Risultati da 1 a 2 di 2

Discussione: FRA' DOLCINO.

  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    09 Jun 2009
    Messaggi
    463
     Likes dati
    0
     Like avuti
    14
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito FRA' DOLCINO.

    Secondola Chiesa Cattolica fra Dolcino era, è lo è tuttora, un eretico che, con la legge falsa che predicava, disturbava la fede e la vita pacifica dei sudditi. I suoi seguaci erano dei delinquenti che non esitavano, per la propria sopravvivenza, a saccheggiare e depredare i beni delle popolazioni dove avevano posto i loro quartieri. Chi tentava di opporsi veniva ucciso e la sua casa data alle fiamme.



    Dalla parte opposta fra Dolcino viene considerato un riformatore della Chiesa e, soprattutto, un precursore dei principi informatori della Rivoluzione Francese e dello stesso Socialismo.



    Al di fuori delle passioni politiche e religiose vediamo qual è stata la storia di fra Dolcino e del movimento degli Apostolici che, negli anni 1300 - 1307, ha avuto il suo svolgimento, e tragico epilogo, sui monti della Valsesia e del Biellese.



    Secondo gli storici gli Apostolici trassero la loro origine dallo stesso movimento francescano andato in crisi dopo la morte (1226) di S. Francesco d'Assisi. Il movimento Apostolico fu fondato nel 1260 da Gherardino Segalelli, che iniziò a predicare lo svincolo della Chiesa dalle ricchezze e dal potere, nonché il suo ritorno alle umili e paritarie condizioni delle origini. Gherardino, accusato di eresia, condannato al rogo, fu arso vivo nel 1300 a Parma. Fra Dolcino, suo discepolo, riorganizzò gli Apostolici e ne divenne ben presto il capo carismatico.



    Fra Dolcino viene definito come un uomo di rilevante intelligenza, capace, con le sue notevoli doti oratorie, di affascinare chiunque. I suoi seguaci erano contadini, artigiani, donne, bambini e anziani, che credevano nei suoi principi e ad una vita sociale migliore con la loro applicazione.

    Accanto a quella di fra Dolcino spicca la figura della sua compagna Margherita, da tutti definita donna di rilevante bellezza, che lo segue in tutte le sue battaglie e che ne condivide la tragica fine.



    I concetti cardine della dottrina dolciniana possono essere così espressi:



    - Abbattimento della gerarchia ecclesiastica e ritorno della Chiesa alle sue origini di umiltà e povertà.

    *- Abbattimento dell'oppressivo sistema feudale.

    - Liberazione umana da ogni costrizione e da qualsiasi potere costituito.

    - Organizzazione di una società paritaria, di mutuo e reciproco aiuto, di comunione dei beni e di parità di diritti fra uomo e donna.



    Come si vede fra Dolcino più che un riformatore della Chiesa è da considerarsi un autentico rivoluzionario che ha anticipato i tempi di parecchi secoli. Proprio per questo non poteva che uscirne sconfitto.

    Le sue teorie, che non restavano concetti astratti ma che venivano applicate fra la sua gente, la sua straordinaria capacità di fare proseliti non potevano che preoccupare seriamente le autorità costituite. Vennero assoldate milizie mercenarie per reprimere, sul nascere, un movimento che sviluppandosi avrebbe portato a conseguenze irreparabili.

    Per sfuggire ai suoi persecutori fra Dolcino passa da Parma a Bologna ed in seguito si rifugia nel Trentino. Successivamente, sempre per sottrarsi alla caccia ostinata messa in atto dai vescovi, dai feudatari e dall'Inquisizione passa, attraverso le montagne per sentirsi più sicuro, in quel di Brescia, Bergamo, Como e Milano.

    In Valsesia fra Dolcino arrivava nel 1304 con un seguito di 3.000 persone. In quegli anni la valle era percorsa da movimenti di insofferenza verso il sistema feudale, di rifiuto di pagare i balzelli e le decime, di resistenza armata. In questi fermenti di ribellione vi confluirono gli Apostolici di fra Dolcino che vennero quindi accolti favorevolmente dai valsesiani. Il primo insediamento dei dolciniani fu a Gattinara, presumibilmente al castello di S. Lorenzo. Questa sistemazione durò poco perché, pressati da milizie mercenarie assoldate dal Vescovo di Vercelli, i seguaci di fra Dolcino furono costretti a ripiegare prima a Varallo ed in seguito a Campertogno. Dopo una permanenza di parecchi mesi in questa località si videro nuovamente obbligati a cercare un rifugio più sicuro. In un primo tempo lo trovarono sulla Cima delle Balme e quindi, verso la fine dell'estate del 1305, sulla Parete Calva in Val di Rassa. Da questo rifugio i dolciniani, affiancati da ribelli valsesiani, calavano a valle per compiere azioni di guerriglia nei riguardi dell'armata vescovile. Però questo rifugio, assolutamente inespugnabile con i mezzi bellici del tempo, si rivelò ben presto una trappola che avrebbe potuto diventare mortale. Al Vescovo di Vercelli si unì quello di Novara che assoldò nuovi mercenari, in modo particolare un corpo di balestrieri per contrastare i valsesiani abilissimi nel tiro con l'arco. La rinnovata armata vescovile bloccò tutte le vie di accesso alla Parete Calva impedendo ogni rifornimento, ogni azione di guerriglia e ogni via di fuga. Per la mancanza di viveri l'inverno 1305-1306 diventò terribile per i dolciniani. Nel marzo del 1306 fra Dolcino affrontò l'unica via libera che gli restava per abbandonare la Parete Calva e sfuggire all'accerchiamento. Con una marcia, che gli storici definiscono "incredibile", fra le montagne coperte da neve, passò in prossimità del Monte Bo, scese la Val Dolca approdando nel Biellese e attestandosi sui Monti Rubello, Tirlo e Civetta. I dolciniani erano ormai ridotti a poche centinaia, ma sufficienti per costruire apprestamenti difensivi attorno ai monti citati quali un fortino, cinte murarie, un pozzo e alcuni camminamenti. Partendo da questa base, con azioni di guerriglia contro i loro nemici, si procurarono viveri e quanto serviva alla loro sopravvivenza. Immediata fu la reazione del Vescovo di Vercelli che chiese aiuto ai feudatari e ottenne dal papa Clemente V che fosse bandita una crociata per reprimere, una volta per tutte, il movimento degli Apostolici di fra Dolcino. Tutte le vie di accesso e di ritirata dai Monti Rubello, Tirlo e Civetta furono bloccate. Ogni possibilità di rifornimento viveri preclusa. In queste condizioni i dolciniani dovettero affrontare un nuovo terribile inverno.

    Il 23 marzo 1307 i Crociati, in rilevante superiorità numerica, sferrarono l'attacco finale alle postazioni dolciniane. Dopo un'intera giornata di combattimenti accaniti e cruenti riuscirono a piegarne la resistenza.

    Fra Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo furono catturati vivi unitamente ad altri 150 prigionieri.

    Margherita fu bruciata per prima sulle rive del Cervo alla presenza di fra Dolcino.

    Fra Dolcino e Longino Cattaneo furono sottoposti a terribili torture. Furono ad essi strappate le carni con ferri arroventati, prima di essere a loro volta bruciati vivi sul rogo.



    Ai giorni nostri riesce difficile pensare come gli alti prelati siano riusciti ad infliggere una morte così orrenda, in nome della Chiesa Cattolica e della dottrina di Gesù Cristo da essa predicata.



    Comunque si vogliano valutare le fedi, le ideologie e i fatti, una cosa è certa: il contenuto politico del messaggio lanciato da fra Dolcino annovera principi universalmente validi, principi che non avranno mai fine.



    Dalla guida “VALSESIA E MONTE ROSA” (pagina 194 e seguenti)

    Ecco come l’autore don Luigi Ravelli, per molti anni parroco di Foresto in Valsesia, racconta la storia di fra Dolcino.

    .

    ................................Così al principio del 1304 noi troviamo Dolcino, dietro forse invito dei ghibellini Conti di Biandrate, arrivare a Gattinara con tutta l'accozzaglia dei suoi compagni e seguito dalla ganza Margherita Boninsegna, giovane donzella di Arco, che l'ere*siarca seppe persuadere a fuggire dalla casa fraterna ove egli, fuggitivo, era stato accolto ospite. A Gattinara si stabilì sul Colle di S. Lorenzo ed al Pian di Cordova, donde discendeva instancabilmente a predicare alle popolazioni del piano e pur troppo, narrano i cronisti, in Gattinara e Ser*ravalle la sua predicazione incontrava largo favore, moltiplicando con rapidità gli aderenti alle sue dottrine.

    Tali gravissimi disordini preoccupavamo vivamente il cuo*re dei Vescovi di Novara e Vercelli, che vedevano con tristez*za l'empio Dolcino corrompere la fede e disturbare la tran*quillità di quelle buone popolazioni. Onde, per troncare ogni inganno, si videro costretti a colpirlo di scomunica, per al*lontanare i fedeli dallo stringere rapporti con lui ed i suoi seguaci. A ciò si aggiunse qualche molestia per parte di schie*re mandate da Vercelli e da Novara, per cui Dolcino, non tro*vandosi più sicuro sui colli dov'era trincerato, sceso sull'op*posta sponda del fiume, incominciò a ritirarsi su per da Val*sesia.

    Dopo alcuni attacchi la marcia di Dolcino si cambiò in vera guerra, e tra Prato Sesia e Robbiallo, presso Bettole, ebbero luogo, con varia vicenda, alcuni terribili fatti d'armi. Final*mente Dolcino s'accorse di non potere più tener fronte all'in*calzare delle squadre avversarie che sempre lo respingevano più in su; e dopo aver messo quelle regioni a soqquadro con incendi e saccheggi, organizzò la ritirata di tutti i suoi verso Varallo. Ma neppure Varallo gli parve una posizione adatta per difendersi; invitato e favorito da un certo Milarno Sola, personaggio potente ed audace, si portò a Campertogno, e poi, come in luogo ancor più acconcio, in Vasnera, e finalmente sulla Parete Calva ove Dalcino stabili il suo quartiere gene*rale, costruendo speciali fortificazioni e case per la sua gente, che si poteva in quel tempo calcolare di circa 1400 persone tra uomini e donne d’ogni età, saliti in seguito a quasi 5000.

    Quanto doveva essere difficile per i dolciniani, specialmente d'inverno, provvedersi di viveri in luoghi così selvaggi. I poveretti, tormentati dalla miseria e dalla fame, si trovarono costretti a discendere verso i borghi, saccheggiando feroce*mente i raccolti e le case. Ne si accontentavano di rubare il necessario per vivere, ma, fatti più audaci dall'abitudine del mal fare, riempirono quelle regioni di ratti, di stragi, d'in*cendi e di miserie d'ogni sorta, com'è detto nell'atto costitutivo della Lega Valsesiana.

    Fu allora che il popolo pensò di insorgere per difesa, contro questo manipolo di feroci devastatori. Il giorno di S. Bartolomeo (24 agosto) del 1305 i più influenti capifamiglia della Valsesia superiore, radunatisi nella chiesa parrocchiale di Scopa, conclusero con solenne giuramento una lega, al fine di allontanare dalla Valle quei nemici della loro fede e della loro libertà; e tosto si posero in armi per impedire ai criminali ogni discesa versola Valle. Purtroppo però i primi scontri non ebbero esito felice per i Valsesiani alleati, dalle cime dirupate dei moniti che Dolcino occupava, era facile precipitare loro addosso or da una parte or dall'altra, uccidendone, facendone prigionieri e costringendo gli altri alla fuga. In una di queste mosse Dolcino riuscì perfino a il catturare il Podestà di Varallo, Brulsiati. Egli rendeva poi ai prigionieri la libertà e la vita mediante ingenti somme di danaro, ed uccideva coloro che non erano in grado di pagare alcuna somma.

    Venne però a favore degli alleati l'inverno del 1305-1306 che fu oltremodo rigido e micidiale. Per lunghi mesi la neve coprì le montagne, impedendo ai Dolciniani ogni provvista di viveri. Essi erano costretti a nutrirsi delle carni dei cavalli, dei cani, dei topi, di fieno cotto con sego. L'inverno sembrava interminabile e molti infelici cadevano uccisi dal freddo e dalla fame. Sul principio di marzo del 1306, quando incominciò a spuntare più tiepido il sole e le nervi si andarono sciogliendo, Dolcino decise di abbandonare quei luoghi dove tanti dei suoi erano caduti e di errare attraverso i monti, per l'unica via che gli rimase libera, finché avesse trovato un rifugio ove posar più tranquillo Partì dunque il 10 marzo colla fida Margherita ed il seguito dei compagni decimati dalle sofferenze e, con una marcia meravigliosa, valicando “montes magnos per vias inexcogitabiles loca difficillima e nives altissima” passò nella diocesi di Vercelli ed a notte inoltrata giunse a Trivero. Quivi diede l'assalto al borgo immerso nel sonno, svaligiò da chiesa, incendiò le case, uccise numerosi cittadini facendone altri prigionieri, e quindi, ben rifornito riparò sulle alture vicine fortificandosi sul Monte Debello o Rubello. E di là i Dolciniani scendevano tratto tratto a depredare anche a Mosso, Cossato, Mortigliengo, Curino, Flecchia, Coggiola e Crevacuore.

    Lunga, ostinata ed eroica fu la resistenza che fra Dolcino oppose sul Rubello ai Vercellesi e Novaresi collegati, i quali ve lo assediarono con un esercito di 4000 combattenti; ma questi in un primo assalto, tratti negli agguati dai Dolciniani nascosti entro una caverna, perdettero più di cento dei loro, fra i quali Giacomo di Quaregna capitano Vercellese. L'inverno però inco*minciava ed il freddo e la fame avrebbero portato un grande aiuto ai collegati; si sarebbero sul Rubello rinnovati gli or*rori della Parete Calva, ma questa volta senza possibilità di scampo.

    .................................................. .................................................. ......................


    La mancanza di viveri infatti si fece ben presto manifesta più volte. Dolcino si persuase a rimettere in libertà dei prigionieri mediante il cambio con vettovaglie. Ma una volta non essendosi potuto soddisfare la sua richiesta, egli, dispe*rato, fece troncar la testa ai prigionieri stessi, quindi con efferata crudeltà, fece rotolare quei capì recisi giù peI monte fino ai piedi dell'esercito assediante. Così, privi di viveri, passarono l'inverno 1306-1307 fra inenarrabili angustie e torture, nutrendosi di radici, di carne canina e, orribile a dirsi, di carne umana.

    Tornata la primavera rifiorì l'ardore dei Crociati, e gli eretici dal canto loro, benché avessero i corpi languidi per la fame e per il freddo patiti, s'accinsero all'ultima disperatissima difesa. Sul principio della Settimana Santa del 1307 il Vescovo, quasi traendo augurio di vittoria dall’approssimarsi della festa di Pasqua, la festa della più grande vittoria morale, consigliò le schiere alleate a stringersi ancor più verso le cime dei monti circondando i Dolciniani. La lotta infatti fu ingaggiata e continuò per tre giorni, finché nel giovedì Santo (23 marzo 1307) si incominciò una mischia a corpo a corpo che durò tutta la giornata. Le vittime furono assai numerose, perchè si racconta che persino de acque del Sessera si tinsero in rosso. Ma alfine gli alleati vinsero. Dolcino fu fatto prigioniero e con lui Margherita e Longino Cat*taneo. Questi venne giustiziato a Biella sopra un gran sasso, presso il Ponte della Maddalena sul Cervo, dove nei tempi antichi avevano luogo le esecuzioni capitali dei malfattori. Dolcino e Margherita vennero invece condotti a Vercelli, ove l’eresiarca fu condannato all'estremo supplizio 1° giugno 1307 e la sua compagna, dopo tre anni di carcere, per l’indulgenza dei giudici fu liberata.

    Sulle rovine accumulate nel Biellese e nella Valsesia dai barbari devastatori l’amore della fede e della patria fece ben presto ritornane un sorriso, un palpito di vita, mentre un tempietto sorto in onor di S. Bernardo sulla vetta del Ribello, segna tuttora dall’alto alle genti la lotta suprema, la nobile vittoria.
    .................................................. .................................................. .......




    Don Luigi Ravelli nella sua esposizione dei fatti non parla delle torture alle quali fra Dolcino e Longino Cattaneo sono stati sottoposti prima di essere bruciati vivi sul rogo. Per quanto concerne Margherita Bonininsegna afferma addirittura che è stata liberata, mentre è storicamente accertato che è stata bruciata per prima sulle rive del Cervo. Non menziona inoltre i principi fondamentali della dottrina predicata da fra Dolcino. Questo dimostra che la sua è una versione di parte e che come tale va presa.



    IL MIO PARERE

    Molti storici si chiedono perchè fra Dolcino, una volta raggiunta l’attuale Panoramica Zegna, non abbia disperso i propri seguaci in tanti piccoli gruppi per sfuggire all’inevitabile cattura e per continuare, in questo modo, a predicare la propria fede. Fra Dolcino a partire dal 1300 e fino al 1307, braccato dalle milizie assoldate dai vescovi, dai feudatari e dal Tribunale d’Inquisizione, è stato sempre costretto a fuggire attraverso le montagne passando dal Trentino al bresciano al comasco, fino ad arrivare in Valsesia. Dopo questo e l’esperienza della Parete Calva era evidente l’impossibilità di fronteggiare, con successo, le soverchianti forze messe in campo dai suoi oppositori. Diventava quindi logico disperdersi, in ogni direzione e in tanti piccoli gruppi. In considerazione anche della politica perseguita dalla Chiesa Cattolica, prima della comparsa di fra Dolcino, e che fra Dolcino stesso non poteva ignorare e non prendere in seria considerazione.

    L'eresia era l'interpretazione contraria ai precetti sanciti dalla Chiesa Cattolica, che non ha mai ammesso interpretazioni eterodosse che rappresentassero tentativi di costituire gruppi a sé stanti, rispetto alla chiesa ufficiale, e che ha sempre giustificato, per estinguerli, l'uso di metodi violenti quali il rogo. Esempio il massacro dei Catari (anno 1244): più di 200 dei quali finirono sul rogo; scioglimento del movimento apostolico nel 1286 da parte del papa Onorio IV; messa al rogo di Gherardo Segarelli, fondatore del movimento apostolico, nel 1300.

    Certo che la condanna al rogo di fra Dolcino, di Margherita Boninsegna e di Longino Cattaneo pesa come un macigno sulla coscienza della Gerarchia Ecclesiastica.

    Papa Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per l’operato del Tribunale d’Inquisizione. Le sue scuse avrebbero dovuto essere estese a tutto l’operato della Chiesa Cattolica che nel corso dei secoli si è resa responsabile di autentici crimini rimasti sempre impuniti: inquisizione, crociate, guerre di religione, massacri di protestanti e musulmani, condanne al rogo di intellettuali e scienziati, conversioni forzate, sostegno dello schiavismo, crimini contro gli aborigeni australiani, ostacoli ideologici al progresso medico e scientifico. La Chiesa Cattolica si è sempre schierata dalla parte dei più forti: feudatari, grandi monarchie, capitalismo, dittature europee del 20° secolo (fascismo: Patti Lateranensi) e ha sostenuto il colonialismo. Col suo operato ha sempre disatteso la filosofia predicata da Gesù Cristo che, come tutti sappiamo, ha come principi informatori l’umiltà, l’eguaglianza e l’amore reciproco.

    Personalmente non riuscirò mai a capire come si possa, partendo dalla filosofia di Gesù Cristo, arrivare ad un fanatismo religioso, ad una perversione mentale e ad una crudeltà d’animo tali da mettere al rogo persone che interpretano in un modo diverso la stessa filosofia.

    In parole povere la dottrina degli alti prelati era e lo sarebbe tuttora, se lo potessero: tu devi pensarla come dico io, perchè se la pensi diversamente sei un nemico da sopprimere.




    Per approfondire la controversa storia di fra Dolcino andare nei siti
    http://www.cronologia.it/storia/biografie/fradolc2.htm
    http://fradolcino.interfree.it
    http://www.eresie.it/id334.htm



    PRIMA PAGINA INIZIO PAGINA


    http://www.torriste.it/81115.php

  2. #2
    Forumista senior
    Data Registrazione
    10 Jun 2009
    Messaggi
    2,367
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: FRA' DOLCINO.

    Citazione Originariamente Scritto da danko Visualizza Messaggio
    Secondola Chiesa Cattolica fra Dolcino era, è lo è tuttora, un eretico che, con la legge falsa che predicava, disturbava la fede e la vita pacifica dei sudditi. I suoi seguaci erano dei delinquenti che non esitavano, per la propria sopravvivenza, a saccheggiare e depredare i beni delle popolazioni dove avevano posto i loro quartieri. Chi tentava di opporsi veniva ucciso e la sua casa data alle fiamme.



    Dalla parte opposta fra Dolcino viene considerato un riformatore della Chiesa e, soprattutto, un precursore dei principi informatori della Rivoluzione Francese e dello stesso Socialismo.



    Al di fuori delle passioni politiche e religiose vediamo qual è stata la storia di fra Dolcino e del movimento degli Apostolici che, negli anni 1300 - 1307, ha avuto il suo svolgimento, e tragico epilogo, sui monti della Valsesia e del Biellese.



    Secondo gli storici gli Apostolici trassero la loro origine dallo stesso movimento francescano andato in crisi dopo la morte (1226) di S. Francesco d'Assisi. Il movimento Apostolico fu fondato nel 1260 da Gherardino Segalelli, che iniziò a predicare lo svincolo della Chiesa dalle ricchezze e dal potere, nonché il suo ritorno alle umili e paritarie condizioni delle origini. Gherardino, accusato di eresia, condannato al rogo, fu arso vivo nel 1300 a Parma. Fra Dolcino, suo discepolo, riorganizzò gli Apostolici e ne divenne ben presto il capo carismatico.



    Fra Dolcino viene definito come un uomo di rilevante intelligenza, capace, con le sue notevoli doti oratorie, di affascinare chiunque. I suoi seguaci erano contadini, artigiani, donne, bambini e anziani, che credevano nei suoi principi e ad una vita sociale migliore con la loro applicazione.

    Accanto a quella di fra Dolcino spicca la figura della sua compagna Margherita, da tutti definita donna di rilevante bellezza, che lo segue in tutte le sue battaglie e che ne condivide la tragica fine.



    I concetti cardine della dottrina dolciniana possono essere così espressi:



    - Abbattimento della gerarchia ecclesiastica e ritorno della Chiesa alle sue origini di umiltà e povertà.

    *- Abbattimento dell'oppressivo sistema feudale.

    - Liberazione umana da ogni costrizione e da qualsiasi potere costituito.

    - Organizzazione di una società paritaria, di mutuo e reciproco aiuto, di comunione dei beni e di parità di diritti fra uomo e donna.



    Come si vede fra Dolcino più che un riformatore della Chiesa è da considerarsi un autentico rivoluzionario che ha anticipato i tempi di parecchi secoli. Proprio per questo non poteva che uscirne sconfitto.

    Le sue teorie, che non restavano concetti astratti ma che venivano applicate fra la sua gente, la sua straordinaria capacità di fare proseliti non potevano che preoccupare seriamente le autorità costituite. Vennero assoldate milizie mercenarie per reprimere, sul nascere, un movimento che sviluppandosi avrebbe portato a conseguenze irreparabili.

    Per sfuggire ai suoi persecutori fra Dolcino passa da Parma a Bologna ed in seguito si rifugia nel Trentino. Successivamente, sempre per sottrarsi alla caccia ostinata messa in atto dai vescovi, dai feudatari e dall'Inquisizione passa, attraverso le montagne per sentirsi più sicuro, in quel di Brescia, Bergamo, Como e Milano.

    In Valsesia fra Dolcino arrivava nel 1304 con un seguito di 3.000 persone. In quegli anni la valle era percorsa da movimenti di insofferenza verso il sistema feudale, di rifiuto di pagare i balzelli e le decime, di resistenza armata. In questi fermenti di ribellione vi confluirono gli Apostolici di fra Dolcino che vennero quindi accolti favorevolmente dai valsesiani. Il primo insediamento dei dolciniani fu a Gattinara, presumibilmente al castello di S. Lorenzo. Questa sistemazione durò poco perché, pressati da milizie mercenarie assoldate dal Vescovo di Vercelli, i seguaci di fra Dolcino furono costretti a ripiegare prima a Varallo ed in seguito a Campertogno. Dopo una permanenza di parecchi mesi in questa località si videro nuovamente obbligati a cercare un rifugio più sicuro. In un primo tempo lo trovarono sulla Cima delle Balme e quindi, verso la fine dell'estate del 1305, sulla Parete Calva in Val di Rassa. Da questo rifugio i dolciniani, affiancati da ribelli valsesiani, calavano a valle per compiere azioni di guerriglia nei riguardi dell'armata vescovile. Però questo rifugio, assolutamente inespugnabile con i mezzi bellici del tempo, si rivelò ben presto una trappola che avrebbe potuto diventare mortale. Al Vescovo di Vercelli si unì quello di Novara che assoldò nuovi mercenari, in modo particolare un corpo di balestrieri per contrastare i valsesiani abilissimi nel tiro con l'arco. La rinnovata armata vescovile bloccò tutte le vie di accesso alla Parete Calva impedendo ogni rifornimento, ogni azione di guerriglia e ogni via di fuga. Per la mancanza di viveri l'inverno 1305-1306 diventò terribile per i dolciniani. Nel marzo del 1306 fra Dolcino affrontò l'unica via libera che gli restava per abbandonare la Parete Calva e sfuggire all'accerchiamento. Con una marcia, che gli storici definiscono "incredibile", fra le montagne coperte da neve, passò in prossimità del Monte Bo, scese la Val Dolca approdando nel Biellese e attestandosi sui Monti Rubello, Tirlo e Civetta. I dolciniani erano ormai ridotti a poche centinaia, ma sufficienti per costruire apprestamenti difensivi attorno ai monti citati quali un fortino, cinte murarie, un pozzo e alcuni camminamenti. Partendo da questa base, con azioni di guerriglia contro i loro nemici, si procurarono viveri e quanto serviva alla loro sopravvivenza. Immediata fu la reazione del Vescovo di Vercelli che chiese aiuto ai feudatari e ottenne dal papa Clemente V che fosse bandita una crociata per reprimere, una volta per tutte, il movimento degli Apostolici di fra Dolcino. Tutte le vie di accesso e di ritirata dai Monti Rubello, Tirlo e Civetta furono bloccate. Ogni possibilità di rifornimento viveri preclusa. In queste condizioni i dolciniani dovettero affrontare un nuovo terribile inverno.

    Il 23 marzo 1307 i Crociati, in rilevante superiorità numerica, sferrarono l'attacco finale alle postazioni dolciniane. Dopo un'intera giornata di combattimenti accaniti e cruenti riuscirono a piegarne la resistenza.

    Fra Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo furono catturati vivi unitamente ad altri 150 prigionieri.

    Margherita fu bruciata per prima sulle rive del Cervo alla presenza di fra Dolcino.

    Fra Dolcino e Longino Cattaneo furono sottoposti a terribili torture. Furono ad essi strappate le carni con ferri arroventati, prima di essere a loro volta bruciati vivi sul rogo.



    Ai giorni nostri riesce difficile pensare come gli alti prelati siano riusciti ad infliggere una morte così orrenda, in nome della Chiesa Cattolica e della dottrina di Gesù Cristo da essa predicata.



    Comunque si vogliano valutare le fedi, le ideologie e i fatti, una cosa è certa: il contenuto politico del messaggio lanciato da fra Dolcino annovera principi universalmente validi, principi che non avranno mai fine.



    Dalla guida “VALSESIA E MONTE ROSA” (pagina 194 e seguenti)

    Ecco come l’autore don Luigi Ravelli, per molti anni parroco di Foresto in Valsesia, racconta la storia di fra Dolcino.

    .

    ................................Così al principio del 1304 noi troviamo Dolcino, dietro forse invito dei ghibellini Conti di Biandrate, arrivare a Gattinara con tutta l'accozzaglia dei suoi compagni e seguito dalla ganza Margherita Boninsegna, giovane donzella di Arco, che l'ere*siarca seppe persuadere a fuggire dalla casa fraterna ove egli, fuggitivo, era stato accolto ospite. A Gattinara si stabilì sul Colle di S. Lorenzo ed al Pian di Cordova, donde discendeva instancabilmente a predicare alle popolazioni del piano e pur troppo, narrano i cronisti, in Gattinara e Ser*ravalle la sua predicazione incontrava largo favore, moltiplicando con rapidità gli aderenti alle sue dottrine.

    Tali gravissimi disordini preoccupavamo vivamente il cuo*re dei Vescovi di Novara e Vercelli, che vedevano con tristez*za l'empio Dolcino corrompere la fede e disturbare la tran*quillità di quelle buone popolazioni. Onde, per troncare ogni inganno, si videro costretti a colpirlo di scomunica, per al*lontanare i fedeli dallo stringere rapporti con lui ed i suoi seguaci. A ciò si aggiunse qualche molestia per parte di schie*re mandate da Vercelli e da Novara, per cui Dolcino, non tro*vandosi più sicuro sui colli dov'era trincerato, sceso sull'op*posta sponda del fiume, incominciò a ritirarsi su per da Val*sesia.

    Dopo alcuni attacchi la marcia di Dolcino si cambiò in vera guerra, e tra Prato Sesia e Robbiallo, presso Bettole, ebbero luogo, con varia vicenda, alcuni terribili fatti d'armi. Final*mente Dolcino s'accorse di non potere più tener fronte all'in*calzare delle squadre avversarie che sempre lo respingevano più in su; e dopo aver messo quelle regioni a soqquadro con incendi e saccheggi, organizzò la ritirata di tutti i suoi verso Varallo. Ma neppure Varallo gli parve una posizione adatta per difendersi; invitato e favorito da un certo Milarno Sola, personaggio potente ed audace, si portò a Campertogno, e poi, come in luogo ancor più acconcio, in Vasnera, e finalmente sulla Parete Calva ove Dalcino stabili il suo quartiere gene*rale, costruendo speciali fortificazioni e case per la sua gente, che si poteva in quel tempo calcolare di circa 1400 persone tra uomini e donne d’ogni età, saliti in seguito a quasi 5000.

    Quanto doveva essere difficile per i dolciniani, specialmente d'inverno, provvedersi di viveri in luoghi così selvaggi. I poveretti, tormentati dalla miseria e dalla fame, si trovarono costretti a discendere verso i borghi, saccheggiando feroce*mente i raccolti e le case. Ne si accontentavano di rubare il necessario per vivere, ma, fatti più audaci dall'abitudine del mal fare, riempirono quelle regioni di ratti, di stragi, d'in*cendi e di miserie d'ogni sorta, com'è detto nell'atto costitutivo della Lega Valsesiana.

    Fu allora che il popolo pensò di insorgere per difesa, contro questo manipolo di feroci devastatori. Il giorno di S. Bartolomeo (24 agosto) del 1305 i più influenti capifamiglia della Valsesia superiore, radunatisi nella chiesa parrocchiale di Scopa, conclusero con solenne giuramento una lega, al fine di allontanare dalla Valle quei nemici della loro fede e della loro libertà; e tosto si posero in armi per impedire ai criminali ogni discesa versola Valle. Purtroppo però i primi scontri non ebbero esito felice per i Valsesiani alleati, dalle cime dirupate dei moniti che Dolcino occupava, era facile precipitare loro addosso or da una parte or dall'altra, uccidendone, facendone prigionieri e costringendo gli altri alla fuga. In una di queste mosse Dolcino riuscì perfino a il catturare il Podestà di Varallo, Brulsiati. Egli rendeva poi ai prigionieri la libertà e la vita mediante ingenti somme di danaro, ed uccideva coloro che non erano in grado di pagare alcuna somma.

    Venne però a favore degli alleati l'inverno del 1305-1306 che fu oltremodo rigido e micidiale. Per lunghi mesi la neve coprì le montagne, impedendo ai Dolciniani ogni provvista di viveri. Essi erano costretti a nutrirsi delle carni dei cavalli, dei cani, dei topi, di fieno cotto con sego. L'inverno sembrava interminabile e molti infelici cadevano uccisi dal freddo e dalla fame. Sul principio di marzo del 1306, quando incominciò a spuntare più tiepido il sole e le nervi si andarono sciogliendo, Dolcino decise di abbandonare quei luoghi dove tanti dei suoi erano caduti e di errare attraverso i monti, per l'unica via che gli rimase libera, finché avesse trovato un rifugio ove posar più tranquillo Partì dunque il 10 marzo colla fida Margherita ed il seguito dei compagni decimati dalle sofferenze e, con una marcia meravigliosa, valicando “montes magnos per vias inexcogitabiles loca difficillima e nives altissima” passò nella diocesi di Vercelli ed a notte inoltrata giunse a Trivero. Quivi diede l'assalto al borgo immerso nel sonno, svaligiò da chiesa, incendiò le case, uccise numerosi cittadini facendone altri prigionieri, e quindi, ben rifornito riparò sulle alture vicine fortificandosi sul Monte Debello o Rubello. E di là i Dolciniani scendevano tratto tratto a depredare anche a Mosso, Cossato, Mortigliengo, Curino, Flecchia, Coggiola e Crevacuore.

    Lunga, ostinata ed eroica fu la resistenza che fra Dolcino oppose sul Rubello ai Vercellesi e Novaresi collegati, i quali ve lo assediarono con un esercito di 4000 combattenti; ma questi in un primo assalto, tratti negli agguati dai Dolciniani nascosti entro una caverna, perdettero più di cento dei loro, fra i quali Giacomo di Quaregna capitano Vercellese. L'inverno però inco*minciava ed il freddo e la fame avrebbero portato un grande aiuto ai collegati; si sarebbero sul Rubello rinnovati gli or*rori della Parete Calva, ma questa volta senza possibilità di scampo.

    .................................................. .................................................. ......................


    La mancanza di viveri infatti si fece ben presto manifesta più volte. Dolcino si persuase a rimettere in libertà dei prigionieri mediante il cambio con vettovaglie. Ma una volta non essendosi potuto soddisfare la sua richiesta, egli, dispe*rato, fece troncar la testa ai prigionieri stessi, quindi con efferata crudeltà, fece rotolare quei capì recisi giù peI monte fino ai piedi dell'esercito assediante. Così, privi di viveri, passarono l'inverno 1306-1307 fra inenarrabili angustie e torture, nutrendosi di radici, di carne canina e, orribile a dirsi, di carne umana.

    Tornata la primavera rifiorì l'ardore dei Crociati, e gli eretici dal canto loro, benché avessero i corpi languidi per la fame e per il freddo patiti, s'accinsero all'ultima disperatissima difesa. Sul principio della Settimana Santa del 1307 il Vescovo, quasi traendo augurio di vittoria dall’approssimarsi della festa di Pasqua, la festa della più grande vittoria morale, consigliò le schiere alleate a stringersi ancor più verso le cime dei monti circondando i Dolciniani. La lotta infatti fu ingaggiata e continuò per tre giorni, finché nel giovedì Santo (23 marzo 1307) si incominciò una mischia a corpo a corpo che durò tutta la giornata. Le vittime furono assai numerose, perchè si racconta che persino de acque del Sessera si tinsero in rosso. Ma alfine gli alleati vinsero. Dolcino fu fatto prigioniero e con lui Margherita e Longino Cat*taneo. Questi venne giustiziato a Biella sopra un gran sasso, presso il Ponte della Maddalena sul Cervo, dove nei tempi antichi avevano luogo le esecuzioni capitali dei malfattori. Dolcino e Margherita vennero invece condotti a Vercelli, ove l’eresiarca fu condannato all'estremo supplizio 1° giugno 1307 e la sua compagna, dopo tre anni di carcere, per l’indulgenza dei giudici fu liberata.

    Sulle rovine accumulate nel Biellese e nella Valsesia dai barbari devastatori l’amore della fede e della patria fece ben presto ritornane un sorriso, un palpito di vita, mentre un tempietto sorto in onor di S. Bernardo sulla vetta del Ribello, segna tuttora dall’alto alle genti la lotta suprema, la nobile vittoria.
    .................................................. .................................................. .......




    Don Luigi Ravelli nella sua esposizione dei fatti non parla delle torture alle quali fra Dolcino e Longino Cattaneo sono stati sottoposti prima di essere bruciati vivi sul rogo. Per quanto concerne Margherita Bonininsegna afferma addirittura che è stata liberata, mentre è storicamente accertato che è stata bruciata per prima sulle rive del Cervo. Non menziona inoltre i principi fondamentali della dottrina predicata da fra Dolcino. Questo dimostra che la sua è una versione di parte e che come tale va presa.



    IL MIO PARERE

    Molti storici si chiedono perchè fra Dolcino, una volta raggiunta l’attuale Panoramica Zegna, non abbia disperso i propri seguaci in tanti piccoli gruppi per sfuggire all’inevitabile cattura e per continuare, in questo modo, a predicare la propria fede. Fra Dolcino a partire dal 1300 e fino al 1307, braccato dalle milizie assoldate dai vescovi, dai feudatari e dal Tribunale d’Inquisizione, è stato sempre costretto a fuggire attraverso le montagne passando dal Trentino al bresciano al comasco, fino ad arrivare in Valsesia. Dopo questo e l’esperienza della Parete Calva era evidente l’impossibilità di fronteggiare, con successo, le soverchianti forze messe in campo dai suoi oppositori. Diventava quindi logico disperdersi, in ogni direzione e in tanti piccoli gruppi. In considerazione anche della politica perseguita dalla Chiesa Cattolica, prima della comparsa di fra Dolcino, e che fra Dolcino stesso non poteva ignorare e non prendere in seria considerazione.

    L'eresia era l'interpretazione contraria ai precetti sanciti dalla Chiesa Cattolica, che non ha mai ammesso interpretazioni eterodosse che rappresentassero tentativi di costituire gruppi a sé stanti, rispetto alla chiesa ufficiale, e che ha sempre giustificato, per estinguerli, l'uso di metodi violenti quali il rogo. Esempio il massacro dei Catari (anno 1244): più di 200 dei quali finirono sul rogo; scioglimento del movimento apostolico nel 1286 da parte del papa Onorio IV; messa al rogo di Gherardo Segarelli, fondatore del movimento apostolico, nel 1300.

    Certo che la condanna al rogo di fra Dolcino, di Margherita Boninsegna e di Longino Cattaneo pesa come un macigno sulla coscienza della Gerarchia Ecclesiastica.

    Papa Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per l’operato del Tribunale d’Inquisizione. Le sue scuse avrebbero dovuto essere estese a tutto l’operato della Chiesa Cattolica che nel corso dei secoli si è resa responsabile di autentici crimini rimasti sempre impuniti: inquisizione, crociate, guerre di religione, massacri di protestanti e musulmani, condanne al rogo di intellettuali e scienziati, conversioni forzate, sostegno dello schiavismo, crimini contro gli aborigeni australiani, ostacoli ideologici al progresso medico e scientifico. La Chiesa Cattolica si è sempre schierata dalla parte dei più forti: feudatari, grandi monarchie, capitalismo, dittature europee del 20° secolo (fascismo: Patti Lateranensi) e ha sostenuto il colonialismo. Col suo operato ha sempre disatteso la filosofia predicata da Gesù Cristo che, come tutti sappiamo, ha come principi informatori l’umiltà, l’eguaglianza e l’amore reciproco.

    Personalmente non riuscirò mai a capire come si possa, partendo dalla filosofia di Gesù Cristo, arrivare ad un fanatismo religioso, ad una perversione mentale e ad una crudeltà d’animo tali da mettere al rogo persone che interpretano in un modo diverso la stessa filosofia.

    In parole povere la dottrina degli alti prelati era e lo sarebbe tuttora, se lo potessero: tu devi pensarla come dico io, perchè se la pensi diversamente sei un nemico da sopprimere.




    Per approfondire la controversa storia di fra Dolcino andare nei siti
    http://www.cronologia.it/storia/biografie/fradolc2.htm
    http://fradolcino.interfree.it
    http://www.eresie.it/id334.htm



    PRIMA PAGINA INIZIO PAGINA


    http://www.torriste.it/81115.php

    Molto interessante. Ho iniziato la lettura, la concluderò più tardi.

 

 

Discussioni Simili

  1. Fra Dolcino
    Di Dragonball nel forum Padania!
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 22-05-10, 14:56
  2. Frà Dolcino e i Dolciniani
    Di danko (POL) nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 9
    Ultimo Messaggio: 18-12-08, 10:55
  3. Fra' Dolcino
    Di Muntzer (POL) nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 26-04-06, 23:21
  4. Auguri a Frà Dolcino
    Di Der Wehrwolf nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 28-12-03, 20:48
  5. MSG x Fra Dolcino
    Di Tahoeman nel forum Fondoscala
    Risposte: 17
    Ultimo Messaggio: 11-11-03, 18:50

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito