Agli antipodi (ma non poi così tanto) di Lovecraft e dei Miti di Chtulhu, c'è l'autore inglese che creo il concetto di Campione eterno e lo sublimò in una delle sue incarnazioni più famose e riuscite: Elric di Melniboné.
Se nell'universo lovecraftiano l'uomo è un'impotente formica, schiacciata da superiori presenze tanto aliene quanto maligne e distruttive, l'universo o, meglio, il multiverso di Moorcock divide queste forze in due distinte e altrettanto maligne parti: la Legge e il Caos. Questi due principi metafisici hanno forma concreta e si esprimono attraverso i propri potentissimi avatar, che ne perseguono gli scopi. L'uomo (in qualsiasi universo egli si trovi) è sempre schiacciato da questi principi e la forma stessa degli universi cambia a seconda di chi prevale.
In tutto questo, però, c'è sempre chi cerca di allontanarsi dalle logiche superne che governano il destino degli uomini (e non solo) e il proprio universo in generale. Chi, insomma, vuole riscattarsi dalla guerra tra la "sterile" (fino all'ossessività) Legge e dal "maligno" (fino alla demenza) Caos. E tra loro, non sono in pochi, spicca la figura del Campione Eterno, un essere che, magari dormiente in un piano del multiverso (magari fa il contabile per qualche multinazionale), si sveglia in un altro piano, richiamato a ricoprire il suo ruolo in modo pieno e con il bagaglio dell'incosciente esperienza maturata dalle sue mille incarnazioni.
Una delle perfette (quanto inconsapevoli) incarnazioni del Campione eterno è Elric di Melniboné.La saga di Elric è epica e tragica al tempo stesso e contiene davvero tutti gli elementi della tragedia greca condensati in un ciclo di romanzi e racconti che vanno ben oltre la "sword & sorcery" degli esordi di Moorcock.Di famiglia reale, albino, fragile, disilluso, Elric è l'ultimo imperatore, in linea di sangue, dell'antichissimo impero di Melnibonè che ha governato (sotto il nome comune di "Impero Fulgido") tutto il mondo per 10.000 anni. Nel momento dell'inizio della saga, sono sorti da 500 anni i "Regni Giovani" che, progressivamente, hanno limitato l'impero alla sola sua capitale: l'isola del Drago.
La degenerazione dei melniboneani (da sempre cinici e crudeli ma nei secoli divenuti sempre più indolenti) minaccia, costantemente, di causare un'invasione dei popoli giovani e barbari, tenuti a bada unicamente dalla paura della leggendaria crudeltà dei melniboneani, dalla potenza della loro flotta e dal fatto che gli abitanti dell'impero sono gli unici a poter utilizzare in battaglia i draghi.
Se in Lovecraft (criticato da Moorcock per i suoi toni razzisti e xenofobi) l'individuo lotta contro l'orrore di un cosmo che trama contro di lui, in Moorcock la lotta è contro la tragedia della lotta stessa, ponendo l'accento sulla grande illusione che vi possa essere sempre la possibilità di una guerra che porrà fine a tutte le guerre, specialmente a quella avviatasi con la Creazione stessa.