Il volto di Bossi – In un altro paese - Blog - Repubblica.it

Il volto di Bossi



La feccia che risale il pozzo – questo sembrano le porcherie della famiglia Bossi che vengono ora a galla nelle varie inchieste sulle finanze della Lega Nord. Mi ha sempre stupito come, fino ad ora, Umberto Bossi sia riuscito a continuare a passare come un tribuno del popolo, castigatore dei costumi nefasti di Roma Ladrona, quando era perfino troppo evidente da dieci o quindici anni che i leader della Lega erano diventati tra i membri più viziati ed arroganti della casta politica italiana e che Bossi non aveva realizzato niente – proprio niente – delle sue tante promesse elettorali, in particolare, un’Italia federalista. L’unico loro successo semmai era di avere creato una rete di clientela leghista in alcune regioni e città che assomigliassero alle clientele della prima Repubblica.

Quando Bossi ha cominciato ad imporsi sulla scena nazionale verso la fine degli anni ottanta, sembrava una novità potenzialmente importante per la politica italiana. Nonostante la volgarità della sua retorica antimeridionale, Bossi ha messo il dito su una piaga vera: l’eccessiva centralizzazione dello Stato italiano e la tendenza di uno stato invasivo e predatore di soffocare le migliori energie del paese.

Nel suo linguaggio nudo e crudo da uomo da bar, Bossi aveva espresso chiaramente alcuni sentimenti molto diffusi e spesso giustificati: “A Roma, mangiano i soldi che facciamo noi!” Se fosse stato un uomo di vera statura, se fosse cresciuto politicamente ed umanamente, Bossi avrebbe potuto, forse, superare i limiti xenofobici del suo messaggio politico e convincere altre regioni d’Italia, in particolare, quelle del Sud, che erano malservite anche loro da uno Stato troppo concentrato a Roma, da una partitocrazia che si intromette in tutti i punti nevralgici dell’economia italiana.

Ma piuttosto presto Bossi si è rivelato un uomo piccolo piccolo – incapace di andare oltre la politico dell’insulto, di allargare il suo discorso oltre il campanilismo nordista, appoggiandosi sempre di più sui sentimenti peggiori di odio razziale e religioso.

Bossi, miracolosamente, è riuscito a tenere tranquillo il suo elettorato pur prendendolo in giro in un modo sempre più palese. Ha mantenuto il suo profilo populista grazie al suo dito medio alzato e le sue battute volgari, becere e spesso violente, mentre tutto il suo comportamento politico andava in senso contrario. Da campione di Mani Pulite, motore del movimento anti-corruzione, Bossi si è rapidamente convertito in difensore dei privilegi della classe politica.

Da figura trasversale che ha lasciato il primo governo Berlusconi denunciando il colpo di spugna mirato a proteggere la famiglia Berlusconi dalle inchieste giudiziarie, Bossi è diventato l’alleato più fedele del grande corruttore. Improvvisamente, dopo aver parlato di Berlusconi come “Craxi con la parrucca” e come “il mafioso di Arcore”, Bossi ha fatto molto del lavoro sporco del Popolo della Libertà, appoggiando quasi tutte le misure fatte dagli avvocati di Berlusconi per toglierlo dai guai, per proteggere la sua azienda, annacquare il codice penale, azzerare processi in corso e rendere molto, molto difficile i processi di corruzione.

Doveva destare molti più sospetti l’aiuto finanziario che Berlusconi ha dato alla Lega per farla uscire dalla crisi - due milioni in forma di linea di credito garantita da una fideiussione personale di Silvio Berlusconi. Questo aiuterebbe a capire come mai Bossi si sia trasformato da cane arrabbiato del popolo del Nord in cagnolino della corte di Berlusconi dal 2001, anno del prestito, a oggi.

Conoscendo la “generosità” del Cavaliere non sarebbe fuori luogo sospettare che questi due milioni siano solo la punta dell’iceberg. La presenza del nome di Aldo Brancher nelle inchieste sulla Lega – uomo di fiducia di Berlusconi e figura chiave in molti processi di tangenti e corruzione – presenta vari scenari possibili. Doveva destare sospetti la promozione sfacciata da parte di Bossi della carriera “politica” del figlio Renzo, ragazzo poco brillante con una vita scapestrata – comportamento degno del peggiore craxismo oppure del dittatore serbo Slobodan Milosevic e suo figlio Marko.

In questi anni, Bossi, “ministro per le riforme”, non ha fatto niente per riformare l’Italia. Anzi, è stato uno dei pochi alleati di Berlusconi ha accettato le più grandi porcherie del Cavaliere: le decine di leggi ad personam mentre il federalismo rimaneva lettera morta. È stata la Lega – nella persona di Roberto Calderoli, uno dei nuovi triumviri della Lega Nord – a dare al paese la sua peggiore legge elettorale, quella che il suo stesso creatore ha definito “una porcata”. Una legge totalmente partitica che toglieva all’elettore la capacità di scegliere i propri rappresentanti, dando poteri quasi assoluti ai segretari di partito.
L’ipocrisia e la bancarotta ideale e politica di Bossi era evidente da anni ma lui, a differenza di Berlusconi, fino ad ora non ha dovuto mai pagare un vero prezzo politico. Anche se la folla leghista ancora lo osanna, forse la feccia che sta salendo dal pozzo cambierà il quadro. Bossi dimostra di non aver capito niente: copre di insulti e minacce i giornalisti che gli fanno domande legittime sui soldi scomparsi dalle casse della Lega. Ma ormai Bossi sembra a quasi tutti, come è sembrato a noi da un pezzo, solo un povero pagliaccio e un cialtrone.