizie di reato (Art. 335 c. 1° c.p.p.).
    A riguardo, basti ricordare i ben 26.000 procedimenti mai registrati e occultati in soffitta, sotto la reggenza dell’ex Procuratore di Brescia, Francesco Lisciotto, che anche dopo il ritrovamento, dietro nostra denuncia, sono rimasti inesaminati, portando al mero trasferimento-promozione del magistrato con tessera P2, salito per dirla come Monti alla Corte di Cassazione.

    Analoghi insabbiamenti sono toccati alle denunce di onesti magistrati fallimentari romani, come nel caso del Dott. Paolo Adinolfi, il quale è stato addirittura fatto sparire fisicamente. (1)
    Un caso di lupara bianca insabbiato dalla Procura di Perugia ad alta densità massonica, trattato anche dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto”.
    Secondo quanto riferito dal magistrato Giacomo De Tommaso, Adinolfi gli confidò il timore di essere seguito e spiato. La moglie di Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, rivelò che il marito aveva acquisito prove e documenti che avrebbero potuto far affondare l’intero Tribunale di Roma. Inoltre Adinolfi pochi giorni prima della sua scomparsa aveva chiesto ed ottenuto un appuntamento con il P.M. di Milano Carlo Nocerino, davanti al quale avrebbe voluto testimoniare come persona informata sui fatti.
    Le uniche indagini possibili in questo Paese sono solo quelle rivolte nei confronti di coloro che denunciano con prove alla mano i misfatti del potere, accusandoli a scopo eminentemente persuasivo e dissuasivo, come ai tempi del fascismo, di reati ideologici, quali “diffamazione, calunnia, oltraggio a magistrato in udienza, resistenza a pubblico ufficiale…”, molto spesso in relazione agli stessi scritti difensivi e alle denunce mai esaminate delle incolpevoli vittime delle mafie.
    La vastità e gravità del fenomeno che non riguarda le sole zone del sud a forte concentrazione criminale ci ha portati a coniare la definizione di “mafia giudiziaria”, in quanto abbiamo rilevato trattarsi di una condizione connaturata all’esercizio stesso della giurisdizione e alle modalità di gestire le funzioni giurisdizionali, a tutela di interessi particolaristici, corporativi e lobbistici, ovvero al modo di intendere le stesse finalità del diritto, secondo una visione deviata rispetto ai principi dello stato di diritto, ad esclusivo appannaggio di partiti e gruppi affaristici trasversali, corporazioni, logge massoniche, che della giustizia e del suo capillare controllo hanno fatto strumento di indebito arricchimento e fonte di finanziamento illecito, in base ad un “codice non scritto“, secondo cui vince chi ha le giuste aderenze e si sottomette alle logiche dominante, che hanno messo in ginocchio l’intera nazione, entrando a fare parte del “giro” dei vari comitati d’affari.
    Un codice criminale e preverso imposto dalla politica e dalla cultura del potere che lega larghi settori della magistratura di regime alla criminalità organizzata, dando luogo ad un fenomeno di elevatissima pericolosità e allarme sociale, che possiamo definire come “mafia giudiziaria”, il cui fine è quello di arricchirsi indebitamente, fare carriera negli apparati della burocrazia statale e attingere, consenso, protezione, scambio di favori e illeciti vantaggi, grazie ai legami con la massoneria e la criminalità organizzata.
    Non crediate, dunque, di essere gli unici ad avere subito un’ingiustizia dallo svolgimento delle aste giudiziarie o da anomale procedure fallimentari. Si tratta di un sistema criminale istituzionalizzato, da nord a sud del Paese, voluto ed alimentato da banche, partiti, colletti bianchi e mafie locali che controllano il territorio.
    Un malaffare legalizzato e tollerato dallo Stato-mafia, che pur cercando di mostrare il volto legale dei propri tribunali, non riesce a celare, alla prova dei fatti, il largo coinvolgimento nel racket delle aste e dei fallimenti da parte di magistrati ed infedeli funzionari.
    A riguardo, basti dire che l’ex Presidente della sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi, indicata nel succitato articolo del quotidiano “La Repubblica”, come una sorta di eroina, che avrebbe denunciato il controllo delle aste giudiziarie da parte della “compagnia della morte”, risultava essa stessa indagata dalla Procura di Brescia per avere favorito la vendita di un appartamento, a prezzo irrisorio, in favore della figlia, quando è notoriamente vietato dall’Ordinamento Giudiziario a magistrati e pubblici funzionari di partecipare, anche tramite terzi, alle aste giudiziarie… (ma questa è un’altra storia che potrete conoscere nelle pagine web della Mappa della malagiustizia in Italia).
    Segnalateci gli abusi subiti da banche, società immobiliari, avvocati, giudici, curatori, notai delegati, cancellieri, pubblici ministeri, od anche, i casi di cui siete a conoscenza, gli daremo voce, pubblicandoli in tempo reale nella mappa della malagiustizia in Italia.
    E’ l’unico modo per spezzare il silenzio e impedire ai poteri forti di nascondere la verità.
    Hanno venduto la Vostra casa ad un prezzo irrisorio?
    Hanno venduto all’asta il Vostro immobile senza avvertirvi?
    Vi hanno fatto fallire ingiustamente?
    I Vostri ricorsi non sono serviti a nulla o il Vostro difensore vi ha abbandonato e nessuno vuole più prendere la Vostra difesa?
    Vi hanno impedito di esaminare il fascicolo o sono spariti gli atti? Hanno archiviato senza indagini e senza farvi sapere nulla?
    Se volete avere assistenza prima di tutto associatevi e scrivete ad Avvocati Senza Frontiere, cercheremo di aiutarvi nei limiti delle possibilità. A causa dell’elevato numero di richieste non siamo in grado di dare informazioni telefoniche e per regolamento possiamo rispondere solo agli utenti registrati e in regola con i versamenti delle quote che ci hanno inviato la necessaria documentazione di supporto.
    (1) (uscito di casa e scomparso il 2 luglio 1994, cfr. Paolo Adinolfi, NdR)

    La mafia delle aste giudiziarie | STAMPA LIBERA
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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