Bella domanda Ada!
Io penso, riferendomi genericamente alle condotte umane e senza entrare nel particolare, che, tra ipocrisia e diplomazia sussista una differenza sostanziale fondata principalmente sulla presenza della volontà di ingannare.
Nella ipocrisia questa forma dolosa di determinazione che tende al camuffamento del reale pensiero sorregge la lusinga o la virtù declamata rivolta all'altro.
Nella diplomazia, altra condotta tipicamente umana, la volontà ingannevole difetta del tutto. Ove fosse presente, infatti, guasterebbe il significato stesso della lusinga o della virtù rivolta al prossimo che finirebbe per uscire dalla definizione della seconda ricondursi alla prima.
Nella diplomazia ciò che agisce è l'intento conservativo del rapporto relativamente al complimento. Si può esaltare una dote, ad esempio, esagerando nell'usare l'aggettivo senza per questo perseguire un vero e proprio disegno ingannatore.
Di solito la diplomazia richiede una certa abilità da parte dell'uomo, ad es. nell'evitare dispiaceri nell'animo altrui.
L'ipocrisia invece nell'atto di nascondere ciò che può arrecare la doglianza è sempre accompagnata da alcune tinte che indicano il reale stato d'animo ("animus nocendi") di chi, esprimendo un pensiero, palesa la propria soddisfazione nel recare nocumento a chi quel pensiero è diretto.
Ovviamente il comportamento ipocrita è anche corredato di copiosi pettegolezzi, prima durante e dopo l'esaltazione di una virtù, che, di bocca in bocca, notificano poi all'interessato la certezza della natura invidiosa dell'ipocrita e la sua inclinazione poco amichevole.
La diplomazia invece è benigna e opera per la concordanza e per la fraternizzazione. E', secondo il mio punto di vista, una delle forme mediante la quali si manifesta la carità.
Insomma, come ho detto prima, l'ipocrisia presenta un quid pluris rispetto alla diplomazia: la volontà ingannevole.
Questo il mio pensiero al riguardo.